PESTALOZZA, Uberto
PESTALOZZA, Uberto. – Nacque a Milano nel 1872 da Giovanni Battista, di famiglia elevata al cavalierato nel XIII secolo, e da Ida Prina.
Si formò presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano, dove ebbe maestri decisivi per la sua formazione: Graziadio Isaia Ascoli per la storia comparata delle lingue classiche e neolatine, Attilio De Marchi per le antichità classiche, il grecista Vigilio Inama, il latinista Carlo Giussani, e il titolare della significativa cattedra di scienza dell’antichità, Elia Lattes, che coltivava, oltre la semitistica, anche l’etruscologia. Si laureò nel 1895 con una tesi su Il culto di Cerere, discussa con De Marchi, che diede luogo, due anni dopo (Milano 1897), a una piccola monografia, I caratteri indigeni di Cerere. Nel 1896 accettò la proposta di seguire, come precettore, i tre figli del marchese Emilio Visconti-Venosta, tornato a occupare, nel governo di Rudinì, il ministero degli Esteri che aveva tenuto, nei diversi governi della Destra, tra il 1863 e il 1876. Per sette anni, nella casa romana dell’uomo politico lombardo, Pestalozza entrò in contatto con molti esponenti della élite politico-intellettuale della capitale del Regno. Cattolico fervente, stabilì solide relazioni anche negli ambienti ecclesiastici romani.
Nel 1901 pubblicò un volumetto, La vita economica ateniese dalla fine del secolo VII alla fine del IV secolo a. C. condotto in modo equilibrato sulle principali fonti antiche. Al ritorno a Milano, nel 1904, conseguì la libera docenza di antichità classiche, che gli consentì, nell’anno successivo, di succedere al maestro De Marchi come professore incaricato. Nello stesso anno sposò Isabella Sormani, figlia di un ricco industriale serico e di una nobildonna, imparentata con i Casati Stampa di Soncino.
Tra il 1907 e il 1909 partecipò all’esperienza che i modernisti milanesi, Aiace Antonio Alfieri, Alessandro Casati e Tomaso Gallarati Scotti condussero intorno a Il Rinnovamento, una rivista di cultura generale e religiosa che dovettero chiudere per intervento del S. Uffizio sull’arcivescovo di Milano. Nella rivista pubblicò alcune recensioni e due studi di notevole interesse: Culti, miti e religioni, che mostra aggiornata conoscenza degli studi di antropologia e religione, nel 1908, e l’anno successivo un solido profilo biografico di Hermann Usener, filologo della religione. Nell’ambiente modernista strinse o sviluppò, durante quegli anni, legami intellettuali e di amicizia con numerosi esponenti della cultura italiana ed europea, come il padre Giovanni Genocchi e monsignor Louis Duchesne.
A Milano fu sodale, corrispondente e confidente di Achille Ratti, prefetto della Biblioteca Ambrosiana, che diverrà cardinale arcivescovo di Milano nel 1921 e nel 1922 papa Pio XI. Nel 1909 divenne socio corrispondente del Reale istituto lombardo (sarà membro effettivo solo nel 1939) ai cui Rendiconti affiderà nei successivi decenni la maggior parte dei suoi – non numerosi – studi. Nel 1911 ottenne la libera docenza di storia delle religioni e l’anno successivo, sempre nell’Accademia scientifico-letteraria di Milano, ne fu professore incaricato; fu il primo effettivo insegnante di quella disciplina in Italia dopo l’effimera esperienza di Baldassare Labanca a Roma (1885-88).
Partecipò in rappresentanza delle istituzioni italiane al IV Congresso internazionale di storia delle religioni a Leida e nel 1914 a quello di etnologia e di etnografia a Neuchâtel.
Durante la guerra fu infermiere civile volontario su un treno del sovrano militare Ordine di Malta. Vicino al vescovo di Cremona, Geremia Bonomelli, ne proseguì, come consigliere, segretario, amministratore e infine commissario liquidatore, l’opera finalizzata all’assistenza agli italiani emigrati in Europa.
