Udito
di Georg von Békésy
SOMMARIO: 1. Cenni storici. □ 2. L'orecchio medio: a) elementi di anatomia; b) meccanismi di trasmissione dei suoni. □ 3. L'orecchio interno: a) generalità di anatomia e di fisiologia; b) la coclea; c) l'organo del Corti. □ 4. Le vie nervose acustiche: a) registrazione di potenziali lungo la via acustica; b) fenomeni indotti dallo stimolo acustico. □ 5. Sensazioni prodotte da uno stimolo acustico: a) la soglia uditiva; b) conduzione aerea e conduzione ossea dei suoni; c) la sensazione sonora. □ Bibliografia.
1. Cenni storici.
Malgrado gli enormi progressi compiuti negli ultimi trent'anni nel campo della fisica applicata, a seguito dell'impiego di nuovi amplificatori, di analizzatori di frequenza e di calcolatori, gli organi di senso, come la vista e l'udito, sono sempre meraviglie della natura, in molti casi ancor oggi superiori alle apparecchiature elettroniche di cui disponiamo, forse non nella rapidità, ma certamente nella qualità dei risultati. Nonostante la bizzarra struttura dell'orecchio medio, con i suoi ossicini apparentemente inutili, e dell'orecchio interno, con le sue strane e caratteristiche membrane, dobbiamo riconoscere che l'orecchio è un sistema sviluppatosi attraverso molti millenni durante i quali ha sempre migliorato la propria capacità di captare il suono. Esso è il risultato di una accorta selezione che combina mezzi meccanici e nervosi in un interazione che va sottolineata, giacché nelle nostre ricerche su questo organo siamo portati a pensare in termini o meccanici o elettrici, ma difficilmente riusciamo a combinare in un unico procedimento i principi di queste due branche della fisica.
Un fisico teorico che dissezionasse il contenuto dell'orecchio interno, il labirinto, avrebbe la sorpresa di trovarvi tre canali vestibolari con gli assi perpendicolari tra di loro, che servono alla percezione dei movimenti di rotazione del capo. Solamente nel XVII e nel XVIII secolo, rispettivamente, Cartesio e Lagrange dimostrarono come ogni movimento e ogni rotazione di un corpo solido possano essere descritti proiettandoli su tre coordinate perpendicolari, ed è stata proprio questa scoperta a fare della fisica moderna una scienza precisa e descrittiva. Si tratta dello stesso sistema, peraltro, usato dai Pesci da milioni di anni.
Guardando la membrana del timpano all'interno del canale uditivo è possibile osservare che essa, negli organismi superiori, è quasi sempre conica. Questa forma è identica a quella adottata per le membrane degli altoparlanti per renderle più rigide e farle vibrare come pistoni. Anche in questo caso la natura è in forte anticipo rispetto alle più moderne scoperte nel campo dell'acustica.
Per chiarire il funzionamento dell'orecchio sono state compiute numerosissime osservazioni dirette, cominciando dall'anatomia dell'orecchio medio, fino ai cambiamenti di potenziale elettrico a livello corticale e perfino alle registrazioni del potenziale nelle singole cellule. Naturalmente l'osservazione sperimentale è stata costantemente integrata per estrapolazione e in tal modo nel secolo scorso sono state avanzate moltissime teorie sul processo uditivo; ognuna di queste applicava, in genere, le ultime scoperte ai processi uditivi così da valutarne la validità. Quando il fenomeno della risonanza fu completamente chiarito dal punto di vista fisico, si sviluppò la teoria della risonanza dell'udito. La trasmissione telefonica a lunga distanza dimostrò che l'energia delle vibrazioni può essere trasmessa da un sistema all'altro solo se i due sistemi sono adattati elettricamente e meccanicamente. Analogamente a quella luminosa, la radiazione acustica può penetrare da un materiale in un altro, senza perdita di energia, solo se l'indice di rifrazione dei due mezzi è simile; se invece tale indice è diverso, come nel caso dell'aria e del vetro, vi sono delle riflessioni che producono perdita di energia. Lo stesso principio è valido anche nel caso delle onde acustiche, che non vengono riflesse solo se i due materiali hanno all'incirca la stessa rigidità. È stato proprio il concetto dell'adattamento di impedenza che ha reso possibile capire la funzione dell'orecchio medio. Ci si attendeva che la teoria dell'informazione, l'ultima che è stata sviluppata, fornisse la possibilità di chiarire molti fenomeni relativi all'udito, ma finora non ha consentito progressi paragonabili a quelli raggiunti in base al principio dell'adattamento di impedenza. Il sistema nervoso acustico sembra che funzioni in modo inconsueto rispetto al nostro abituale modo di pensare.
È probabile che non considerando l'orecchio come un organo di senso particolare, estremamente specializzato, si possano compiere notevoli progressi; sappiamo che solo alcune parti dell'orecchio sono fatte in modo da poter percepire lo stimolo fisico rappresentato dalla pressione sonora e dalla frequenza di un suono e poterlo poi trasformare in un determinato schema di scariche neuroniche, ma l'analisi dello schema è molto simile nei vari organi di senso. Diviene ogni giorno più convincente il concetto che per la maggior parte degli stimoli fisici percepiti da organi di senso di grande superficie (membrana basilare, retina, cute, lingua, ecc.) sono diversi i trasduttori che trasformano lo stimolo fisico in una determinata scarica nervosa, ma il modo di analizzare lo schema è sempre molto simile (v. Békésy, 1969). Ammesso questo, tenendo presenti cioè le somiglianze dei diversi organi di senso, abbiamo un nuovo indirizzo per tutta la ricerca in questo campo, che fino a ora è stato sempre trattato nei manuali in capitoli differenti. Del resto bisogna ricordare che la maggior parte degli organi di senso a vasta superficie si è sviluppata dalla cute.
Tornando alle prime osservazioni storiche, è noto che per ciò che riguarda il processo visivo anticamente si riteneva che l'occhio emettesse raggi di luce che esploravano il campo circostante venendo riflessi e quindi ricaptati dall'occhio a formare l'immagine del mondo esterno. Questa teoria ostacolò moltissimo lo studio della visione fino al Medioevo. Fortunatamente una simile concezione errata non si è avuta per l'udito, anche se gli Egiziani, secondo quanto riportato nel papiro di Ebers datato intorno al 1500 a.C., credevano che l'orecchio servisse non solo come organo dell'udito, ma anche per la respirazione.
Uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo della fisiologia dell'udito fu l'opera di Aristotele: egli infatti introdusse il concetto che per ottenere la trasmissione tra due sistemi meccanici è necessario che questi siano opportunamente adattati, e poiché l'orecchio era in rapporto con l'aria doveva essere un organo aereo; pertanto riteneva che l'orecchio interno fosse pieno di aria. Quest'aria interna doveva essere protetta da quella esterna, e ciò avveniva grazie alla membrana del timpano. Dobbiamo perciò considerare un grande progresso quanto A. M. Valsalva descrisse chiaramente nel 1707, e cioè che nell'orecchio interno c'è un liquido: ciò portò a una nuova comprensione del processo uditivo.
Leggendo la storia dell'udito (per la letteratura, v. Békésy e Rosenblith, 1948), è sorprendente rilevare il contributo portato alle nostre conoscenze da una sola nazione. Dalla prima descrizione dell'osso temporale in cui è situato l'orecchio, fatta da A. Vesalio (1543) quattrocento anni or sono (v. fig. 1), fino alla prima descrizione dell'organo del Corti (v., 1851; v. fig. 2), le più importanti scoperte sono state fatte in Italia. I disegni e le descrizioni anatomiche dell'opera di Vesalio sono ancor oggi capolavori della conquista scientifica; si deve proprio a essi se abbiamo imparato a porci dei quesiti significativi in questo campo, ben diversi da quelli aristotelici sulle ragioni dell'amarezza del cerume o dell'immobilità del padiglione auricolare umano.
