COMANDINI, Ubaldo
Nacque a Cesena (provincia di Forlì) il 25 marzo del 1869 da Giacomo e da Maria Galbucci, in una famiglia che aveva tradizioni repubblicane e risorgimentali. Laureatosi in legge a Bologna nel 1891, il C. abbinò subito all'esercizio della professione di avvocato un'intensa attività politica nelle file repubblicane. Eletto nel 1892 consigliere comunale di Cesena, divenne assessore alla Pubblica Istruzione. In tale incarico mostrò una cura particolare verso gli istituti di educazione. Nell'ottobre 1895 il C. difese in processo, insieme con Carlo Avati, i dirigenti della consociazione romagnola accusati di aver riunito un congresso repubblicano proibito dall'autorità. Forte del prestigio del suo nome, mostrando capacità e doti di temperamento, il C. veniva affermandosi in seno ai repubblicani romagnoli in un periodo in cui questi vivevano una profonda crisi politica ed organizzativa. Toccò al C. proseguire l'opera di rinnovamento del partito a Cesena sviluppando, soprattutto, l'iniziativa in campo sociale: prese infatti a girare per i piccoli centri incitando i mezzadri a organizzarsi per conquistare migliori patti colonici, né trascurò un'analoga azione fra i braccianti. Quando, nel settembre 1996, si svolse a Ravenna il congresso repubblicano regionale, il C. vi partecipò come uno dei più autorevoli esponenti del partito in Romagna. Nel giugno 1900 egli fu candidato per il collegio di Cesena dell'Unione dei partiti popolari, che comprendeva socialisti, repubblicani e radicali. Eletto in Parlamento con 1.648 voti contro 11.258 riportati dal conte Pisolini-Zanelli, riconquistò il collegio ai repubblicani dopo otto anni di prevalenza liberale. Alla Camera fu il più giovane deputato del gruppo repubblicano, di cui fu nominato segretario.
Continuò tuttavia a seguire da vicino le vicende della Romagna. Al congresso delle associazioni repubblicane romagnole, tenutosi a Lugo il 2 sett. 1900, sollecitò l'iniziativa del partito per la costituzione dì cooperative di produzione e consumo, per la promozione di leghe di resistenza tra salariati, per la riforma della mezzadria. "Nella discussione sulle organizzazioni economiche Comandini portò la voce di un'esperienza più moderna, più matura e spregiudicata" (Spadolini), concependo le leghe di resistenza oltre che come strumento di difesa come momento di maturazione di coscienza e di solidarietà tra i lavoratori.
L'impegno da lui profuso nelle campagne cesenati portò, nel novembre 1901, alla costituzione della Fratellanza dei contadini e della Federazione dei braccianti, con oltre mille soci ciascuna. Questa espansione dell'egemonia repubblicana determinò un deterioramento dei rapporti con i socialisti. Il 10 nov. 1901 il C. presiedette a Forlì, insieme con il socialista Andrea Costa, il congresso regionale dei lavoratori della terra. In quella sede i repubblicani insorsero contro il tentativo socialista di imporre il programma collettivista e i principi della lotta di classe e, con il C. in testa, abbandonarono il congresso. Alla fine del 1901, quando la Romagna fu teatro di sanguinosi scontri tra repubblicani e socialisti, fu proprio il C., insieme con Gustavo Chiesi e con Andrea Costa, ad adoperarsi per ristabilire un clima di convivenza. Ma, per quanto la tensione si allentasse, i contrasti politici provocarono lacerazioni in seno alle organizzazioni dei lavoratori. Così il 2 nov. 1902la sezione cesenate, controllata dai repubblicani, si distaccò dalla Camera del lavoro di Forlì, in mano ai socialisti. Sempre nel 1902 i repubblicani riconquistarono il comune di Cesena. Con il radicamento del partito repubblicano nell'amministrazione locale e nelle organizzazioni economiche venivano raggiunti gli scopi che il C. si era proposto accingendosi all'opera di rinnovamento del partito. Da allora egli diresse i suoi interessi professionali e politici verso Roma. Riconfermato deputato per il collegio di Cesena nelle elezioni del 6 nov. 1904 e del 7 marzo 1909, il C. s'impose alla Camera per l'abilità oratoria e la passione politica, che caratterizzavano i suoi interventi.
