Ucraina
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(XXXIV, p. 594; App. II, ii, p. 1052; III, ii, p. 1004; V, v, p. 616; v. urss, XXXIV, p. 816; App. I, p. 1098; II, ii, p. 1065; III, ii, p. 1043; IV, iii, p. 754)
Popolazione
L'U., a causa dell'invecchiamento della popolazione (il tasso di mortalità supera il 15‰, contro una natalità all'11,2‰), registra già da qualche anno una lieve contrazione demografica e gli abitanti, che al censimento del 1995 risultavano pari a 51.700.000, nel 1998, secondo stime ufficiali, erano scesi a 50.861.000. La capitale, Kyjiv (Kiev), accoglie 2.622.000 ab. (1997) e altre quattro città superano il milione: Charkiv, Dnipropetrovśk, Donec´ (polo di un'estesa e popolosa area metropolitana formata da numerosi centri urbani e industriali), Odessa.
Gli Ucraini etnici rappresentano il 73% della popolazione; rispetto alle altre numerose minoranze di scarso peso numerico (alcune centinaia di migliaia di Ebrei, Bielorussi, Moldavi, Bulgari, Tatari e altri ancora) spicca la cospicua comunità russa, con circa 11 milioni di persone, pari al 22% del totale della popolazione. Pur teoricamente accomunati agli Ucraini di religione ortodossa, i Russi, prevalenti nella parte orientale e sud-orientale del paese, fanno sentire in molti modi la loro presenza e la loro 'diversità'. Dal 1996 solo l'ucraino è ammesso come lingua ufficiale in tutto il paese e nello stesso anno è stata adottata una nuova moneta, la hryvna.
Per regolamentare i complessi rapporti con i paesi limitrofi venutisi a formare in conseguenza del dissolvimento dell'URSS, negli ultimi anni l'U. ha siglato numerosi accordi: unione doganale con la Moldavia, accordo sui confini con la Bielorussia, trattato di amicizia con la Romania e trattato di cooperazione con la Russia (anche se con quest'ultima non è del tutto risolta la disputa sulla spartizione della flotta ex sovietica del Mar Nero). Con Bulgaria, Moldavia e Romania, d'altronde, l'U. aderisce alla 'zona di cooperazione del Mar Nero', mentre ha siglato un accordo di partnership con la NATO.
Condizioni economiche
L'economia ucraina nel corso dell'ultimo decennio ha attraversato un periodo molto difficile, e solo con il 1998 la variazione del PIL è tornata di segno positivo. Non sono mancati progressi nel processo di privatizzazione, ma sono stati molto lenti, soprattutto tenendo conto che è ancora da affrontare il problema della riconversione dell'industria siderurgica e di quella bellica. Entrambi i comparti rappresentavano la base produttiva del paese, legati all'economia russa.
Oltre la metà della superficie territoriale, costituita da fertili 'terre nere', è occupata da coltivazioni erbacee, e l'U. continua a essere un grande produttore - in estese aziende meccanizzate, ancora in massima parte collettive - di cereali e di piante sarchiate: quarto produttore in Europa per il grano, secondo solo alla Russia per l'orzo, terzo per le patate e le barbabietole da zucchero. Non mancano colture di ortaggi (piselli, cavoli, pomodori) e di alberi da frutto (mele), nonché girasole, tabacco e vite. I prati e i pascoli occupano il 12,4% della superficie territoriale e alimentano un allevamento in prevalenza di bovini, che nel 1998 ammontavano a 11,5 milioni di capi. Le foreste, relativamente poco estese, forniscono comunque una buona quantità di legname. Da aggiungere al quadro dell'economia primaria, che nel 1997 occupava ancora il 25,1% della popolazione attiva, una non trascurabile produzione ittica del Mar Nero (492.000 t di pesce sbarcato nel 1998).
