Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
In un periodo di grandi scontri religiosi e politici, in cui la cultura delle scuole monastiche o canonicali, nonché di quelle libere dei chierici, si rinnova attraverso il conflitto fra tradizione e innovazione, fra sapienza “d’autorità” e filosofia, fra ecclesiastici e laici, nella solennità delle chiese cristiane l’ufficio liturgico articola una simbolica rappresentazione drammatica e propizia l’evoluzione del rito verso lo spettacolo.
Parabola delle dieci vergini
Sponsus
Le Vergini folli – Noi, o vergini, che a voi veniamo, negligentemente abbiamo versato l’olio. E desideriamo, o sorelle, ricorrere a voi come a coloro in cui abbiamo fiducia.
Misere noi, dolenti, troppo abbiamo dormito!
Siamo le vostre compagne in questo cammino, le vostre sorelle della stessa schiatta; e quantunque ci abbia colpite la sventura, non ci potete ancora far salve.
Misere noi, dolenti, troppo abbiamo dormito!
Date un po’ del vostro lume alle nostre lampade, siate pietose per queste povere ignoranti, affinché non siamo cacciate dalla sua porta, quando lo Sposo vi chiamerà nella sua casa.
Misere noi, dolenti, troppo abbiamo dormito!
Già alla fine dell’XI secolo il vescovo Onorio d’Autun sovrapponeva il sacerdote officiante all’attore tragico: “Si sa che coloro i quali recitavano nei teatri le tragedie rappresentavano al popolo con gesti le azioni dei combattenti. Così il nostro tragico rappresenta con i suoi gesti, al popolo cristiano, il combattimento di Cristo nel teatro della Chiesa” (Gemma Animae). Onorio riconosce dunque nel sacerdote il ruolo di un attore tragico per un sacrificio espiatorio ove il corpo del Figlio è simbolicamente immolato, attraverso il rituale della parola, nel deicidio consentito dal Padre.
In questo theatrum Ecclesiae lo stesso spazio architettonico è permeato, per i credenti, dalle verità della fede; il portico o l’antichiesa della facciata, volta a oriente, vengono designati col nome di Galilea e possono figurare come trasposizione scenica d’un giudizio universale aperto ai significati e alle funzioni contrastanti – come le statue e i fregi che l’adornavano – di inferno e paradiso. All’interno della chiesa l’altare maggiore assume la valenza allegorico/simbolica del sepolcro quale luogo di martirio/resurrezione, ma il sovrastante ciborio – con le cortine a protezione del momento eucaristico – può, nella liturgia natalizia, serbare o mostrare a sorpresa un’icona della Vergine con il Bambino. All’assemblea dei fedeli le processioni rituali del calendario liturgico rendono familiari gli spazi emotivi scanditi dal drammatico articolarsi in stazioni della via crucis: una sorta di perenne e sofferente raccordo con la cripta, grotta mistica della Natività o sepolcro di Resurrezione, che si deposita nell’immagine ambivalente di culla e di tomba. Allo spettacolo liturgico s’accompagna la musica e il canto corale dei Salmi in forma di antiphonia – due semicori che si rispondono a eco quasi recuperando nella dialogicità tra officiante e semicori lo schema del dramma classico.
I caratteri spettacolari più marcati dei rituali liturgici, quelli emotivamente più forti, si manifestarono soprattutto nella liturgia pasquale della Settimana santa con l’evocazione di Passione, Morte e Resurrezione del Cristo.
Questi eventi si offrivano all’arricchimento/variazione (tropo) d’un momento liturgico e così avviene che il breve testo del Quem quaeritis, il “Chi cercate?” intonato dai monaci all’introito della messa pasquale – celebrata nella notte del sabato santo – incomincia progressivamente ad accentuare la teatralità della struttura dialogica implicita nella visita delle tre Marie al sepolcro. Il corista che, in abito bianco, interpretava l’angelo, si colloca presso l’altare mentre i tre cantori scendono dai loro stalli spostandosi al centro del coro per rappresentare le tre donne e iniziare il dialogo cantato. Quando poi l’ufficio pasquale delle comunità monastiche si apre, prima ai famigli e ai conversi del monastero, poi al pubblico dei fedeli, l’interrogazione dell’angelo e il suo annuncio di resurrezione si corredano di elementari accessori scenografici per visualizzare il momento della Visitatio: la cerimonia disponeva d’un avello d’un lenzuolo sepolcrale e d’una croce.
