Vedi Ucraina dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
L’Ucraina indipendente ha costantemente risentito del retaggio del periodo sovietico, che ha condizionato le sue relazioni tanto con la Russia e gli altri paesi emersi dalla dissoluzione sovietica, quanto con gli interlocutori euro-atlantici. La quasi totalità dell’attuale territorio ucraino è appartenuta per secoli all’Impero russo, ed è poi entrata a far parte dell’Unione Sovietica come repubblica socialista. Ottenuta l’indipendenza nell’agosto del 1991, i legami con la Russia hanno continuato a condizionare il modo in cui Kiev ha guardato alla politica internazionale. Le ragioni di ciò sono molteplici: il territorio ucraino ospita consistenti minoranze russe e in più è sede della più importante base navale russa nel Mar Nero, a Sebastopoli. Infine, l’Ucraina è un importante stato di transito del gas e del petrolio russi diretti in Europa occidentale. D’altra parte, l’approfondimento delle relazioni in ambito bilaterale e multilaterale con i paesi dell’Unione Europea (Eu) e gli Stati Uniti non rappresenta altro che un tentativo di acquisire maggiore indipendenza dall’influenza russa. In questa prospettiva l’Ucraina ha attivamente partecipato ai processi di allargamento e trasformazione dell’Alleanza atlantica e a quelli di integrazione europea.
Il presidente Leonid Kučma (1994-2005) fu fautore di una politica di stretto dialogo con l’Occidente e con quei paesi dell’ex Unione Sovietica che più condividevano l’obiettivo di controbilanciare l’influenza russa. Nel 1997, assieme a Georgia, Azerbaigian e Moldavia, l’Ucraina fondò il Guam, un’organizzazione regionale per la democrazia e lo sviluppo economico che si poneva come obiettivo la costruzione di un percorso alternativo alla sistematizzazione russo-centrica dello spazio post-sovietico. Nel 2002, inoltre, Kiev avviò un ‘dialogo intensificato’ con la Nato, in vista di un futuro ingresso del paese nell’organizzazione. Nonostante ciò, Kučma non rinunciò mai ai rapporti con Mosca, soprattutto sul piano commerciale, finanziario ed energetico.
Sul versante interno, gli stessi partiti ucraini si sono tradizionalmente divisi su posizioni filo e antirusse. La presidenza di Kučma fu caratterizzata da un crescente autoritarismo e da una gestione clientelare del potere, costellata da diversi episodi di corruzione e da una sostanziale compressione delle libertà civili e politiche. Fu in questo clima che si giunse alle elezioni presidenziali del 2004. Dopo il voto, Viktor Janukovyč (del Partito delle regioni), già primo ministro sotto Kučma e candidato filogovernativo, si proclamò vincitore, scatenando violente proteste di piazza che ne causarono l’estromissione, dando origine a quella che sarebbe stata conosciuta come la ‘rivoluzione arancione’. Quest’ultima portò al governo esponenti politici marcatamente filooccidentali e antirussi, guidati da Viktor Juščenko (presidente tra il 2005 e il 2010) e da Julija Tymošenko (primo ministro dal gennaio al settembre 2005 e poi dal dicembre 2007 al marzo 2010).
Viktor Janukovyč ha tuttavia conservato la sua forte presa sulla parte moderata e filorussa della società ucraina e ciò gli ha permesso di tornare presto a rivestire incarichi politici: come primo ministro tra il 2006 e il 2007 e come presidente dal 2010. La sua investitura ha avuto come prima conseguenza di provocare un considerevole travaso di deputati, passati, dopo le elezioni presidenziali, dalla coalizione di governo uscente alla maggioranza che oggi sostiene Janukovyč.
Il nuovo corso politico ha avuto forti ripercussioni sulla vita del paese. A ottobre 2010 la corte costituzionale ha annullato gli emendamenti alla Costituzione entrati in vigore nel 2006, ripristinando di fatto la forma di governo presidenziale del primo quindicennio di indipendenza del paese. In vista delle elezioni parlamentari, che si sono tenute il 28 ottobre 2012, Janukovyč ha inoltre promosso una serie di misure per consolidare il suo potere quali la piena discrezionalità del presidente nelle decisioni di nomina e dimissione dei membri dell’esecutivo, controllo della libertà di parola, aumento della soglia di sbarramento alle elezioni, divieto di formare blocchi tra i partiti e introduzione di un sistema elettorale misto. Si colloca in questo quadro anche il controverso processo contro Julija Tymošenko e la successiva condanna a sette anni di reclusione con l’accusa di abuso d’ufficio per aver firmato nel 2009 l’accordo con la Russia per la fornitura di gas naturale a prezzi eccessivamente gravosi per il paese. Nonostante le forti e persistenti critiche da parte dell’Eu, relative al deterioramento degli standard democratici e del funzionamento del sistema giudiziario in Ucraina, accompagnate dal boicottaggio del campionato europeo di calcio svoltosi parallelamente in Ucraina e in Polonia nel 2012, Janukovyč non ha scagionato il suo principale opponente politico e le ha negato addirittura il diritto a partecipazione alle elezioni parlamentari. Questo atteggiamento ha garantito la vittoria elettorale del Partito delle regioni ma ha allo stesso tempo peggiorato i rapporti con l’Occidente.
