UBALDO di Bastiano da Gubbio
UBALDO di Bastiano da Gubbio. – Nacque a Gubbio, verso la fine del XIII secolo o nei primi anni del XIV, da famiglia benestante: ricaviamo queste notizie dal Teleutelogio, sua unica opera a oggi nota.
Le informazioni disponibili su Ubaldo sono di esile consistenza e rese incerte dall’ampia diffusione, per motivi devozionali, del nome in area umbro-eugubina. Abbiamo, per esempio, notizia di un «magister Baldus Bastiani de Eugubio» (denominato anche «Ubaldum» nello stesso documento), candidato il 21 agosto 1321 a insegnare a Perugia medicina, logica e filosofia: il curriculum richiesto (in particolare quello medicale) non collima del tutto con la carriera giuridica dell’autore del Teleutelogio.
Ubaldo di Bastiano fu, invece, da studente, nel 1326 a Bologna, dove sporse denuncia nel mese di giugno per un furto subito; nello stesso anno il suo nome venne appuntato su una minuta della locale curia podestarile: il padre intanto era scomparso, poiché Ubaldo viene cognominato «quondam Bastiani». Presso la medesima città padana studiò diritto, seguendo anche le lezioni del celebre canonista Giovanni d’Andrea. Almeno tra il 19 ottobre e il 28 dicembre 1327 operò a Firenze, al seguito di Carlo d’Angiò duca di Calabria, in qualità di giudice e ufficiale sopra l’estimo per indagare «de omnibus et singulis illis hominibus et personis [...] civitatis Florentie qui in [...] extimo lucrum ipsius personalis industrie minime reduxerunt», con stipendio di 45 fiorini piccoli e diritto ad avere la collaborazione del notaio Francesco di ser Donato da Empoli e l’ausilio dei nuncii Michele di Guardia e Bonaccorso di Duccio.
La partenza da Firenze (28 dicembre 1327) e la prematura morte (9 novembre 1328) di Carlo di Calabria segnarono la fine della presenza nella città toscana di molti funzionari angioini, tra cui verosimilmente anche Ubaldo, che ebbe forse modo di entrare in contatto con il vescovo locale Francesco Silvestri da Cingoli: a lui infatti è destinata la lettera introduttiva al Teleutelogio tràdita dal manoscritto veneziano Marciano lat. VI.167 (= 3489). Da un atto non perfettamente leggibile del notaio Mino de Bonis apprendiamo come Ubaldo fosse ancora vivo il 2 giugno 1331, quando, a Grosseto, affidò a Carmignano di Feo la procura nel trattare i propri affari legali. Di eventi posteriori relativi all’eugubino, compresa la sua morte, non si hanno a oggi notizie.
Tra il 1326 e il 1327 Ubaldo scrisse in forma prosimetrica il suo Teleutelogio («quasi liber de sermone mortis», parafrasa l’autore), dialogo morale-didascalico in latino tra l’autore – nelle vesti di alunno – e la Morte, che avverte circa la caducità delle cose terrene, mette in guardia dal pericolo dei vizi e incita al progresso personale verso Dio.
Il trattato, decisamente filopapale e filoangioino, è ordinato in tre libri, ognuno dei quali organizzato in collationes (rispettivamente dieci, sei, otto), chiuse a loro volta da un carme di vario metro. La cultura dell’autore rientra senza sorprese nei canoni dell’epoca: i suoi riferimenti più saldi risiedono nella Bibbia, in Aristotele e Virgilio. Alcune analogie strutturali andranno colte con la Consolatio Philosophiae boeziana, archetipo dei prosimetri medievali; Bonaventura da Bagnoregio parrebbe alla base della trattazione sugli angeli di Teleutelogio II, 6.
Il testo è tramandato da due soli manoscritti: il quattrocentesco Laurenziano XIII.16 (cc. 180r-220v) e, soprattutto, il già citato trecentesco Marciano lat. VI.167 (= 3489), probabile copia di dedica da destinare al vescovo di Firenze (cui effettivamente il codice appartenne), effigiato nella miniatura iniziale. L’amanuense del Marciano fu l’esperto e tuttora anonimo Copista di Parm (il manoscritto della Divina Commedia, Parmense 3285), mentre l’epistola nuncupatoria venne vergata da un’altra mano, verosimilmente quella dello stesso Ubaldo. Alla medesima mano saranno da riferire due brevi chiose e sette minimi interventi di correzione presenti qua e là nel codice. Il numero ridotto di errori, solo quattordici e di lieve peso, non è d’ostacolo all’ipotesi che il Marciano sia stato quindi confezionato sotto la diretta sorveglianza dell’autore.
