UBERTINO da Corleone
UBERTINO da Corleone (Bertino da Corleone, Ubertino Piagerio). – Nacque a Corleone tra il 1320 e il 1330. Nelle fonti documentarie è sempre chiamato Ubertino, o Bertino, da Corleone; il cognome Piagerio è presente soltanto in un documento papale del 26 marzo 1367; non si conoscono invece i nomi dei genitori.
È stato ipotizzato da Filippo Rotolo (1984) che avesse studiato nel convento di S. Francesco di Palermo prima le arti del trivio e del quadrivio, poi filosofia scolastica e teologia. Lo stesso autore ha congetturato che nel 1347 fosse guardiano del suddetto convento, poiché nella copia di un atto notarile compare come teste il guardiano di Palermo Benedictus de Coroliono che, a suo dire, potrebbe essere Bertino. Ancor meno attendibile l’affermazione di Filippo Cagliola (1644) secondo il quale fu prima guardiano del convento di Messina e poi, nel 1350, ministro provinciale, in base a una non meglio identificata lettera regia e a un documento del tabulario di S. Francesco di Messina del quale non esiste traccia.
Di certo, Ubertino da Corleone apparteneva al convento di S. Francesco di Palermo il 14 gennaio 1357, quando ser Bartuchio de Facio legò tre tarì per messe cantate a lui, e altrettanti al convento. In seguito, studiò teologia per plures annos a Londra, Oxford e Parigi (C. Eubel, Bullarium francescanum, VI, 1902, p. 409), fu lettore a Pisa e Padova, dove si trovava nel 1360. Si potrebbe inoltre identificare con un frate Ubertinus de Cicilia che il 3 giugno 1364 era a Bologna.
Tornato in Sicilia, divenne cappellano e familiare di Federico IV d’Aragona, re di Sicilia (Trinacria), che in lui riponeva grande fiducia, ne seguiva i saggi consigli e se ne serviva come intermediario. Il 6 agosto 1366 il re gli ordinò di chiedere al ministro dei minori una lettera d’obbedienza per il francescano Nicolò de Panormo, suo cappellano.
Il 26 marzo 1367 Urbano V incaricò Gabriele da Volterra di esaminare Ubertino con almeno quattro colleghi e di conferirgli «honorem magisterii et docendi licentiam» (Lettres communes du pape Urbain V, a cura di J. Mathieu - M.F. Yvan, 1980, pp. 525 s.) in una sede dell’Ordine dei minori dotata di uno Studium di teologia, previo consenso del vicario generale Marco da Viterbo. Dopo la nomina, avrebbe fruito di tutti i privilegi concessi dal papato e dall’Ordine ai maestri di Parigi. Il 20 agosto dello stesso anno il papa ordinò a Ubertino, professore di teologia, di esaminare Giovanni de Chevegneio senior e di concedergli la licentia docendi nella Curia romana, e il 13 settembre di esaminare Ruggero de Heraclia a Bologna, a testimonianza del suo rientro nella penisola italiana.
Il 16 dicembre 1369 Federico IV autorizzò Ubertino a esportare 200 salme franche di frumento dal porto di Sciacca «in subsidium expensarum suarum»; il giorno successivo gli concesse una rendita vitalizia di 24 onze annue «pro indumentis et substentacione vite sue» su gabelle e diritti regi di Corleone, per i favori resi sedule et ferventer (Archivio di Stato di Palermo, Real Cancelleria, 8, cc. 277v-278r). Il 31 luglio 1371, in seguito alla morte di Luca de Manna, Federico IV nominò a vita Ubertino maestro cappellano della cappella palatina di Palermo, delle cappelle di palazzi e castelli regi, canonico di tutti i benefici di città, terre e loca del Regno, con una provvigione di 24 onze annue a vita da proventi e gabelle di piazza.
Nel 1372 Federico IV inviò Ubertino a Napoli per trattare con Giovanna I d’Angiò, regina di Sicilia, la pace e perfezionare il matrimonio del re con Antonia, figlia di Francesco del Balzo, duca d’Andria; i capitoli matrimoniali furono ratificati a Teano.