Mentre si recita il terzo responsorio, il monaco che rappresenta l’angelo va a sedere sulla vuota tomba e i tre frati in cappa avanzano nell’atteggiamento di tre donne titubanti: al “Chi cercate nel sepolcro, o cristiani?”, intonato dolcemente in tono medio, i tre rispondono a una sola voce: “Gesù Nazareno crocifisso, o abitante del cielo”; e il canto dialogato sollecita il coro in antifona, sino all’ostensione del Sudario estratto dal sepolcro senza la Croce – metonimia del corpo sacrale che vi era avvolto. Con l’esplosione trionfale dell’Alleluia nel “teatro ecclesiale” l’abbagliante simbologia del bianco – colore della morte/resurrezione – celebra l’apoteosi d’un Corpo invisibile che vince la finitudine e la colpa del sepolcro trionfando nella gloria dei cieli. Successivamente la Visitatio si amplia agli apostoli Pietro e Giovanni che, ricevuto l’annunzio delle donne, a loro volta accorrono al sepolcro e il coro si adegua alla funzione di patetico commentatore dell’azione.
Solo nella seconda metà del XIII secolo la Visitatio si arricchisce con il personaggio del venditore di balsami, l’unguentarius, che fornisce i balsami per lenire le piaghe del corpo di Cristo, e in chiusura s’aggiunge il colpo di scena d’un Cristo risorto che, prima di rivelarsi nel suo fulgore, appare alla Maddalena ancora nei sembianti d’un ortolano.
L’ampliamento dialogico progressivamente si estende alla cattura di Cristo, al processo, alla via crucis, alla Crocifissione, sino al planctus Mariae. Attraverso queste articolazioni si attua una proliferazione di temi e di personaggi che configura un vero e proprio dramma sacro. Il teatro religioso è ormai subentrato all’ufficio liturgico e preannuncia il ritorno del teatro nell’Europa occidentale.
Uno degli esemplari più notevoli del Dramma della Passione, conservato nella raccolta dei Carmina Burana, risale alla seconda metà del XII secolo e sceneggia l’intera sequenza di eventi che porta il Cristo sulla croce del Golgota. La didascalia d’apertura chiama in scena Pilato ed Erode con i loro soldati, mentre il Signore avvia l’azione chiamando a sé i pescatori Pietro e Andrea. Dopo la guarigione del cieco, il coro canta l’entrata di Gesù in Gerusalemme ed è l’invito del Fariseo alla sua cena a propiziare l’episodio della Maddalena.
La donna sottolinea uno splendore di cortigiana recitando in tedesco il suo avido piacere per le gioie del mondo: “Nelle sue letizie io voglio ardere, nessuna lascivia evitare [...]. Guardatemi, giovinotti, e lasciate che io vi piaccia”; l’assecondano il mercante di profumi e un amatore, ma il colpo di scena di una notturna apparizione angelica induce la peccatrice alla sua salvifica peripezia. Il suo mantello nero allontana l’amante e il diavolo, non senza che il fariseo, in controcanto comico, dubiti della virtù profetica di chi si lascia abbracciare e ungere i piedi da una meretrice; Giuda non è da meno deplorando lo spreco di odoroso balsamo. Seguono la resurrezione di Lazzaro e il tradimento dell’Iscariota, la veglia angosciata di Gesù sul monte Oliveto mentre i quattro discepoli s’abbandonano al sonno. La cattura confronta il pubblico con il rinnegamento di Pietro e la consegna dell’innocente da Pilato a Erode. Prima che la croce sia issata, la didascalia prescrive al diavolo di condurre un Giuda pentito e piangente a impiccarsi. Sostenuta da Giovanni avanza Maria a gemere lo strazio del morente con tre strofe in antico tedesco cui segue, in latino, il lamento: “Piangete o anime fedeli ”, ove affiora il dramma accettato e vissuto sin dal momento dell’Annunciazione: “Il segreto nascosto nella mia mente di Vergine [...] la spada che mi trafigge”.