Ubaldo ha goduto di una certa fama tra Otto e Novecento poiché afferma nella sua opera di aver avuto addirittura Dante Alighieri, tacciato pure di lussuria, come preceptor «a teneris annis adolescentie» (Teleutelogio III, 3, 71-72): l’espressione, però, sarà forse da leggere metaforicamente come una lettura degli scritti del poeta fiorentino. Da segnalare anche come il Teleutelogio, nell’ottava collatio del suo terzo libro, risulti severamente critico verso l’ultimo libro della Monarchia dantesca (precocemente conosciuta e mai citata esplicitamente), testo al centro di accese polemiche proprio negli anni Venti del Trecento, in particolare durante la discesa di Ludovico il Bavaro in Italia (1327-28), per le sue proposte di netta divisione di scopi e incarichi tra il potere papale e quello imperiale.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Siena, Diplomatico, Bichi Borghesi, 2 giugno 1331 (App. 262); Documenti per la storia dell’Università di Perugia, con l’albo dei professori ad ogni quarto di secolo, I, Perugia 1875, pp. 59 s.; Ubaldo da Gubbio, Teleutelogio, a cura di M. Donnini, Scandicci 1983, pp. XI-XV.
G. Mazzatinti, Il “Teleutelogio” di U. di Sebastiano da Gubbio. Opera inedita del secolo XIV, in Archivio storico italiano, s. 4, VII (1881), pp. 263-276; F. Novati, Fu Dante maestro d’U. da G.? Lettera al prof. Michele Scherillo, in La Biblioteca delle scuole italiane, VIII (1899), pp. 197-200; Id., Se Dante abbia mai pubblicamente insegnato, in Id., Indagini e postille dantesche. Serie prima, Bologna 1899, pp. 7-35; N. Zingarelli, La data del “Teleutelogio” (per la biografia di Dante), in Studi di letteratura italiana, I (1899), pp. 180-193; R. Bevere, La signoria di Firenze tenuta da Carlo figlio di re Roberto negli anni 1326 e 1327 (documenti Angioini dell’Archivio di Napoli), in Archivio storico per le province napoletane, XXXIII (1908), pp. 439-465, 639-662; XXXIV (1909), pp. 3-18, 197-221, 403-431, 599-639; XXXV (1910), pp. 3-46, 205-272, 425-458, 607-636 (in partic. pp. 632 s., 635); XXXVI (1911), pp. 3-34, 254-285, 407-433 (in partic. pp. 6, 28 e 272); G. Degli Azzi, La dimora di Carlo, figliuolo di Re Roberto, a Firenze (1326-’27), in Archivio storico italiano, s. 5, XLII (1908), pp. 45-83 e 259-305 (in partic. p. 291); Le relazioni tra la Repubblica di Firenze e l’Umbria nei secoli XIII e XIV, secondo i documenti del R. Archivio di Stato di Firenze, a cura di G. degli Azzi Vitelleschi, II, Perugia 1909, p. 61; G. Livi, Della priorità e dell’antica preminenza bolognese nel culto di Dante, in Il Giornale dantesco, XXVI (1923), pp. 227-238 (in partic. p. 232); F. Torraca, Dante maestro di scuola?, in Atti della Reale Accademia di archeologia, lettere e belle arti, n.s., IX (1924), pp. 49-73; A. Bartoli Langeli, U. di B. (o Sebastiano) da G., in Enciclopedia dantesca, V, Roma 1976, pp. 775 s.; L. Coglievina, La leggenda sui passi dell’esule, in Dante e le città dell’esilio. Atti del Convegno internazionale di studi, Ravenna 1989, pp. 47-74 (in partic. pp. 59-64); G. Pomaro, Frammenti di un discorso dantesco, Modena 1994, pp. 59 s.; A. Rossi, U. di Sebastiano da G., in Id., Da Dante a Leonardo. Un percorso di originali, Tavarnuzze 1999, pp. 283-286; E. Bertin, Nuovi argomenti per l’idiografia di un testimone del “Teleutelogio” di U. di B. da G., in Filologia italiana, IV (2007), pp. 79-87; Id., Primi appunti su U. di B. da G., lettore e censore della ‘Monarchia’, in L’Alighieri, n.s., XXX (2007), pp. 103-119; M. Mordini, Le forme del potere in Grosseto nei secoli XII-XIV. Dimensione archivistica e storia degli ordinamenti giuridici, Borgo San Lorenzo 2007, pp. 49 s.; E. Bertin, U. di B. da G., in Autografi dei letterati italiani. Le Origini e il Trecento, a cura di G. Brunetti - M. Fiorilla - M. Petoletti, I, Roma 2013, pp. 301-303.