Amico personale e, dopo il matrimonio, congiunto di Alessandro Casati, ne seguì l’orientamento conservatore, in continuità con il moderatismo cattolico liberale lombardo. Entrato nel Consiglio superiore della Pubblica Istruzione nel 1923 al fianco di Casati, vi rimase con ruoli accresciuti quando questi, nel 1924, sostituì Giovanni Gentile alla guida del ministero. Dopo le dimissioni dell’amico, presentate nel gennaio del 1925 come risposta al discorso di Benito Mussolini alla Camera dopo il delitto Matteotti, vi rimase fino al 1926. Virò personalmente – con non lievi lacerazioni relazionali – su posizioni di piena adesione al fascismo. Ebbe molteplici occupazioni pubbliche, tra onorifiche e amministrative, che lo distrassero dallo studio e dalla ricerca, ma continuò a praticare l’insegnamento.
Come libero docente e incaricato sedette in varie commissioni: in particolare prese parte a quelle che, nel 1913, assegnarono a Raffaele Pettazzoni la libera docenza e, nel 1923, la cattedra romana di storia delle religioni, voluta fermamente da Gentile. Quando nel 1925 la facoltà di lettere della neonata Università di Milano pensò per lui a un’analoga cattedra, fu convinto a sospendere e poi rinviare il concorso, dopo che Gentile ebbe giudicata insufficiente la sua produzione scientifica. Vinse un concorso, guidato con gran cura dal potente direttore dell’Enciclopedia Italiana, solo nel 1935. Ordinario nel 1938, utilizzò tutte le sue relazioni, politiche e confessionali, per divenire, appena due anni dopo, rettore dell’Università di Milano. Fu nominato il 1° novembre 1940 dal ministro Giuseppe Bottai, confermato fino all’uscita dai ruoli nell’ottobre del 1942, rimanendo poi come commissario, nell’anno del crollo del regime, fino alla destituzione, il 31 agosto 1943 a opera del governo Badoglio.
I pensieri che espresse in quell’ufficio, contaminando acquisizioni culturali sulla civiltà del Mediterraneo antico ed esaltazione della guerra fascista, restano testimoniati nei discorsi inaugurali. Dopo la guerra, superato un benevolo processo di epurazione con la sospensione dall’insegnamento per un anno soltanto, lo riprese di nuovo, come incaricato, fino al 1949, quando lo lasciò alla sua scolara Momolina Marconi. Riemerse dal silenzio, carico di amarezza, ma privo di pentimento, con il libro La religione di Ambrogio (Milano 1949) scritto con competenza ed evidente passione religiosa.
La sua attività scientifica si svolse per intero attraverso singoli contributi, mai di vaste dimensioni, tali da sviluppare ogni volta un particolare di un quadro dato sempre per dimostrato ed esistente. Solo nella piena vecchiaia conobbe momenti di raccolta degli elementi sparsi della sua produzione. Durante la guerra pubblicò due volumi di Pagine di storia della religione mediterranea (Milano 1942 e 1945) dedicati, con alterna voce, prima greca e poi latina, Alla Vittoria il primo e A Colui che alimenta la fiamma il secondo, licenziato tra le rovine dell’Italia ormai distrutta. Pochi anni dopo pubblicò ancora una corposa raccolta, Religione mediterranea. Vecchi e nuovi studi (Milano 1951), con un breve Preludio illustrativo delle linee della sua ricerca, dove si trova la descrizione enfatica che riassume i risultati della sua ricostruzione congetturale della Potnia mediterranea: «La dea autonoma, imperiosa, ribelle; la dea che non ebbe madre né padre ed è, nella sua intima essenza, madre e nutrice, non solo, ma generatrice universa; la dea che è insieme montagna, acqua, terra gravida dell’umano lavoro, albero, animale, donna; la dea che senza posa trapassa dall’uno all’altro regno della natura e ne assume tutte le forme; la signora della vita e della morte, della pace e della guerra e però benefica e malefica a un tempo, crudele e lasciva e pur soccorrevole e benigna alle madri in travaglio e ai neonati; il femminino eterno che a fatica si evolve dagli oscuri intrichi delle arboree e ferine promiscuità originarie, non già per affrancarsene, ma per farle tutte quante partecipi di una sua umanità e per diventare finalmente nel luminoso aere minoico la vivida espressione della ‘femminilità del divino’» (p. IX).
