Vedi Ucraina dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
L’Ucraina indipendente ha costantemente risentito del retaggio del periodo sovietico, che ha condizionato le sue relazioni tanto con la Russia e gli altri paesi emersi dalla dissoluzione sovietica, quanto con gli interlocutori euro-atlantici. La quasi totalità dell’attuale territorio ucraino è appartenuta per secoli all’Impero russo, ed è poi entrata a far parte dell’Unione Sovietica come Repubblica Socialista. Ottenuta l’indipendenza nell’agosto del 1991, i legami con la Russia hanno continuato a condizionare il modo in cui Kiev ha guardato alla politica internazionale. Le ragioni di ciò sono molteplici: non solo il territorio ucraino ospita consistenti minoranze russe, ma è anche sede della più importante base navale russa nel Mar Nero, sita a Sebastopoli. Infine, l’Ucraina è un importante stato di transito del gas e del petrolio russi diretti in Europa occidentale. D’altra parte, l’approfondimento delle relazioni in ambito bilaterale e multilaterale con i paesi dell’Unione Europea (Eu) e gli Stati Uniti non rappresenta altro che un tentativo di acquisire maggiore indipendenza dall’influenza russa. In questa prospettiva l’Ucraina ha attivamente partecipato ai processi di allargamento e trasformazione dell’Alleanza atlantica e a quelli di integrazione europea .
Lo stesso presidente Leonid Kučma (1994-2005) fu fautore di una politica di stretto dialogo con l’Occidente e con i paesi dell’ex Unione Sovietica che più condividevano l’obiettivo di controbilanciare l’influenza russa. Nel 1997, assieme a Georgia, Azerbaigian e Moldavia, l’Ucraina fondò il Guam, un’organizzazione regionale per la democrazia e lo sviluppo economico che si poneva come obiettivo la costruzione di un percorso alternativo alla sistematizzazione russo-centrica dello spazio post-sovietico. Nel 2002, inoltre, Kiev avviò un ‘Dialogo intensificato’ con la Nato, in vista di un futuro ingresso del paese nell’organizzazione. Nonostante tutto ciò, Kučma non rinunciò mai ai rapporti con Mosca, soprattutto sul piano commerciale, finanziario ed energetico.
Sul versante interno, gli stessi partiti ucraini si sono tradizionalmente divisi su posizioni filo e antirusse. La presidenza di Kučma fu caratterizzata da un crescente autoritarismo e da una gestione clientelare del potere, costellata da diversi scandali di corruzione e da una sostanziale compressione delle libertà civili e politiche. Fu in questo clima che si giunse alle elezioni presidenziali del 2004. Dopo il voto, Viktor Janukovyč (del Partito delle regioni), già primo ministro sotto Kučma e candidato filogovernativo, si proclamò vincitore, scatenando violente proteste di piazza che ne causarono l’estromissione, dando origine a quella che sarebbe stata conosciuta come la rivoluzione arancione. Quest’ultima portò al governo esponenti politici marcatamente filooccidentali e antirussi, guidati da Viktor Juščenko (presidente tra il 2005 e il 2010) e da Julija Tymošenko.
Viktor Janukovyč ha tuttavia conservato la sua forte presa sulla parte moderata e filorussa della società ucraina, e ciò gli ha permesso di tornare presto a rivestire incarichi politici: come primo ministro tra il 2006 e il 2007 e come presidente dal 2010. La sua investitura ha avuto come prima conseguenza quella di provocare un considerevole travaso di deputati, passati in seguito alle elezioni presidenziali dalla coalizione di governo uscente alla maggioranza che oggi sostiene Janukovyč.