D’altro canto, sul fronte internazionale, l’entrata in carica di Janukovyč ha migliorato le relazioni con Mosca e ha prodotto l’estesione, fino al 2042, del mandato russo sulla base navale di Sebastopoli. Alla ritrovata intesa con la Russia ha corrisposto un raffreddamento delle relazioni con la Nato, dopo l’annuncio del presidente di voler eliminare l’ingresso nell’organizzazione dagli obiettivi di politica estera del paese. Nonostante l’apertura agli interessi russi, Janukovyč ha sempre considerato come prioritaria per l’Ucraina l’integrazione con l’Unione Europea e la firma del relativo accordo di associazione contenente una Deep and Comprehensive Free Trade Area, la liberalizzazione del regime dei visti e il rafforzamento dei contatti tra le persone. Il caso della Tymošenko prima e le proteste dei pro-Eu seguite alla mancata firma degli accordi di associazione e stabilizzazione (Asa) con l’Unione Europea, hanno però ulteriormente aggravato la frattura tra Bruxelles e Kiev. Inoltre, proprio l’assenza di una prospettiva di adesione all’Eu nel breve periodo ha significativamente rallentato il processo di riforme, in particolare quelle sulla libertà di opinione e di stampa, richieste da Bruxelles come prerequisito verso l’integrazione.
Tra i paesi dell’ex Unione Sovietica l’Ucraina è il secondo stato più popoloso dopo la Russia. Tuttavia, rispetto ai 51,5 milioni del 1990 la popolazione si compone oggi di poco più di 45 milioni di abitanti, una riduzione demografica dovuta al peggioramento delle condizioni economiche e sociali e quindi alla massiccia emigrazione.
La Banca mondiale stima che nel 2010 il numero di emigrati sia stato di circa 6,5 milioni (equivalente al 14,4% della popolazione). I flussi si sono diretti prevalentemente verso Russia, Polonia, Stati Uniti, Kazakistan, Israele, Germania, Moldavia, Italia, Bielorussia e Spagna. I corridoi delle migrazioni tra Russia e Ucraina e viceversa sono rispettivamente il secondo e il terzo più grande al mondo, con 3,7 e 3,6 milioni di migranti.
Oltre alle comunità rumena, polacca e ungherese, la più rilevante minoranza etnica del paese è quella russa, che rappresenta il 18% della popolazione (più di 8 milioni di cittadini). In genere i Russi abitano nella parte orientale dell’Ucraina, al confine, appunto, con la Russia. Molti vivono anche in Crimea, in particolare a Sebastopoli, dove la popolazione russa arriva quasi al 60%. In queste regioni i rapporti tra ucraini e russi sono piuttosto amichevoli, anche grazie al forte legame culturale. Ne è una prova il riconoscimento nel 2012 dello status di lingua regionale al russo, decisione che ha suscitato numerose proteste nelle regioni occidentali del paese, dove è stata interpretata come un rafforzamento dell’influenza russa negli affari interni.
L’Ucraina ha ereditato dall’epoca sovietica un sistema educativo relativamente solido. Nonostante l’impatto negativo della recessione economica dei primi anni Novanta, il tasso di alfabetizzazione è oggi del 100% e la scolarizzazione primaria del 92%. Inoltre, si registra una crescita sostenuta del numero di studenti universitari.
L’indipendenza e l’efficienza del sistema giudiziario sono in parte compromesse dall’influenza che esercita la politica, dalla corruzione diffusa (il paese è al 144° posto su 176 nella classifica dell’indice di corruzione percepita) e dalle limitazioni alla libertà di stampa: sono frequenti gli attacchi intimidatori e violenti ai giornalisti e le cause intentate davanti ai tribunali da funzionari politici contro le critiche della stampa.
