BETTI, Ugo
Nato a Camerino il 4 febbr. 1892 da Tullio, medico, e da Emilia Mannucci, trascorse l'infanzia e la giovinezza a Parma. Qui si laureò in legge nel 1914 con una tesi di filosofia del diritto, La rivoluzione e il diritto,rivelando, col sostenere la liceità della rivoluzione, di non essere rimasto insensibile alla temperie politica della città emiliana. Allo scoppio della guerra il B., che era stato assertore della necessità dell'intervento, si arruolò volontario come ufficiale di artiglieria di campagna. Venne fatto prigioniero durante la rotta di Caporetto, e in prigionia conobbe scrittori come Gadda e Tecchi, e compose quelle liriche che appariranno con il titolo: Il re pensieroso.
Sono componimenti dove si avvertono gli echi dei crepuscolari, di Corazzini e di Govoni, di Maeterlinck ma anche di D'Annunzio; componimenti in cui, accanto ad immagini estenuate e tutte tese alla ricerca di una visione fanciullesca del mondo, ne compaiono altre baluginanti e fantastiche, ammantate di forme barbariche e decadenti.
Tornato in patria, il B. scrisse, per il concorso di avvocato delle Ferrovie dello Stato, un'opera di carattere giuridico, Considerazioni sulla forza maggiore come limite di responsabilità del vettore ferroviario (Camerino 1920). Contemporaneamente si preparò per il concorso nella magistratura, lo vinse, e nel 1921 fu nominato pretore a Bedonia (Parma). Intanto si faceva conoscere appieno nel mondo delle lettere con la pubblicazione, nel 1922, della raccolta di liriche Il re pensieroso,mentre nel 1925 il suo nome si legava per la prima volta al teatro, quando un suo dramma in tre atti, La padrona (rappr. Roma, 21 genn. 1927, Comp. stabile romana con Melato, Masi, Donadio), vinceva il concorso drarnmatico bandito dalla rivista teatrale Le scimmie e lo specchio.Silvio D'Amico (che faceva parte della giuria) ricorda lo stupore dei giudici di fronte al dramma dell'autore de Ilre pensieroso: "parvedifficile, a prima vista, trovare un rapporto tra l'aerea levità di quelle liriche, e la fosca terrestrità del dramma" (prefazione a U. B., Teatro completo, p. XI).
Nel B. i critici avvertirono subito qualità di autentico scrittore, anche se non poterono fare a meno di rimproverargli, come fece Marco Praga (pp. 235-239), un linguaggio da "monsieur qui s'écoute", o un equivoco oscillare, nell'azione e nell'impianto dei personaggi, fra realismo e simbolismo (R. Simoni, III, pp. 171 s.). Ne La padrona,infatti, ad una trama d'impianto realistico si sovrappone un linguaggio tutto letterario che, malgrado i suoi accenti crudi, tenta di trasportare i personaggi verso significati simbolici ed universali.
Nel 1926 il B. componeva in collaborazione con O. Gibertini La donna sullo scudo (rappr. Roma 1° febbr. 1927, Comp. Pavlova, con scene futuriste della pittrice russa A. Ekster), in cui venivano abbandonate le forme del teatro verista per quelle oscure e affascinanti della leggenda simbolista, e i personaggi si esprimevano in un linguaggio fumoso ed artificiale, quasi sempre incomprensibile.
Il desiderio del B. di dar vita ad un teatro di idee - "una specie di comizio" secondo quanto dichiarava in un'intervista del 1928 (Praga) - si traduceva nell'esigenza del superamento del realismo attraverso la duplice possibilità o del rifiuto o della sua trasformazione dall'intemo. Duplice possibilità di cui troviamo esempi nelle novelle, composte parallelamente alle prime opere teatrali e pubblicate nel 1928 a Milano con il titolo di Caino,in cui, accanto ad echi di Flaubert, Dostoevskij e Tozzi, compare una serie di "favole wildiane".
Una di queste, Il principe Desiderio,fornirà il nucleo per il dramma-balletto L'isola meravigliosa (rappr. Milano, 30 ott. 1930, Comp. Salvini-Donadio-Rissone-Melnati; nel 1941 fu ridotta a libretto per la musica di Renzo Rossellini), un'opera sapientemente costruita come una partitura musicale, in cui non tutto, però, riesce a risolversi in pura armonia, rischiando, certi tratti dei personaggi e certi risvolti dell'azione, di apparire arbitrari.
Accanto a questi tentativi di approdo verso le forme dei teatro simbolista abbiamo, però, quelli ben altrimenti fecondi intesi a dilatare le possibilità espressive del dramma realista.