Per molti anni presidente del gruppo parlamentare del Partito repubblicano italiano, intervenne su tutte le questioni di maggior rilievo esprimendo la posizione del partito. Un'attenzione particolare egli riservò ai problemi dell'istruzione, ai quali dedicò molta parte della sua attività pubblica, affermando la necessità di un massiccio sostegno alla scuola pubblica per contrastare l'influenza clericale. Soprattutto si occupò della scuola primaria, impegnandosi per combattere la piaga dell'analfabetismo e per migliorare le condizioni economiche e morali dei maestri. L'attività del C. in favore della scuola fu particolarmente intensa a partire dal 1907, allorché assunse la carica di presidente dell'Unione magistrale nazionale (che mantenne fino al 1913).Nel luglio 1909 una sua proposta di legge, che regolamentava la posizione giuridica e l'assunzione in servizio dei maestri in soprannumero, fu approvata dal Parlamento. Assai rilevante fu inoltre il suo contributo al varo della legge Daneo-Credaro del 4 giugno 1911. S'interessò ai problemi concreti della vita scolastica: contrario alle scuole serali, fu invece favorevole a quelle reggimentali, alle attività integrative della scuola, particolarmente alla refezione scolastica, allo sviluppo dell'educazione fisica. Combatté tenacemente l'introduzione dell'insegnamento religioso nelle scuole elementari. Nella sua veste di presidente dell'Unione magistrale nazionale mantenne sempre un atteggiamento di grande discrezione evitando di coinvolgere l'associazione in battaglie di schieramento politico. Contrario all'adesione obbligatoria di tutte le sezioni magistrali alle Camere del lavoro, finì tuttavia con l'accettare un'alleanza tra l'Unione magistrale e la Confederazione generale del lavoro.
Succeduto frattanto, il 21 maggio 1909, ad Arcangelo Ghisleri nella direzione de La Ragione, il C. riuscì a rendere il quotidiano repubblicano più popolare ed interessante, ma fu costretto a subire gli effetti della pessima gestione finanziaria e i contraccolpi della lacerante polemica scoppiata in seno al partito repubblicano tra i sostenitori e gli oppositori (il C. fu in prima fila tra questi ultimi) della impresa libica, che finirono col determinare, il 6 luglio 1912, la chiusura del giornale. Dalle pagine de La Ragione egli fu sempre fedele interprete degli orientamenti della direzione del partito, contrastando con il richiamo alla tradizione il possibilismo di alcuni deputati repubblicani nei confronti del governo e mantenendo sempre un atteggiamento di ripulsa verso la politica giolittiana. Per il suo impegno anticlericale ricevette dalla massoneria, di cui era membro, un contributo finanziario in occasione delle elezioni del 1913, in cui fu rieletto. Nel dicembre 1913 il C. sostenne alla Camera che il patto Gentiloni costituiva una sleale partecipazione dei cattolici alle elezioni e inquinava la lotta politica. Anche allo scopo di incrinare i rapporti tra Giolitti e i cattolici, il C. presentò una proposta di legge per l'introduzione del divorzio.
Nel 1914, allo scoppio della guerra, il C. si schierò in favore della neutralità dell'Italia. Quando, nell'agosto 1914, un gruppo di deputati del partito repubblicano presentò una mozione interventista, egli, insieme con Giuseppe Gaudenzi, deputato repubblicano di Forlì, si dissociò dalla posizione ufficiale del partito sia per ragioni di principio sia in considerazione della contrarietà delle masse lavoratrici alla guerra. Pochi mesi dopo, egli modificò tale atteggiamento, aderendo alle tesi interventiste in modo convinto. Non solo partecipò a manifestazioni per l'entrata in guerra dell'Italia, ma prese parte ai tentativi di organizzare l'invio di volontari garibaldini in Francia e in Dalmazia. Si avvicinò all'area di governo e, il 19 giugno 1916, fu chiamato a far parte, con l'incarico di ministro senza portafoglio, del gabinetto Boselli. Nel successivo ministero Orlando ebbe dal 10 febbr. 1918 al 10 apr. 1919 la carica di commissario per l'assistenza civile e la propaganda interna. La sua partecipazione al governo suscitò aspre polemiche nel partito repubblicano: la Commissione esecutiva la considerò del tutto personale e non coinvolgente la responsabilità del partito.
