UBRIACHEZZA
. È considerata dalle leggi penali come causa influente sulla imputabilità e come reato a sé. Sotto il primo aspetto tutte le legislazioni hanno ritenuto che, quando l'ubriachezza produce la soppressione delle condizioni psichiche, su cui si fonda la normalità dell'individuo perché sia soggetto di diritto penale, la imputabilità debba venire influenzata sino a rimanere annullata nei casi più gravi. Ammesso questo principio fondamentale, la disciplina della materia adottata nei varî paesi è stata la più varia, ricorrendosi a distinzioni e suddistinzioni d'ipotesi con soluzioni non sempre concordanti con le premesse.
Nel diritto romano più recente l'ubriachezza fu considerata come causa di esclusione dell'imputabilità. Il diritto canonico considera l'ubriachezza come un'attenuante specifica, ammettendo l'incompleta capacità del colpevole. Nel Medioevo vennero distinte le varie specie di ubriachezza e i giureconsulti ritenevano che l'imputabilità cessava solo nei casi di ubriachezza accidentale.
Il codice penale italiano del 1889 (art. 48) distingueva l'ubriachezza accidentale e l'ubriachezza volontaria. La prima, se era tale da togliere la coscienza e la volontà dei proprî atti, escludeva la punibilità e, se era tale da scemare grandemente l'imputabilità, senza escluderla, dava luogo a una riduzione di pena. L'ubriachezza volontaria, sia che eliminasse la coscienza dei proprî atti, sia che la riducesse notevolmente, dava luogo a riduzioni di pena.
Il codice penale vigente ha innovato profondamente la materia e stabilito, applicando il principio delle actiones liberae in causa, che solo l'ubriachezza accidentale, che ricorre quando l'agente cade in tale stato per caso fortuito o per forza maggiore, purché sia piena e completa, determina la non imputabilità dell'agente. Quando, invece, l'ubriachezza accidentale sia incompleta, ma tale da scemare grandemente, pur senza escluderla, la capacità d'intendere e di volere, si ha attenuazione di pena (art. 91 cap.). Ogni altra causa generatrice dell'ubriachezza, completa o incompleta, volontaria, colposa o preordinata, non può dar luogo a esclusione o diminuzione dell'imputabilità. Infine se l'ubriachezza è preordinata al fine di commettere un reato, ovvero per prepararsi una scusa, ovvero è abituale, ricorre aggravamento di pena (art. 96).
Sotto l'aspetto di reato autonomo l'ubriachezza non è mai stata punita per sé stessa, ma solamente quando per il modo, per il luogo o per altre circostanze poteva dar luogo a pubblico scandalo, ovvero ingenerare pericolo di reato.
Il codice penale del 1930 nell'art. 688 riproduce l'art. 488 del codice penale abrogato, senza richiedere più quale estremo la molestia o la ripugnanza dell'ubriachezza, esigendo soltanto che l'agente sia colto in stato di manifesta ubriachezza in un luogo pubblico o aperto al pubblico. L'ebrietà può essere volontaria o colposa; essa è sempre punibile, salvo che non sia derivata da caso fortuito o forza maggiore. La pena, che è aumentata se l'ubriachezza è abituale, è l'arresto sino a sei mesi e l'ammenda da lire cento a duemila.
Bibl.: V. Riboni, L'ubbriachezza nel diritto penale, Roma 1899; Fusco, ubbriachi e neuropatici, Napoli 1909; Rispoli, Su l'ubbriachezza rispetto alla delinquenza, Trani 1913; Il Digesto italiano, XXIII, parte 2ª, Torino 1914-17, p. 997; Colucci, La imputabilità in rapporto all'ubbriachezza nel nuovo codice penale, in La giustizia penale, Roma 1933, I, p. 19 segg.; V. Manzini, Trattato di diritto penale, II, Torino 1934; G. Maggiore, Principi di diritto penale, II, parte speciale, Bologna 1934, p. 619; V. Manzini, istituzioni di diritto penale italiano, 5ª ed., Padova 1935, p. 112 segg.