Ne La casa sull'acqua (rappr. Salsomaggiore, 18 luglio 1929, Comp. benelliana) il B. rappresenterà, in un'aura vagamente ibáeniana, la sua concezione dell'uomo come creatura decaduta, naturalmente attratta verso il male, per la quale unica àncora di salvezza è la pietà.
Tutto ciò per mezzo di notazioni psicologiche frammentarie (brani di confessioni, ricordi improvvisi e apparentemente non giustificati) e la ricerca di particolari tonalità che rischiano di rendere del tutto insignificante l'azione rappresentata, quasi questa non fosse altro che necessaria ma ingombrante impalcatura. Che alla fine del dramma Elli muoia per il crollo del ponticello sulla darsena (come accadeva nella versione pubblicata in Comedia, ag.-sett. 1929) o che venga salvata ed accolta amorosamente da Luca (come nella seconda redazione composta intomo al 1932) non cambia quasi nulla nell'economia del dramma.
Anche in Un albergo sul porto (rappr. Parma, 23 dic. 1933, Comp. Pavlova- Picasso) la storia narrata ha soltanto valore di pretesto: ciò che importa è che un certo numero di personaggi dica la tremenda abiezione cui l'uomo può ridursi, fino a quando, dal fondo dell'abisso, nasca,la scintilla della pietà.
Nel 1930 il B., giudice a Parma, sposava Andreina Frosini. Nello stesso anno il suo dramma-balletto L'isola meravigliosa vinceva il premio Governatore di Roma. Nel 1931 venne trasferito a Roma, e iniziò a collaborare alle riviste di Ojetti Pan e Pegaso;l'anno dopo pubblicò per Mondadori la raccolta di poesie Canzonette-La morte ed iniziò la collaborazione a La Gazzetta del popolo (che si protrarrà a lungo, fino al 1952) con la rubrica "Taccuino".
Questo allargarsi dell'attività del B. ad ambiti ed esperienze più vasti dovette influire non poco a maturare l'evoluzione del suo teatro.
Come ne La padrona,cosìne La casa sull'acqua ed in Un albergo sul porto il B.aveva cercato di adattare la sua originale materia a strutture tradizionali di dramma; ciò loaveva condotto a quegli squilibri fra linguaggio e materia, fra crudo realismo e lirismo, fta sensi apparenti e reconditi, che la critica giustamente gli riniproverava. Se alcuni di questi squilibri saranno riscontrabili quasi lungo tutto l'arco dell'opera bettiana, è certo che in questa sua prima-parte essi apparivano particolarmente gravi, e non di rado precludevano l'intelligibilità dei singoli drammi.
Con Frana allo scalo Nord (composta intorno al 1932; rappr. Roma, 28 nov. 1936, Comp. Palmer-Almirante-Scelzo) il B. sembra approdare a moduli drammatici più aperti. Il tema tipicamente bettiano della Legge che non riesce a farsi Giustizia, e che di questa è costantemente in cerca postulando, in questo suo inappagamento, l'esistenza di una trascendenza, è qui calato in'un'atmosfera liricamente sospesa ottenuta per mezzo della forma (anche questa tipicamente bettiana) del dramma-processo dove i personaggi - che non debbono più agire, ma soltanto confessarsi - trapassano quasi senza sforzo dalla realtà al simbolo, fino afondersi (sia i vivi sia i morti) in un unico coro invocante pietà.
Proprio ciò che fa di Frana allo scalo Nord una delle più felici opere del, B. (e cioè il sapiente e raffinato accordo di elementi diversi tendenti tutti verso un unico piano di astrazione) impedisce al testo di porsi come punto di partenza per nuove soluzioni drammatiche; esso ha invece le caratteristiche di un punto di arrivo, si presenta come la conclusione di un ciclo. Nel 1934, infatti, il B. tentava, con Il Cacciatore d'anitre (rappr. Roma, 24 genn. 1940, Comp. dell'Accademia d'arte dranunatica, regia di O. Costa), di comporre una "tragedia drammatica", e cioè un'opera che abbandonasse l'atmosfera impressionistica di Frana allo scalo Nord per "organizzarsi in uno schema sintattico, tradizionalmente atteggiato,… patinato, quasi di un colore di arcaica rigidità" (Barbetti, pp. 120 e ss.). Il valore allegorico della vicenda rischiava però di vanificare la consistenza dei personaggi i quali si presentano come vaghe ombre di tipi astratti, freddi echi del primo Ibsen.
