UBALDINI
I primi esponenti di questa grande casata appenninica sono individuabili nel seguito dei marchesi di Toscana nel corso dell’XI secolo.
In particolare Azzo (I) di Alberico/Albizo (I) (1034-55) e il figlio Albizo (II) (1046-83) risultano strettamente legati ai Canossa, tramite i quali furono in grado d’intessere relazioni con i vescovadi di Firenze, Fiesole e Lucca. Attraverso tali legami Azzo (II) di Albizo (II) (1074-1103) e suo figlio Ubaldino (I) (1098-1107 circa), eponimo della schiatta, riuscirono a rafforzare la loro influenza nel Mugello. Dopo la morte di Matilde di Canossa (1115), questo territorio – di grande importanza strategica, lungo alcuni dei percorsi appenninici che univano Firenze e Bologna – divenne il centro esclusivo dell’affermazione politica e l’area di sviluppo del dominio signorile dei figli e nipoti di Ubaldino (I), nel vuoto di potere determinatosi con la crisi della Marca di Tuscia.
Fra i primi domini dove costoro si affermarono vanno menzionati Risanteri, Galliano, la Pila, forse Castro e Pietramala, le Valli, Cavrenno-Monghidoro, ai quali si aggiunse Montaccianico probabilmente nella seconda metà del XII secolo.
Attorno al 1170 se non prima, la stirpe si scisse in due rami, i quali fin da subito iniziarono a praticare politiche familiari non condivise.
Mentre gli eredi di Greccio (I) di Ubaldino (I), radicati nella sede eponima di Galliano, si limitarono soltanto alla gestione del patrimonio familiare indiviso, la linea genealogica discesa da Ottaviano (I) di Ubaldino (I) (1135-74) ― i cui esponenti avevano elevato come loro principale sede inizialmente il centro signorile della Pila, sostituito a partire dai primi anni del Duecento con Montaccianico ― si legò alla casa sveva, riallacciando dopo oltre un secolo (dalla crisi della Marca di Tuscia) le relazioni con l’Impero. Già nel 1187, a Bologna, Albizo (III) di Mugello (1177-88) figlio di Ottaviano (I) ottenne un privilegio da Enrico VI; l’espansione territoriale in Mugello si protrasse per buona parte del XIII secolo. Nella generazione successiva, Ugolino (II) di Albizo (III) di Montaccianico (1196-1227), ottenne a sua volta un privilegio da Federico II (1220), consolidò le clientele mugellane e ampliò il sistema di castelli della signoria ‘zonale’ ubaldina, acquistando ulteriori complessi signorili e fondiari e allacciando nuove relazioni politiche in un contesto geografico più ampio, sino a Bologna (in particolare entrando in relazione col capitolo cattedrale, ove furono collocati i cadetti Ubaldini).
Fattori facilitanti di questa espansione furono la mancanza di concorrenti aristocratici forti, l’isolamento geografico e la limitata influenza delle città comunali.
La crescita del potere della famiglia fu costante per tutta la prima metà del XIII secolo mentre la casata era sotto la guida del figlio di Ugolino (II) ovvero Ubaldino (III) della Pila (1206 circa-1289), e dei cugini di questo Ugolino (III) (1210 circa-1257) e Albizo (IV) (1210 circa-1254) figli di Azzo (IV), i quali furono nuovamente beneficiati da un diploma imperiale emesso da Federico II nel 1246. Di fatto il vero leader fu Ubaldino della Pila che tenne le redini della casata per circa un sessantennio lungo il corso di quasi tutto il Duecento a partire dal 1230 circa fino al 1288. Il punto più alto del prestigio degli Ubaldini fu raggiunto quando Ubaldino venne affiancato al comando dal fratello Ottaviano (III), cardinale dal 1244 e attivo sino al 1272 (v. la voce in questo Dizionario).