Nel 1954 pubblicò la sua unica vera monografia sulla religione mediterranea, il piccolo volume con qualche immagine illustrativa, ma senza una sola nota, Eterno femminino mediterraneo (Vicenza 1996, con un importante studio di Pier Angelo Carozzi). Non si trattò, neanche in quel caso, di vera sintesi, ma di opera diegetica composta con qualche eccesso narrativo, in uno stile che appare alla distanza pesantemente decadente.
Raffaele Pettazzoni, che aveva recensito con rispettoso dissenso, nei suoi Studi e materiali di storia delle religioni (XIX-XX, 1943-46, pp. 220 ss.; XXIII, 1951-52, pp. 180 s.) le due prime raccolte del «pioniere degli studi storico religiosi» (la prima volta definito «ardimentoso», la seconda «operoso»), sul libro di sintesi scelse di tacere. Insufficiente era certamente la conoscenza che Pestalozza poteva vantare di quella civiltà greca di cui volle ricostruire la preistoria mediterranea. I suoi studi si presentano frammentari e parziali.
Identificata una propria linea interpretativa, mancava di condurre la sua indagine a una reale visione generale, attenta ai diversi e ai contrari. Coglieva un punto – l’importanza dell’elemento femminile – che è essenziale, ma resta pur sempre parziale. Questa parzialità vizia tutta la sua ricostruzione della religione e della corrispondente civiltà mediterranea.
Nel 1964 pubblicò la finale raccolta dei Nuovi saggi di religione mediterranea.
Nelle sue decisioni finali espresse la volontà di «cooperare», con il deposito delle sue carte all’Ambrosiana e con un lascito cospicuo, «alla regolare sistemazione […] di un Archivio contenente documenti e lettere relative al movimento religioso che culminò nel ‘Modernismo’»: l’esperienza religiosa della lontana giovinezza contò per lui evidentemente più dei molti decenni di studi sulla religione mediterranea.
Morì a Milano il 28 marzo 1966.
Fonti e Bibl.: Le carte sono raccolte nel Fondo Pestalozza presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, dove è depositata anche la biblioteca privata donata da Pestalozza (Catalogo dattiloscritto: Ambr. Y.197 sup.). Anche del cospicuo epistolario esiste un completo regesto (Ambr. E.22) redatto da C. Massone (Milano 2000).
Una non completa bibliografia della sua opera è posta in appendice alla Breve commemorazione di Aristide Calderini nei Rendiconti dell’Istituto lombardo di scienze e lettere, C (1966), pp. 101-104, e un aggiornamento è nella raccolta postuma I miti della donna-giardino da Iside alla Sulamita, introduzione di P.A. Carozzi, Milano 2001.
Tra i necrologi: M. Marconi, Ricordo di un Maestro: U. P., in Acme, 20 (1967), pp. 7-15; M. Untersteiner, U. P., in Annuario dell’Università degli studi di Milano, a.a. 1965-66, Milano 1967, pp. 465-479 (ora in Id., Scritti minori, Brescia 1971, pp. 113-116). Lo studio biografico più completo è F. Ingletti, U. P. (1872-1966): materiali per una biografia intellettuale, tesi di laurea, Università di Torino, Facoltà di lettere, a.a. 2003-04 che si basa, per il giudizio critico, sulla introduzione di Pier Angelo Carozzi a U. P.: Epistolario. Carteggio Pestalozza Casati, a cura di P.A. Carozzi, Vicenza 1982, pp. 15-44. G. Casadio, Das ewig Weibliche zieht uns hinan. Archetipi e storia nell’opera di U. P.: la formazione di uno storico delle religioni, in Torricelliana, 1993, n. 44, pp. 255-275; P.A. Carozzi, Due maestri di fenomenologia storica delle religioni: U. P. e Mircea Eliade, in Agathè Elpìs. Studi storico-religiosi in onore di Ugo Bianchi, a cura di G. Sfameni Gasparro, Roma 1994, pp. 35-55; C. Pasini, U. P. e l’Ambrosiana, in Civiltà Ambrosiana, XVIII (2001), 4, pp. 268-273; N. Spineto, Storia e storici delle religioni in Italia, Alessandria 2012, pp. 47-52.