Le nuove scoperte sono dovute esclusivamente alla messa a punto del tubo elettronico che ha reso possibile la costruzione di amplificatori e di generatori di suoni capaci di emissioni sonore ben definite. Questi nuovi strumenti sono stati fondamentali per la scoperta dell'effetto microfonico fatta da Wever e Bray (v., 1930) i quali, dimostrando che la pressione del suono sulla membrana del timpano veniva trasformata in potenziali elettrici, stimolarono notevolmente le indagini sui processi uditivi. Però non si deve dimenticare che anche la telefonia a lunga distanza ha contribuito in maniera rilevante alle ricerche sull'udito, favorendo la messa a punto di nuovi apparati e accendendo nuovi interessi. Senza l'impulso dato da quei primi studi, per la diagnosi delle malattie dell'udito verrebbe ancor oggi utilizzato il diapason che, praticamente scomparse le infezioni dell'orecchio medio, così frequenti 40 anni fa, per la cui rapida e corretta diagnosi era particolarmente indicato, ha oggi perduto gran parte del suo valore. Non sono invece scomparsi i disturbi dell'udito dipendenti da otosclerosi o da condizioni ereditarie interessanti l'orecchio interno, che sono responsabili della sordità di più di 8 milioni di individui negli Stati Uniti.
2. L'orecchio medio.
a) Elementi di anatomia.
Una rappresentazione schematica dell'orecchio è riportata nella fig. 3. Il suono penetra attraverso un'apertura del padiglione auricolare, il meato uditivo esterno, che ha un diametro di circa 7 mm e una lunghezza di 27 mm ed è chiuso dalla membrana timpanica, alla quale sono collegati tre ossicini: il martello, l'incudine e la staffa. La struttura ossea dell'orecchio medio presenta un certo grado di pneumatizzazione e, mediante la tromba di Eustachio, comunica con il cavo faringeo. Poiché la pressione dell'aria contenuta nelle cavità del corpo umano tende a diminuire in quanto il sangue assorbe aria, è necessario che, per mantenere la stessa pressione sui due lati della membrana del timpano, la tromba di Eustachio venga aperta periodicamente, il che avviene generalmente al momento della deglutizione e viene percepito come un ‛clic'.
L'orecchio medio e l'orecchio interno trasformano le vibrazioni di grande ampiezza e piccola forza delle particelle di aria presenti nel meato uditivo esterno in vibrazioni della membrana basilare interna, relativamente piccole in ampiezza, ma di forza elevata, sì da poter deformare materiali solidi come le cellule dell'organo terminale. La membrana del timpano e la catena degli ossicini, che termina con la staffa, funzionano pertanto come un sistema a grande superficie di entrata, su cui si esercita la pressione dell'aria, in grado di trasformare le oscillazioni incidenti in vibrazioni di un pistone a superficie relativamente piccola ma con forza molto più grande. Senza questo trasformatore intermedio della pressione la sensibilità dell'orecchio sarebbe piuttosto modesta, giacché onde sonore della frequenza di migliaia di hertz vengono generalmente riflesse da una superficie rigida quale la membrana del timpano. Grazie a questo tipo di trasformatore meccanico, la membrana del timpano assorbe le onde sonore che la colpiscono e le trasmette, con modestissimi fenomeni di riflessione, alla coclea cosi che infine tutta l'energia di entrata raggiunge le terminazioni nervose acustiche. Il principio idrodinamico è rappresentato schematicamente nella fig. 4, ove è evidente la grande differenza di superficie esistente tra membrana del timpano e piede della staffa. Quest'ultimo, come indicato nella figura, è circondato da un anello con proprietà elastiche peculiari: infatti se fosse troppo molle, il liquido spinto dalla staffa nell'orecchio interno sfuggirebbe lateralmente; se, al contrario, fosse troppo rigido, ridurrebbe le vibrazioni del piede della staffa. È interessante rilevare che la natura ha adattato gli ossicini dell'orecchio medio e le loro proprietà elastiche in modo ottimale per la trasmissione delle vibrazioni dell'aria al liquido. La membrana del timpano ha forma conica e il vertice può esser rivolto verso l'interno o verso l'esterno dell'orecchio: tale differenza morfologica non ne modifica il funzionamento e in natura si riscontrano entrambi i tipi di membrana.
I dati anatomici dell'orecchio medio sono riportati nella tab. I.
b) Meccanismi di trasmissione dei suoni.
Per trasmettere all'orecchio interno un suono complesso come la voce, è di estrema importanza che l'orecchio medio segua le vibrazioni delle particelle di aria il più fedelmente possibile, perlomeno nell'ambito delle frequenze della voce che vanno da 300 a 3.000 hertz. Se incolliamo sulla membrana del timpano un peso di pochi milligrammi, ci rendiamo immediatamente conto che ogni suono si mantiene in risonanza, poiché in questo caso l'orecchio medio rappresenta un sistema risonante con un lungo tempo di decadimento. Nell'orecchio medio normale la frequenza di risonanza è intorno ai 1.800 hertz, ma è bruscamente smorzata, come si può vedere nella fig. 5 ove è rappresentato lo schema di vibrazione della membrana del timpano eccitata da un suono impulsivo molto acuto. In generale ogni cambiamento nella struttura della membrana del timpano fa aumentare il tempo di decadimento rispetto a quello registrato nella fig. 5. Ricorderemo a questo proposito che le ordinarie membrane degli apparecchi telefonici continuano a oscillare almeno quattro o cinque volte più a lungo della membrana del timpano; l'orecchio medio è quindi decisamente superiore a esse, dal punto di vista dell'acustica.
Gli ossicini sono uniti alla parete dell'orecchio medio da vari legamenti che li costringono a ruotare intorno a un dato asse. Se facciamo agire sulla membrana del timpano una pressione costante di aria, questa fa muovere la catena degli ossicini al di fuori dell'asse ordinario determinando una diminuzione della trasmissione del suono. La fig. 6 mostra quanto si smorzino le vibrazioni e si innalzi la soglia quando una pressione di 10 cm di acqua o una corrispondente aspirazione agiscono sulla membrana del timpano. Soprattutto le basse frequenze vengono influenzate da una pressione costante; le alte frequenze, specialmente al di sopra di 3.000 hertz, solo molto raramente presentano una perdita di trasmissione maggiore, perché in questo caso i movimenti della membrana del timpano sono trasmessi alla staffa in modo diverso da quanto avviene per le basse frequenze.
Per evitare uno spostamento degli ossicini dal loro asse di rotazione, vi sono nell'orecchio medio due muscoli estremamente interessanti per il fisiologo. La loro contrazione, infatti, non determina alcun rumore nell'udito, mentre i comuni muscoli del corpo umano non si contraggono pianamente ma sempre con vibrazioni sovrapposte alla contrazione. I muscoli attaccati alla staffa, lunghi circa 3 mm, sono i più piccoli del corpo umano: non si contraggono per suoni deboli, ma solo per suoni di intensità superiore a un ‛valore di soglia'. In molti animali, come nella cavia, oltre un certo livello sonoro si contraggono non solo i muscoli della staffa ma anche i muscoli situati intorno al padiglione auricolare, cosicché è possibile vedere se l'animale sente o meno.
3. L'orecchio interno.
a) Generalità di anatomia e di fisiologia.
L'orecchio interno, rappresentato nella parte destra della fig. 3, è costituito dall'apparato vestibolare e da un canale suddiviso in due parti da un dotto cocleare contenente la membrana basilare. Poiché tutte le fibre nervose acustiche terminano nella membrana basilare, è evidente che il processo uditivo ha luogo nell'organo di senso in questa situato.