Nei decenni successivi alla morte di Federico II il cardinale – che operò sotto quattro papi (Innocenzo IV, Alessandro IV, Urbano IV e Clemente IV) – fu in grado di tutelare sotto l’ombrello ecclesiastico la signoria familiare nel momento del massimo sforzo da parte dei Comuni cittadini (in primis Firenze e Bologna) per contrastare ed erodere ogni forma di prerogativa signorile nel contado. Ne è un chiaro esempio il conflitto che tra 1251 e 1255 coinvolse le città toscane, determinato dall’adesione di Ubaldino della Pila e dei suoi consanguinei alla Lega et societas contro Firenze dei ghibellini di Tuscia (costituita dai Comuni di Siena, Pisa e Pistoia, e dalle grandi casate dell’aristocrazia rurale come i conti Guidi e gli Alberti). Nel 1251 gli Ubaldini e i loro collegati ghibellini e romagnoli furono sconfitti presso Montaccianico, ma Ottaviano Ubaldini intervenne presso i legati papali inviati come pacieri, garantendo loro il sostegno militare della casata e ottenendo in cambio la protezione della chiesa e una sorta di immunità, che significò anche integrità territoriale. Per giunta, dal 1254 al 1260 egli assunse personalmente la ‘reggenza’ della signoria, contro le ambizioni espansionistiche di Firenze.
In seguito alla vittoria ghibellina di Montaperti e il mutamento del quadro politico generale in Toscana, la titolarità della signoria tornò nelle mani di Ubaldino della Pila che governò con il nipote Ugolino (IV) da Senni (1238-93), figlio di Azzo (V) primogenito prematuramente scomparso di Ugolino (II).
Ugolino da Senni fu strettamente legato a Bologna a causa delle origini della madre Azzolina dei Malavolti (1217-56), tanto che con il suo primo matrimonio sposò Bolognisia di Guido dei Geremei unica erede di una delle più influenti casate di questa città, poi con il decesso della prima moglie si coniugò con Beatrice figlia di Galvano dei conti di Lancia (1271-1301), discendente di re Manfredi di Svevia.
In questo frangente Ubaldino della Pila e il nipote non si limitarono solamente alla gestione del dominio, ma, con Ugolino (V) di Filiccione (1263-1305) e Cavrennello (1266-81) figli di Ubaldino, parteciparono attivamente alla vita politica toscana (Cavrennello fu podestà di Prato nel 1266).
In questi anni, sino alla cacciata dei ghibellini da Firenze (1266), gli Ubaldini raggiunsero l’apogeo del loro potere, potendo usufruire contemporaneamente della tutela ecclesiastica e delle solidarietà ghibelline. Queste favorevoli condizioni non mutarono neppure dopo il 1266, quando il cardinale Ottaviano tornò a tenere personalmente (sino alla morte: 1272) le redini della politica familiare: emblematica al riguardo la lettera di Clemente IV a Carlo d’Angiò del 1267, che fu esortato a non esercitare la sua autorità di pacificatore e vicario di Toscana sulle medesime terre del cardinale e dei suoi consanguinei.
Dal punto di vista territoriale, in questi 25 anni circa (1250-75) di massima espansione gli Ubaldini, controllarono tutta l’area appenninica dalle colline sopra Firenze sino allo spartiacque bolognese, e verso est tutta l’alta valle del Santerno e parte della valle del Senio e nelle zone limitrofe. Si trattava di 37 centri di potere signorile (per lo più, ma non tutti, castelli) tutti facenti capo al grande castello di Montaccianico, vero perno del dominio. A quest’area già molto vasta si aggiunsero porzioni del territorio imolese (per tacere dei beni allodiali in giurisdizioni appenniniche altrui), e infine (dagli anni Sessanta) una decina di castelli posti nel territorio umbro-marchigiano (in una zona baricentrica tra Città di Castello, Perugia, Gubbio e Urbino, oggi fra le province di Perugia e di Pesaro-Urbino), frutto di un acquisto di Ottaviano, poi incrementato da ulteriori acquisizioni effettuate negli anni successivi al 1266-68.
