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La storia dell’Ucraina indipendente ha costantemente risentito del retaggio del periodo sovietico, che ha condizionato le sue relazioni tanto con la Russia e gli altri paesi emersi dalla dissoluzione sovietica, quanto con gli interlocutori euro-atlantici. La quasi totalità del territorio che oggi appartiene all’Ucraina è infatti stata sottoposta per secoli al controllo dell’Impero russo, ed è poi entrata a far parte dell’Unione Sovietica come Repubblica Socialista. Ottenuta l’indipendenza nell’agosto del 1991, i legami con la Russia hanno continuato a condizionare il modo in cui Kiev ha guardato alla politica internazionale. Le ragioni di ciò sono molteplici. Da un lato il territorio ucraino ospita consistenti minoranze russe, che si concentrano nelle sue regioni orientali e nella penisola di Crimea. In secondo luogo, proprio in Crimea si trova Sebastopoli, sede della più importante base navale russa nel Mar Nero. Infine, l’Ucraina è un importante stato di transito del gas e del petrolio russi diretti in Europa occidentale. D’altra parte, lo stesso approfondimento delle relazioni in ambito bilaterale e multilaterale con i paesi europei e gli Stati Uniti sono stati principalmente frutto del tentativo di acquisire maggiore indipendenza dall’influenza russa. In questa prospettiva l’Ucraina ha attivamente sostenuto e partecipato ai processi di allargamento e trasformazione dell’Alleanza atlantica e a quelli di integrazione europea – circostanza che non ha mancato di creare attriti nei rapporti bilaterali con la Russia.
Il primo periodo della presidenza Jušˇcenko fu condiviso con il primo ministro Julija Tymošenko, suo alleato d’opposizione nei mesi precedenti la ‘rivoluzione arancione’. La Costituzione del paese fu emendata per limitare il potere della presidenza, trasformando la forma di governo da presidenziale a semipresidenziale: il potere di nomina dei ministri sarebbe stato attribuito al primo ministro, e quest’ultimo non sarebbe più stato destituibile dal presidente senza un voto del Parlamento. I governi ‘arancioni’ adottarono una politica estera orientata all’approfondimento delle relazioni con l’Unione Europea (accelerando i processi di cooperazione politica e liberalizzazione commerciale) e con la Nato, mentre i rapporti con Mosca si inasprirono raggiungendo livelli di tensione anche drammatici. La coalizione filooccidentale risultò tuttavia decisamente instabile: divisa al suo interno da una lotta di potere tra Jušˇcenko e la Tymošenko, fu anche scossa da un’importante crisi politica che ne limitò gli spazi di manovra.
L’entrata in vigore della riforma costituzionale nel gennaio 2006 avvenne infatti a ridosso di nuove elezioni parlamentari, e queste ultime decretarono la vittoria del partito di Janukovyč, che raccolse il 32% dei voti validi, mentre il partito della Tymošenko si fermava al 22% e Nostra Ucraina al 14%. La nomina a primo ministro di Janukovyč fu inevitabile, e i nuovi poteri attribuiti dalla Costituzione a quest’ultimo ingenerarono un braccio di ferro politico tra presidente e primo ministro. Le tensioni raggiunsero il loro apice nell’aprile 2007, quando Juščenko tentò di sciogliere il Parlamento per decreto. Un compromesso portò a nuove elezioni a settembre, e il loro esito confermò il Partito delle regioni di Janukovyč come prima forza politica con il 34% dei voti. L’esito delle urne vide tuttavia la Tymošenko guadagnare posizioni (31%) e Nostra Ucraina tenere (14%). Grazie al risultato elettorale, un nuovo governo a guida Tymošenko è riuscito a restare in carica dalla fine del 2007 fino alle successive elezioni presidenziali del gennaio 2010, sebbene i nuovi rapporti di forza (con il partito del presidente così debole rispetto al grande exploit della Tymošenko) abbiano gradualmente ma sistematicamente messo sempre più a repentaglio la stabilità della coalizione arancione.