Tutto l'orecchio interno è pieno di un liquido chiamato perilinfa. Ogni movimento degli ossicini dell'orecchio medio è trasmesso alla staffa che funziona all'incirca come un pistone entrando e uscendo dalla finestra ovale, nella metà superiore del canale cocleare. Poiché l'orecchio interno è pieno di liquido, ogni movimento della staffa verso l'interno determina, per l'incomprimibilità del liquido, un movimento della membrana della finestra rotonda verso l'esterno. Per frequenze molto basse o per spostamenti costanti, un movimento della superficie del piede della staffa verso l'interno della coclea fa spostare il liquido nella rampa vestibolare in direzione di un'apertura, detta elicotrema, attraverso la quale viene spinto verso l'esterno in direzione della finestra rotonda. Frequenze più alte determinano una deformazione della membrana basilare nel dotto cocleare, mentre per frequenze molto alte non si hanno più movimenti di liquido a livello dell'elicotrema. Quest'apertura ha pertanto il compito di eliminare differenze di pressione costanti sulla membrana basilare.
b) La coclea.
La coclea è un canale suddiviso in due parti per tutta la sua lunghezza tranne che a un estremo, in corrispondenza del quale le due parti comunicano; nei Mammiferi si avvolge a spirale e nell'orecchio umano fa due giri e tre quarti. Essa è mostrata schematicamente in forma distesa nella parte destra della fig. 3. Nel corso dell'evoluzione la spiralizzazione della coclea è andata aumentando: nella tartaruga non presenta praticamente alcun giro (v. fig. 7A); negli Uccelli ha solo una piccola curvatura (v. fig. 7B); nella cavia mostra tre giri e mezzo. Questa osservazione sta probabilmente a indicare che la lunghezza del canale cocleare e della membrana basilare è in rapporto con un continuo perfezionamento dell'udito e in particolar modo con quello dell'analisi delle frequenze sonore.
In alcuni mammiferi l'intera coclea è protetta dalle vibrazioni di altre parti del corpo da una struttura ossea circondata da uno spazio d'aria a sua volta protetto da un involucro osseo chiamato bulla. Nell'uomo la coclea è racchiusa nell'osso più duro del corpo umano, la rocca petrosa, ed è ovvio che il canale cocleare è avvolto a spirale perché in tal modo è meno soggetto a deformazioni meccaniche di quanto non sarebbe se fosse dritto come negli Uccelli.
È interessante notare che nei neonati la coclea ha già la stessa forma che nell'adulto; ciò sta a indicare che le proprietà meccaniche dell'orecchio interno non cambiano dopo la nascita, e anche la risposta del dotto cocleare alle diverse frequenze è sempre la stessa.
Le dimensioni della coclea umana sono fornite nella tab. II.
Sono state proprio l'evoluzione della coclea e la struttura anatomica del dotto cocleare con la membrana basilare a suggerire che le vibrazioni del dotto cocleare siano essenziali per la discriminazione delle frequenze. Sfortunatamente il dotto cocleare è formato da un così gran numero di strutture diverse - una metà è ossea e l'altra metà, la cosiddetta membrana basilare, molle - che vi sono state illimitate possibilità di speculazione.
Quando Helmholtz (v., 1863) scoprì che l'orecchio interno non è in grado di discriminare la fase del suono, ma solo la sua ampiezza e la sua frequenza, risultò chiaro che nell'orecchio interno doveva esservi un sistema non influenzato dalla fase del suono. Il solo sistema già noto capace di agire in questo modo era quello a risonanza.
Era pertanto esatta la supposizione che nella coclea dovevano esservi risonatori, accordati per una certa serie di frequenze, in grado di operare la discriminazione delle frequenze proprio come nel caso delle corde di un pianoforte. Il problema consisteva nel trovare questi risonatori, e praticamente a tutte le parti essenziali della membrana basilare fu attribuita la possibilità di risuonare. Una difficoltà era rappresentata dal fatto che tutto l'orecchio interno, come s'è detto, è pieno di liquido: era difficile accettare, dal punto di vista fisico, che un materiale, come una membrana o perfino una struttura ossea, potesse avere una curva di risonanza stretta in un ambiente liquido.
È possibile misurare l'elasticità della membrana basilare, che sembra l'elemento vibrante, poiché è la parte più morbida dell'intera struttura: in tutti i Mammiferi la rigidità di questa membrana in prossimità della staffa è all'incirca 100 volte maggiore che vicino all'elicotrema. La membrana basilare, pertanto, è una membrana longitudinale la cui elasticità varia in modo continuo. Poiché, data la struttura anatomica dell'orecchio interno, l'importanza delle vibrazioni trasversali della membrana basilare non poteva esser messa in discussione, da un punto di vista teorico si poteva presumere che lungo questa membrana vi fossero quattro diversi tipi di vibrazioni. Ciascuno di essi è stato preso in considerazione nelle differenti teorie dell'udito per spiegare la capacità dell'orecchio di discriminare l'altezza dei suoni (v. fig. 8). Immaginiamo che la membrana sia costituita da fibre trasversali a rigidità diversa e perciò a frequenza di risonanza diversa, variante in modo continuo dalla staffa all'elicotrema; in questo caso si avrà una vibrazione uguale a quella illustrata nella fig. 8A, secondo quanto previsto dalla teoria della risonanza. L'aspetto caratteristico, in questo caso, è rappresentato dal fatto che il tratto di membrana compreso tra la staffa e il punto di risonanza vibra in fase opposta rispetto al tratto compreso tra il punto di risonanza e l'elicotrema, come indicano le frecce dello schema. Se invece immaginiamo la membrana molto rigida, per tutte le frequenze percepibili, comprese tra 30 e 30.000 hertz, essa vibrerà con la massima ampiezza in prossimità dell'elicotrema, dove è più cedevole. In questo caso il modello di vibrazione della membrana basilare è identico per tutte le frequenze, essa cioè vibra come una membrana telefonica (v. fig. 8B). Diminuendo il valore assoluto della sua rigidità, i tratti della membrana basilare prossimi all'elicotrema diverranno più molli; non saranno quindi più possibili movimenti simili a quelli di una membrana telefonica, ma si potrà osservare un'onda progressiva che partendo dalla staffa si propaga verso l'elicotrema. Quest'onda progressiva (traveling wave) è rappresentata nella flg. 8C: la parte di membrana più rigida, prossima alla staffa, vibrerà ancora come una membrana telefonica, tutta con la stessa fase, mentre a una certa distanza dalla staffa sono presenti solo onde progressive; tra le due sezioni in cui risulta in tal modo distinta la membrana si ha la massima ampiezza di vibrazione. Se infine la membrana viene resa ancora più cedevole, la porzione di essa che si comporta come una membrana telefonica diviene sempre più ristretta, sino al punto che praticamente l'intera membrana vibra per la presenza di onde progressive. Queste saranno riflesse dall'elicotrema o dall'estremità della membrana, e pertanto si genererà un'‛onda stazionaria' (standing wave; v. fig. 8D).
