MAGNAVACCA, Ubaldo
Nacque il 22 ag. 1885 a Modena da Francesco e da Adalgisa Bettelli, in un'agiata famiglia di mugnai.
Frammentarie e discontinue sono le notizie e le pubblicazioni sul M. che fu abile incisore, pittore e scultore. La mancata datazione di molte sue opere ha inoltre comportato una limitata ricostruzione della loro cronologia. Di certo, l'infanzia, trascorsa in campagna, sviluppò un profondo senso della natura che pervase la sua opera, caratterizzata da paesaggi rurali segnati dal ritmo delle stagioni e dal lavoro nei campi.
Manifestato un precoce talento nel disegno dal vero (Gli artisti modenesi, p. 40; Rivi, fig. 1), a carboncino e sanguigna, fu indirizzato dal maestro S. Postiglione verso lo studio sistematico presso l'Istituto di belle arti di Modena che si tradusse nella scelta della pratica incisoria. Ricevette presto alcuni riconoscimenti accademici vincendo nel 1906 il premio Magnanini (ibid., p. 5) e, nel 1912, il premio Poletti con un Nudo femminile (del quale resta lo studio a pastello del 1902 in collezione privata: ibid., fig. 2). Nel 1914 fu ammesso, in qualità di socio onorario, nella Reale Accademia di belle arti e, l'anno successivo, ricevette un'ulteriore conferma professionale, vincendo il concorso Curlandese a Bologna con l'incisione ad acquaforte L'abside del duomo di Modena.
Il tema delle absidi romaniche, che ritorna in diverse grafiche del M. (Absidi della chiesa di S. Pietro e Absidi della chiesa abbaziale di Nonantola: s.d., collezioni private), fu condiviso con altri artisti modenesi; in particolare con A. Artioli e, soprattutto, con G. Graziosi, pittore al quale il M. risulta legato da un'affine versatilità (pittura, scultura, incisione), oltre che dalla preferenza per i temi agresti.
Nella produzione artistica antecedente la prima guerra mondiale, il M. si dedicò soprattutto alla grafica, ma continuò a praticare il carboncino e il pastello. Si cimentò inoltre con la tecnica a olio declinando gli stessi soggetti nei diversi procedimenti. I dipinti di questo periodo (si vedano il già citato Nudo femminile, il Latte del mattino del 1909 o, ancora, il Culto dei morti del 1912: tutti in collezioni private) manifestano l'adesione del M. all'ambito simbolista dannunziano, in particolare alla traduzione pittorica nei toni luminosi e soffusi che ne danno G.A. Sartorio e A. De Carolis. I contrasti chiaroscurali sono resi con gesti veloci, che rivelano qualche analogia con le pennellate di G. Previati e G. Mentessi (Artisti modenesi, p. 56). Nel 1916, sempre come incisore, insieme con A. Baracchi, Artioli e Graziosi, partecipò alla Mostra italiana a Londra con le opere Il ponte dei sospiri, I costruttori di pozzi, L'abside del duomo di Modena, La cattedrale di Reims; ma soprattutto nel decennio compreso tra il 1920 e il 1930 il M., sempre nell'ambito esclusivo della produzione grafica, ottenne il massimo consenso della critica ricevendo l'invito a esporre in cinque edizioni della Biennale di Venezia (nelle sale del bianco e nero e due volte nella sala internazionale) dove presentò Tristi ricordi e Torre dell'abbazia nel 1920, Aratura e Lavandaie nel 1922, Il falciatore nel 1924, Portale maggiore della cattedrale di Modena nel 1926 e, infine, Per il pane, Suol d'Italia, Amalfi e Verecondo viaggio nel 1930.
Negli anni Venti il M. si applicò sia alla pittura, sia alla scultura partecipando a diversi concorsi pubblici di Modena e vincendone alcuni: nel 1924 realizzò il Monumento ai postelegrafonici (attualmente sotto i portici del palazzo delle Poste) e, nel 1927, la targa per Giulio Vassale all'Università.