Il 7 giugno 1917 il C. presentò, insieme con Leonida Bissolati e con Ivanoe Bonomi, le dimissioni, poi rientrate, dal governo per protesta contro un presunto tentativo d'instaurare il protettorato italiano in Albania. Subito dopo Caporetto, il 30 ott. 1917, egli si recò tra il Piave e il Tagliamento per rendersi personalmente conto delle condizioni delle truppe, scrivendo nel marzo 1918 una relazione sullo stato delle truppe e delle popolazioni civili. Fu fautore di iniziative propagandistiche da affidare anche ad elementi civili, suscitando per questo l'opposizione degli ambienti militari. In previsione della fine della guerra il C. promosse una ricerca statistica per verificare le possibilità concrete di assistenza e di avviamento al lavoro dei militari congedati.
Quando, agli inizi del 1919, si ebbero agitazioni degli smobilitati, il C. si propose come mediatore tra costoro e il governo. Nel febbraio 1919, dietro le insistenze dei suoi amici di Cesena e il consiglio di Napoleone Colajanni, il C. si dimise dal governo. Amareggiato per le critiche rivoltegli, desiderava rientrare "come semplice gregario nelle fila del partito". Nel novembre 1919 le pressioni dei repubblicani di Cesena lo indussero ad accettare la candidatura per le elezioni politiche, ma subì una clamorosa sconfitta che lo convinse a non ripresentarsi nelle successive elezioni del 1921. Nel giugno 1920 il C. prese parte a Roma al congresso per il rinnovamento, nel quale il movimento dei combattenti si diede una piattaforma politica. Frattanto si batteva per un rinnovamento del partito repubblicano, mostrando una particolare attenzione alle novità in campo socialista dopo la Rivoluzione d'ottobre. Ma le ostilità tra i socialisti e i repubblicani interventisti determinarono il riaccendersi della violenza in Romagna. In tale situazione il C. manifestò nei confronti dell'insorgente fascismo un atteggiamento non ostile, firmando il 28 luglio 1922 a Ravenna un patto di pacificazione tra repubblicani e fascisti. Dopo la marcia su Roma egli fu anche invitato da Mussolini ad entrare nel suo primo gabinetto, ma rifiutò l'offerta. Il dissidio tra il C. e il partito repubblicano frattanto si acuiva fino a sfociare, il 22 genn. 1923, nella costituzione a Cesena della Federazione repubblicana autonoma delle Romagne e delle Marche. In seguito il C. si ricredette nel suo giudizio sul fascismo, contro cui levò la sua condanna in occasione del delitto Matteotti. Visse l'ultima parte della sua vita politicamente inattivo, dedicandosi soltanto alla professione di avvocato.
Morì a Roma il 1° marzo 1925 per un attacco di trombosi cerebrale.
Opere: Organizzazione di classe dei coloni e dei mezzadri, Forlì 1906; La crisi magistrale, cause e rimedi, Cesena 1908; Il problema della scuola in Italia, Roma 1912; Politica ecclesiastica e politica scolastica, ibid. 1913; Per l'assistenza civile, Firenze 1916; La Nouvelle Italie à la Nouvelle France, Paris s.d.; Lo sforzo nemico deve fallire. Ferruccio Martini. Ogni maestro sia un apostolo, Roma 1917.