Secondo la teoria della risonanza a ogni punto della membrana basilare corrisponderebbe un certo massimo di frequenza, e la discriminazione dell'altezza dei suoni verrebbe determinata dalla loro localizzazione sulla membrana. Secondo la teoria della membrana telefonica, invece, il punto di massimo di frequenza non varia e quindi il modello temporale e tutte le analisi di frequenza devono essere eseguiti dal cervello. Ciò effettivamente sposta l'intero problema dell'analisi di frequenza dalla coclea al centro nervoso; ma in base a questa ipotesi è difficile spiegare perché la coclea abbia un'organizzazione meccanicamente così complicata. Anche nel caso delle onde progressive il punto di massima vibrazione determina un fenomeno di localizzazione. Nel caso delle onde stazionarie, infine, abbiamo più massimi e precisamente uno per ogni tratto in cui si ha un massimo di un'onda stazionaria. Pertanto non v'è un solo massimo, ma un'intera serie di massimi e la discriminazione dell'altezza diviene un problema di riconoscimento del modello di tale serie, qualcosa cioè di molto più complicato del riconoscimento di un punto lungo la membrana basilare. È interessante notare che queste quattro teorie, che sono state motivo di dispute accese per un secolo, si differenziano per un unico dato: la rigidità della membrana basilare cui vengono attribuiti valori diversi nelle differenti ipotesi. Modificando il valore assoluto della rigidità della membrana basilare si può praticamente passare, senza soluzione di continuità, da una teoria alle altre: esse rappresentano tutte la stessa famiglia di modelli di vibrazione, differenziandosi l'una dall'altra solo per le costanti introdotte nelle formule. Con un metodo molto semplice è possibile stabilire il valore della rigidità della membrana basilare umana, definendo così immediatamente il modello di vibrazione, che è risultato identico a quello postulato nella teoria delle onde progressive; questa ipotesi è risultata esatta in base a osservazioni effettuate mediante illuminazione stroboscopica sulla coclea umana e in vivo su quella di animali anestetizzati.
Il concetto di onde progressive in seno alla coclea sembra molto strano. Una ragione sta nel fatto che è molto difficile trattare in termini matematici onde che si propagano in un mezzo che modifica continuamente le proprie caratteristiche meccaniche, come si verifica nel caso del dotto cocleare e della membrana basilare. Esiste una vasta letteratura concernente le onde progressive in mezzi omogenei, ma non su quelle che percorrono mezzi non omogenei; le loro proprietà fisiche, pertanto, sono in larga misura ignote. Tuttavia nella nostra vita quotidiana abbiamo continuamente a che fare con onde progressive: se si tocca un qualsiasi corpo provvisto di massa, di elasticità e di una certa estensione, si producono sempre onde progressive, come si può vedere nella fig. 9. È questo un fenomeno ben noto e accettato in fisica generale, ma stranamente mai considerato in anatomia, eccezion fatta per i vasi sanguigni. Il significato fisico dell'onda che si propaga è che il mezzo non immagazzina energia, ma tutta l'energia che un sistema vibrante gli trasmette in una parte viene immediatamente irradiata, attraverso le zone vicine, in un'altra parte e pertanto scompare dalla zona considerata. Questo principio è illustrato nella fig. 10: se abbiamo una corda e ne facciamo oscillare l'estremità destra sinusoidalmente due volte, ne otterremo uno spostamento come è illustrato nel disegno più alto della figura. Questa deformazione non rimarrà ferma, ma si propagherà immediatamente dal punto di origine delle vibrazioni alle parti successive, fino a raggiungere l'altro capo della corda. Pertanto, se prendiamo in considerazione il punto di mezzo della corda, ogni movimento all'estremo iniziale farà muovere allo stesso modo la parte mediana e non vi saranno effetti secondari, poiché non vi è possibilità di accumulo di energia: tutta l'energia che raggiunge un punto viene immediatamente irradiata.
L'orecchio interno sembra sfruttare questo fenomeno, poiché la membrana basilare, sulla quale sono situate le cellule cigliate, può essere stimolata in tutta la sua estensione senza un lungo tempo di latenza di inizio o di arresto, mentre se fosse presente un risonatore le vibrazioni continuerebbero a lungo anche dopo che la staffa si è arrestata. Come è noto, un risonatore eccitato da una vibrazione alla frequenza di risonanza presenterà un certo tempo in cui l'ampiezza aumenta, e alla fine dell'eccitazione la vibrazione continuerà ancora per un po' fino a quando l'energia accumulata nel risonatore non si sarà dissipata per attrito. Per un'onda che si propaga l'attrito gioca un ruolo molto modesto, poiché l'energia che essa ha non si esaurisce per frizione, ma nel processo di propagazione da un certo punto.
Caratteristica delle onde progressive è che un arresto improvviso delle oscillazioni della staffa fa cessare molto rapidamente anche le vibrazioni in ogni punto della membrana basilare, come si può vedere nell'oscillogramma della fig. 11. Per tale motivo l'orecchio ha la possibilità di seguire molto rapidamente le modificazioni della vibrazione della staffa senza comparsa di suoni postumi, cosa che, come Helmholtz aveva già notato, non sarebbe possibile a risonatori con un'elevata capacità di discriminare le frequenze. Poiché la coclea è sede di onde progressive, è logico desumere che l'orecchio interno deve essere in grado di determinare la frequenza in un tempo molto breve: teoricamente si calcola che esso possa stabilire con estrema precisione la frequenza di un suono entro un intervallo di due cicli. Già F. Savart (v., 1840) aveva rilevato che la precisione con cui viene determinata l'altezza di un ‛clic' aumenta solo del 10% se il ‛clic' viene ripetuto 10 o più volte invece che solo 2: è questo un esperimento che depone fortemente a favore della presenza di onde progressive, se presumiamo che la meccanica della coclea sia importante per la discriminazione della frequenza. La misurazione del modello di vibrazione lungo la membrana basilare della coclea umana, previa dimostrazione che il coefficiente di elasticità del dotto cocleare non cambia (tale dimostrazione può essere ottenuta osservando le vibrazioni della membrana cocleare in animali anestetizzati e proseguendo poi l'osservazione per molto tempo dopo che gli animali sono stati uccisi per anossia o iperdosaggio di narcotici), ha messo in evidenza, in generale, onde della forma illustrata nella fig. 12. Osservazioni al microscopio, tenendo l'intera coclea immersa in acqua e facendo in modo di impedire cambiamenti del modello di vibrazione della membrana basilare dovuti all'apertura della coclea, hanno consentito di dimostrare direttamente che le onde presentano un massimo di ampiezza in un dato punto che varia con la frequenza (v. fig. 13).
Tali modelli di vibrazione possono essere oggi facilmente confermati grazie all'effetto microfonico scoperto da Wever e Bray (v., 1930), come dimostrano le osservazioni di Benitez e altri (v., 1970; v. fig. 14). Le differenze di potenziale elettrico ai due lati del dotto cocleare vengono registrate da due elettrodi inseriti in punti diversi del canale stesso: se gli elettrodi sono vicini alla staffa, si ottiene una risposta simile a quella rappresentata nella parte inferiore della fig. 14. Nella cavia, se la distanza dell'elettrodo dalla staffa è maggiore o se la registrazione viene compiuta all'apice della coclea, è possibile rilevare non solo un certo ritardo, corrispondente al tempo di propagazione delle onde lungo il dotto cocleare, ma anche una modificazione nella distribuzione dell'ampiezza. Considerando i valori medi di una serie di determinazioni, che rappresentano gli inviluppi di ampiezza per differenti posizioni lungo la membrana basilare, è possibile elaborare il modello effettivo di vibrazione della membrana basilare; questo, mostrato per la cavia nella fig. 15, corrisponde molto bene alle osservazioni di microscopia ottica.
La teoria matematica delle vibrazioni del dotto cocleare è stata sviluppata da Ranke (v., 1935 e 1950) e Zwislocki (v., 1948).