Il nuovo corso politico ha avuto forti ripercussioni sulla vita del paese. A ottobre 2010, la Corte costituzionale ha annullato gli emendamenti alla Costituzione entrati in vigore nel 2006, ripristinando di fatto la forma di governo presidenziale del primo quindicennio di indipendenza del paese. In vista delle elezioni parlamentari, tenutesi il 28 ottobre 2012, Janukovyč ha inoltre promosso una serie di misure atte a consolidare il suo potere quali la piena discrezionalità del presidente nelle decisioni di nomina e dimissione dei membri dell’esecutivo, controllo della libertà di parola, aumento della soglia di sbarramento, divieto di formare blocchi tra i partiti e introduzione di un sistema elettorale misto. Si colloca in questo quadro anche il controverso processo contro Julija Tymošenko e la successiva condanna a sette anni di reclusione con l’accusa di abuso d’ufficio per aver firmato nel 2009 l’accordo con la Russia per la fornitura di gas naturale a prezzi eccessivamente gravosi per le condizioni economiche del paese. Nonostante le forti e persistenti critiche da parte della Eu relative al deterioramento degli standard democratici e del funzionamento del sistema giudiziario in Ucraina accompagnate dal boicottaggio del campionato europeo di calcio svoltosi parallelamente in Ucraina e in Polonia nel 2012, Janukovyč non ha scagionato il suo principale opponente politico negandole addirittura la partecipazione alle elezioni parlamentari. Questo atteggiamento ha garantito la vittoria elettorale del Partito delle regioni ma ha allo stesso tempo peggiorato i rapporti con l’Occidente. D’altro canto, sul fronte internazionale, l’entrata in carica di Janukovyč ha avuto l’effetto di migliorare le relazioni con Mosca e, l’estensione fino al 2042 del mandato russo sulla base navale di Sebastopoli, ne è una chiara dimostrazione. Alla ritrovata intesa con la Russia ha corrisposto un raffreddamento delle relazioni con la Nato dopo l’annuncio del presidente di voler rimuovere l’ingresso nell’organizzazione dagli obiettivi di politica estera del paese. Nonostante l’apertura agli interessi russi, Janukovyč ha sempre considerato come prioritaria per l’Ucraina l’integrazione con l’Unione Europea e la firma del relativo Accordo di associazione contenente una Deep and Comprehensive Free Trade Area, la liberalizzazione del regime dei visti e il rafforzamento dei contatti tra le persone. Il caso della Tymošenko ha però ulteriormente aggravato la frattura tra Bruxelles e Kiev concernente la democraticità delle politiche del governo Janukovyč, comportando il rinvio della firma dell’Accordo di associazione all’autunno del 2013 e il suo condizionamento all’avanzamento della democrazia nel paese. Inoltre, l’assenza di una prospettiva di adesione all’Eu nel breve periodo ha significativamente rallentato il processo di riforme nel paese richieste da Bruxelles come prerequisito dell’integrazione.
Tra i paesi dell’ex Unione Sovietica l’Ucraina è il secondo stato più popoloso dopo la Russia. Tuttavia, rispetto ai 51,5 milioni del 1990 la popolazione si compone oggi di circa 45 milioni di abitanti, una riduzione demografica dovuta al peggioramento delle condizioni economiche e sociali a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica e della rilevante emigrazione dal paese.
La Banca mondiale stima che nel 2010 lo stock di emigrati sia di circa 6,5 milioni (equivalente al 14,4% della popolazione), che si sono diretti prevalentemente verso Russia, Polonia, Stati Uniti, Kazakistan, Israele, Germania, Moldavia, Italia, Bielorussia e Spagna. Inoltre i corridoi delle migrazioni tra Russia e Ucraina e viceversa sono rispettivamente il secondo e il terzo più grande al mondo, con 3,7 e 3,6 milioni di migranti.
