uccello (augello)
Come in genere negli scrittori due-trecenteschi, convivono in D. i due allotropi, l'esito monottongato (più schiettamente volgare) di *avicellus attraverso il tardo latino (delle glosse, ma anche di Varrone e Apicio) aucellus, -a, con raddoppiamento della consonante palatale; e il derivato semidotto ‛ augello ' con la sonora per prestito dal provenzale auzel. Non mancano oscillazioni tra forme intere e apocopate che, per l'ampio ventaglio delle scelte, confermano nel polimorfismo uno fra i caratteri costitutivi della nostra lingua fin dalle origini.
Tuttavia vi prevale di gran lunga il primo, esclusivo nel prosatore quantunque ignorato dal lirico; anzi, a parte la situazione intermedia della Commedia (10 casi di ‛ uccello ' contro appena 5 di ‛ augello '), tale discriminazione è addirittura emblematica di quel che sarà nella tradizione successiva il destino della coppia: l'uno connotato prosasticamente, l'altro liricamente (conta poco che ‛ augello ' vivesse nella campagna toscana ancora ai tempi del Tommaseo).
Ancor più sintomatico che almeno una volta questa stessa opposizione venga conclamata nella Vita Nuova, cioè all'interno di un'opera ove i due registri espressivi si alternano in parallelo intorno a identici contenuti, mediante allotropo specializzato in poesia e in prosa. Ciò avviene nel contesto dei presagi della morte di Beatrice: nella canzone Donna pietosa (Vn XXIII 24 52), cader li augelli volando per l'are; nella pagina di commento che precede (XXIII 5), pareami che li uccelli volando per l'aria cadessero morti. Ne viene un perentorio invito a tenere il più possibile distinte le due serie, con le rispettive varianti morfologiche, anche nelle forme alterate.
Ciò è consentito solo in minima parte quando il termine è (almeno tendenzialmente) nome generico di " animali alati e pennuti ", appartenenti a una ben definita classe. Si ha così per la prima serie, al singolare, la forma intera: Cv III VII 9 dicendo che alcuno uccello parli, sì come pare di certi, massimamente de la gazza e del pappagallo; If XVII 128 logoro o uccello (preda mancata dal falcone); Pg XXIX 113 [il grifone, leone bianco-vermiglio con testa e ali di aquila] le membra d'oro avea quant'era uccello, le parti in cui è u. sono d'oro, " quantum ad divinitatem " (Benvenuto); la tronca soltanto nella perifrasi che designa l'usignolo come l'uccel ch'a cantar più si diletta (Pg XVII 20), nonché in Fiore CLXXXIII 9, nella locuzione l'uccel del bosco, con l'antica articolata del complemento di materia estesa a quello di qualità. Al plurale, oltre che (come si è visto) nell'unica occorrenza della Vita Nuova, la forma intera è adibita nel Convivio a mera destinazione di classe zoologica rispetto agli animali terrestri e acquatici: III II 13 ne le bestie, ne li uccelli, ne' pesci e in ogni animale bruto. Non molto più diffusa la contratta, se la totalità dei suoi esempi, appena tre, è affidata alla testimonianza di una delle Rime dubbie (XXX 1, 6 e 13), l'apologo esopiano della cornacchia che da molti altri uccei accattò penne. Isolato il diminutivo, vero ‛ hapax ' nell'opera dantesca (e prima attestazione nei lessici), in una proverbiale perifrasi designante il cacciatore, chi dietro a li uccellin sua vita perde (Pg XXIII 3).