In questo contesto, il presidente Leonid Kučma (1994-2005) fu fautore di una politica di stretto dialogo con l’Occidente e con i paesi dell’ex Unione Sovietica che più condividevano l’obiettivo di controbilanciare l’influenza russa su quello che Mosca considera il proprio naturale spazio d’influenza. Nel 1997, assieme a Georgia, Azerbaigian e Moldavia, l’Ucraina fondò il Guam, un’organizzazione regionale di sicurezza che si poneva come obiettivo la costruzione di un percorso alternativo alla sistematizzazione russo-centrica dello spazio post-sovietico. Nel 2002, inoltre, Kiev avviò un ‘Dialogo intensificato sulla membership’ con la Nato, in vista di un futuro ingresso del paese nell’organizzazione. Nonostante tutto ciò, tuttavia, Kučma non rinunciò mai ai rapporti con Mosca, soprattutto sul piano commerciale, finanziario ed energetico.
Sul versante interno, gli stessi partiti ucraini si sono tradizionalmente divisi su posizioni grossomodo filo e antirusse. La presidenza di Kučma fu caratterizzata da un crescente autoritarismo e da una gestione clientelare del potere, costellata da diversi scandali di corruzione e da una sostanziale compressione delle libertà civili e politiche. Fu in un clima di critiche al sistema repressivo interno e ai controversi rapporti del presidente con Mosca che si giunse alle elezioni presidenziali del 2004. Dopo il voto Viktor Janukovyč (del Partito delle regioni), già primo ministro sotto Kučma e candidato filogovernativo, si proclamò vincitore, scatenando violente proteste di piazza che ne causarono l’estromissione, dando origine a quella che sarebbe stata conosciuta come rivoluzione arancione. Quest’ultima portò al governo esponenti politici marcatamente filooccidentali e antirussi, guidati da Viktor Juščenko (presidente tra il 2005 e il 2010) e da Julija Tymošenko.
Viktor Janukovyč ha tuttavia conservato la sua forte presa sulla parte moderata e filorussa della società ucraina, e ciò gli ha permesso di tornare presto a rivestire incarichi politici: come primo ministro tra il 2006 e il 2007 e come presidente dal 2010. La sua investitura ha avuto come prima conseguenza quella di provocare un considerevole travaso di deputati, passati in seguito alle elezioni presidenziali dalla coalizione di governo uscente alla maggioranza che oggi sostiene Janukovyč.
Il nuovo corso politico ha avuto forti ripercussioni sulla vita del paese sia sul piano interno che su quello delle relazioni internazionali. A ottobre 2010, infatti, la Corte costituzionale ha annullato gli emendamenti alla Costituzione entrati in vigore nel 2006, ripristinando di fatto la forma di governo presidenziale che aveva caratterizzato il primo quindicennio di indipendenza del paese. Il Parlamento ha inoltre approvato il rinvio al 2012 delle elezioni parlamentari che si sarebbero dovute svolgere entro il 2011, concedendo a Janukovyč altro tempo per poter consolidare il proprio potere.
D’altro canto, sul fronte delle relazioni internazionali l’entrata in carica di Janukovyč ha avuto l’effetto di migliorare significativamente le relazioni con Mosca, con il ripianamento di molte delle fratture venutesi a creare sotto i governi ‘arancioni’. In particolare, la firma nell’aprile 2010 di un trattato bilaterale tra Kiev e Mosca ha esteso fino al 2042 la concessione alla Russia della base navale di Sebastopoli, vincolandone il rinnovo ai prezzi privilegiati dei contratti di fornitura del gas russo all’Ucraina. Alla ritrovata intesa con la Russia ha corrisposto un raffreddamento delle relazioni con la Nato. Mancato l’obiettivo di ottenere un Membership Action Plan – logico presupposto all’ingresso nell’Alleanza – al summit di Bucarest del 2008, il governo Janukovyč ha infatti rimosso l’ingresso nella Nato dalle priorità del paese.