Intanto il B. aveva pubblicato nel 1933 una raccolta di novelle, Le case,e andava componendo una serie di liriche (pubblicate nel 1937 con il titolo di Uomo e Donna)in cui, in un linguaggio meditato e pieno di mitiche risonan e, veniva tracciata la storia dell'uomo. In campo teatrale, invece, tentava la strada della commedia piacevole e commerciale: fra il 1935 e il 1937 scrisse Una bella domenica di settembre (rappr. Roma, 7 dic. 1937, Comp. Palmer-Almirante), I nostri -sogni (rappr. Parma, 7 nov. 1937, Comp. Tofano-Rissone-De Sica), Il paese delle vacanze (rappr. Milano, 20 febbr. 1942, Comp. Tofano-Rissone-De Sica). A questo filone si riallaccerà, nel 1940, Favola di Natale (rappr. Milano, 16 nov. 1948, Comp. Tofano-Solari).
Si tratta di commedie che, se pur mostrano qua e là, al di sotto della superficie facile e brillante, il segno del pessiniismo, bettiano, certo non aggiungono nulla alla gloria del loro autore. Egli si rifà ai modi della commedia borghese, vezzeggiando quel genere di personaggi che nel 1931 aveva amaramente satireggiato nella felice "farsa tragica" in tre atti Il diluvio,nutrita dei succhi della comicità pirandelliana e non per nulla presentata per la prima volta al pubblico dalla Compagnia De Filippo (rappr, Roma, 28 genn. 1936). Nacquero queste forse dal desiderio dell'autore di offrire una rappresentazione del mondo borghese che fosse Peguivalente teatrale di certe liriche giovanihneúte cattive, ironiche ma in fondo affettuose, di Gozzano e Palazzeschi, o forse il B. tentò di accattivarsi quel pubblico al quale sentiva di appartenere e dal quale non riusciva ad ottenere il consenso. Nel 1939 vinse intanto, con I tre dei Pra' di sopra (da cui trarrà il romanzo La Piera alta,Milano 1948), un concorso per un soggetto cinematografico bandito dalla rivista Cinema,e iniziò la sua collaborazione il mondo del cinematografo che lo porterà a partecipare alla composizione dei soggetti di films come Bengasi (1941, regia di A. Genina) o Quarta pMna (1942, regia di N. Manzari).
Nel 1938, con Notte in casa del ricco,"tragedia moderna in un prologo e tre atti" (rappr. Roma, 15 nov. 1942, Comp. Ricci) il B. tornava, dopo la pausa della commedia commerciale, al tema preferito dell'inestricabile miscuglio di bene e di male che è nel cuore dell'uomo e a quello della pietà come unica forma di giustizia, di solidarietà e di comprensione. Tutto ciò si fa inunagine nel personaggio di Elisa, protagonista de Ilvento notturno (rappr. Milano, 17 ott. 1945, Comp. Cornabucci-Randone-Borboni, regia di O. Costa), disperatamente schiava della miseria dei sensi, ma capace, a volte, in solitudine, di cantare con voce di bambina, segno di una innocenza in qualche modo ancora presente. La rappresentazione di situazioni, limite, di personaggi moralmente tarati, non nasceva nel B. da un interesse per il morboso, ma dall'esigenza di prendere coscienza di tutto il male, palese o segreto, che è nell'uomo per trovare poi una parola di speranza che non fosse il frutto dì colpevoli illusioni; dalla sua persuasione che ogni salita verso il cielo è in realtà una "risalita", dopo che si siascesi nei regni del male, non per contemplarlo ma per conoscerlo. Così in Ispezione (composta intorno al 1942; rappr. Milano, 11 marzo 1947, Comp. Ruggeri-Calindri-Adani) i membri di una famiglia di profughi confessano a due misteriosi ispettori egoismi e tradimenti, debolezze e persino tentativi di omicidio, in una struttura drammatica che non vuole rappresentare dei fatti, ma piuttosto rendere evidenti gli inconsci ed inconfessati impulsi sinistri che si annidano nel fondo degli "uomini normali".
Il porsi della rappresentazione bettiana in una dimensione più profonda rispetto alla realtà di immediata esperienza implica la comparsa di elementi che si aggiungono a lianco dell'azione rappresentata per commentarla, per indicare agli spettatori l'angolo sotto il quale va guardata. Gli ispettori di Ispezione adempivano a questa funzione, così come vi adempirà l'uso del monologo interiore in Marito e moglie (rappr. Roma, 21 nov. 1947, Comp. del Dramma Italiano, regia di G. Guerrieri).
