UFFICIO ecclesiastico
La nozione comprende in senso lato qualsiasi funzione o incarico (munus) legittimamente esercitato per una finalità spirituale. Tale, ad es., quella di confessore, di predicatore, di catechista, di cantore, di sacrestano, ecc. Ma il diritto canonico di regola assume il concetto di ufficio ecclesiastico in senso più stretto, intendendo con esso ogni funzione o carica costituita stabilmente per istituzione divina o ecclesiastica, da conferire a norma dei sacri canoni, alla quale è annessa una partecipazione alla potestà ecclesiastica sia di ordine, sia di giurisdizione (v. circoscrizione: Circoscrizione ecclesiastica). Secondo questa definizione (Codex Iuris Canonici, can. 145) le caratteristiche che contraddistinguono l'ufficio ecclesiastico, sono quattro: 1. l'istituzione divina o ecclesiastica; 2. la stabilità oggettiva, ovvero quella per cui l'ufficio per sé è perpetuo, sia come esercizio di potestà ordinaria in nome proprio, sia come esercizio di potestà vicaria (cfr. can. 197), anche se di natura intermittente (ad es., quello del vicario capitolare), e indipendentemente dall'amovibilità del titolare; 3. il legittimo conferimento, o collazione; 4. la partecipazione alla potestà di ordine, o a quella di giurisdizione, o a entrambe.
Si è discusso in dottrina se la sfera delle attribuzioni di cui consta l'ufficio ecclesiastico abbia individualità per sé stessa. Alcuni lo negano, asserendo che tali sfere di attribuzione sono vive e operative solo quando diventano oggetto dell'attività di persone fisiche; secondo altri, invece, e in conformità all'opinione tradizionale, l'ufficio ecclesiastico, considerato come la cerchia e la misura della potestà di ordine o di giurisdizione stabilmente fissata, è riconosciuto anche in astratto dal diritto canonico come somma di poteri della chiesa, onde gli atti del titolare sono considerati come atti dell'ufficio, e cioè della chiesa, alla stessa guisa che avviene per l'ufficio pubblico nell'ordinamento statale.
In generale, ma non sempre, all'ufficio ecclesiastico sono assegnati stabilmente determinati redditi, che il titolare dell'ufficio ha il diritto di percepire. Si ha in tal caso un beneficio (v.). La dottrina anteriore sovrapponeva il concetto di beneficio a quello di ufficio, non considerando quest'ultimo se non in funzione del primo; e anche ora in pratica talora si scambiano i due concetti. Però il codice distingue chiaramente fra l'uno e l'altro; l'ufficio può essere accompagnato, come per lo più avviene, dal beneficio che ne rappresenta per così dire l'aspetto patrimoniale, ma può anche non esserlo (ad es., gli uffici di vicario generale, di vicario foraneo, ecc.). Perciò si distinguono gli uffici in beneficiali e non beneficiali.
La potestà di giurisdizione o di governo spettante ai singoli uffici si chiama potestà ordinaria, quando è annessa ipso iure all'ufficio; delegata, quando è commessa a una persona che l'esercita in nome del titolare. La potestà ordinaria poi si distingue in p. propria e p. vicaria (can. 196).
Gli uffici ecclesiastici, oltre che in relazione al carattere beneficiale o meno, si distinguono ancora in maggiori e minori, a seconda che spetti a essi giurisdizione ordinaria esterna (episcopale o quasi episcopale), o no; concistoriali (quelli che vengono conferiti dal papa in concistoro) e non concistoriali (tutti gli altri); curati e non curati, a seconda che vi sia annessa, o no, cura d'anime; secolari e religiosi, a seconda che siano riservati a chierici secolari o a religiosi, ecc. (cfr. can. 1411).
Il conferimento o collazione degli uffici ecclesiastici deve avvenire mediante la provvisione o provvista canonica, che è l'atto della competente autorità ecclesiastica, con il quale un chierico è preposto a un ufficio (can. 147). La designazione della persona da nominare può competere liberamente all'autorità ecclesiastica (collatio libera), oppure avvenire per elezione di un collegio, o per postulazione (forma sussidiaria di elezione, che si ha quando l'eligendo ha un impedimento che lo rende attualmente incapace, ma che può essere dispensato), o per presentazione da parte di un patrono. Una forma di designazione analoga alla presentazione è la nomina, concessa a sovrani o ad altri in virtù di concordati o di privilegi.
Nell'ordinamento italiano, lo stato s'interessa della provvista degli uffici ecclesiastici a cui sia annesso un beneficio. Al riguardo il concordato 11 febbraio 1929, pure affermando il principio generale che tale provvista appartiene all'autorità ecclesiastica (articoli 19-21), stabilisce che i benefici (salvo che a Roma e nelle sedi suburbicarie) possono essere conferiti soltanto a cittadini italiani (art. 22), e che il loro conferimento deve essere preceduto dalla comunicazione, in via riservata, del nome del designato al governo italiano, onde questi possa far presenti all'autorità ecclesiastica le sue eventuali ragioni di opposizione alla nomina.
Bibl.: V. anche per la vasta letteratura ante codicem in materia beneficiaria, e che ha stretta relazione col tema, A. Galante, Diritto ecclesiastico, 2ª ed. a cura di A. C. Jemolo, Milano 1923, p. 294 segg.; Wernz-Vidal, Ius canonicum, II: De personis, Roma 1923, p. 123 segg.; I. Chelodi, Ius de personis, Trento 1927, p. 225 segg.; J. B. Saegmueller, Lehrbuch des katholischen Kirchenrechts, 4ª ed., p. 225 segg.; J. B. Saegmueller, Lehrbuch des katholischen Kirchenrechts, 4ª ed., I, 3ª parte, Friburgo in B. 1930, p. 387 segg.; G. Cavigioli, Manuale di diritto canonico, Torino 1932, p. 234 segg.; M. Falco, Corso di dir. ecclesiastico, I, 2ª ed., Padova 1935, p. 101 segg.; V. Del Giudice, Istituzioni di dir. canonico, 3ª ed., Milano 1936, p. 87 segg.