Tra i paesi dell’ex Unione Sovietica l’Ucraina è il secondo stato più popoloso dopo la Russia. Tuttavia, rispetto ai 51,5 milioni del 1990 la popolazione si compone oggi di circa 45 milioni di abitanti, una riduzione demografica dovuta al peggioramento delle condizioni economiche e sociali a seguito della dissoluzione dell’ex Unione Sovietica e della rilevante emigrazione dal paese: il tasso di migrazione netto è stato di -2,2 su 1000 abitanti tra il 1990 e il 1995 e oggi si attesta sullo -0,3 su 1000.
La Banca mondiale stima che nel 2010 lo stock di emigrati sia di circa 6,5 milioni (equivalente al 14,4% della popolazione), che si sono diretti prevalentemente verso Russia, Polonia, Stati Uniti, Kazakhstan, Israele, Germania, Moldova, Italia, Bielorussia e Spagna. Inoltre i corridoi delle migrazioni tra Russia e Ucraina e viceversa sono rispettivamente il secondo e il terzo più grande al mondo, con 3,7 e 3,6 milioni di migranti.
Oltre alle minoranze rumena, polacca e ungherese, la più rilevante minoranza nella composizione etnica del paese è quella russa, che rappresenta il 18% della popolazione (più di 8 milioni di cittadini). Essa è prevalentemente situata nella parte orientale dell’Ucraina, confinante con la Russia, e in Crimea, in particolare a Sebastopoli, dove la popolazione russa arriva quasi al 60%. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica l’Ucraina garantì automaticamente ai non ucraini la cittadinanza, diversamente da altri paesi dell’ex area sovietica, e oggi i rapporti tra ucraini e russi sono piuttosto amichevoli, anche grazie al forte legame culturale.
L’Ucraina ha ereditato dall’epoca sovietica un sistema educativo relativamente solido. Nonostante l’impatto negativo della recessione economica dei primi anni Novanta su tale sistema, il tasso di alfabetizzazione è oggi del 100%, la scolarizzazione primaria dell’89% e quella secondaria dell’85%. Inoltre, si registra una crescita sostenuta del numero di studenti universitari (con 610.230 laureati nel 2008 rispetto ai 376.275 del 1999).
L’indipendenza e l’efficienza del sistema giudiziario sono in parte compromesse dall’influenza che esercita su di esso la politica, la corruzione è diffusa (il paese è 134° su 178 nella classifica dell’indice di corruzione percepita) e la libertà di stampa è limitata. Il settore dei media si compone di numerose società pubbliche e private, ma sono frequenti gli attacchi intimidatori ai giornalisti e le cause portate davanti ai tribunali da funzionari politici contro le critiche della stampa. L’uso di internet non è limitato, tuttavia l’accesso alla rete è ancora piuttosto basso ma in crescita, con il 10,5% di utenti sulla popolazione totale nel 2008.
Per tutto l’arco degli anni Novanta, durante la fase di transizione dal sistema pianificato sovietico all’economia di mercato, l’Ucraina ha attraversato una profonda fase recessiva. L’innescarsi di una spirale inflattiva compresse i redditi reali della popolazione, già in via di riduzione in termini nominali. Il pil pro capite a parità di potere d’acquisto crollò del 60% in dieci anni (da oltre 8000 dollari nel 1989 a meno di 3500 nel 1998). Malgrado l’avvio della ripresa e il ritorno a una decisa crescita economica dai primi anni del Duemila, oggi il reddito medio resta ben al di sotto dei livelli del 1989.
Sotto il profilo della composizione del pil, l’economia ucraina resta ancora fortemente concentrata sull’industria. Su questo settore gravano tuttavia quelle che sembrano essere le tare storiche e strutturali del sistema economico ucraino: un già ricordato elevato tasso di corruzione e un’eccessiva tendenza all’ingerenza da parte dello stato. Tra le risorse più importanti per il paese figurano le sue riserve di metalli ferrosi, assieme a un’industria chimica molto sviluppata nei settori della produzione del coke e dei fertilizzanti. I beni manifatturieri includono invece aerei, turbine, locomotive diesel e trattori.