Figlio del C. e della moglie di questo, Laura Turchi, fu Federico, nato a Cesena l'11 agosto 1893. Laureato in giurisprudenza all'università di Roma, partecipò come ufficiale di complemento alla prima guerra mondiale. Nel dopoguerra esercitò la professione legale come civilista e penalista: antifascista, legato agli ambienti democratico-radicali, durante il Ventennio difese parecchi avversari del Regime dinanzi al Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Fin dal 1936 fece parte, con G. De Ruggiero, S. Fenoaltea, V. Gabrieli, L. Dilani e altri, del gruppo di opposizione liberalsocialista romano. Nel luglio 1942 fu proprio nella casa romana del C. che venne decisa la fondazione di "un movimento di democrazia con un contenuto schiettamente sociale, al di fuori delle antiche pregiudiziali e delle antiche intransigenze" (Colapietra, p. 22). Arrestato dalla polizia fascista all'inizio del 1943, il C. uscì dal carcere dopo il 25 luglio e, in rappresentanza del Partito d'Azione (di cui egli era stato uno dei fondatori), fece parte del comitato dei partiti antifascisti che, sotto la presidenza di I. Bonomi, si costituì poi in Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.): del comitato centrale romano di questo organismo egli fu membro fino alla liberazione di Roma.
Attivo nella vita del partito, partecipò prima al convegno programmatico di Firenze (settembre 1943) e poi al congresso di Cosenza (5-7 agosto 1944), ove si schierò accanto a E. Lussu in favore di una scelta politico-ideologica filo-socialista: in tale occasione venne chiamato a far parte dell'esecutivo del partito. Nell'aprile del 1945 fu nominato membro della consulta nazionale. Dopo il congresso di Roma (4-8 febbraio 1946), che vide l'abbandono del Partito d'Azione da parte dell'ala destra guidata da U. La Malfa e F. Parri, il C. venne rieletto membro dell'esecutivo.
Dal 1945 al 1948 fu presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati della provincia di Roma e nel 1946 fu eletto consigliere comunale di Roma (rieletto nel 1956). Dopo lo scioglimento del Partito d'Azione, aderì al gruppo di Unità popolare per confluire poi con questo nel Partito socialista italiano, nelle cui liste fu eletto (25 maggio 1958) deputato per la terza legislatura repubblicana. Scaduto il mandato, riprese l'attività forense e fu nominato quindi membro del Consiglio superiore della magistratura. Proprio durante una seduta di questo, nel palazzo dei Marescialli a Roma, il C. morì improvvisamente il 15 marzo 1967 e fu sepolto nella tomba di famiglia a Cesena.
Tra i suoi scritti sono almeno da ricordare: Breve storia di cinque mesi, Roma 1943(valutazione critica degli avvenimenti politici tra luglio e dicembre del '43); Panorama dell'Italia libera, ibid. 1943; Una favola vera. C'era una volta un tintore, Roma 1963 (rist. Cesena 1974).
Fonti e Bibl.: O. Zuccarini, Il Partito repubblicano e la guerra d'Italia, Roma 1916, pp. 44, 49, 102, 113; S. Cilibrizzi, Storia parlam., politica e diplom. d'Italia. Da Novara a Vittorio Veneto, IV (1909-1914), Napoli 1939, pp. 10-12, 38, 168, 286-288, 297, 306, 322, 543; V (1914-1916), ibid. 1940, pp. 383, 422; VII (1917-1918), Roma s.d., pp. 7, 121; L. Albertini, Venti anni di vita politica, Bologna 1950-52, I, 2, pp. 40, 269; II, 2, pp. 244, 370, 515, 582; 3, p. 248; Fig. del mov. Soc.