L'U. è uno dei paesi europei più ricco di risorse minerarie per quanto riguarda i minerali utili per la siderurgia: è il terzo produttore di carbone e il secondo, dopo la Federazione Russa, di ferro, anche se l'estrazione avviene con tecnologie superate e costi relativamente elevati che hanno determinato consistenti cali produttivi: il carbone estratto è sceso infatti dai 164,8 milioni di t del 1990 ai 73,7 milioni di t del 1998 e, nello stesso intervallo di tempo, il ferro è passato da 60 a 29,7 milioni di t. L'U. ricava dal sottosuolo anche modeste quantità di petrolio e di gas naturale, ma più ancora ne deve importare, oggi a caro prezzo, dalla Russia (rifacendosi peraltro con i diritti di transito imposti sui gasdotti russi diretti a Ovest). Limitata è l'estrazione di uranio, di cui tuttavia l'U. è il primo produttore europeo (Federazione Russa esclusa). L'energia elettrica è prevalentemente ricavata da combustibili fossili, ma una parte è di origine idrica, alimentata dai grandi laghi artificiali sul Dnipro (Dnepr), e una consistente aliquota deriva da cinque centrali nucleari, tra cui la famigerata e obsoleta Čornobyl´ (Černobyl´), la cui produzione dovrebbe cessare entro il 2000, grazie a pressioni e sovvenzioni occidentali. Ferro e carbone alimentano una notevole, anche se arretrata, siderurgia (24.445.000 t di acciaio nel 1998), distesa lungo un asse che va da Kryvyj Rih (Krivoj Rog) a tutto il Donbass e fino al confine russo a Est. Numerose sono anche le industrie meccaniche (inclusi i cantieri navali sul litorale pontico), chimiche (in particolare dei fertilizzanti) e manifatturiere, ma, nel complesso, il settore industriale ha registrato, nell'ultimo decennio, un lento, costante declino.
Il commercio ucraino si basa tradizionalmente sull'esportazione di metalli, macchinari e veicoli, prodotti minerari, e ha come partner principale (47% del commercio complessivo nel 1997) la Federazione Russa, seguita solo a grande distanza dalla Germania. *
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Storia
di Adriano Guerra
Tra le ragioni che impedirono il conseguimento degli ambiziosi obiettivi che L. Kučma si era assegnato sul terreno della politica economica e che provocarono, nell'estate-autunno del 1998, una crisi finanziaria apparsa subito di difficile soluzione, un ruolo particolare deve essere assegnato all'instabilità politica che dal 1992 caratterizzò il paese (nello spazio di sette anni, si erano succeduti otto governi). A bloccare la politica delle riforme fu, in particolare, il conflitto apertosi fra il presidente e il Parlamento diviso fra i partiti nazionalisti, che chiedevano l'accelerazione della politica di privatizzazione, anche per recidere i legami con la Russia, e i partiti di sinistra, quello comunista in primo luogo, schierati contro le proposte avanzate da Kučma - dalla privatizzazione alla riforma agraria, alla legge fiscale - considerate alla stregua di una minaccia nei confronti dell'assetto economico-sociale che si voleva conservare.
Mentre la situazione dell'economia continuava ad aggravarsi, l'instabilità politica diventava instabilità sociale sempre più marcata. All'aumento della disoccupazione - che raggiungeva il 20% della popolazione lavorativa - si accompagnava il crescente malcontento dei lavoratori occupati, a causa della sempre maggiore irregolarità nel pagamento dei salari e degli stipendi. Contemporaneamente si aggravavano i fenomeni della corruzione e della criminalità organizzata.
Nonostante la sostituzione alla testa del governo (aprile 1995) del vecchio quadro brezneviano V. Massol con il generale 'riformista' E. Marčuk (che tuttavia, accusato di 'inefficienza', lasciò il posto a P. Lazarenko nel maggio 1996) e, nel giugno dell'anno successivo, l'approvazione di una Costituzione che, similmente a quella votata nello stesso periodo nella Russia di B. El´cin, aumentava decisamente i poteri del presidente rispetto a quelli del Parlamento e del governo, il progetto di dar vita a un sistema politico stabile e funzionante decollò solo parzialmente. Nel luglio 1997 il primo ministro Lazarenko, accusato di corruzione e di incompetenza da parte di Kučma e criticato da diversi partiti della Rada, venne sostituito da V. Pustovojtenko.