Come un qualsiasi apparato elettronico, anche la coclea ha bisogno di una batteria e di fili per i diversi recettori. L'energia è fornita alla coclea dal flusso sanguigno attraverso un'arteria e una vena modiolari, che riforniscono di ossigeno l'intero dotto cocleare. Come illustrato nella fig. 16, in cui è mostrata la coclea di cavia, l'arteria e la vena principali sono localizzate al centro della coclea, da dove inviano diramazioni laterali al dotto cocleare per la vascolarizzazione della membrana basilare ove sono situati i recettori, le cellule cigliate. Le diramazioni capillari sono mostrate nella fig. 17. Notevole interesse hanno suscitato le modalità della circolazione sanguigna a livello della coclea. Poiché non è continuo, il flusso sanguigno deve compiersi in modo tale che il polso dovuto al battito cardiaco non produca vibrazioni percepibili. Per questa ragione i capillari cocleari presentano un flusso sanguigno che, in zone diverse, si alterna e di conseguenza, considerando un tratto più grande, le forze prodotte dalle pulsazioni si compensano reciprocamente. È ovvio, però, che anche così l'apparato uditivo potrebbe essere disturbato dal rumore del polso e pertanto la natura ha risolto il problema riducendo la sensibilità dell'orecchio per le frequenze più basse in modo tale che la percezione del nostro battito cardiaco è ridotta a un livello tollerabile. Nella fig. 17 è possibile inoltre osservare come l'innervazione della coclea segua anch'essa il modiolo in stretta connessione con i vasi sanguigni destinati al dotto cocleare.
c) L'organo del Corti.
Il dotto cocleare, rappresentato in sezione trasversa nella fig. 18, è costituito da una lamina ossea e da una membrana basilare molle che si deforma quando viene esercitata una pressione su di un lato del canale stesso. La deformazione della rampa media prodotta da un'onda progressiva è indicata dalla linea tratteggiata e, come si può vedere con illuminazione stroboscopica, lo spostamento della membrana di Reissner è equivalente a quello della membrana basilare. Per frequenze inferiori a 3.000 hertz esse vibrano in fase. La rampa vestibolare e quella timpanica sono piene di un liquido detto perilinfa, mentre la rampa media, cioè il dotto cocleare a forma triangolare, contiene la cosiddetta endolinfa, la quale ha proprietà diverse dalla perilinfa; se in un animale vivente la membrana di Reissner viene parzialmente distrutta, così che la perilinfa possa diffondere nell'endolinfa, si ha un arresto dei potenziali elettrici delle fibre nervose in attività. La fig. 19A è uno schema più dettagliato della coclea in sezione trasversa: è possibile notare che l'organo del Corti è situato sulla membrana basilare e inoltre si possono osservare le modalità con cui le fibre nervose prendono connessione con le cellule cigliate. Queste ultime sono di due tipi, le interne e le esterne, coperte tutte da un'esile membrana, la membrana tectoria, che viene in genere rappresentata come avente notevole spessore e sollevata rispetto alle cellule cigliate (v. fig. 19B); ciò è una conseguenza dei processi di fissazione, poiché anche le moderne tecniche di fissazione, che prevedono l'impiego di soluzioni tamponate, non sono in grado di evitare la contrazione o il rigonfiamento dei tessuti dovuti al differente pH all'interno dei tessuti stessi. A partire dalla staffa la larghezza della membrana basilare aumenta fino quasi a raddoppiare in prossimità dell'elicotrema. La struttura generale dell'organo del Corti, formato da cellule cigliate, cellule di sostegno e membrana tectoria, rimane pressoché la stessa per tutta la lunghezza della membrana basilare. Come indicato nella fig. 20, in prossimità dell'elicotrema termina per prima la membrana tectoria, poi l'organo del Corti, situato sulla membrana basilare, e infine la membrana basilare. Rispetto alla membrana basilare, l'organo del Corti è relativamente meno rigido ed è quindi facile staccarlo completamente dalla membrana basilare a partire dall'elicotrema, dopo aver rimosso la membrana di Reissner. Con un'illuminazione stroboscopica particolarmente sensibile si può porre in evidenza che una simile escissione non ha alcuna influenza sulle vibrazioni della membrana basilare.
L'organo del Corti si comporta, rispetto alle vibrazioni meccaniche, come un apparato in grado di trasformare il movimento sussultorio della membrana basilare in movimenti di scorrimento della sommità delle cellule cigliate rispetto alla membrana tectoria. Anche in questo caso si tratta di un trasformatore meccanico, che converte le vibrazioni della membrana basilare, che sono di ampiezza relativamente grande ma di poca forza, in movimenti di scorrimento poco ampi, ma molto forti, della sommità delle cellule cigliate rispetto alla membrana tectoria, cosicché in sostanza i moti del liquido vengono ridotti a spostamenti di alcune strutture cellulari rispetto ad altre, spostamenti che richiedono una forza notevole e la cui analisi è estremamente importante per un ulteriore approfondimento delle nostre conoscenze. Particolarmente interessante è rilevare che, nel corso dell'evoluzione dell'organo del Corti dagli Uccelli all'uomo, le cellule cigliate diminuiscono nettamente di numero e si suddividono in due tipi differenti, cellule cigliate interne ed esterne. Nella fig. 21 si può osservare anche come l'angolo compreso fra le cellule cigliate interne e le esterne si sia modificato, cosicché nell'uomo, nella cavia e nei Vertebrati superiori gli elementi cellulari dei due gruppi vengono stimolati in fase opposta durante i movimenti di scorrimento della membrana tectoria.
Mentre la membrana basilare si modifica in senso trasversale, non si verifica quasi alcun cambiamento nella disposizione longitudinale delle cellule cigliate lungo di essa. La regolarità dell'allineamento delle cellule cigliate esterne (v. fig. 22) è sorprendente. Tuttavia, stranamente, nell'uomo questa regolarità si riscontra solo prima della nascita; in seguito essa diviene meno pronunciata e compare una nuova fila di cellule cigliate. Non è ancora chiaro in che misura ciò sia una conseguenza della distruzione di cellule cigliate provocata dal rumore. Le cellule cigliate esterne sono complessivamente circa 13.000 e quelle interne circa 3.500.
Un forte rumore può staccare le cellule di sostegno dalla membrana basilare e in questo caso, in seguito alle grandi vibrazioni, le cellule cigliate rimangono sollevate rispetto alla membrana basilare; prive di irrorazione sufficiente si disintegrano rapidamente e col tempo vengono eliminate dall'organo del Corti, cosicché si possono trovare zone della membrana basilare del tutto prive di cellule cigliate. Ciò si verifica soprattutto nelle zone più vicine alla staffa.
Il perfezionamento delle tecniche di fissazione all'acido osmico e la microscopia elettronica a scansione hanno permesso di avere immagini più precise delle cellule cigliate esterne e interne (v. figg. 23 e 24, rispettivamente), con le loro ciglia e le loro terminazioni nervose; ambedue gli schemi rappresentano cellule di cavia. Fatrambi i tipi di cellule presentano alla loro sommità delle ciglia e anche una formazione chiamata corpo basale, la cui funzione non è stata ancora chiarita.
Molti dati hanno indotto a ritenere che le deformazioni delle ciglia siano responsabili del cambiamento di potenziale intracellulare, cambiamento che scatena l'attività delle terminazioni nervose. Forse già il fatto che le cellule cigliate esterne abbiano un maggior numero di ciglia può spiegare perché siano tanto più sensibili di quelle interne. Le cellule cigliate presentano due diversi tipi di terminazioni nervose, uno afferente e uno efferente: sono pertanto l'elemento terminale di un circuito a feedback, ma non è ancora accertato se tale circuito operi istantaneamente a livello della trasmissione degli impulsi diretti a eccitare livelli nervosi più elevati, o se agisca invece come un sistema inibitore in grado di modificare, a fini diversi, la sensibilità delle cellule cigliate.