-rep. in Italia, Torino 1953, pp. 14, 69, 82; L. Salvatorelli-G. Mira, St. d'Italia nel per. fascista, Torino 1957, p. 134; L. Lotti, I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Faenza 1957, ad Indicem; O.Malagodi, Conversazioni della guerra 1914-1919, a cura di B. Vigezzi, Milano-Napoli 1960, I, pp. 138, 138 n., 141, 167; Dalle carte di G. Giolitti. Quarant'anni di politica ital., III, Dai prodromi della grande guerra al fascismo, 1910-28, a cura di C. Pavone, Milano 1962, pp. 47, 48, 122; Aspetti e figure della pubblicistica repubblicana, in Atti del Convegno organizzato dall'A.M.I. a Torino il 13-14 ott. 1961, Milano 1962, pp. 5, 7, 12, 104, 117-125, 212, 273; G. Maraldi, U. C. e la guerra 1915-18, in Fede e avvenire, V (1963), pp. 345-355; VI (1964), pp. 42-56, 100-114; F. Comandini, Una favola vera. C'era una volta un tintore, Roma 1963, pp. 71-93; B. Vigezzi, L'Italia di fronte alla prima guerra mondiale, I, L'Italia neutrale, Napoli 1965, pp. 215 s., 226, 317, 322, 375, 376, 382, 669, 824, 833, 836, 842, 848, 857; R. De Felice, Mussolini. Il fascista, I, La conquista del potere..., Torino 1966, p. 377; F. Martini, Diario..., a cura di G. De Rosa, Milano 1966, pp. 202, 214, 224, 228, 486, 597; E. Santarelli, Storia del movim. e del regime fascista, I, Roma 1967, pp. 304, 327 n., 400; P. Melograni, Storia polit. della grande guerra 1915-1918, Bari 1969, pp. 23, 343, 346, 432, 465, 499, 516; A. Pepe, Storia della CGL dalla fondaz. alla guerra di Libia1905-1911, Bari 1972, p. 190; G. Spadolini, I repubblicani dopo l'Unità, Firenze 1972, pp. 89, 90; L. Cortesi, Le origini del Partito comunista ital. Il PSI dalla guerra di Libia alla scissione di Livorno, Bari 1972, pp. 415, 419; I. Barbadoro Storia del sindacalismo italiano. Dalla nascita al fascismo, I, La Federterra, Firenze 1973, p. 282; G. Sabatucci, I combattenti nel primo dopoguerrq, Bari 1974, pp. 21, 26, 31n., 63; G. Galli, I partiti politici, Torino 1975, p. 195; M. Scioscioli-A. De Donno-V. Parmentola-G. Panunzio, U. C. (nel cinquantenario della morte), in Arch. trimestrale, I (1975), 2, pp. 147-184; S. Sonnino, Carteggio 1916-1922, Bari 1975, II, a cura di P. Bastianelli, pp. 96, 241, 321; A. Benini, Vita e tempi di A. Ghisleri, Manduria 1975, pp. 160, 164, 166, 175, 179; M. Tesoro, I repubblicani nell'epoca giolittiana, I, Gli "intransigenti" e la crisi del P.R.I., in Boll. della Domus mazziniana, XXI (1975), pp. 5-62 passim; A. A. Mola, Storia della massoneria ital. dall'Unità alla Repubblica, Milano 1976, pp. 303, 327, 363, 372, 389, 532; L. Valiani, Il Partito socialista ital. nel periodo della neutralità 1914-1915, Milano 1977, pp. 40, 43, 43 n.; Chi è?, Roma 1908, p. 78; Pedagogisti ed educatori, Milano 1939, pp. 144-146; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Milano 1940. 1, p. 275; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1973, ad Ind.; Encicl. Ital., XI, pp. 910 s.; Il Movimento operaio. ital. Diz. biografico, II, p. 81. Su Federico cfr. il necrologio e notizie sui funerali in Avanti!, 16, 17 e 18 marzo 1967; e inoltre: G. Maraldi, I Comandini - Patrioti cesenati, in La Piè, XXXVII (1968), pp. 239-242; Ch. F. Delzell, I nemici di Mussolini, Torino 1966, ad Indicem; E. Lussu, Sul Partito d'Azione e gli altri, Milano 1968, ad Indicem; E. Aga Rossi, Il movimento repubblicano, Giustizia e Libertà e il Partito d'Azione, Bologna 1969, p. 49; R. Colapietra, La lotta politica in Italia dalla liberazione di Roma alla Costituente, Bologna 1969, ad Indicem; Enc. dell'antifascismo e della Resistenza, I, p. 595; I deputati e senatori del terzo Parlamento repubblicano, Roma 1958, p. 115.