Dopo la Russia, l’Ucraina è stata la regione economica più importante dell’ex Unione Sovietica. Ricca di terreno fertile, ha contribuito per più di un quarto alla produzione agricola sovietica. Le sue fattorie hanno fornito ingenti quantitativi di carne, latte, grano e verdure alle altre repubbliche. Nel periodo di transizione dal sistema pianificato sovietico all’economia di mercato, l’Ucraina ha attraversato una profonda fase recessiva. L’innescarsi di una spirale inflattiva aveva compresso i redditi reali, già in via di riduzione in termini nominali. Il PIL pro capite crollò del 60% in dieci anni (da oltre 8000 dollari nel 1989 a meno di 3500 nel 1998). Malgrado l’avvio della ripresa e il ritorno a una decisa crescita economica dai primi anni del Duemila, oggi il reddito medio è poco al di sopra dei livelli del 1989. In particolare il pil pro capite per il 2013 è valutato sui 6198 euro.
L’economia ucraina è ancora fortemente concentrata sull’industria, settore sul quale gravano tuttavia tare storiche e strutturali: in particolare, una diffusa corruzione e un’eccessiva ingerenza da parte dello stato. Tra le risorse più importanti figurano le riserve di metalli ferrosi. Molto sviluppata l’industria chimica nella produzione del coke e dei fertilizzanti. I beni manifatturieri includono invece aerei, turbine, locomotive diesel e trattori. Dopo un periodo di decisa crescita economica, nel 2009 la crisi internazionale ha pesantemente colpito l’economia ucraina, provocando una contrazione del pil del 15% in un anno. Per far fronte alla crisi il presidente Janukovyč ha dovuto adottare alcune misure impopolari, scontrandosi con il dissenso dell’opinione pubblica. Dal 2010, tuttavia, il paese ha comunque ripreso lentamente a crescere, e si prevede che nel triennio 2014-17 il pil possa crescere con un tasso superiore all’1% annuo. In particolare il rapporto congiunto delle ambasciate, dei consolati e dell’Enit 2014, indica il pil reale nazionale in crescita del 3% per il 2014.
La dipendenza dalle importazioni di energia costituisce un tradizionale peso per l’economia nazionale, contribuendo a mantenere la bilancia commerciale ucraina in passivo per un valore attorno al 6-9% del pil. Benché il sottosuolo ucraino racchiuda grandi quantità di carbone (il 3,9% delle riserve mondiali) e il paese produca energia nucleare (il 3,4 % della generazione elettrica nucleare mondiale), il peso degli idrocarburi nel mix energetico implica la necessità di approvvigionamento dall’estero e, più in particolare, dalla Russia.
La totale dipendenza da Mosca per le importazioni di idrocarburi è temperata dal fatto che l’Ucraina è un importante stato di transito per il gas russo diretto verso l’Europa occidentale: circa tra quarti del totale annuo. L’interdipendenza tra Kiev e Mosca ha creato negli ultimi anni frequenti dispute energetiche, le cosiddette ‘guerre del gas’ , legate all’indebitamento di Kiev e al tradizionale obiettivo russo di acquisire il controllo della rete ucraina. Se, per aggirare la strozzatura del transito attraverso l’Ucraina, la Russia ha predisposto un progetto di gasdotto attraverso il Mar Nero, il South Stream, al contempo Kiev ha avviato un ambizioso piano di riduzione delle importazioni di gas, e della conseguente vulnerabilità nei confronti della Russia. Pilastri della strategia energetica nazionale approvata nel luglio 2012 – che punta a ridurre le importazioni da 40,5 miliardi di metri cubi del 2011 a 5 entro il 2030 – sono la razionalizzazione dei consumi interni, lo sfruttamento dei depositi di gas non convenzionale, recentemente individuati, e la diversificazione degli importatori, anche grazie alla costruzione di impianti di rigassificazione in grado di consentire la più flessibile importazione di gas liquefatto.
Dal 1992 a oggi, le forze convenzionali ucraine sono state ridotte in maniera esponenziale, passando da più di 600.000 a meno di 130.000 soldati. Nonostante ciò, quello ucraino è il maggiore esercito tra i paesi europei non membri Nato. La spesa militare si attesta oggi al 2,5% del pil, registrando un lieve calo rispetto alla seconda metà degli anni Novanta. Non vi sono minacce immediate all’integrità territoriale o terroristiche, ma l’esercito è sempre più coinvolto in missioni all’estero nell’ambito della Nato e delle Nazioni Unite.
