UBERTINI
– Le origini della famiglia Ubertini (secoli XII-XIV) non sono certe, ma l’ipotesi più probabile è che essa derivi da un consortile, formatosi per aggregazioni di parentele distinte del territorio aretino nel XII secolo.
Il nucleo principale si identifica con i filii Benzi, famiglia di livello capitaneale attiva in Casentino nell’XI secolo attorno al castello di Partina (oggi nel comune di Bibbiena). Nella prima metà del XII secolo il consortile allargò i propri interessi in più zone del Casentino e in Valdarno, forse anche grazie al confluire di altre parentele dotate di beni nei vari settori territoriali, con le quali comunque gli Ubertini condividevano lo stesso stock onomastico. I nuclei secondari, che confluirono con i filii Benzi portando ‘in dote’ radicamenti patrimoniali e signorili anche nel Valdarno, sono da individuare nei da Carpineto, nei conti di Soffena e nei filii Germie. Da questo vasto consortile deriverebbero poi a loro volta numerose altre famiglie: oltre agli Ubertini, nei due rami principali di cui diremo, da esso proverrebbero i Pazzi di Valdarno e i nobili di Montecchio (sempre presso Bibbiena).
Il probabile capostipite della famiglia Ubertini (che nelle fonti scritte sono denominati de Ubertinis a far data dal diploma federiciano del 1220) fu verosimilmente Ubertino di Guglielmo, personaggio attivo nel XII secolo e in relazione con i conti Guidi. Nella seconda metà del XII secolo comunque la famiglia fu in grado di giostrarsi fra i due maggiori poteri della valle, il vescovo aretino e i conti Guidi, giocando oltretutto la carta dell’inurbamento, che avvenne certamente in questo secolo.
L’allargamento degli interessi della famiglia mise gli Ubertini in contatto con Firenze, le cui mire sul Valdarno superiore, in una zona a cavallo del confine diocesano fra Arezzo e Fiesole, coincidevano parzialmente con quelle del lignaggio. Nel 1170, quando ancora la famiglia non aveva optato definitivamente per la pars imperii, Ranieri si trovò a osteggiare in compagnia di Firenze il progettato trasferimento della sede diocesana fiesolana a Figline, che invece il Comune aretino appoggiava fortemente vedendovi un’irripetibile occasione. In questa circostanza Ranieri, catturato dall’esercito aretino, fu liberato dal carcere per le pressioni di Firenze.
La famiglia intensificò la sua presenza sulla scena urbana aretina, pur mantenendo il controllo di un dominatus multizonale, principalmente in Casentino e Valdarno, che le forniva un indispensabile atout nella politica della città di s. Donato.
Il Duecento fu comunque il secolo della grande affermazione familiare, anche se il lignaggio presto si scisse in due rami: gli Ubertini di Gaville, meno presenti in città e concentrati soprattutto nella zona del piviere fiesolano di Gaville, al confine fra i due contadi fiorentino e aretino, e gli Ubertini di Sogna (o Ubertini tout court), il ramo principale presente tanto in città quanto nei numerosi nuclei signorili del contado di Arezzo.
La famiglia nel suo insieme, che già nel 1185 aveva ricevuto un diploma del Barbarossa, nel 1220 ricevette una conferma di Federico II – anche se la sua genuinità è dubbia – che ne riconosceva lo status ormai pienamente signorile. In effetti se da un lato la signoria si consolidava nelle zone di tradizionale influenza e si ingrandiva anche ad altre (la Valdambra, la Romagna), dall’altro gli Ubertini si impegnavano in prima persona tanto nella politica urbana, quanto nella Chiesa aretina. Quest’ultima fu la strada preferita, suggerita anche dalla particolare situazione aretina, nella quale i vescovi conservavano ancora un potere politico non trascurabile.
Un caso a sé costituisce in effetti Guglielmo (o Guglielmino, v. la voce in questo Dizionario), prima arcidiacono della cattedrale e poi vescovo, che occupò la cattedra per un quarantennio (1248-89), e diede alla carica una sua decisa impronta personale. La sua carriera ebbe anche una marcata valenza politica e ciò spiega la modesta presenza della famiglia all’interno del Comune aretino in questo periodo, anche se a metà del secolo esercitarono la carica podestarile due personaggi che sono tradizionalmente ascritti alla famiglia – pur senza certezze in merito – e durante il loro mandato ad Arezzo scoppiò una guerra civile, che vide partecipare anche il vescovo.
Nei decenni centrali e finali del Duecento, comunque, la presenza degli Ubertini nei quadri della Chiesa aretina e toscana fu veramente pervasiva. Ugo fu arcidiacono della cattedrale, mentre Ranieri (fratello di Guglielmino) fu vescovo eletto di Volterra (1245), anche se non fu mai consacrato. Un altro Ranieri, nipote ex fratre del vescovo di Arezzo, fu prima proposto di San Gimignano (nella diocesi di Volterra) fino al 1262, poi canonico della cattedrale aretina, quindi proposto della stessa, per essere infine nominato vescovo di Volterra dal 1273 al 1290. Boso di Gualtieri fu canonico della cattedrale di Arezzo fra il 1270 e il 1284, mentre Boso di Biordo (v. la voce in questo Dizionario) fu proposto dal 1302 e dal 1326 vescovo di Arezzo dopo Guido Tarlati, con cui era stato a lungo in contrasto. Ranieri (Neri), figlio di Biordo infine, sempre in funzione antitarlatesca, fu nominato nel 1325 primo vescovo della neonata diocesi di Cortona.