In un clima particolarmente pesante, con il Parlamento che tentava di deporre il presidente, accusandolo di eccessive debolezze nei confronti di Mosca e anche di coprire gravi episodi di corruzione, si giunse così alle elezioni politiche del 28 marzo 1998 che gli osservatori dell'OSCE e del Consiglio d'Europa giudicarono poco democratiche. Da queste elezioni, che registrarono un netto calo nella partecipazione al voto (diminuita al 69,9% contro il 74,8% delle elezioni del 1994), le forze politiche schierate con Kučma uscirono sconfitte. Fu il Partito comunista con il 24,6% dei voti a conquistare, con i suoi alleati (Blocco socialisti-contadini, Socialisti progressisti, Partito ucraino dei contadini), la maggioranza relativa dei seggi battendo i nazionalisti del Ruch (che con il 9,4% rimaneva però la seconda forza politica del paese) e poi, alleandosi con alcuni raggruppamenti del centro (Partito popolare democratico e Partito agrario), a far eleggere, ma soltanto oltre due mesi dopo (7 luglio 1998), a conclusione di 14 tentativi infruttuosi, il presidente del Parlamento. In sostanza, quindi, il potere rimaneva nelle mani di Kučma, costretto però a fare i conti con un'opposizione sempre più agguerrita.
Se, come si è detto, assai difficile si presentava la situazione nei settori della vita politica ed economica, più favorevole si era andato facendo nello stesso periodo il quadro per quel che riguardava la questione, fondamentale per la sopravvivenza dello Stato ucraino, della salvaguardia dell'assetto e dell'integrità territoriale del paese.
Mentre le spinte separatiste, presenti all'inizio in particolare nella regione di Donec´ e di Kryvyj Rih e nella Galizia, si attenuarono progressivamente, l'ampia autonomia concessa alla Crimea con la nuova Costituzione, varata nel giugno 1996 contribuì certamente - insieme all'attenuarsi delle minacce annessionistiche provenienti da Mosca e al raggiungimento di positivi accordi (v. oltre) fra l'U. e la Russia - a ridurre le tensioni fra il centro e la penisola. Tuttavia la complessità dei rapporti fra potere centrale e potere locale e, soprattutto, fra i tre gruppi etnici nei quali è divisa la popolazione della penisola (2,5 milioni di abitanti, il 65% dei quali sono Russi, il 20% Ucraini, il 13% Tatari), creava, anche in connessione con i problemi derivanti dal rientro delle famiglie di coloro che erano stati espulsi dalla penisola da Stalin negli anni della Seconda guerra mondiale, non pochi momenti difficili. Alla fine del 1997 risultavano rientrate in Crimea 250.000 persone - il 52% di tutti i deportati - in maggioranza Tatari, ma anche Greci, Bulgari, Armeni e Tedeschi. Una parte di essi, oltre a vivere nelle condizioni più misere, non godeva dei diritti elettorali (nel 1998 almeno 100.000 Tatari di Crimea non avevano ancora ottenuto la cittadinanza ucraina).
Il tema principale della politica estera dell'U. continuò a essere, negli anni della gestione Kučma, quello delle relazioni con la Russia e della ricerca di solidarietà e di aiuti presso i paesi occidentali, facendo leva sulla particolare collocazione geografica del paese, sulla sua condizione di Stato neutrale e di potenza nucleare. Sempre allo scopo di attenuare il peso delle pressioni provenienti dalla Russia, nel 1996 Kučma aveva anche avviato una politica di apertura verso le repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale nonché verso la Turchia. Nel maggio 1997, dopo una lunga fase di aspre polemiche e anche grazie al sostegno dell'Occidente, i dirigenti ucraini poterono poi sottoscrivere con quelli di Mosca vantaggiosi accordi sulla divisione della flotta ex sovietica del Mar Nero (664 navi furono assegnate alla Russia e 169 all'U.) e sulla sorte di Sebastopoli (la cui base navale, confermata l'appartenenza della città all'U., fu concessa in affitto alla Russia per venti anni). Inoltre, nel febbraio 1998 fra i due paesi fu firmato un trattato, valido sino al 2007, che prevedeva, oltre alla soluzione dei problemi di frontiera, il raddoppio degli scambi commerciali e l'avvio della cooperazione anche nei campi della sicurezza e della difesa.