Grazie al carisma e alle doti di governo del cardinale (che a Bologna aveva cominciato la sua carriera), componente importante dell’affermazione e della potenza degli Ubaldini era stata, e fu ancora per tutto il Duecento, una posizione egemonica (se proprio non si vuol parlare di ‘signoria’) nella Chiesa di Bologna, saldamente controllata nelle sue cariche principali. Dal 1261 al 1295 fu vescovo suo nipote Ottaviano (IV) di Ubaldino della Pila (1250-95), e dopo di lui per tre anni (1295-98) il fratello Schiatta (1257-98). Fu arcidiacono bolognese dal 1261 al 1278 (succedendo tra l’altro a un Alberto Scolari cugino del cardinale per parte di madre) Ruggieri di Ubaldino della Pila (1260-95) poi vescovo di Pisa, e dopo il quindicennio (1278-93) di Sinibaldo di Labro, uomo di fiducia e camerario del cardinale, fu infine la volta di Ottaviano (VI) di Ugolino di Filiccione (1290-96) nipote dei tre fratelli vescovi. A parte il caso di Bologna, tuttavia, la politica di penetrazione nelle chiese locali si dispiegò con efficacia solo a Volterra e Imola con collaboratori del cardinale negli anni 1249-69, e a Pisa con Ruggieri, protagonista per vent’anni della vita politica cittadina.
La morte di Ubaldino della Pila (1289) segnò una svolta per il lignaggio di Montaccianico e in generale può essere considerato, in un contesto politico nuovo, l’inizio di una fase diversa e meno felice della storia della famiglia, sotto la rinnovata pressione delle città comunali. Emersero tre linee genealogiche discendenti direttamente da Ubaldino, e un’altra, discendente da Ugolino da Senni a sua volta defunto nel 1293.
Fra i discendenti diretti di Ubaldino della Pila, conta soprattutto il figlio di Azzo (VI), primogenito precocemente scomparso di Ubaldino: Ottaviano (V), più noto come Tano da Castello (1274-1307), il quale dopo essere stato emancipato dall’anziano leader suo avo, attorno al 1277 ottenne la gestione del dominio ubicato nel contado di Città di Castello, e fu poi nel 1293 podestà di Verona e punto di riferimento del ghibellinismo umbro-marchigiano ponendosi spesso a capo di tale parte negli scontri di fazione che coinvolgevano non solo Città di Castello o Perugia, ma anche Gubbio e Urbino. Gli altri due rami sono quelli di Ugolino di Filiccione unico figlio sopravvissuto al capofamiglia, e del nipote Ubaldino (VI) (1282-1304) figlio dell’ultimogenito Cavrennello premorto al padre.
La linea dei figli di Ugolino di Senni nel corso del Trecento si suddivise a sua volta in due rami.
Il frazionamento non giovò alla difesa del districtus ubaldiniano. In Mugello esso fu intaccato dal Comune di Firenze che cercò di imporre la sua supremazia politica inserendosi nel tessuto sociale di buona parte delle curie mugellane nel tentativo di smantellarle dall’interno; sicché tra 1290 e 1294 entrarono nell’orbita fiorentina le località di Risanteri, la Pila e Polcanto, Pulicciano, Uliveta, Campiano, S. Giovanni Maggiore, Prata e altre ancora. Negli anni precedenti inoltre (1280-83) Città di Castello e Perugia conquistarono manu militari alcuni castelli ubaldiniani in area umbro-marchigiana (come Carpina); e infine – mentre tramontava inesorabilmente (anche per la morte precoce dell’arcidiacono Ottaviano [VI] seguita da quella di suo zio Schiatta vescovo) l’egemonia sulla Chiesa petroniana, e Bonifacio VIII riusciva a imporre i suoi candidati nelle cariche curiali bolognesi – il Comune di Bologna nel 1294 si assicurò il possesso dei centri signorili ubicati nel suo contado (Cavrenno, Monghidoro e Pietramala) attraverso l’acquisto per 16.200 lire bolognesi del castello di Cavrenno.
La reazione a questo ridimensionamento da parte degli Ubaldini, ancora fortissimi in Appennino, non mancò. Approfittando di alcune contingenze dinastiche favorevoli, i signori del Mugello acquisirono in eredità nel 1302 una vasta area denominata il “Podere”. Si trattava dei 12 castelli (e relative giurisdizioni) già degli estinti Pagani di Susinana, ubicati nelle alte valli dei fiumi Senio e Lamone tra i contadi di Firenze, Imola e Faenza.