Dopo un periodo di decisa crescita economica, nel 2009 la crisi internazionale ha pesantemente colpito l’economia ucraina, provocandone una contrazione del pil del 15% in un anno. Per far fronte alla crisi il presidente Janukovyč ha dovuto adottare alcune misure impopolari, scontrandosi con il dissenso dell’opinione pubblica. Dal 2010, tuttavia, il paese ha ripreso a crescere in maniera sostenuta, e si prevede che nel triennio 2010-12 il pil potrebbe crescere con un tasso superiore al 4% annuo.
Il comparto energetico incide in misura significativa sulla bilancia commerciale del paese, storicamente in passivo per un valore attorno al 6-9% del pil. Il sottosuolo ucraino racchiude infatti grandi quantità di carbone (oltre il 4% delle intere riserve mondiali), e il suo territorio ospita un gran numero di centrali nucleari, la cui capacità corrisponde al 3% della generazione elettrica nucleare mondiale, equivalente a circa la metà dell’intera capacità generativa russa. Il paese è tuttavia povero di gas e petrolio, risorse che è costretto a importare interamente dalla Russia. Il mix energetico ucraino è inoltre sbilanciato in favore dell’utilizzo del gas (41% dei consumi totali): il consumo di tale risorsa beneficia infatti di forti sussidi statali interni. Per limitare il deficit di bilancio, nel 2010 il governo Janukovyč ha deciso di aumentare del 50% il prezzo finale del gas, sebbene anche in questo modo esso resti di gran lunga inferiore rispetto ai prezzi di mercato.
La totale dipendenza da Mosca per le importazioni di idrocarburi è temperata dal fatto che l’Ucraina è un importante stato di transito per gli oleodotti e i gasdotti diretti dalla Russia verso l’Europa occidentale: circa lo 80% del gas russo consumato dall’Unione Europea (91 miliardi di metri cubi all’anno su 114 totali) attraversa il territorio ucraino prima di giungere in occidente. In anni senza inconvenienti, l’Ucraina copre circa un terzo dei costi delle sue importazioni di gas grazie agli introiti derivanti dai diritti di transito. L’interdipendenza tra Kiev e Mosca ha dato adito negli ultimi anni a frequenti dispute energetiche, le cosiddette ‘guerre del gas’.
Un secondo contenzioso insorse a ottobre 2007 attorno ai debiti ucraini nei confronti delle compagnie energetiche russe, e a marzo 2008 Gazprom, il campione nazionale dell’energia russa, tornò ad adottare la strategia della riduzione delle forniture di gas quale strumento di pressione e negoziale. La disputa si protrasse per tutto il 2008, finché a inizio 2009 la più pesante sospensione delle forniture russe di gas paralizzò il comparto industriale ucraino, con pesanti ripercussioni anche sull’approvvigionamento europeo. Furono infatti diciotto i paesi europei che, legati al transito del gas sul territorio ucraino, sperimentarono forti cali o complete interruzioni dei propri approvvigionamenti. La crisi ebbe due importanti conseguenze: da un lato spinse l’Unione Europea ad accelerare i processi di diversificazione delle rotte energetiche, troppo dipendenti dalla Russia; dall’altro indusse Gazprom a predisporre i primi progetti di aggiramento delle rotte ucraine. In particolare presero nuovo slancio i negoziati con la compagnia italiana Eni per la costruzione del gasdotto South Stream, finalizzato a bypassare l’Ucraina attraverso un tratto sottomarino nel Mar Nero, fino alla Bulgaria.
Con l’entrata in carica del nuovo presidente filorusso Janukovyˇc, le controversie energetiche tra Mosca e Kiev sembrano essersi andate appianando. La firma nell’aprile 2010 di un trattato bilaterale Russia-Ucraina atto a regolare i futuri rapporti energetici tra i due paesi sembra aver risolto molti dei punti più controversi del contenzioso, sebbene altri restino ancora aperti, e tra questi la proposta di acquisto delle reti di distribuzione interne del gas ucraine da parte della compagnia statale russa, Gazprom. Secondo i termini dell’accordo, Kiev potrà continuare a beneficiare di prezzi scontati sul gas russo, con una riduzione pari al 30% sul normale prezzo di mercato.