Oltre alle minoranze rumena, polacca e ungherese, la più rilevante minoranza nella composizione etnica del paese è quella russa, che rappresenta il 18% della popolazione (più di 8 milioni di cittadini). Essa è prevalentemente situata nella parte orientale dell’Ucraina, confinante con la Russia, e in Crimea, in particolare a Sebastopoli, dove la popolazione russa arriva quasi al 60%. In queste regioni oggi i rapporti tra ucraini e russi sono piuttosto amichevoli, anche grazie al forte legame culturale. Ne è una prova il riconoscimento nel 2012 dello status di lingua regionale al russo, decisione fonte di non poche proteste nelle regioni occidentali del paese, dove è stata interpretata come un rafforzamento dell’influenza russa negli affari interni.
L’Ucraina ha ereditato dall’epoca sovietica un sistema educativo relativamente solido. Nonostante l’impatto negativo della recessione economica dei primi anni Novanta su tale sistema, il tasso di alfabetizzazione è oggi del 100% e la scolarizzazione primaria dell’89%. Inoltre, si registra una crescita sostenuta del numero di studenti universitari (con 610.230 laureati nel 2008 rispetto ai 376.275 del 1999).
L’indipendenza e l’efficienza del sistema giudiziario sono in parte compromesse dall’influenza che esercita su di esso la politica, dalla corruzione diffusa (il paese è 152° su 183 nella classifica dell’indice di corruzione percepita) e dalle limitazioni alla libertà di stampa: sono frequenti gli attacchi intimidatori ai giornalisti e le cause portate davanti ai tribunali da funzionari politici contro le critiche della stampa.
Nel periodo di transizione dal sistema pianificato sovietico all’economia di mercato, l’Ucraina ha attraversato una profonda fase recessiva. L’innescarsi di una spirale inflattiva compresse i redditi reali della popolazione, già in via di riduzione in termini nominali. Il pil pro capite crollò del 60% in dieci anni (da oltre 8000 dollari nel 1989 a meno di 3500 nel 1998). Malgrado l’avvio della ripresa e il ritorno a una decisa crescita economica dai primi anni del Duemila, oggi il reddito medio resta ben al di sotto dei livelli del 1989.
L’economia ucraina è ancora fortemente concentrata sull’industria, settore sul quale gravano tuttavia quelle che sembrano essere le tare storiche e strutturali del sistema economico ucraino: in particolare, tanta corruzione e un’eccessiva ingerenza da parte dello stato. Tra le risorse più importanti per il paese figurano le sue riserve di metalli ferrosi, assieme a un’industria chimica molto sviluppata nei settori della produzione del coke e dei fertilizzanti. I beni manifatturieri includono invece aerei, turbine, locomotive diesel e trattori.
Dopo un periodo di decisa crescita economica, nel 2009 la crisi internazionale ha pesantemente colpito l’economia ucraina, provocandone una contrazione del pil del 15% in un anno. Per far fronte alla crisi il presidente Janukovyč ha dovuto adottare alcune misure impopolari, scontrandosi con il dissenso dell’opinione pubblica. Dal 2010, tuttavia, il paese ha ripreso a crescere in maniera sostenuta, e si prevede che nel triennio 2014-17 il pil possa crescere con un tasso superiore al 3% annuo.
La dipendenza dalle importazioni di energia costituisce un tradizionale peso per l’economia nazionale, contribuendo a mantenere la bilancia commerciale ucraina in passivo per un valore normalmente attorno al 6-9% del pil. Benché infatti il sottosuolo ucraino racchiuda grandi quantità di carbone (il 3,9% delle riserve mondiali) e il paese produca energia nucleare (il 3,4 % della generazione elettrica nucleare mondiale), il peso degli idrocarburi nel mix energetico nazionale implica la necessità di approvvigionamento dall’estero e, più in particolare, dalla Russia.