Lo stesso valore si snoda nella serie parallela degli allotropi poetici, ove la prevalente funzione di similitudine contribuisce a potenziarne la connotazione lirica. Ciò è verificabile sia per il singolare - Rime C 27 Fuggito è ogne augel che 'l caldo segue / del paese d'Europa (i migratori che ai primi rigori invernali abbandonano i nostri paesi per raggiungere le regioni calde dell'Africa); Rime dubbie XXII 12 Ciò prova augel che più canta amoroso; If III 117 come augel per suo richiamo (Buti: " Qui fa la similitudine dell'uccellatore che richiama lo sparviere con l'uccellino, e lo falcone con l'alia delle penne, e l'astore col pollastro, e ciascuno con quel di che l'uccello è vago "); Pd XXIII 1 Come l'augello, intra l'amate fronde - sia per il plurale: oltre a Vn XXIII 24 52, nelle due perifrasi per le " gru ", li augei che vernan lungo 'l Nilo (Pg XXIV 64), o la più laboriosa augelli surti di rivera che fanno di sé or tonda or altra schiera (Pd XVIII 73; e v. TONDO), e in Pd XXVII 15 s'elli [Giove] e Marte / fossero augelli e cambiassersi penne, dove il paragone è addirittura ipotetico. In questo orizzonte rientra anche, meglio che il generico diminutivo augelletti di Pg XXVIII 14, il corrispondente singolare nel sintagma novo augelletto (XXXI 61), " uccello da poco uscito dal nido, inesperto ancora, che i Greci dissero novello " (Tommaseo). Con più affettuosa connotazione: Cv IV XII 16 vedemo li parvuli desiderare massimamente... uno augellino.
Al di fuori di quest'ambito variamente naturalistico regna incontrastata la prima serie, tanto in alcuni impieghi perifrastici (per concisi sintagmi) cari a D. e da lui inaugurati, quanto in certi usi figurati di notevole rilievo espressivo. Si ha, così, per " aquila " l'uccel di Giove (Pg XXXII 112), calco virgiliano (" Iovis ales ") a raffigurare simbolicamente l'Impero romano; altrove, cristianamente, l'uccel di Dio (Pd VI 4), ovvero il santo uccello (XVII 72), qui allusivo allo stesso emblema imperiale incluso nell'insegna degli Scaligeri.
Meno scontate invece altre circonlocuzioni che per via di nessi analogici spostano il nostro termine (da " essere volante ") verso il piano metaforico. Su questa linea, l'uccel divino rileva il bianco elemento alato nella figura dell'angelo nocchiero (Pg II 38), suggerendo insieme il contromodello (con immagine affine ma di segno opposto) negli ‛ uccelli ' infernali, diversamente connotati mediante gli epiteti: Farfarello, malvagio uccello per il gran proposto Barbariccia (If XXII 96); Lucifero, per antonomasia tanto [" così grande "] uccello (XXXIV 47) proprio in quanto le sei ali gigantesche sono al di là di ogni possibile confronto con quelle di un qualsiasi diavolo, nonostante la comune somiglianza alle membrane del pipistrello. Né può stupire, a questo punto, che a suggerire pittorescamente la presenza del diavolo, in Pd XXIX 118 D. si sia limitato al semplice u. senz'altra determinazione: Ma tale uccel nel becchetto [" cappuccio " del predicatore] s'annida.
Infine, il plurale apocopato conserva un altro valore metaforico (" zimbello ", " babbeo "), in quanto riferito agli uomini esposti all'abbindolamento delle donne che si servono di piccoli doni come di esca per ucce' pigliare (Fiore LVIII 13): e con ciò si colloca alle origini del verbo boccacciano e sacchettiano ‛ uccellare ', e perfino del sostantivo ‛ uccellone ' (o proprio ‛ uccello ') nella tradizione novellistica e giocosa, dal Decameron ai canti carnascialeschi, al Lasca.
Inaccettabile la proposta del Pézard (La rotta gonna, I, Firenze-Parigi 1967, 88-90), che in Rime CIV 101 intende uccella come sostantivo e interpreta: " Toi [chanson] qui as le plumage, mais non le coeur ingrat des Blancs, accepte de revenir dans le fief des Noirs ".
Occorre notare tuttavia che la forma femminile " augella ", una sorta di senbal della donna amata, è in Cino S'io ismagato sono 15 (e v. anche Dino Frescobaldi Per gir verso la spera 13 " per vertù d'est'ugelletta ").