Mentre Ubertino risiedeva a Napoli, presso i francescani di S. Lorenzo, spinto dalla sua fama di eccellente oratore, Giovanni Boccaccio (Opere latine minori, a cura di F. Massera, 1928) lo andò a trovare, poiché desiderava «tam conspicuum videre virum» (p. 191), e fu accolto in modo affabile. Boccaccio riferì i particolari dell’incontro nella lettera indirizzata nel 1372 a Giacomo Pizzinga, logoteta e protonotaro di Federico IV.
Successivamente (2 marzo 1372) Ubertino fu inviato dal re ad Avignone, per esporre la proposta di pace a Gregorio XI, che il 20 giugno comunicò a Federico IV di avere ascoltato le proposte esposte da Ubertino prudenter et eleganter (C. Eubel, Bullarium francescanum, cit., p. 478), e di aver subito affidato l’esame ad alcuni cardinali.
L’accordo fu sottoscritto due mesi dopo, ma la questione della pace con la regina Giovanna era ancora aperta l’8 settembre 1373, quando il re avvisò Ubertino, procuratore dell’Ordine, dell’invio presso il papa di due suoi legati, il miles Giovanni Bonacolsi di Mantova e Bartolomeo de Papaleone di Messina, giudice della Magna Regia Curia, per perfezionare l’accordo.
Il 23 settembre 1372 il papa lo nominò cappellano d’onore, carica onorifica che peraltro non eliminava l’obbligo per l’Ordine di garantirgli vitto, abiti e i consueti privilegi, e successivamente lo inviò presso il doge di Genova, Domenico Fregoso, che stava stringendo un accordo con Federico IV, per illustrare i capitoli di pace. Il 29 ottobre, come maestro cappellano di Federico IV, Ubertino ottenne dal papa la facoltà di amministrare i sacramenti al re, ai suoi parenti, familiari e chierici.
Il 22 dicembre 1372 fu nominato dal papa vescovo di Corico, nel Regno di Cilicia, o Piccola Armenia, e dato che si trovava in Sicilia, gli fu consentito di prestare giuramento dinanzi a Giovanni Sarlat, nunzio apostolico, e a Marziale, vescovo di Catania. In precedenza Ubertino era stato autorizzato a fare testamento (per la lontananza della sede e per i rischi del viaggio) e aveva ricevuto l’indulgenza plenaria in articulo mortis (rispettivamente 1° e 8 dicembre 1372).
Interessanti, ma viziate di parzialità, sono le informazioni contenute nella deposizione resa il 27 agosto 1373 dal francescano Nicolò de Agrigento, nemico di Ubertino, in presenza di Matteo della Porta, arcivescovo di Palermo, e di Simone del Pozzo, inquisitore degli eretici. La rivalità tra Nicolò e Ubertino nasceva da motivazioni ideali, come lo spirito riformatore di Ubertino, legato al ministro generale Tommaso Frignani, fautore di una rigorosa povertà francescana, ma anche da questioni concrete, come la contesa per la carica di maestro provinciale della Sicilia.
Secondo Nicolò de Agrigento, Ubertino commise molti crimini per i quali fu scomunicato, doveva essere destituito e consegnato al braccio secolare. Seminò zizzania in diverse province dell’Ordine francescano. Mentre era studente in Inghilterra suscitò una violenta reazione contro l’Ordine; a Bruges aizzò i toscani contro i lombardi; a Padova accusò falsamente frate Gentile de Mevanio al ministro generale Marco da Viterbo, che gli tolse il baccellierato. A Piacenza predicò in modo difforme alla fede e divise la città, spingendo i ghibellini contro l’inquisitore. Nel 1367, come procuratore della Curia romana, scandalizzò i cardinali Anglico Grimoaldi e Matteo da Viterbo e fu rimosso dall’incarico. Nel 1368 il ministro generale Tommaso Frignani lo mandò nelle Marche, come visitatore, ma i frati protestarono e il ministro lo espulse dalla provincia. Rientrato in Sicilia, come vicario di Nicolò de Besse, cardinale protettore dei minori, cercò di diventare maestro provinciale, ma il capitolo di Palermo elesse Nicolò de Agrigento. Quindi, Ubertino spinse alla sedizione alcuni frati, che poi lo accusarono di cospirazione.
