Udayana
Autore indiano (11° sec.) appartenente alla tradizione del Nyāya. È considerato tra i principali fautori della convergenza tra Nyāya e Vaiśeṣika e dell’evoluzione graduale che portò dal Nyāya al Navya Nyāya. Oltre a essere un autorevole commentatore di opere Nyāya e Vaiśeṣika, è anche autore di due importanti trattati originali, l’Ātmatattvaviveka, in cui esamina e confuta dal punto di vista del Nyāya quattro argomenti buddisti che negano l’esistenza del sé come entità continua nel tempo e ontologicamente indipendente, e la Nyāyakusumāñjali, la sua opera più nota e studiata. La Nyāyakusumāñjali si presenta come l’esame di cinque obiezioni all’esistenza di un dio: (1) non esiste una causa soprannaturale dietro le leggi morali, la retribuzione karmica e il destino dopo la morte; (2) nozioni relative a realtà ultrasensibili possono essere apprese dal Veda e non è necessario ipotizzare un dio come fonte di tali informazioni; (3) la non-percezione (anupalabdhi), che per la Mīmāṃsā è un valido strumento di conoscenza, prova che non esiste un dio: se egli esistesse, sarebbe percepibile, ma non è percepito, quindi non esiste; (4) non si potrebbe considerare come epistemologicamente valida la conoscenza che un dio possiede, perché per definizione una conoscenza valida di un oggetto implica una non conoscenza precedente di quell’oggetto; la conoscenza di un dio dovrebbe essere eterna, rendendo impossibile per dio il momento precedente di non conoscenza e quindi la validità di tale conoscenza; è peraltro assurda l’ipotesi di un dio incapace di valida conoscenza; (5) non esistono validi strumenti cognitivi che attestino l’esistenza di un dio. Al primo argomento U. contrappone la teoria generale delle cause di Nyāya e Vaiśeṣika, senza la quale l’obiettore sarebbe incapace di spiegare la natura eterna del mondo, la catena senza inizio di cause ed effetti (➔ saṃsāra), la varietà dei fenomeni e le leggi morali. Al secondo replica che lo strumento conoscitivo della testimonianza verbale prevede come criterio di validità l’esistenza di un parlante autorevole, e il Veda non fa eccezione; poiché il Veda è eterno, il suo promotore può essere solo un essere atemporale e non un autore umano. Al terzo risponde che lo strumento conoscitivo della non-percezione può essere applicato solo a oggetti potenzialmente percepibili, mentre un dio non può essere oggetto di percezione sensibile. Al quarto, che implica il criterio di novità nella validità della conoscenza (accettato dalla Mīmāṃsā, ma non dal Nyāya, ➔ pramāṇa), risponde che questa non è una caratteristica necessaria della conoscenza valida e vi contrappone la definizione classica del Nyāya di conoscenza valida, che deve essere «corrispondente all’oggetto tale qual è nella realtà» (yathārtha), applicabile anche alla conoscenza eterna da parte di dio. In risposta alla quinta obiezione, che attribuisce a oppositori del Sāṇkhya e della Mīmāṃsā, U. propone otto argomenti basati su presupposti cosmologici, linguistici ed epistemologici come «l’Universo ha un creatore, perché è un effetto, come un vaso che è creato dal vasaio», «ci deve essere un primo motore degli atomi materiali di cui l’Universo è costituito, il primo motore è un dio, quindi un dio esiste», «l’uso delle parole prevede un insegnante, ci deve essere un primo insegnante, tale insegnante può essere solo dio», «il Veda è opera di un essere senziente, perché è un libro, come il Mahābhārata» e altri. Sebbene l’obiettivo dichiarato della Nyāyakusumāñjalī sia dimostrare l’esistenza di dio, il trattato contiene anche importanti elementi epistemologici e metodologici, che avranno una grande influenza sulla tradizione successiva.