Sebbene avesse contribuito a migliorare le relazioni fra i due paesi, la firma di questi accordi (non sempre ratificati a livello parlamentare, pertanto in parte non attuabili) non portò tuttavia a quella più stretta integrazione politica ed economica fra la Russia e l'U., auspicata, in particolare a Mosca, dai fautori dell'unità slava (Russia, Ucraina, Bielorussia) e dalle forze nazionalistiche che propugnavano la ricostituzione dell'impero o almeno il ritorno alla Russia della Crimea. L'U. respinse anche con fermezza i progetti proposti da El´cin per dar vita a nuove forme di integrazione e di associazione, tra cui l'adesione al patto unitario sottoscritto nel 1996 dalla Bielorussia e dalla Russia e successivamente anche dal Kazakistan e dal Kirghizistan.
Allo stesso modo, pur essendo membro della Comunità di Stati indipendenti (CSI) dalla fondazione (dicembre 1991), l'U. rifiutò sempre ogni accordo sui temi dell'integrazione politica, militare ed economica, della creazione di strutture sovranazionali nonché della modifica dei confini tra gli Stati della Comunità stessa. All'interno della CSI l'U. stabilì rapporti di particolare collaborazione con la Moldavia (che aveva chiesto all'U. di inviare sue truppe di peace-keeping nel proprio territorio per sostituire in parte quelle russe ancora presenti nel Transdnestr). I due paesi entrarono a far parte, insieme alla Georgia, all'Azerbaigian e all'Uzbekistan, di una nuova aggregazione regionale (GUAUM) nata all'interno della CSI. Buoni erano i rapporti instaurati con l'Azerbaigian (con il quale l'U. aveva iniziato le trattative per la costruzione di un oleodotto che collegasse i giacimenti del Caspio con i porti del Baltico), nonché con il Turkmenistan e con l'Uzbekistan (che si erano impegnati a fornire all'U. petrolio e gas metano, così da ridurre in questo settore la dipendenza del paese dalla Russia). Al di là dei confini occidentali l'U. stabilì rapporti positivi con la Polonia (con la quale aveva firmato nel maggio 1997 una solenne 'Dichiarazione di riconciliazione') e con la Romania.
Fedele alla vocazione occidentale ed europea, ma anche alla linea della neutralità affermata al momento della proclamazione dell'indipendenza, l'U. non chiese di aderire alla NATO, pur riservandosi di farlo qualora lo esigesse la salvaguardia della sua sicurezza. Di particolare importanza fu l'accordo, siglato nel marzo 1998 con gli Stati Uniti, relativo all'utilizzazione pacifica dell'energia atomica. Grazie soprattutto al sostegno degli Stati Uniti, l'U. poté inoltre fruire, nell'autunno 1998, di un nuovo prestito del Fondo monetario internazionale di 2,2 miliardi di dollari, insufficiente tuttavia a sanare la grave crisi economica che proseguì nel 1999 anche per il continuo deteriorarsi della hirvna che a gennaio era stata svalutata del 25%, mentre il debito estero raggiungeva i 2 miliardi di dollari. In previsione delle elezioni presidenziali indette per novembre, Kučma, dopo che in febbraio la Duma russa aveva ratificato l'accordo di amicizia e cooperazione con l'U., puntava sulla normalizzazione delle relazioni con la Russia ma, nel contempo, facendo propria la battaglia condotta dalle forze politiche nazionalistiche che suscitarono dure reazioni all'interno della forte minoranza russa, avviava una nuova campagna di 'derussificazione' allo scopo di imporre quella ucraina come unica lingua legalmente riconosciuta. Sempre sul terreno della politica interna Kučma doveva fare i conti con una nuova ondata di scandali che coinvolgevano anche uomini del governo. Quattro ministri e altrettanti viceministri furono allontanati dall'incarico per "incapacità e corruzione" mentre l'ex primo ministro Lazarenko si trovava agli arresti in California. Alle elezioni presidenziali del novembre 1999 Kučma sconfisse col 57% dei voti, ma solo al secondo turno, il comunista Simonenko (37%) che aveva proposto, oltre a nuovi passi di riavvicinamento del paese a Mosca (anche attraverso l'adesione dell'Ucraina al trattato di Unione fra la Russia e la Bielorussia) il riconoscimento del russo come lingua di Stato a fianco di quella ucraina. Nell'aprile 2000 Kučma otteneva un'ulteriore vittoria politica nel referendum che riduceva i poteri della Rada.
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