La totale dipendenza da Mosca per le importazioni di idrocarburi è temperata dal fatto che l’Ucraina è un importante stato di transito per il gas russo diretto verso l’Europa occidentale – circa tra quarti del totale annuo. L’interdipendenza tra Kiev e Mosca ha dato adito negli ultimi anni a frequenti dispute energetiche – le cosiddette ‘guerre del gas’ – legate all’indebitamento di Kiev e al tradizionale obiettivo russo di acquisire il controllo della rete ucraina. Se per aggirare la strozzatura del transito attraverso l’Ucraina la Russia ha predisposto un progetto di gasdotto attraverso il Mar Nero, il South Stream, al contempo Kiev ha avviato un ambizioso piano di riduzione delle importazioni di gas – e della conseguente vulnerabilità – dalla Russia. Pilastri della Strategia energetica nazionale approvata nel luglio 2012 – che punta a ridurre le importazioni da 40,5 miliardi di metri cubi del 2011 a 5 entro il 2030 – sono la razionalizzazione dei consumi interni, lo sfruttamento dei recentemente individuati depositi di gas non convenzionale e la diversificazione degli importatori, anche grazie alla costruzione di impianti di rigassificazione in grado di consentire la più flessibile importazione di gas liquefatto.
Dal 1992 ad oggi, le forze convenzionali ucraine sono state ridotte in maniera esponenziale, passando da più di 600.000 a 130.000 soldati, nonostante ciò quello ucraino rimane il maggiore esercito rispetto ai paesi europei non membri Nato. La spesa militare si attesta oggi al 2,9%, registrando un lieve calo rispetto alla seconda metà degli anni Novanta. Non vi sono minacce immediate all’integrità territoriale del paese o terroristiche, ma l’esercito è sempre più coinvolto in missioni all’estero nell’ambito della Nato e delle Nazioni Unite.
L’Ucraina è parte del programma Partnership for Peace della Nato dal 1994 e contribuisce alla missione Kfor in Kosovo, alla missione Isaf in Afghanistan, alle operazioni marittime antiterroristiche nel Mediterraneo e ha contribuito alla missione in Iraq. Il governo Juščenko aspirava a un maggior avvicinamento all’Europa e alla Nato, con la quale aveva avviato nel 2005 un ‘Dialogo intensificato sull’adesione’ che avrebbe dovuto precedere il Piano d’azione per l’adesione (Map); viceversa, nel giugno 2010, sotto il governo Janukovyč, è stata adottata una legge in base alla quale il paese non può aderire ad alleanze militari, sancendo definitivamente la non volontà di aderire alla Nato. Sempre nel 2010, Janukovyč ha anche accordato a Mosca l’estensione per altri 25 anni della locazione della base di militare di Sebastopoli in Crimea, rafforzando così l’influenza russa nel paese e violando la norma costituzionale che prevede che non ci siano basi militari sul territorio ucraino dopo il 2017.
Oltre a essere membro della Comunità degli stati indipendenti (Cis), l’Ucraina è parte dell’Organizzazione per la democrazia e lo sviluppo economico (Guam) con le altre ex repubbliche sovietiche Georgia, Azerbaigian e Moldova. Il Guam è stato fondato nel 1996 come un’alleanza politica, economica e strategica per rafforzare l’indipendenza dei membri ed è divenuto un forum per la cooperazione in materia di sicurezza.
L’esito del primo turno delle elezioni presidenziali ucraine del 2004 aveva visto il candidato governativo, Viktor Janukovycˇ, e il leader della coalizione d’opposizione Nostra Ucraina, Viktor Jušcˇenko, giungere praticamente appaiati. Il ballottaggio di fine novembre sembrò assegnare la vittoria a Janukovycˇ. L’Osce, tuttavia, certificò brogli e illegalità diffuse durante lo svolgimento del voto, scatenando una lunga serie di proteste di piazza cui presero parte centinaia di migliaia di persone vestite d’arancione. Nel frattempo Europa e Stati Uniti rifiutarono il risultato elettorale, mentre la Rada – il parlamento ucraino – approvò una mozione di sfiducia nei confronti del governo e indisse nuove elezioni. Queste ultime, tenutesi a fine dicembre, sancirono la vittoria di Jušcˇenko con il 51% dei voti, mentre Janukovycˇ si fermava al 44%.