Certamente l'organo del Corti è un organo ideale per analizzare i trasduttori e per chiarire come una deformazione meccanica possa essere trasformata in una differenza di potenziale elettrico ai due lati di una membrana (v. fig. 25). Poiché per scatenare l'impulso nervoso è necessaria una differenza di potenziale di 70 mV, è molto probabile che le tappe intermedie del processo avvengano per via chimica e che soprattutto l'acetilcolina abbia un ruolo importante nel sistema di trasduzione. Solo l'istochimica e le nuove misurazioni elettrofisiologiche effettuate con molti elettrodi impiantati su entrambi i lati di una stessa cellula potranno delucidare questo processo.
4. Le vie nervose acustiche.
a) Registrazione di potenziali lungo la via acustica.
Ogni vibrazione meccanica dell'organo del Corti produce una serie di potenziali elettrici che possono essere seguiti lungo la via acustica. Se inseriamo un elettrodo nel tronco del nervo acustico a livello del suo ingresso nel cervello e osserviamo i potenziali elettrici che esso registra rispetto a un elettrodo indifferente, è facile distinguere tre diverse risposte elettriche come conseguenze di un ‛clic' fatto percepire all'orecchio (v. fig. 26). La prima, che non ha ritardo rispetto alla pressione esercitata dall'onda sonora sulla membrana timpanica, rappresenta l'effetto microfonico scoperto da Wever e Bray. Poiché i potenziali microfonici sono un'integrazione di tutti i potenziali dello stesso tipo prodotti a livello della membrana basilare, perdurano per un certo periodo dopo che sono iniziati; sono tuttavia così strettamente collegati al movimento della superficie del piede della staffa, che è sincrono con lo spostamento del tratto di membrana basilare più prossimo a esso, che possono essere considerati come indice della trasformazione della pressione sonora sulla membrana timpanica in movimenti della superficie del piede della staffa. I potenziali microfonici provocano, con una breve latenza, le prime scariche nervose nel ganglio di primo ordine e successivamente in quello di secondo ordine. Questi due impulsi nervosi sono un'integrazione di tutte le risposte gangliari e le loro dimensioni, raffrontate a quelle del potenziale microfonico, permettono di valutare il lavoro svolto dal sistema di trasduzione, costituito dalle cellule cigliate. Procedendo lungo la via acustica è possibile registrare modificazioni di potenziale a livello del bulbo, del colliculus e della corteccia acustica. In quest'ultima sono stati accuratamente analizzati i cosiddetti potenziali evocati che possono essere registrati anche nell'uomo, attraverso la scatola cranica. Non è stato però ancora chiarito dove esattamente abbiano origine tali potenziali e che cosa rappresentino: in parte devono probabilmente essere attribuiti a potenziali non prodotti direttamente lungo la via acustica, in quanto ogni suono provoca anche movimenti degli occhi e della testa.
In passato la via acustica era considerata una semplice linea di trasmissione; oggi sappiamo invece che oltre alla via nervosa ascendente, che dalla coclea va alla corteccia, esiste anche una via discendente che a ritroso raggiunge la coclea (v. fig. 27). Anche lungo tutta la via nervosa acustica, pertanto, è presente un sistema a feedback, ma al momento attuale non è ancora del tutto chiaro a quanti livelli si produca un'interazione tra via ascendente e via discendente, principalmente per la difficoltà di dimostrare innanzi tutto che l'interazione è una conseguenza immediata dello stimolo acustico e non un adattamento secondario del sistema dei trasduttori.
Nella fig. 28 sono rappresentate le aree sensoriali corticali dell'udito e della visione nella scimmia. L'area acustica è situata su entrambi i lati della corteccia e può essere lesa in modo irreparabile per la compressione bilaterale del cranio, come talvolta accade durante un parto con il forcipe.
L'uso di microelettrodi ha consentito lo studio della trasmissione delle scariche elettriche lungo tutta la via acustica. La fig. 29 mostra le registrazioni effettuate in tal modo a vari livelli della via acustica: in genere quanto più alto è il livello, tanto più piccolo diventa l'ambito di frequenze a cui un singolo neurone risponde, come si può vedere comparando le registrazioni A e D della fig. 29. Un effetto di affinamento di questo tipo sembra che sia comune a molti organi di senso di ampia superficie, come la membrana basilare, la retina o la cute.
b) Fenomeni indotti dallo stimolo acustico.
L'effetto di affinamento induce a ritenere che la vecchia concezione secondo cui ogni stimolo produce eccitazione solo in un'area non sia più corretta. Un semplice sistema ‛entrata-uscita' non potrebbe in realtà funzionare in alcuna percezione sensoriale. Oggi si ritiene che uno stimolo, oltre a produrre un'area di eccitazione, determini anche la comparsa di un'area di inibizione che circonda l'area eccitata, come indicato schematicamente nella fig. 30.
Ogni stimolo pertanto produce simultaneamente due fenomeni: un'eccitazione e un'inibizione. È l'interazione tra il processo di eccitazione e quello di inibizione che rende l'orecchio capace di analizzare le onde sonore con una rapidità e una precisione non ancora raggiunte dalle apparecchiature elettroniche. La fig. 31 mostra che ogni stimolo produce, oltre a un'eccitazione, anche un'inibizione: le registrazioni sono state ottenute da neuroni stimolati con frequenze diverse, comprendenti, oltre a una gamma di frequenze eccitatorie, anche una gamma di frequenze inibitorie - una al di sotto e una al di sopra delle eccitatorie - che producevano una risposta massimale per quel particolare neurone.
L'effetto di affinamento che si verifica nella distribuzione dello stimolo lungo un organo di senso ad ampia superficie è presente non solo nel caso dell'udito, ma anche nella maggior parte degli altri organi di senso. Ciò è stato facilmente dimostrato con l'esperimento schematizzato nella fig. 32, in cui una membrana basilare artificiale di plastica presentava, in un tratto di 25 cm, vibrazioni esattamente identiche al modello di vibrazione della coclea umana normale, ma ingrandite molte volte: questo modello di vibrazione è stato controllato mediante illuminazione stroboscopica sulla membrana artificiale e sul preparato di coclea umana o sull'animale vivo. La parte superiore della fig. 32 mostra che l'inizio repentino di una vibrazione continua trasmessa alla membrana basilare artificiale presenta un ritardo dell'effetto iniziale lungo la membrana stessa e, inoltre, una distribuzione di massimi molto ampia a livello dei diversi punti della membrana. Questi massimi cambiano localizzazione al variare della frequenza, proprio come si verifica in una membrana basilare naturale. Se a questo punto qualcuno sfiora con il braccio la membrana artificiale in vibrazione, non avvertirà l'ampia distribuzione di massimi, che fa vibrare in tutta la sua lunghezza la membrana, ma localizzerà tutte le vibrazioni in un piccolo tratto di circa 5 cm, mentre in realtà l'intera lunghezza delle vibrazioni della membrana artificiale è distribuita lungo una sezione di 35 cm. Questo affinamento si verifica per stimolazioni meccaniche vibratorie della cute ed è presente anche nel caso che lo stimolo usato sia un'onda di calore che si propaga lungo la superficie del braccio.
Nonostante i grandi progressi compiuti dall'elettrofisiologia, gran parte delle sensazioni psicologiche non possono essere spiegate in modo soddisfacente. La sensazione di intensità del suono, per esempio, non ha nella via acustica semplici correlati che noi possiamo verificare con precisione. E. D. Adrian ha dimostrato che per una singola fibra nervosa il numero di scariche o spikes aumenta con l'aumentare dell'ampiezza dello stimolo. Così per una singola fibra nervosa l'intensità del suono sembra correlata con il numero di scariche nervose per secondo. Ciò è valido per semplici preparati nervosi, ma se la superficie stimolata è ampia, è verosimile che l'intensità del suono sia piuttosto correlata alla somma di tutte le scariche prodotte in tutte le fibre nervose. Però, data l'esistenza del processo inibitorio, anche questa semplice affermazione non sembra valida.