Accanto al Dramma della Passione assume una scansione altrettanto complessa e spettacolare quello della Natività o Ludus de nativitate che in occasione del Natale finisce, a sua volta, per unificare ed elaborare altri uffici liturgici connessi al tema della nascita di Gesù.
Quanto alla spettacolarità visiva (opsis) dei costumi e dei movimenti (coreutica), un vero e proprio trionfo d’apparati presuppone il Dramma dell’Anticristo che, inscenato nelle chiese tedesche del XII secolo, lega l’apparizione della apocalittica figura alla fine dell’Impero romano e cristiano. Più di 100 didascalie, su un insieme di 416 versi, regolano le azioni di quest’oratorio poetico-musicale in cui davanti al pubblico degli attoniti fedeli l’esercito dell’imperatore affronta i Franchi, sottomette il re dei Greci mentre il re di Babilonia assedia Gerusalemme; allora l’imperatore si scontra col re babilonese e insedia la Chiesa nel tempio, salvo che l’Anticristo con l’appoggio degli Ipocriti e di Eresia seduce e sottomette al suo potere il re dei Greci e dei Franchi, convince il re dei Tedeschi con tre falsi miracoli, consacrandolo poi a soggiogare con lui i pagani idolatri e la Sinagoga. Restano ora solo i profeti Elia ed Enoch, conservati dal Messia per opporre un’ultima resistenza; mentre l’Anticristo celebra la sua apoteosi la catastrofe lo travolge col fragore del terremoto e la Chiesa alza il suo canto: “Io sono come ulivo fruttifero nella casa del Signore”.
Dal XII secolo in poi l’oratorio dell’Anticristo avvia, con la coralità dei suoi effetti spettacolari, un ciclo di rappresentazioni che si svilupperà in varie forme presso quasi tutte le chiese dell’Europa occidentale.
Alla ricreazione teatrale il dramma sacro dedica ormai, oltre agli spettacoli connessi all’ufficio drammatico, testi estrapolati dai Vangeli apocrifi e dal leggendario dei santi, ma resi innovativi attraverso invenzioni tematiche e farciture dialettali.
Questi espedienti, a uso del pubblico popolare, li ritroviamo nella struttura dello Sponsus prodotto dai Cluniacensi in terra d’Aquitania ove fiorisce anche l’arte trobadorica. Lo Sposo sceneggia la parabola delle Vergini sagge e delle Vergini stolte, che non hanno alimentato l’olio delle lampade, curvando l’attesa e l’arrivo del Cristo al significato d’un irrevocabile giudizio finale. Singolari scostamenti tematici si registrano invece in alcuni testi prodotti nell’abbazia di Fleury; tra di essi un ciclo di “miracoli” che s’ispira al leggendario di san Nicola.
Il primo, Le tre ragazze, inscena il provvidenziale lancio di tre borse d’oro nella casa d’un padre caduto in miseria: la figlia maggiore si era infatti rassegnata a prostituirsi ma – come le altre due – trova marito proprio grazie alla dote tempestivamente fornita dal santo. L’altro, titolato Tres clerici, mostra una vecchia coppia di affittacamere che ospitano tre studenti e li uccidono nel sonno per appropriarsi della loro borsa rigonfia; ma l’arrivo di san Nicola propizia la contrizione dei peccatori e la resurrezione dei giovanotti. Un terzo prodigioso evento è rappresentato in Il figlio di Gettone ove si assiste al rapimento del figlioletto del re che, divenuto schiavo del pagano Marmorino, difende la sua fede sino a quando le invocazioni della madre inducono san Nicola a ricondurre il piccolo davanti alle porte della città. Ancora san Nicola è protagonista di uno spettacolo, il Ludus super icona Sancti Nicolai: quando i ladri sottraggono un prezioso scrigno al santo/statua non resta che animarsi inseguendo i responsabili e minacciandoli di impiccagione. A questo punto il teatro religioso, sebbene ancora in forma embrionale, verbalizza e s’appropria della comica hilaritas insita in quella parodica mescolanza di sacro e profano che la Cena Cypriani aveva già esaltato con le modalità della pantomima.