Il primo periodo della presidenza Jušcˇenko fu condiviso con il primo ministro Julija Tymošenko, suo alleato d’opposizione nei mesi precedenti la ‘rivoluzione arancione’. La Costituzione del paese fu emendata per limitare il potere della presidenza, trasformando la forma di governo da presidenziale a semipresidenziale: il potere di nomina dei ministri sarebbe stato attribuito al primo ministro, e quest’ultimo non sarebbe più stato destituibile dal presidente senza un voto del parlamento. I governi ‘arancioni’ adottarono una politica estera orientata all’approfondimento delle relazioni con l’Unione Europea (accelerando i processi di cooperazione politica e liberalizzazione commerciale) e con la Nato, mentre i rapporti con Mosca si inasprirono raggiungendo livelli di tensione anche drammatici. La coalizione filo-occidentale risultò tuttavia decisamente instabile: divisa al suo interno da una lotta di potere tra Jušcˇenko e la Tymošenko, fu anche scossa da un’importante crisi politica che ne limitò gli spazi di manovra.
L’entrata in vigore della riforma costituzionale nel gennaio 2006 avvenne infatti a ridosso di nuove elezioni parlamentari, e queste ultime decretarono la vittoria del partito di Janukovycˇ, che raccolse il 32% dei voti, mentre il partito della Tymošenko si fermava al 22% e Nostra Ucraina al 14%. La nomina a primo ministro di Janukovycˇ fu inevitabile, e i nuovi poteri attribuiti dalla Costituzione a quest’ultimo generarono un braccio di ferro politico tra presidente e primo ministro. Le tensioni raggiunsero il loro apice nell’aprile 2007, quando Jušcˇenko tentò di sciogliere il parlamento per decreto. Un compromesso portò a nuove elezioni a settembre, e il loro esito confermò il Partito delle regioni di Janukovycˇ come prima forza politica con il 34% dei voti. L’esito delle urne vide tuttavia la Tymošenko guadagnare posizioni (31%). Grazie al risultato elettorale, un nuovo governo a guida Tymošenko è riuscito a restare in carica dalla fine del 2007 fino alle successive elezioni presidenziali del gennaio 2010, sebbene i nuovi rapporti di forza abbiano gradualmente messo sempre più a repentaglio la stabilità della coalizione arancione.
L’esito del primo turno delle elezioni presidenziali ucraine del 2004 aveva visto il candidato governativo, Viktor Janukovycˇ, e il leader della coalizione d’opposizione Nostra Ucraina, Viktor Jušcˇenko, giungere praticamente appaiati. Il ballottaggio di fine novembre sembrò assegnare la vittoria a Janukovycˇ. L’Osce, tuttavia, certificò brogli e illegalità diffuse durante lo svolgimento del voto, scatenando una lunga serie di proteste di piazza cui presero parte centinaia di migliaia di persone vestite d’arancione. Nel frattempo Europa e Stati Uniti rifiutarono il risultato elettorale, mentre la Rada – il parlamento ucraino – approvò una mozione di sfiducia nei confronti del governo e indisse nuove elezioni. Queste ultime, tenutesi a fine dicembre, sancirono la vittoria di Jušcˇenko con il 51% dei voti, mentre Janukovycˇ si fermava al 44%.