L’Ucraina è parte del programma Partnership for Peace della Nato dal 1994 e contribuisce alla missione Kfor in Kosovo, alla missione Isaf in Afghanistan, alle operazioni marittime antiterroristiche nel Mediterraneo e ha contribuito alla missione in Iraq. Il governo Juščenko aspirava a un maggior avvicinamento all’Europa e alla Nato, con la quale aveva avviato nel 2005 un ‘dialogo intensificato sull’adesione’ che avrebbe dovuto precedere il piano d’azione per l’adesione (Map). Ma, nel giugno 2010, sotto il governo Janukovyč, è stata adottata una legge in base alla quale il paese non può aderire ad alleanze militari, sancendo definitivamente la distanza dalla Nato. Sempre nel 2010, Janukovyč ha anche accordato a Mosca altri 25 anni per la base militare di Sebastopoli in Crimea, violando la norma costituzionale che prevede che non ci siano basi militari sul territorio ucraino dopo il 2017.
Oltre a essere membro della comunità degli stati indipendenti (Cis), l’Ucraina è parte dell’organizzazione per la democrazia e lo sviluppo economico (Guam) con le altre ex repubbliche sovietiche Georgia, Azerbaigian e Moldova. Il Guam è stato fondato nel 1996 come un’alleanza politica, economica e strategica per rafforzare l’indipendenza dei membri ed è divenuto un forum per la cooperazione in materia di sicurezza.
La crisi ucraina, iniziata nel dicembre 2013 con le proteste antigovernative di Piazza dell’Indipendenza a Kiev, è considerata la più grave crisi diplomatica tra Russia e Occidente dalla fine della Guerra fredda. All’origine della crisi vi è stata la decisione del presidente ucraino Janukovyč, il 21 novembre 2013, di sospendere la firma dell’ASA con l’EU, prevista a Vilnius il 29 novembre successivo. Nei tre mesi successivi un numero crescente di manifestanti ha occupato le piazze di Kiev chiedendo sia un ripensamento dell’esecutivo circa l’accordo con l’EU, sia le dimissioni del governo e del presidente stesso. Le tensioni sono poi aumentate a seguito della concessione russa di uno sconto sul gas del 30% e di un prestito di 15 miliardi di dollari necessari all’Ucraina per scongiurare il default. Nel gennaio 2014, con l’approvazione parlamentare di una legge restrittiva della libertà di manifestazione, sono nuovamente esplose le violenze. Di fronte al crescente numero di scontri (che ha portato alla morte di circa 100 persone) e a un fallito tentativo di mediazione con l’opposizione e i ministri degli esteri europei, il presidente Janukovyč è fuggito in Russia. Al suo posto si è insediato un governo ad interim che ha votato la scarcerazione dell’ex premier Tymošenko, il mandato di cattura dell’ex presidente, il ritorno alla Costituzione del 2004 e indetto elezioni presidenziali anticipate per il 25 maggio 2014. In risposta a ciò la Russia ha avviato operazioni militari nella regione autonoma della Crimea; parallelamente i filorussi hanno occupato il Parlamento locale e indetto per il 16 marzo un referendum sulla secessione dall’Ucraina e a favore dell’annessione alla Russia che ha ottenuto il 4% dei consensi. Nonostante le minacce dell’intera comunità internazionale di sanzioni economiche e diplomatiche, la Russia continua a ritenere il neo governo ucraino illegittimo e a portare avanti le procedure di annessione della Crimea al paese.