Dopo il capitolo generale di Napoli del giugno del 1370, Ubertino convocò a Cefalù più di venti frati e fece redigere un libello contro Nicolò, accusandolo di faziosità, immoralità ed eresia. Nicolò convocò un capitolo provinciale a Caltagirone il 29 settembre 1370, dove fece sconfessare il libello e denunziò al ministro generale Ubertino, che convinse Gregorio XI a deporre Nicolò. I cardinali Guy de Boulogne, Guglielmo de Sudre e Guglielmo de Agrifolio inviarono Ubertino da Federico IV, per convincerlo a non sposare Antonia, figlia di Bernabò Visconti, signore di Milano, ma durante il consiglio regio, convocato a Catania, Ubertino si disse favorevole al matrimonio. Infine, Nicolò accusò Ubertino di avere condotto una vita immorale e di essere sodomita.
Il 28 novembre 1373 Ubertino fu trasferito da Corico alla diocesi siciliana di Patti e Lipari (vacante per la morte del vescovo Giovanni Graffeo), ma ancora il 10 febbraio 1374 un provvedimento amministrativo della corte siciliana (il versamento di 100 onze annue per l’anno indizionale 1373-74) lo qualificò come vescovo di Corico. In prosieguo di tempo non riuscì più a conciliare prelatura ecclesiastica e ufficio di cappellano maggiore del Regno, e il 1° gennaio 1376 fu sostituito nell’ufficio da Ruggero de Ceva.
Mancano notizie di Ubertino per i primi anni dello scisma d’Occidente; è certo comunque che sostenne in un primo momento Clemente VII, il papa di obbedienza avignonese, dato che Urbano VI lo rimosse da Patti e Lipari sostituendolo con Francesco Vitale (30 maggio 1386). Ma nel 1391 (16 maggio), dopo che Vitale fu traslato a Mazara del Vallo, fu il papa romano Bonifacio IX a restituirgli la diocesi.
Ubertino promise di versare alla Camera apostolica 200 fiorini come servizio comune, il debito di 200 onze del suo predecessore e i cinque servitia consueti in due rate; il 19 luglio confermò l’impegno di pagare a Pasqua e Pentecoste. Dovette peraltro ancora superare l’opposizione dei nuovi regnanti di Sicilia Martino il Vecchio, duca di Montblanc, Maria d’Aragona e Martino I d’Aragona (Martino il Giovane), che il 17 aprile 1392 avevano affidato Patti e Lipari a Giovanni d’Aragona, fratello del conte di Cammarata, motivando la decisione prima con la morte di Ubertino, poi con la sua assenza. In seguito alle sue proteste, il 21 aprile 1393 il duca incaricò Francesco Ermenir, protonotaro apostolico di Bonifacio IX, di affrontare la questione con lo stesso Ubertino. L’attività di vescovo di Lipari è attestata da due contratti con i quali concesse in enfiteusi perpetua a cittadini di Lipari terre coltivate a cotone appartenenti alla mensa vescovile, per un censo in cera.
Ubertino ricomparve presso la Curia romana nel 1396 (1° settembre), quando Bonifacio IX lo incaricò di deliberare sulle cause affidate a Giacomo, vescovo di Fiesole, circa i beni e i denari della provincia di Toscana presi dagli inquisitori, e a Benedetto, abate di Vallombrosa, sui reati commessi da alcuni professori dell’Ordine nella detta provincia, specialmente a Firenze.
L’anno successivo (23 luglio) fu Martino il Vecchio, all’epoca re d’Aragona, a chiedere a Ubertino (riconosciuto come vescovo di Patti e Lipari, e apprezzato per le sue doti diplomatiche) di recarsi in Aragona per aiutarlo nel suo ruolo di mediatore tra Bonifacio IX e Benedetto XIII. La carriera di Ubertino si concluse con un trasferimento, avvenuto poco dopo (ante 18 agosto, quando si impegnò a versare il servitium commune) sulla cattedra episcopale di Gaeta. Il 25 aprile 1398 fu esentato dal pagamento dei subsidia ai legati apostolici per la cattedrale di Gaeta e il monastero di S. Angelo in Palanzano, avuto in commenda.
Rimase in carica fino alla morte, avvenuta a Roma prima del 24 dicembre 1399, quando la diocesi di Gaeta risulta retta dal nuovo vescovo Nicolò.
Scompariva così un noto francescano siciliano del Trecento abituato a interloquire con papi e re, con una solida formazione culturale maturata all’estero e un’abilità oratoria apprezzata anche da Boccaccio.
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