Vedi Uganda dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Indipendente dal Regno Unito dal 1962, l’Uganda ha sofferto a lungo di tensioni interne e di violenti rovesciamenti di potere, terminati con il colpo di stato militare di Yoweri Museveni nel 1986. Indicato negli anni Novanta dal presidente Bill Clinton come l’esponente di una nuova leadership, animatrice del cosiddetto ‘Rinascimento africano’, più pragmatica e più affidabile, Museveni ha accresciuto negli anni il proprio potere e la propria influenza. Nonostante i dubbi sul tema della governance democratica, sollevati da una buona parte dei donatori internazionali, l’Uganda resta un alleato chiave degli USA in una regione di grande complessità e rilevanza strategica.
Due sono le principali fonti di instabilità nella regione. Da una parte, l’Uganda confina con alcuni degli stati che, ormai da decenni, attraversano – o hanno attraversato – situazioni di violentissimo conflitto civile come il Sudan, la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda. In particolare, l’Uganda è stata direttamente coinvolta nelle vicende ruandesi degli anni Novanta: il capo dell’intelligence militare dell’esercito ugandese, Paul Kagame, di etnia tutsi e rifugiato in Uganda nel 1960, è stato il leader militare e politico del Rwandese Patriotic Front, che nel 1994 è partito dall’Uganda per fermare il genocidio in corso e ha poi assunto il governo del Ruanda. Nel 1998, l’Uganda ha invaso la Repubblica Democratica del Congo attraverso un’operazione militare lanciata di concerto con il Ruanda. Sebbene l’obiettivo iniziale fosse arginare le incursioni delle milizie hutu rifugiatesi nella Repubblica del Congo dopo il genocidio, lo scontro assunse ben presto contorni più ampi e inglobò la possibilità di indebolire e controllare il grande vicino regionale. La Seconda guerra del Congo ha ben presto rovinato le relazioni tra Uganda e Ruanda, che si sono reciprocamente accusate di dare rifugio a dissidenti e destabilizzatori fino al 2006, anno in cui è ripreso un rapporto privilegiato tra Kampala e Kigali. A livello regionale, le relazioni con il Sudan sono sempre state complicate dal reciproco appoggio che Uganda e Sudan hanno dato ai movimenti ribelli. La proclamazione d’indipendenza del Sud Sudan ha comunque portato a un miglioramento dei rapporti con l’Uganda, sebbene il movimento Lord’s Resistance Army (LRA) guidato da Joseph Kony costituisca ancora il maggiore fattore di tensione tra i due paesi. Risultano, invece, molto più stabili e consolidate le relazioni con la Tanzania e il Kenya: nel gennaio del 2005 è entrato in vigore, all’interno dell’East African Community (Eac), l’accordo che stabilisce la creazione di un’unione doganale che coinvolge i tre paesi. L’accordo ha portato nel 2010 al mercato comune dell’Eac.
Una seconda fonte di instabilità è la minaccia terroristica che ha recentemente interessato l’Uganda, come conseguenza del suo coinvolgimento nella missione Amisom (African Union mission in Somalia) in Somalia contro il gruppo islamista al-Shabaab.
A livello interno, invece, dalla metà degli anni Ottanta, il nord del paese è sconvolto dalle sanguinose incursioni del Lord’s Resistance Army. Le forme istituzionali e la qualità della democrazia ugandese risentono profondamente della travagliata storia del paese. Fino al 2006, Museveni ha vietato la formazione di partiti politici di opposizione, sostenendo che la competizione tra partiti avrebbe favorito il dilagare delle tensioni etniche. In generale, l’Uganda post-indipendenza è stato caratterizzato da una sequenza di conflitti tra il governo, il nord e il sud del paese, portatori di interessi contrapposti.
Nel 2006, a causa soprattutto della pressione dei donatori internazionali, è stata approvata una nuova legge elettorale, che permetteva di formare partiti di opposizione. La legge e le accuse di corruzione non hanno però fermato il partito di Museveni, il National Resistance Movement (NRM), che, alle elezioni presidenziali e parlamentari del febbraio 2011, si è imposto con il 68% dei voti. Sebbene dal punto di vista costituzionale siano garantite le libertà politiche, di associazione e di espressione, di fatto il paese sembra avviato verso un sostanziale autoritarismo. Quantomeno sembra che il Nrm abbia ormai una posizione dominante nella competizione elettorale ugandese e questo rende quasi impossibile organizzare un’opposizione credibile e concorrenziale. Nel corso del 2013, Kizza Besigye, principale leader dell’opposizione, alla guida del Forum for Democratic Change (Fdc), ha annunciato che non si presenterà alle elezioni del 2016. Si tratta di un gesto di portata storica, ma in realtà l’opposizione non ha né capacità organizzative né sufficiente forza politica per rappresentare una seria minaccia al dominio del Nrm.
La popolazione ugandese è, dopo quella del Niger, la più giovane al mondo: più della metà dei suoi cittadini ha meno di 18 anni. Questa situazione rende necessario un serio sforzo di creazione di posti di lavoro, per evitare che tale ricchezza demografica si trasformi in un elemento di potenziale destabilizzazione interna. Uno dei risultati notevoli dei primi anni dell’amministrazione Museveni è stata la riduzione dei tassi di infezione da HIV in un’epoca, quella degli anni Novanta, in cui molti stati africani faticavano a prendere atto della pandemia. Da una prevalenza della malattia del 18% nel 1992, nel 2000 il governo era riuscito a ottenere un declino fino al 6%, attraverso una campagna di prevenzione basata sull’approccio Abc (dall’inglese ‘Abstinence, be faithful, condom use’), che è stata presentata dal governo ugandese come la più efficace strategia di contrasto all’hiv in Africa. L’Uganda, inoltre, sta ottenendo buoni risultati nella realizzazione degli ‘obiettivi di sviluppo del millennio’, grazie soprattutto alla crescita economica sostenuta degli ultimi due decenni, che ha permesso di ridurre notevolmente il tasso di povertà.