Nel marzo 2005, a pochi mesi dalla ‘rivoluzione arancione’, Mosca avanzò le prime richieste di pagamento del debito accumulato dalla compagnia nazionale del gas ucraina (Naftogaz), accusandola contemporaneamente di prelevare illegalmente il gas destinato all’esportazione verso i paesi europei. A seguito di tali rivendicazioni i rapporti diplomatici tra i due paesi andarono progressivamente deteriorandosi. La contesa culminò l’anno successivo, provocando la completa interruzione delle forniture russe di gas verso l’Ucraina per tre giorni nel gennaio 2006 e conducendo alla rapida stipula di un nuovo contratto di fornitura tra i due paesi, più favorevole alla Russia. Un secondo contenzioso sorse nell’ottobre 2007 riguardo ai debiti ucraini nei confronti delle compagnie energetiche russe. Nel marzo 2008 Gazprom, l’azienda leader dell’energia russa, tornò ad adottare la strategia della riduzione delle forniture di gas quale strumento di pressione e negoziale. La disputa si protrasse per tutto il 2008, finché, a inizio 2009, la più pesante sospensione delle forniture russe di gas paralizzò il comparto industriale ucraino, con pesanti ripercussioni anche sull’approvvigionamento europeo. Furono 18 i paesi europei che, legati al transito del gas sul territorio ucraino, sperimentarono forti cali o complete interruzioni degli approvvigionamenti. La crisi ebbe due importanti conseguenze: da un lato spinse l’Unione Europea ad accelerare i processi di diversificazione delle rotte energetiche, troppo dipendenti dalla Russia; dall’altro indusse Gazprom a predisporre i primi progetti di aggiramento delle rotte ucraine. Con l’entrata in carica di Janukovycˇ, le controversie energetiche tra Mosca e Kiev hanno preso un nuovo corso. La firma nell’aprile 2010 dell’accordo di Kharkiv, per regolare i rapporti energetici tra i due paesi, ha permesso a Kiev di beneficiare di una riduzione pari al 30% sul prezzo di mercato del gas, ma ha mantenuto la formula di formazione del prezzo del gas più favorevole agli interessi russi, lasciando che nel 2012 superasse i 400 dollari per mille metri cubi. Nel 2011 e 2012 entrambi i paesi hanno avviato una lunga stagione di diplomazia energetica, ancora in corso. Alla richiesta di Kiev di uno sconto considerevole sul prezzo del gas, Mosca ha risposto offrendo una scelta tra l’adesione dell’Ucraina all’unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakistan e la cessione da parte dell’Ucraina del controllo totale del suo sistema di trasporto del gas. Di fronte al rifiuto di Kiev di vendere la rete distributiva, considerata un asset nazionale strategico, Mosca ha accelerato il ritmo di costruzione di gasdotti alternativi, quali il Nord Stream e il South Stream, che possano portare il gas russo verso l’Europa non attraversando il territorio ucraino. Tuttavia, Kiev si è dimostrata contraria anche a far parte dell’unione doganale, per il timore di rendersi troppo dipendente dalle politiche regionali russe e per preservare l’autonomia in politica estera. Più che una vera e propria membership nell’unione doganale, Kiev ha suggerito la formula di una collaborazione di 3+1, oppure di ottenere lo status di osservatore presso il comitato economico euroasiatico, ossia l’organo di governo dell’unione doganale. Entrambi i suggerimenti sono stati respinti da Mosca. Una soluzione al lungo braccio di ferro ipotizzata dall’Ucraina alla fine del 2012 è costituita dalla proposta di diminuire a 18-20 miliardi di metri cubi le quote di gas acquistate da Gazprom nel 2013 rispetto ai 52 miliardi di metri cubi previsti per il 2012. Ma anch’essa appare di dubbia efficacia per contenere la pressione politica da parte della Russia.
La penisola di Crimea è situata in una posizione strategica tra il Mar Nero e il Mar d’Azov ed è fondamentale negli equilibri della regione. Storicamente la Crimea ha avuto grande rilievo per la Russia, essendo stata parte dell’Impero russo e poi dell’Unione Sovietica. La base militare navale di Sebastopoli era fondamentale per la flotta russa e il controllo dei traffici commerciali. Inoltre la penisola è stata luogo di battaglie importanti: già nel 19° secolo, durante la guerra di Crimea (1853-1856), l’Impero russo combatté contro l’Impero ottomano per il controllo dei Balcani e del Mediterraneo. Durante la Seconda guerra mondiale l’Armata rossa si scontrò con i tedeschi che avevano occupato la Crimea. Con il crollo dell’Unione Sovietica e l’indipendenza dell’Ucraina, la penisola è passata sotto la sovranità ucraina. Tuttavia l’influenza russa è ancora sensibile, dato che la maggior parte della popolazione è russa, politicamente vicina a Mosca e in parte sostenitrice di tendenze separatiste. In più Sebastopoli continuerà per i prossimi trent’anni a ospitare la flotta russa del Mar Nero, già schierata in epoca sovietica. La Crimea è oggi una repubblica autonoma, nella quale i Russi rappresentano il 60% della popolazione (circa un milione), seguiti da Ucraini (circa 600.000) e Tatari di Crimea (circa 250.000). Questi ultimi sono una minoranza turcofona e prevalentemente musulmana che fu deportata in Asia centrale all’epoca di Stalin. I Tatari hanno però cominciato a ritornare in patria tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Continuano ad aumentare, benché siano vittime di discriminazioni etniche. La stabilità della Repubblica di Crimea dipende dunque in gran parte dalle relazioni tra Russia e Ucraina e, indirettamente, dalle relazioni tra Europa occidentale e Ucraina, che influenzano l’andamento dei rapporti tra Kiev e Mosca.