Esistono poi diversi altri fenomeni, e non di scarso rilievo, che complicano moltissimo l'intero quadro: ad esempio, la costante attività spontanea della via nervosa in assenza di stimolo, che cessa quando inizia la stimolazione; inoltre, spesso può accadere che l'interruzione di uno stimolo produca una scarica secondaria della durata di pochi millisecondi, molto più intensa di quella che si ha in presenza dello stimolo. È difficile valutare attualmente l'importanza di questo fenomeno fino a che non si determini in che misura esso dipende dal fatto che l'animale è in narcosi: e infatti la via nervosa attivata in tale condizione può essere alquanto diversa da quella eccitata in condizioni normali.
5. Sensazioni prodotte da uno stimolo acustico.
a) La soglia uditiva.
Uno dei fenomeni di più facile osservazione è quello della soglia, la quale definisce semplicemente l'intensità minima alla quale possiamo udire lo stimolo. Tra tutti i fenomeni che si presentano nello studio dell'udito, forse il più affascinante è rappresentato dal valore estremamente basso delle pressioni del suono e dei movimenti di un corpo che possono già essere percepiti dall'orecchio. Ciò rende l'orecchio così sensibile che se lo si migliorasse solo di poco potremmo udire l'impatto delle molecole dell'aria in sequenze casuali sulla membrana timpanica, il cosiddetto movimento browniano della membrana timpanica: quindi non avrebbe alcun significato per la natura migliorare ulteriormente la soglia.
Nella fig. 33 sono rappresentati, per frequenze diverse, il movimento delle particelle di aria, il movimento della membrana basilare alla soglia, il movimento della membrana basilare al limite superiore delle pressioni sonore che l'orecchio può tollerare, e la soglia di percezione. I movimenti della membrana basilare sono inferiori al diametro dell'atomo di idrogeno, cosa che i fisici atomici hanno difficoltà ad ammettere ma che può essere con facilità dimostrata sperimentalmente. Per frequenze dell'ordine di 100 hertz possiamo anche vedere l'ampiezza delle vibrazioni della membrana basilare: sono così piccole che è evidente che la percezione del nostro stesso polso e delle vibrazioni prodotte nei capillari deve essere stata parzialmente eliminata con meccanismi inibitori del sistema nervoso.
Oltre al valore assoluto, estremamente basso, della soglia, una caratteristica sorprendente dell'orecchio consiste nel fatto che esso può funzionare in un intervallo di ampiezze che va da 1 a 107 per la frequenza intorno a 1.000 hertz senza distorsione eccessiva, dal momento che un tono udito alla soglia suona all'incirca identico allo stesso tono udito alle ampiezze più elevate. L'ampiezza dell'intervallo diminuisce per frequenze più basse (v. fig. 34), soprattutto perché l'orecchio medio si satura con le pressioni dei suoni alti e produce sensazioni di solletico, di puntura e di toccamento. Se uno stimolo viene mantenuto più a lungo, esso produce un dolore decisamente intollerabile.
Poiché la soglia uditiva è divenuta facilmente misurabile, grazie al progresso dell'elettronica, oggi viene ampiamente usata come indice della funzionalità di un orecchio e del suo miglioramento dopo trattamento medico. Nei soggetti normali le oscillazioni della soglia uditiva sono molto piccole. La soglia uditiva non mostra quasi alcuna differenza tra l'orecchio sinistro e il destro e nei bambini presenta somiglianze molto strette con quella dei genitori, soprattutto per ciò che riguarda le piccole variazioni (v. fig. 35). Queste sono probabilmente in rapporto con la conformazione degli ossicini dell'orecchio medio che, come ha scoperto E. Waetzman (v., 1936), alla pari del volto sono diversi in ciascuna persona. Talora la soglia uditiva può essere impiegata per stabilire la paternità.
Anche tra animali di specie diverse la soglia uditiva è molto simile, soprattutto per quanto riguarda il suo valore assoluto. In molti casi le differenze sono ascrivibili ai mezzi tecnici: con il perfezionamento delle apparecchiature la soglia uditiva della cavia è stata trovata più prossima a quella dell'uomo (v. fig. 36). La differenza più rilevante si ha per le alte frequenze: per esempio, è intorno a 100.000 cicli al secondo per i Pipistrelli. Con l'aumentare delle dimensioni dell'animale, la frequenza limite diviene in generale più bassa e per un elefante è intorno ai 5.000 cicli al secondo.
b) Conduzione aerea e conduzione ossea dei suoni.
Non dobbiamo dimenticare che in realtà noi siamo capaci di percepire il suono in due modi diversi: mediante il movimento delle particelle di aria nel canale acustico e mediante una conduzione non aerea, detta conduzione ossea. Se facciamo vibrare la scatola cranica toccandola con un diapason o con un altro strumento, mettiamo in vibrazione gli ossicini dell'orecchio medio e allo stesso tempo comprimiamo la struttura ossea della coclea, producendo così deformazioni e onde progressive lungo la membrana basilare. Il caso più importante di percezione per conduzione ossea è dato dall'udire la propria voce a orecchi tappati. In questo caso le vibrazioni delle corde vocali e delle guance sono trasmesse alle mascelle, che sono tanto vicine alla parete ossea della coclea da produrre vibrazioni nell'interno dell'orecchio. Nell'uomo l'intensità della percezione uditiva per conduzione ossea, cioè a orecchi tappati, è quasi pari a quella di un suono che si propaghi attorno alla testa dalla bocca all'orecchio. È proprio la conduzione ossea che produce il ben noto effetto per cui la nostra voce registrata ci sembra del tutto estranea, completamente diversa da quella che udiamo nella realtà. Per questo motivo è stupefacente ciò che un cantante riesce a fare sebbene in realtà non senta i suoni allo stesso modo in cui li percepisce l'ascoltatore, poiché per lui le vibrazioni trasmesse per conduzione ossea si aggiungono a quelle propagate dall'aria. Le curve di soglia per la conduzione ossea sono riportate, per frequenze diverse, nella fig. 37.
c) La sensazione sonora.
In genere si ammette che le valutazioni di tipo psicologico non siano affidabili, anche se ciò non è vero in assoluto. Le difficoltà dipendono da un fatto molto semplice: un tono puro, dal punto di vista fisico, è completamente definito da tre variabili: la frequenza, la pressione sonora e la fase che le oscillazioni della pressione presentano a un tempo prefissato. H. L. F. Helmholtz dimostrò che la fase non può essere valutata esattamente se si sente con un solo orecchio: in questo caso, pertanto, lo stimolo fisico di un tono puro è caratterizzato solamente da due variabili, frequenza e pressione. Bastano tuttavia queste due variabili per determinare sensazioni psicologiche assai diverse. Un tono puro ha infatti un'altezza, un'intensità sonora, un volume di tono: una sorgente sonora di frequenza elevata dà una sensazione più ‛sottile' di una a bassa frequenza. Inoltre, esso è dotato di una densità e di un'asprezza proprie; se ascoltiamo con un solo orecchio viene localizzato a distanze diverse; può produrre sopratoni per intensità più elevate; ha un valore di soglia al di sotto del quale non può essere udito, e presenta un limite massimo oltre il quale non può essere tollerato. Quindi se chiediamo a uno psicologo di descrivere cosa sente, dobbiamo spiegargli chiaramente quale sensazione deve analizzare. Certamente le molte variabili psicologiche non sono indipendenti come le due variabili fisiche. Se il tono puro è uno solo, le sensazioni psichiche legate alla sua percezione possono essere descritte facilmente; ma se i toni puri sono due, mentre dal punto di vista fisico sono necessarie solo quattro variabili indipendenti per descriverli, il numero di variabili indispensabili per descrivere le sensazioni che essi suscitano è così grande che è molto facile fare confusione. Tuttavia anche in questo caso le sensazioni possono essere ancora descritte adeguatamente, se si ha a disposizione il tempo necessario per studiarle.