Fino alla scoperta di giacimenti di petrolio nel Lago Alberto, l’Uganda era un’economia agricola, fortemente penalizzata dalla mancanza di uno sbocco sul mare. Le esportazioni erano rappresentate soprattutto da caffè. La grande affluenza di aiuti internazionali negli anni Ottanta e Novanta, attirati anche dall’impegno del governo nella gestione oculata della finanza pubblica, nella lotta alla povertà e nel miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini, ha permesso di ricostruire il tessuto economico e sociale del paese, fortemente provato dagli anni di instabilità post-indipendenza. La scoperta del petrolio – la cui attività di estrazione prenderà pieno ritmo non prima del 2018 – permetterà al paese di fare investimenti nel settore infrastrutturale, anche in termini di raffinazione del greggio. Ciò potrebbe trasformare l’Uganda in un paese esportatore di petrolio anche verso gli stati vicini. Le prospettive come produttore di petrolio stanno spingendo il governo ad assumere posizioni nazionalistiche e pragmatiche, che nel lungo periodo potrebbero anche mutare le relazioni internazionali del paese. Già negli ultimi anni si è registrato un progressivo avvicinamento alla Cina, che si è ritagliata una posizione di primo piano nel settore degli investimenti infrastrutturali.
L’esercito ugandese ha ricoperto un ruolo fondamentale nei principali cambiamenti politici che hanno interessato il paese dall’indipendenza a oggi: tutti i presidenti hanno potuto governare grazie al sostegno delle forze armate. L’Uganda People’s Defence Force (l’esercito ugandese) è composto da 45.000 unità e da 1800 paramilitari. La maggior parte dei soldati proviene dalle fila del National Resistance Army – il movimento di opposizione armata con cui Museveni è arrivato al potere – e da altre formazioni paramilitari. L’esercito mantiene una composizione etnica che privilegia i gruppi di riferimento politico di Museveni (persone che provengono dalle zone meridionali e occidentali del paese). L’esercito ugandese è impegnato con 6700 soldati nella missione di pace dell’Unione Africana in Somalia (Amisom). L’esercito ugandese è fortemente finanziato dagli Stati Uniti, sia per sostenere la campagna contro il Lord’s Resistance Army, sia come contributo all’Amisom. Dalla metà degli anni Novanta, l’Uganda è considerato da Washington un importante alleato dal punto di vista strategico-militare in una zona di grande instabilità e di penetrazione del terrorismo di matrice islamica. Gli investimenti nel settore militare (circa il 2% del pil) vengono presentati dal presidente Musuveni all’opinione pubblica come necessari per combattere il terrorismo islamista e il movimento integralista cristiano di Joseph Kony.
Negli anni Kampala ha acquistato poi un importante ruolo di stabilizzatore nelle principali aree di crisi dell’Africa orientale. Una prova di ciò è l’impegno militare in Sud Sudan – ufficialmente per aiutare il rimpatrio dei suoi connazionali nel paese – al fianco delle truppe regolari del presidente Salva Kiir.
Il nord dell’Uganda, dalla metà degli anni Ottanta, è teatro di sanguinosissime incursioni di un movimento religioso-militare chiamato Lord’s Resistance Army (LRA). Nato tra il 1986 e il 1987 in seguito all’esperienza del movimento di Alice Lakwena e nel quadro delle rivolte degli Acholi (fuggiti verso nord dopo la presa di potere di Museveni), il LRA ha obiettivi politici non ben definiti, tra i quali la creazione di una teocrazia in Uganda, basata sui dieci comandamenti biblici. Il raggio di azione del LRA si è allungato anche verso i confinanti Sud Sudan (il governo sudanese ha finanziato il LRA in funzione anti-SPLM, Sudan People’s Liberation Movement), Repubblica Centrafricana e Repubblica Democratica del Congo. Il suo leader, Joseph Kony, è stato colpito, assieme ad altri quattro luogotenenti, da un mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte penale internazionale nel 2005, per gli innumerevoli atti di ferocia compiuti ai danni della popolazione civile. Ma, nonostante i tentativi fatti dall’esercito ugandese, dagli eserciti dei paesi confinanti, dagli USA e dalle Nazioni Unite, finora non è stato catturato. Anche gli sforzi diplomatici per contenere le uccisioni e le violenze indiscriminate sono falliti. Si stima che il conflitto con il LRA abbia provocato quasi due milioni di rifugiati nel paese e sia costato moltissimo in termini di vite umane (il LRA impiega anche bambini soldato).
Nel mese di ottobre 2013 gli Stati Uniti hanno lanciato un allarme attentati in Uganda, che ha creato uno stato di massima allerta e ha provocato un incremento delle forze di polizia e delle misure di sicurezza. Secondo informazioni raccolte dall’intelligence statunitense, agenti di al-Shabaab potrebbero organizzare a Kampala un attentato simile a quello condotto nel settembre 2013 al centro commerciale di Westgate, a Nairobi, Kenya. Kampala sarebbe nel mirino dell’organizzazione terroristica al-Shabaab, legata ad al-Qaida, per via dell’importante contributo fornito alla missione dell’Unione Africana in Somalia (AMISOM). Già nel 2010 il paese aveva subìto due azioni terroristiche da parte di kamikaze che si fecero esplodere in un rugby club e in un ristorante. Appare dunque sempre più evidente come l’Africa stia emergendo come uno dei nuovi teatri del terrorismo qaidista.