A ereditare questi castelli, suddivisi in due diverse quote secondo quanto stabilì con il suo testamento Maghinardo Pagani, furono Giovanni figlio di Ugolino da Senni (1280-1337), podestà di Faenza e Forlì nel 1299-1300, che aveva sposato Albiera cugina di primo grado del testatore, e suo fratello minore Ottaviano (VII) (1285-1303) marito di Andrea figlia primogenita dello stesso. Tuttavia pochi mesi dopo il decesso di Maghinardo (26 agosto 1302) venne meno anche Ottaviano, pertanto per non disperdere parte del patrimonio appena ereditato, la giovane vedova Andrea fu fatta risposare con Giovanni figlio di Tano da Castello, il quale ottenendo la porzione pertinente alla moglie che comprendeva anche il castello di Susinana, assunse il nome di Vanni da Susinana (1303-68) come sarà noto in seguito.
Nella lotta ormai inesorabilmente ingaggiata con Firenze, gli Ubaldini poterono inoltre giocare una carta importante, fornita loro dalle lotte civili fra i Neri, intrinseci, e i Bianchi che, banditi da Firenze, dopo una serie di sconfitte in Valdarno cercarono il sostegno militare dei signori del Mugello; sostegno che nell’estate del 1302, presso l’abbazia di S. Godenzo, Ugolino di Filiccione in rappresentanza della famiglia offrì ai Cerchi e ai loro sodali. Nel 1303 l’alleanza dei bianchi divenne pertanto una Lega antifiorentina, che con gli Ubaldini («domini de Montecinicho») comprendeva i fuoriusciti fiorentini, i Comuni di Bologna, Pistoia, Forlì, Faenza, Imola, Cesena, Bagnacavallo e Cervia, e i signori da Polenta; il Mugello fu uno dei principali, se non il più importante, scenario di guerra, e Montaccianico una delle piazzaforti della coalizione bianco-ghibellina.
La guerra si protrasse con alterne vicende dal 1302 al 1306 fino a quando, in seguito alla defezione di Bologna, che si schierò con i Neri, e alla conquista fiorentina e lucchese di Pistoia, tutto la pressione bellica fu dirottata contro Montaccianico, con un forte assedio iniziato nel maggio 1306 e durato quattro mesi, da parte dell’esercito fiorentino sostenuto da Lucca, Siena e dalle altre città toscane aderenti alla Lega guelfa, da Bologna e dai mercenari catalani del maresciallo Diego della Ratta, provenienti dal Regno napoletano. La roccaforte era praticamente inespugnabile, ma alla fine i figli di Ugolino da Senni prima, e quelli di Ugolino di Filiccione poi, patteggiarono la resa, a pagamento. A nome del Comune di Firenze, il podestà Cante dei Gabbrielli acquistò a nome del Comune da Francesco (I) di Ugolino da Senni (1285-1325) che agiva anche per il fratello Giovanni, e da Geri di Ugolino di Filiccione (1289-1345), le due parti loro pertinenti delle quattro nelle quali era stato ripartito il castello, per la cifra complessiva di 15.600 fiorini d’oro. Simbolicamente, il castello venne raso al suolo, e Firenze fondò la terra nuova di Castel S. Barnaba a Scarperia per assicurarsi un più incisivo controllo del territorio del Mugello.
L’orgoglio ubaldiniano fu incarnato da Tano da Castello e dai suoi figli, che, sebbene obbligati ad abbandonare Montaccianico con i loro seguaci, non si arresero e da irriducibili continuarono la guerra sfruttando le altre fortificazioni che ancora controllavano: ma per poco, perché Tano morì nel 1307 e i suoi figli – dopo una trattativa di alcuni mesi – nel febbraio 1309 vendettero il castello di Filiccione per 5000 fiorini e firmarono la pace con il Comune di Firenze (insieme coi figli di Ubaldino [VI], che secondo il cronista Marchionne di Coppo Stefani costoro ricevettero un versamento da parte della città di ventimila fiorini).