Il primo periodo della presidenza Jušcˇenko fu condiviso con il primo ministro Julija Tymošenko, suo alleato d’opposizione nei mesi precedenti la ‘rivoluzione arancione’. La Costituzione del paese fu emendata per limitare il potere della presidenza, trasformando la forma di governo da presidenziale a semipresidenziale: il potere di nomina dei ministri sarebbe stato attribuito al primo ministro, e quest’ultimo non sarebbe più stato destituibile dal presidente senza un voto del parlamento. I governi ‘arancioni’ adottarono una politica estera orientata all’approfondimento delle relazioni con l’Unione Europea (accelerando i processi di cooperazione politica e liberalizzazione commerciale) e con la Nato, mentre i rapporti con Mosca si inasprirono raggiungendo livelli di tensione anche drammatici. La coalizione filo-occidentale risultò tuttavia decisamente instabile: divisa al suo interno da una lotta di potere tra Jušcˇenko e la Tymošenko, fu anche scossa da un’importante crisi politica che ne limitò gli spazi di manovra.
L’entrata in vigore della riforma costituzionale nel gennaio 2006 avvenne infatti a ridosso di nuove elezioni parlamentari, e queste ultime decretarono la vittoria del partito di Janukovycˇ, che raccolse il 32% dei voti, mentre il partito della Tymošenko si fermava al 22% e Nostra Ucraina al 14%. La nomina a primo ministro di Janukovycˇ fu inevitabile, e i nuovi poteri attribuiti dalla Costituzione a quest’ultimo generarono un braccio di ferro politico tra presidente e primo ministro. Le tensioni raggiunsero il loro apice nell’aprile 2007, quando Jušcˇenko tentò di sciogliere il parlamento per decreto. Un compromesso portò a nuove elezioni a settembre, e il loro esito confermò il Partito delle regioni di Janukovycˇ come prima forza politica con il 34% dei voti. L’esito delle urne vide tuttavia la Tymošenko guadagnare posizioni (31%). Grazie al risultato elettorale, un nuovo governo a guida Tymošenko è riuscito a restare in carica dalla fine del 2007 fino alle successive elezioni presidenziali del gennaio 2010, sebbene i nuovi rapporti di forza abbiano gradualmente messo sempre più a repentaglio la stabilità della coalizione arancione.
Nel marzo 2005, a pochi mesi dalla ‘rivoluzione arancione’, Mosca avanzò le prime richieste di pagamento del debito accumulato dalla compagnia nazionale del gas ucraina (Naftogaz), accusandola contemporaneamente di prelevare illegalmente il gas destinato all’esportazione verso i paesi europei. A seguito di tali rivendicazioni i rapporti diplomatici tra i due paesi andarono progressivamente deteriorandosi. La contesa culminò l’anno successivo, provocando la completa interruzione delle forniture russe di gas verso l’Ucraina per tre giorni nel gennaio 2006 e conducendo alla rapida stipula di un nuovo contratto di fornitura tra i due paesi, più favorevole alla Russia.
Un secondo contenzioso insorse a ottobre 2007 attorno ai debiti ucraini nei confronti delle compagnie energetiche russe, e a marzo 2008 Gazprom, il campione nazionale dell’energia russa, tornò ad adottare la strategia della riduzione delle forniture di gas quale strumento di pressione e negoziale. La disputa si protrasse per tutto il 2008, finché a inizio 2009 la più pesante sospensione delle forniture russe di gas paralizzò il comparto industriale ucraino, con pesanti ripercussioni anche sull’approvvigionamento europeo. Furono infatti diciotto i paesi europei che, legati al transito del gas sul territorio ucraino, sperimentarono forti cali o complete interruzioni dei propri approvvigionamenti. La crisi ebbe due importanti conseguenze: da un lato spinse l’Unione Europea ad accelerare i processi di diversificazione delle rotte energetiche, troppo dipendenti dalla Russia; dall’altro indusse Gazprom a predisporre i primi progetti di aggiramento delle rotte ucraine.