Al di sopra del valore di soglia, l'intensità della sensazione ha un ruolo molto importante nella vita quotidiana. Poiché l'orecchio abbraccia un intervallo di pressioni sonore tra 1 e 107, l'intensità della sensazione non può essere lineare con esse. Già G. T. Fechner (v., 18892) nel secolo scorso dimostrò che l'intensità della sensazione aumenta linearmente col logaritmo dello stimolo, ma più recentemente S. S. Stevens (v., 1970) con tecniche diverse ha dimostrato che una funzione esponenziale della grandezza dello stimolo corrisponde meglio all'intensità della sensazione. Se la grandezza dello stimolo e quella della sensazione vengono espresse come funzioni logaritmiche, su carta logaritmica si ottiene una linea retta come è mostrato nella fig. 38, ove l'esponente della funzione dell'intensità del rumore è 0,6.
Per apprezzare la musica e per comprendere una voce è della massima importanza conoscere qual è la variazione di frequenza percepibile come variazione di altezza. Anche sotto questo aspetto l'orecchio è eccezionale: per un tono di 1 .000 hertz esso può discriminare una variazione di frequenza di tre hertz, il che vuol dire una sensibilità del tre per mille (v. fig. 39). Quest'estrema sensibilità dell'orecchio alle variazioni di frequenza ha rappresentato, ed è ancor oggi, uno dei maggiori problemi per tutte le teorie dell'udito. È ovvio che i massimi appiattiti situati sulla membrana basilare, che si spostano al variare della frequenza, sono troppo piatti per una simile precisione. Gli effetti di affinamento conseguenti all'inibizione laterale determinano un considerevole miglioramento in questo senso, ma resta da precisare se, oltre a questi due fenomeni, ne esistano altri che contribuiscono alla elevata sensibilità dell'orecchio.
Oltre alla discriminazione delle alte frequenze, esistono altri fenomeni difficilmente interpretabili alla luce delle nostre attuali conoscenze. Un vecchio esperimento compiuto da Seebeck (v., 1841) dimostra che molto spesso l'orecchio riesce a udire toni che non sono presenti nell'onda sonora analizzata secondo Fourier (v. fig. 40). Questo fenomeno ha portato recentemente a postulare (v. Schouten, 1960) che l'orecchio non esegua alcuna analisi meccanica di frequenza ma si comporti semplicemente come una membrana telefonica, producendo fenomeni elettrici simili a quelli che si verificano in questa; l'analisi di frequenza non verrebbe eseguita nella coclea, ma a livelli più alti del sistema nervoso. L'unica difficoltà insita in questa ipotesi è che non si capisce perché mai la nostra coclea sia così complicata e perché mai sia provvista di una struttura meccanica e di un apparato nervoso ancor più complessi. Inoltre, si deve tener presente che le scariche nervose a un livello più alto non sono completamente sincrone con la pressione sonora: in genere presentano una frequenza decrescente, cosicché il numero di scariche diviene progressivamente più basso procedendo verso i livelli più alti, finché a livello della corteccia le scariche si succedono a un ritmo che non è mai sincrono con la pressione sonora sulla membrana del timpano.
La maggior parte delle variazioni di toni usate sono in realtà toni con modulazione d'ampiezza o di frequenza e le ricerche condotte fino a oggi non hanno chiarito come e dove venga percepita la modulazione. Già il semplice fenomeno rappresentato dai battimenti prodotti da due toni è estremamente complicato (v. fig. 41), tuttavia in questo caso un'analisi di Fourier evidenzia la presenza di due sole componenti. Una modulazione di frequenza di un tono ha uno spettro ancor più complesso di quello dell'esempio precedente e molto più difficile da valutare. Possiamo comunque concludere, sulla scorta delle ricerche e delle considerazioni che abbiamo esposto, che l'orecchio non si comporta come un analizzatore di Fourier.
Nella vita quotidiana e ai fini della sopravvivenza, la più importante funzione dell'orecchio è la localizzazione delle sorgenti sonore. Per questo scopo è certo che la percezione biauricolare è superiore a quella monoauricolare, e alle alte frequenze è indubbia l'importanza del padiglione auricolare per la localizzazione del suono: esso, infatti, consente di distinguere se la sorgente sonora è situata anteriormente o posteriormente alla testa. Nell'ascolto biauricolare occorre ricordare che ogni sorgente di suoni posta nel piano sagittale della testa produce stimoli sonori percepiti simultaneamente da entrambi gli orecchi; se la sorgente sonora si sposta lateralmente, il suono giunge a ciascuno dei due orecchi in tempi diversi e, se questa differenza di tempo è di 1 ms, la sorgente sonora viene localizzata senz'altro lateralmente. Per ‛clic' di bassa frequenza, è solo questa differenza di tempo che dà la sensazione di lateralizzazione rispetto al piano sagittale; per frequenze più elevate, oltre alla differenza di tempo si ha anche un certo cambiamento di pressione dell'onda sonora, poiché l'orecchio colpito più tardi riceve in generale anche un suono più debole in quanto schermato dalla testa. Quanto più netto è l'inizio di un suono, soprattutto se si tratta di un ‛clic', tanto migliore è la sua localizzazione: ‛clic' molto acuti e netti vengono localizzati con la massima precisione e in modo molto chiaro, stabile e riproducibile; ‛clic' a frequenze più basse sono più difficili da localizzare.
Se manca completamente qualunque fenomeno di inizio, come nel caso di un tono puro stabile, la localizzazione diventa molto difficile, in molti casi addirittura impossibile, poiché il suono sembra riempire l'intero ambiente e provenire da ogni direzione. La localizzazione di un suono continuo migliora con l'introduzione in esso di armoniche che lo fanno diventare più o meno una serie di ‛clic': è questo un effetto adottato, per esempio, nella fabbricazione dei clacson delle automobili.
Un fenomeno singolare, caratteristico dell'audizione biauricolare e importante per la ricerca, può essere prodotto con toni assolutamente puri e continui: mediante una cuffia si può far giungere ai due orecchi il medesimo tono, ma con una piccola differenza di frequenza, ad esempio di mezzo ciclo al secondo. Se l'intensità dei toni è uguale in entrambi gli orecchi si determinerà una differenza di tempo, che rappresenta la differenza di fase tra i due toni e che provoca una sensazione di movimento della sorgente sonora. Generalmente si ha la sensazione di una sorgente che ruota intorno alla testa con una velocità di rotazione dipendente dalla differenza di frequenza. Questo cosiddetto ‛tono rotante' dimostra che la frequenza di un tono puro è rappresentata a livello del sistema nervoso, ma prova altresì che tale rappresentazione non è molto precisa: infatti la localizzazione del ‛tono rotante' è molto vaga e molti soggetti sono incapaci di avvertire questo fenomeno, pur essendo in grado di compiere buone osservazioni sull'altezza del suono. Un piccolo squilibrio dell'intensità dei toni nell'orecchio è già sufficiente per alterare l'intero fenomeno; e, infine, i toni rotanti non si osservano in genere oltre i 3.000 hertz, sebbene l'altezza sia ancora facilmente determinabile.
Il fatto che una piccola differenza temporale tra due stimoli, proprio come nel caso esemplificato della stimolazione di entrambi gli orecchi, produca in tutti gli organi di senso una variazione della localizzazione, è risultato di valore generale: esso è stato dimostrato anche per la cute e per altri organi di senso. Non è quindi corretto affermare che il fenomeno della localizzazione sia una particolare specializzazione del sistema nervoso dell'apparato uditivo (v. Békésy, 1969).
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