Con la resa dei figli di Tano si esauriva anche l’ultimo focolaio di questa guerra, e contestualmente gli Ubaldini accettarono la protezione di Firenze che confermò loro il dominio sui castelli e le terre che ancora detenevano, nelle aree periferiche delle alte valli del Santerno e del Senio e nelle zone limitrofe (Alto Mugello e Romagna toscana). Ma passati appena due anni, alla discesa in Italia dell’imperatore Enrico VII (1311-13) i riottosi signori – da sempre sostenitori della corona – si ribellarono e mentre l’esercito imperiale assediava Firenze oltre a condurre incursioni nel territorio fiorentino, recuperarono per un certo tempo la piena autonomia.
In tale occasione si distinse Francesco (III) di Tano da Castello, già podestà di Arezzo nel 1308, vicario imperiale a Pisa nel 1312, e membro del seguito di Enrico VII fino al decesso di questo nel 1313.
Nel corso del Trecento la famiglia beneficiava ancora di un discreto margine di azione. Dominarono la scena i figli di Tano da Castello irriducibili avversari di Firenze, di Città di Castello e per un certo periodo anche di Bologna, e fra questi in particolare Vanni da Susinana padre di Marzia Ubaldini detta Cia, signora di Cesena (v. la voce in questo Dizionario). Tuttavia non ebbero minore importanza Giovanni di Ugolino da Senni e suo figlio Maghinardo Novello (1306-55), relativamente più concilianti con il Comune toscano.
Le relazioni fra Firenze e gli Ubaldini, in quei decenni, furono caratterizzate da continue guerre e scaramucce; la città creò presidi come quello di Firenzuola, nel tentativo di delegittimare i poteri signorili gravanti sulle popolazioni. Guerre guerreggiate si ebbero nel 1342, 1349-50, e 1351-53, con esiti alterni; Firenzuola fu distrutta due volte (1342 e 1351).
Solo dopo la metà del XIV secolo le divisioni che contrapposero tra di loro alcuni rami ubaldiniani permisero a Firenze di avere ragione del dominio degli Ubaldini. Infatti durante lo scontro che dal 1360 oppose i figli di Maghinardo Novello da una parte e Vanni da Susinana e i nipoti di Tano dall’altra, i primi cedettero fra il 1360 il 1371 ai Fiorentini tutti i loro domini, consentendo così al Comune cittadino di inserirsi nella lotta interna e di acquisire a pezzi e bocconi altri presidi signorili. Si arrivò infine, tra 1372 e 1373, a una guerra vera e propria, e il Comune conquistò gli ultimi (non pochi) castelli dei discendenti di Tano, svincolando le comunità dalla soggezione e ponendo fine al dominio nell’Appennino tosco-romagnolo.
Ma assai diverso fu l’esito del dominio familiare umbro-marchigiano. Città di Castello, che disponeva di minori mezzi e risorse di Firenze, non riuscì a piegare la resistenza dei figli di Tano e subì a sua volta i loro tentativi, alcuni dei quali condotti con successo, come nel 1323-35 e più tardi nel 1350, d’insignorirsi temporaneamente della stessa città. Nel 1337 i quattro figli superstiti di Tano si suddivisero l’intera l’eredità paterna che comprendeva questa dominazione, che allora era costituita da 5 o 6 castelli i cui distretti costituivano l’attuale territorio comunale di Apecchio (PU).
Per giunta, gli Ubaldini dell’area tifernate sostennero la politica espansionistica dell’arcivescovo milanese Giovanni Visconti, e ciò permise loro di estendere notevolmente raggio d’azione anche in quest’area dell’Italia centrale. Anche nella seconda metà del Trecento e nei primi decenni del successivo i tentativi di Città di Castello di venire a capo della questione, sottomettendo il dominio ubaldino, fallirono.
Nel corso del Quattrocento, grazie ai legami parentali instaurati da Bernardino della Carda (1411-37) con i conti di Montefeltro, il dominio ubaldiniano fu inglobato nel distretto di Urbino. Dal momento in cui quest’ultimo fu elevato a Ducato nel 1443, gli Ubaldini dal 1474 ottennero il titolo di conti, e quindi nel 1514 la loro signoria fu tramutata in contea della Carda e di Apecchio che perdurò fino al 1752.
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