Con l’entrata in carica di Janukovycˇ, le controversie energetiche tra Mosca e Kiev hanno assunto nuovi connotati. La firma nell’aprile 2010 dell’accordo di Kharkiv, atto a regolare i rapporti energetici tra i due paesi, ha permesso a Kiev di beneficiare di una riduzione pari al 30% sul prezzo di mercato del gas ma ha mantenuto la formula di formazione del prezzo del gas più favorevole agli interessi russi ,lasciando che nel 2012 superasse i 400 dollari per mille metri cubi. Nel 2011 e 2012 entrambi i paesi hanno avviato una lunga stagione di diplomazia energetica tuttora in corso. Alla richiesta di Kiev di uno sconto considerevole sul prezzo del gas, Mosca ha risposto offrendo una scelta tra l’adesione dell’Ucraina all’unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakistan (un progetto di integrazione regionale guidato dalla Russia che è stato alla base dell’istituzione nel gennaio del 2012 dello spazio economico singolo tra i tre paesi) e la cessione da parte dell’Ucraina del controllo totale del suo sistema di trasporto del gas. Di fronte al rifiuto di Kiev di vendere quest’ultimo in quanto considerato asset nazionale strategico, Mosca si è sempre di più attivata a costruire gasdotti alternativi, quali il Nord Stream e il South Stream, che potessero portare il gas russo verso l’Europa bypassando il territorio ucraino. Tuttavia, Kiev si è dimostrata contraria anche a far parte dell’unione doganale per il timore di rendersi troppo dipendente dalle politiche regionali russe e per preservare la propria autonomia nel campo della politica estera. Più che di una vera e propria membership nell’unione doganale Kiev ha prospettato la formula di collaborazione di 3+1 oppure di ottenere lo status di osservatore presso il Comitato economico euroasiatico, ossia l’organo di governo dell’unione doganale, ma entrambi i suggerimenti sono stati respinti da Mosca. Una soluzione al lungo braccio di ferro ipotizzata dall’Ucraina alla fine del 2012 è stata di proporre di diminuire a 18-20 miliardi di metri cubi le quote di gas acquistate da Gazprom nel 2013 rispetto ai 52 miliardi di metri cubi previsti per il 2012 ma anche essa appare di dubbia efficacia per contenere la pressione politica da parte della Russia.
La penisola di Crimea è situata in una posizione strategica tra il Mar Nero e il Mar d’Azov ed è fondamentale negli equilibri della regione. Storicamente la Crimea ha avuto grande rilievo per la Russia, essendo stata parte dell’Impero russo e poi dell’Unione Sovietica. La base militare navale di Sebastopoli era fondamentale per la flotta russa e il controllo dei traffici commerciali. Inoltre la penisola è stata luogo di battaglie importanti: già nel 19° secolo, durante la guerra di Crimea (1853-56), l’Impero russo combatté contro l’Impero ottomano per il controllo dei Balcani e del Mediterraneo, mentre durante la Seconda guerra mondiale l’Armata rossa combatté contro i tedeschi che avevano occupato la Crimea.
Con il crollo dell’Unione Sovietica e l’indipendenza dell’Ucraina la penisola di Crimea è passata sotto la sovranità di quest’ultima. Tuttavia l’influenza russa è ancora presente, dato che la maggior parte della popolazione è russa, politicamente vicina a Mosca e in parte sostenitrice di tendenze separatiste, e Sebastopoli continuerà per i prossimi trent’anni a ospitare la flotta russa del Mar Nero, già schierata in epoca sovietica. La Crimea è infatti oggi una repubblica autonoma dove i russi rappresentano il 60% della popolazione (circa un milione), seguiti da ucraini (circa 600.000) e Tatari di Crimea (circa 250.000). Questi ultimi sono una minoranza turcofona e prevalentemente musulmana che fu deportata in Asia centrale all’epoca di Stalin. Essi hanno però cominciato a ritornare in patria tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta e continuano ad aumentare, ma sono vittime di discriminazioni etniche. La stabilità della Repubblica di Crimea dipende dunque in gran parte dalle relazioni tra Russia e Ucraina e, indirettamente, dalle relazioni tra Europa occidentale e Ucraina, che influenzano l’andamento dei rapporti tra Kiev e Mosca.