Sulla vena simbolista delle opere pittoriche di questo periodo emerge il sentimento morale: nell'operosità, negli sforzi degli uomini e degli animali si riflette il senso profondo del destino umano e della vita. Come nella grafica, anche in pittura il M. dedicò particolare cura alla relazione tra spettatore e inquadratura scenica abbassando leggermente il punto di vista al fine di esaltare il soggetto e l'azione (Falciatori, 1922; Nella stalla, 1926: entrambi in collezione privata).
Dal 1934 al 1944 il M. insegnò figura alla libera scuola serale del nudo presso l'istituto d'arte A. Venturi. Seguirono i suoi corsi N. Annovi, P. Ascari, V. Magalli, W. Morselli e I. Malavasi. Quest'ultimo, che per oltre venti anni coadiuvò il maestro nella realizzazione di circa 17.000 esemplari nell'atelier di via Levizzani a Modena, lo descrisse come insegnante severo e lavoratore instancabile dal metodo veloce e sicuro, capace di trasmettere la sua passione per gli artisti del passato: da Michelangelo a Tiziano, ad A. Magnasco, e al più vicino Th. Rousseau (Gli artisti modenesi, p. 41). Proprio da queste preferenze del M. derivarono la grandiosità delle sue composizioni e le indagini accurate sul tema del paesaggio. Le composizioni, dal sereno impianto prospettico, presentano volumetrie scandite da forti chiaroscuri e da gamme cromatiche limitate. Le opere, eseguite per lo più a larghe pennellate o spatolate, raggiungono puri equilibri formali che non mancano di un certo classicismo. Nel 1947 partecipò alla prima mostra di pittura modenese presso la saletta degli Amici dell'arte, dove, nel 1949, gli fu dedicata una personale. Nell'ultimo decennio della sua vita, in concomitanza con l'espandersi del circuito mercantile delle sue opere, il M. intensificò la produzione pittorica.
Abbandonò quasi del tutto l'uso del pennello per la tecnica a spatola, più immediata e rude, capace di dare risalto alla materia, ma anche di scoprire o graffiare il supporto. Su quest'ultimo, preparato accuratamente con una imprimitura scura a base di bitume, venivano alternate con sapienza miscelature di colori a diverso grado di essiccazione. L'irregolare superficie pittorica era infine lucidata con pelle di daino per accentuare gli effetti di contrasto cromatico. Pur restando lontano dalle posizioni dell'"informale" che si diffuse negli anni Cinquanta, il M. non rimase insensibile alle indagini condotte nell'ambito dell'astrattismo italiano sul colore: nelle sue opere il dato reale, mai del tutto abbandonato, divenne motivo per sperimentazioni coloristico-formali.
Il 2 ag. 1957 il M. morì a Lerici, dove aveva trascorso lunghi periodi. Nel maggio dell'anno seguente la sua città natale gli dedicò una mostra (Rivi, p. 9 n. 3).
Fonti e Bibl.: D. Bonardi, U. M., Modena 1949; F. Cambi, U. M., Modena 1954; L. Frigieri Leonelli, Arte modenese tra Otto e Novecento, Modena 1987, pp. 131-141; La pittura in Italia. Il Novecento/1, II, Milano 1990, p. 943 e ad indicem; Gli artisti modenesi alla Biennale di Venezia: 1895-1993 (catal.), a cura di M. Fuoco, Modena 1993, pp. 40 s.; Maestri del Venturi. Per una storia dell'Istituto d'arte di Modena dal 1923 al 1970 (catal., Modena-Pavullo-Nonantola), a cura di N. Raimondi - C. Zanfi, Carpi 1999, pp. 154 s.; L. Rivi, U. M.: Modena 1885 - Lerici 1957. Dipinti, sculture e grafica (catal.), Modena 2002 (con ampia bibliografia); S. Anselmo di U. M.: storia e restauro, a cura di M. Baldini - N. Reggiani, Nonantola 2003; Artisti modenesi nella collezione Assicoop Modena - Unipol (catal.), a cura di G. Martinelli Braglia - M. Rossi, Carpi 2004, pp. 14, 56; A.M. Comanducci, Diz. illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei, Milano 1982, p. 1054.