Con il nuovo secolo e la fine della vicenda di Guglielmino, quando in un mutato clima le lotte politiche della città si radicalizzarono in un affrontamento fra due differenti fazioni interne al partito ghibellino, si trovò nuovamente un Ubertini alla guida del Comune aretino. Ciappetta degli Ubertini seppe approfittare della situazione barcamenandosi fra le due fazioni, per poi prendere decisamente posizione contro i Tarlati, che egemonizzavano una parte. Nonostante gli eventi successivi bisogna ritenere che la mossa non fosse una scelta definitiva, e negli anni che seguirono gli Ubertini si trovarono spesso schierati con i Tarlati per contrastare gli altri aspiranti al potere urbano.
La creazione della diocesi cortonese e la sostituzione di Guido Tarlati nell’episcopato aretino scatenarono una secolare inimicizia fra Ubertini e Tarlati che ebbe pesanti conseguenze sulle vicende di entrambe le famiglie. Quando infatti nel 1326 il papa, dopo un processo inquisitorio, depose Guido Tarlati, vescovo e signore di Arezzo, intimandogli di lasciare tanto la cattedra quanto la signoria, per dare forza esecutiva immediata al provvedimento lo stesso pontefice nominò alla sede aretina Boso di Biordo, che avrebbe dovuto prendere possesso della diocesi immediatamente, ma ne fu tenuto lontano dall’ostilità dei Tarlati. Come ritorsione Guido espulse ufficialmente la famiglia dalla città e ne confiscò i beni. Nello stesso anno del resto il papa creò la diocesi cortonese, distaccandone il territorio per la massima parte da quella aretina, e mise a capo della nuova circoscrizione Ranieri, il fratello di Boso. Gli Ubertini poterono rientrare in città solo con il declino della potenza dei Tarlati.
Nel periodo di esilio gli Ubertini avevano consolidato la loro signoria nel contado aretino, ma ciò comportò un rapporto ambiguo con Firenze, sfociato infine nella partecipazione della famiglia alla guerra dell’arcivescovo Giovanni Visconti contro la città del giglio dal 1351 fino alla Pace di Sarzana, nel 1353. Un ramo degli Ubertini tuttavia si stabilì a Firenze, mentre altri si concentrarono sui principali nuclei signorili del contado aretino e romagnolo; alcuni membri poi continuavano a tenere viva la presenza della famiglia ad Arezzo.
La situazione politica in città nel Trecento era però fortemente mutata. Da un lato la lunga e infruttuosa contesa con Firenze e con Siena aveva modificato il rapporto del Comune con il contado, istradando la politica esterna sulla difensiva in questi settori, mentre il lato verso Perugia e la Valtiberina rimaneva ancora aperto all’influenza aretina. Dall’altro l’ascesa di un ceto dirigente meno coinvolto sul territorio e tendenzialmente ostile alle grandi famiglie signorili (quasi tutte di orientamento ghibellino) aveva portato alla marginalizzazione di queste ultime, sempre più estranee all’amministrazione comunale. Gli Ubertini si trovarono così confinati in una posizione di secondo piano, insieme con i loro tradizionali nemici quali i Tarlati e altri, ma non si rassegnarono facilmente alla situazione.
Il secondo Trecento è infatti costellato di rivolgimenti politici, fomentati tanto da famiglie di radicata tradizione signorile, quanto da casate di più recente ascesa, ma non si tradusse in un assetto stabile dominato da una di queste, bensì in una frequente espulsione degli sconfitti che, nel caso degli Ubertini e di altri signori, si rifugiarono a più riprese nei propri domini rurali, conducendo una sorta di guerriglia continua contro il Comune. Gli Ubertini in effetti, furono cacciati dalla città tanto dal governo dei Quarantotto, in carica dalla metà del secolo, quanto da quello dei Sessanta che lo seguì e che resistette fino al 1379, indebolito sia dalle discordie interne fra le famiglie guelfe che lo appoggiavano, sia dalla costante opposizione esterna di quelle ghibelline, fra cui appunto gli Ubertini. A imporre una sistemazione stabile ci pensarono i fiorentini, che non avevano mai smesso di strappare con ogni pretesto brani del contado alla rivale e che nel 1384 riuscirono ad acquistare il dominio della città dal precedente temporaneo signore (Enguerrand de Coucy).
Gli Ubertini si trovarono così definitivamente estromessi dal governo della città e costretti a rimanere nei possessi rurali rimasti, oltretutto suddivisi nel corso del tempo fra i vari rami della famiglia, non più solidali fra loro. Quasi tutti costoro del resto finirono per essere assorbiti dalla nuova dominazione e scomparire dalla scena politica. Le prime accomandigie, che risalgono al 1365, erano piuttosto favorevoli alla famiglia e le lasciavano ampio spazio di manovra, riconoscendone il pieno status signorile e una limitata giurisdizione. I protagonisti erano del resto Azzo di Franceschino e Farinata di Bustaccio, entrambi nipoti dei due vescovi Ranieri di Cortona e Boso di Arezzo. Già con quelle degli anni Ottanta, anche se formalmente molto simili, si nota una maggiore soggezione degli accomandati a Firenze. In ogni caso i fiorentini, all’estinzione di ognuno dei rami a loro accomandati, riuscirono a mettere definitivamente le mani sui loro castelli.
Fece eccezione quello casentinese di Chitignano, la cui tarda ma lungimirante accomandigia a Firenze (che salvaguardava una parte consistente delle prerogative signorili), mantenne in vita la signoria degli Ubertini per altri quattro secoli, sia pure all’ombra della dominante.
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