Dal 1992 ad oggi, le forze convenzionali ucraine sono state ridotte in maniera esponenziale, passando da più di 600.000 a 130.000 soldati. Quello ucraino rimane comunque il maggiore esercito rispetto ai paesi europei non membri Nato, e vi sono 84.900 paramilitari. La riforma della difesa ha avuto un’accelerazione nel 2005 e il governo Janukovyč si è impegnato a continuare la modernizzazione dell’esercito, ad aumentare lo stipendio dei militari e a formare un esercito professionale, anche se le risorse finanziarie sono limitate. La spesa militare si attesta oggi al 2,9%, registrando un lieve calo rispetto alla seconda metà degli anni Novanta. Non vi sono minacce immediate all’integrità territoriale del paese o terroristiche, ma l’esercito è sempre più coinvolto in missioni all’estero nell’ambito della Nato e delle Nazioni Unite.
L’Ucraina è parte del programma Partnership for Peace della Nato dal 1994 e contribuisce alla missione Kfor in Kosovo, alla missione Isaf in Afghanistan, alle operazioni marittime antiterroristiche nel Mediterraneo e ha contribuito alla missione in Iraq. Il governo Juščenko aspirava a un maggior avvicinamento all’Europa e alla Nato, con la quale aveva avviato nel 2005 un ‘dialogo intensificato sull’adesione’ che avrebbe dovuto precedere il piano d’azione per l’adesione (Map); viceversa, l’attuale governo Janukovyč ha preso le distanze dal precedente governo e nel giugno 2010 il Parlamento ha adottato una legge in base alla quale il paese non può aderire ad alleanze militari, sancendo definitivamente la non volontà di aderire alla Nato. Inoltre, il governo Janukovyč ha concluso nell’aprile 2010 un accordo con Mosca in base al quale ha esteso la durata di locazione della base di militare di Sebastopoli in Crimea per ulteriori 25 anni, quindi fino al 2042, rafforzando così l’influenza russa nel paese, mentre il governo Juščenko aveva dichiarato di non voler rivedere l’accordo prima del 2017. Questo potrebbe portare a future tensioni politiche interne, dal momento che la Costituzione prevede che non ci siano basi militari sul territorio ucraino dopo il 2017.
Con il crollo dell’Unione Sovietica e l’indipendenza dell’Ucraina la penisola di Crimea è passata sotto la sovranità di quest’ultima. Tuttavia l’influenza russa è ancora presente, dato che la maggior parte della popolazione è russa, politicamente vicina a Mosca e in parte sostenitrice di tendenze separatiste, e Sebastopoli continua, e continuerà per i prossimi trent’anni, a ospitare la flotta russa del Mar Nero, già schierata in epoca sovietica. La Crimea è infatti oggi una repubblica autonoma dove i russi rappresentano il 60% della popolazione (circa un milione), seguiti da ucraini (circa 600.000) e Tatari di Crimea (circa 250.000). Questi ultimi sono una minoranza turcofona e prevalentemente musulmana che fu deportata in Asia centrale all’epoca di Stalin. Essi hanno però cominciato a ritornare in patria tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta e continuano ad aumentare, ma sono vittime di discriminazioni etniche. La stabilità della Repubblica di Crimea dipende dunque in gran parte dalle relazioni tra Russia e Ucraina e, indirettamente, dalle relazioni tra Europa occidentale e Ucraina, che influenzano l’andamento dei rapporti tra Kiev e Mosca.
Oltre a essere membro della Comunità degli stati indipendenti (Cis), l’Ucraina è parte dell’Organizzazione per la democrazia e lo sviluppo economico (Guam) con le altre ex repubbliche sovietiche Georgia, Azerbaigian e Moldova. Il Guam è stato fondato nel 1996 come un’alleanza politica, economica e strategica per rafforzare l’indipendenza dei membri ed è divenuto un forum per la cooperazione in materia di sicurezza.