Ugetsu monogatari
(Giappone 1953, I racconti della luna pallida d'agosto, bianco e nero, 97m); regia: Mizoguchi Kenji; produzione: Nagata Masaiki per Daiei; soggetto: da due racconti dell'omonima raccolta di Ueda Akinari e dal racconto Décoré di Guy de Maupassant; sceneggiatura: Kawaguchi Matsutarō, Yoda Yoshikata; fotografia: Miyagawa Kazuo; montaggio: Miyata Mitsuji; scenografia: Itō Kisaku; costumi: Shima Yoshimi; musica: Hayasaka Fumio, Saitō Ichirō.
In un piccolo villaggio, nel Giappone del sedicesimo secolo, vivono due umili coppie di sposi. Genjurō, attratto da una misteriosa donna, Wakasa, e Tobei, perché vuole a tutti costi diventare un samurai, lasciano le loro compagne, Miyagi e O-Hama. Nella fatiscente villa di Wakasa, Genjurō è considerato un artista e le sue terrecotte delle opere d'arte. Poco alla volta, però, l'uomo si rende conto che la sua ospite è in realtà un fantasma, la reincarnazione di una donna ritornata in vita per poter finalmente essere amata da qualcuno. Dal canto suo Tobei trova il cadavere di un generale morto, gli taglia la testa e finge di essere stato lui ad averlo ucciso. Grazie a questa menzogna gli viene assegnato un piccolo esercito. I due uomini decidono entrambi di tornare a casa. Tobei troverà sulla strada la moglie e scoprirà che questa, a causa del suo abbandono, è stata violentata e costretta a prostituirsi. Ancora peggiore la sorte di Miyagi che, dopo la partenza del marito, è stata uccisa da un gruppo di soldati sbandati. In veste di fantasma la donna apparirà al marito, gli consegnerà il figlio e continuerà a guidarlo dall'aldilà, invitandolo a ritornare al suo umile ma onesto mestiere di artigiano.
Ugetsu monogatari è, innanzitutto, un'attenta meditazione sull'arte e il ruolo dell'artista nella società. Mizoguchi Kenji affronta questo tema attraverso la relazione triangolare che coinvolge Genjurō, Miyagi e Wakasa. All'inizio del film, Genjurō non è che un avido artigiano, che cerca di sfruttare la guerra in corso per trarre il maggiore profitto possibile dalla vendita dei suoi manufatti, senza nemmeno curarsi dei pericoli cui vanno incontro, a causa sua, la moglie Miyagi e il figlio. Quando incontra Wakasa si trasforma da artigiano in artista: un artista, però, rinchiuso in una torre d'avorio e prigioniero di un ideale astratto di bellezza. La scomparsa di Wakasa e la morte di Miyagi saranno due dolorose ma necessarie esperienze per Genjurō, grazie alle quali l'uomo supererà le precedenti contraddizioni a favore di un'arte che sarà autentica espressione del proprio sentire e della propria esperienza. Ugetsu monogatari affonda le sue radici nella tradizione del racconto fantastico giapponese, sia rifacendosi a uno dei suoi autori classici, Ueda Akinari, sia attraverso uno stretto rapporto col nō. A questa tradizionale forma di teatro giapponese si rifanno, infatti, il trucco, i gesti e le danze di Wakasa, che inoltre, come accade di frequente per un tipo di personaggio ricorrente nello stesso nō, lo shite, è un fantasma che ha assunto sembianze umane per poter rimediare a un torto subito quando era ancora in vita. Alla dimensione fantastica del film concorrono anche molte altre sue scene, come quella del lago in cui, dietro le sottili nebbie mattutine, la barca di un pescatore è scambiata per una nave fantasma; quella dell'arrivo delle damigelle nella villa di Wakasa, annunciate dalle proprie ombre; quella dell'apparizione finale della morta Miyagi che si materializza quasi dal nulla, nel corso di un lungo e celebrato movimento di macchina, davanti agli occhi di Genjurō.
Sul piano narrativo il film è articolato in tre parti: la prima si chiude con la partenza dei due uomini e la rottura dei rispettivi nuclei familiari; la seconda è segnata da quel gioco di destini rovesciati che caratterizza buona parte dell'opera del regista e in cui l'appagamento, in realtà illusorio, dei desideri degli uomini coincide e determina la sventura delle loro donne; la terza, infine, è quella della ricomposizione delle due famiglie, sul piano fattuale per Tobei e O-Hama, su quello mistico per Genjurō e Miyagi. La condizione di sventura delle due donne è più volte espressa da Mizoguchi attraverso l'uso di angolazioni dall'alto che bene rappresentano, sul piano iconico, l'oppressione di cui sono vittime. Le scene in cui l'una viene violentata e l'altra uccisa si avviano con immagini di ciascuna delle due donne sola in campo, quando, improvvisamente, un gruppo di uomini la raggiunge e la accerchia: attraverso quest'inattesa irruzione del male dal fuori campo, Mizoguchi esprime con efficacia drammatica quel senso di precarietà, pericolo e incertezza che grava sulle sue eroine. Pur se il montaggio ha qui un ruolo più rilevante che in altri film precedenti del regista (basta pensare all'uso marcato del campo e controcampo nella scena in cui Miyagi salva il suo bambino dall'arrivo dei soldati), Ugetsu monogatari contiene comunque efficaci esempi di piano-sequenza e profondità di campo, primo fra tutti quello in cui Miyagi è colpita a morte da un gruppo di soldati: l'agonia della donna, mostrata nell'avampiano dell'inquadratura, è associata all'immagine dei mercenari che, sullo sfondo, si azzuffano fra loro per strapparsi l'un l'altro quel pugno di riso che le hanno portato via a forza. Il film, il più celebrato fra quelli di Mizoguchi in Occidente insieme a Saikaku ichidai onna, ha ottenuto il Leone d'argento alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia del 1953.
Interpreti e personaggi: Tanaka Kinuyo (Miyagi), Mori Masayuki (Genjurō), Kyo Machiko (Wakasa), Ozowa Sakae (Tobei), Mito Mitsuko (O-Hama).
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Sceneggiatura: in Ugetsu: Kenji Mizoguchi, Director, a cura di K. McDonald, New Brunswick 1993.