Nel 1944 il B. otteneva la nomina a bibliotecario del ministero di Grazia e Giustizia. Lo stesso anno scriveva Corruzione al Palazzo di Giustizia (rappr. Roma, 7 genn. 1949, Comp. dell'Istituto del Dramma Italiano, regia di O. Spadaro), il suo dramma più famoso in Italia e all'estero, e che gli procurò (già nel 1941 aveva ricevuto il premio dell'Accadetnia ifItalia per il Teatro) il premio dell'Istituto Nazionale del Dramma (1949) ed il Premio Roma (1950)
Corruzione al Palazzo di Giustizia piacque per la tensione, quasi da dramma poliziesco, e per i caratteri dei personaggi: l'astrazione in cui si muovevano gli altri drammi dei B. si ritrova qui soltanto al livello delle singole battute. Sono pregi, questi, che non mancarono di comportare limiti non indifferenti: Cust rischiava di non essere credibile al momento della sua redenzione linale, questa pareva arbitrariamente aggiunta per sfuggire al nero pessimismo che il resto dei dramma. sembrava suggerire. Lo sbocco verso la trascendenza non poteva sorgere senza equivoci dallo svilupparsi di un processo logico realisticamente rappresentato. In mancanza di elementi formali che definiscano'il valore dell'uomo e delle sue azioni in zone più profonde della "realtà" (i morti che ritornano in Frana allo scalo Nord, gli ispettori e la dimensione dell'inconscio in Ispezione,l'atmosfera astratta e liricamente disperata in cui si svolge Il vento notturno), il personaggio bettiano cerca nella morte - vista come immolazione ed iniziazione - la propria definizione al di sopra dell'inestricabile intrecciarsi di male e di bene che condiziona il suo vivere ed il suo agire. 16 questo il destino di Irene in Irene innocente (rappr. Roma, 23 marzo 1950, Comp. Maltagliati-Benassi), di Laura in Spiritismo nell'antica casa (rappr. Roma, 13 apr. 1950, Piccolo Teatro della Città di Roma, con R. Falk e T. Buazzelli, regia di O. Costa), della prostituta Argia, che muore da regina ne La regina e gli insorti (rappr. Roma, 5 genn. 1951, Comp. Pagnani-Cervi. regia di A. Blasetti). In Lotta fino all'alba (rappr. Roma, 22 giugno 1949, Piccolo Teatro della Città di Roma, regia di O. Costa) Elsa giunge ad uccidere il marito per liberarlo dal tormento di invincibili passioni, mentre in Delitto all'isola delle capre (rappr. Roma, 20 ott. 1950, Comp. Randone-Zareschi, regia di C. Pavolini) in un'atmosfera di cupa disperazione tre donne lasciano morire nel fondo di un pozzo l'avventuriero che le aveva sedotte.
La dimensione psicologica che caratterizza questo gruppo di opere coincide con un'incertezza sul piano spirituale: il B. sembra porre soltanto delle domande, indicare timidamente delle possibilità.
Nel 1950 il B. fu nominato consigliere di Corte d'Appello e passò a far parte dell'ufficio stampa della Presidenza del Consiglio. Si riaccostava intanto alla pratica cattolica: specchio di questa evoluzione è il suo teatro, che dal 1950, con Il giocatore (rappr. Roma, 21 apr. 1951, Comp. Gassmann, regia di V. Gassmann), si rifarà alle concezioni del cristianesimo.
Che l'azione scenica si inquadri in una visione ben precisa della trascendenza, non più semplicemente postulata o misteriosamente evocata, implica una profonda trasformazione della struttura del dramma bettiano, pur nella continuità di una certa tematica. La vicenda rappresentata si trasforma inexemplum e, di conseguenza, i personaggi edi luoghi in cui agiscono vengono sottoposti ad un processo di stilizzazione che cerca didar vita ad una sorta di moderno "mistero", anche se tutto ciò, lungi dal realizzarsi completamente, compare per lo più allo stato di tendenza. A conferma di questo carattere, negli ultimi drammi del B. compaiono, col compito di commentarla in parte, personaggio totalmente estranei alla vicenda rappresentata, siano essi il Funzionario o i Tizi de Il giocatore e di Acque Turbate (1951; non rappresentato) o il coro che conclude l'azione de La fuggitiva (1952-1953; rappr. a Venezia, 30 sett. 1953, Festival del Teatro, Comp. Gassmann, regia di Squarzina), nel quale ultimo dramma compare anche, in funzione di antagonista, una sorta di moderno Mefistofele.
Quasi simbolicamente, il penultimo dramma dei B., L'aiuola bruciata, fu rappresentato per la prima volta il 26 sett. 1953 nella chiesa di S. Miniato a Firenze (Comp. del Piccolo Teatro della Città di Roma, regia di O. Costa). Silvio D'Amico scriveva (1955, p. 160): "Ugo Betti rappresentato in chiesa: cosa ne avrebbero detto quei critici i quali, per un buon quarto di secolo hanno accusato il nostro poeta di crudezze repellenti, di torbidi fermenti, di compiacenze immonde, considerandolo come un acre rimestatore di fondi impuri, un insistente descrittore delle meno confessabili bassezze umane ?".
Poco più di tre mesi prima di questa rappresentazione il B. si era spento a Roma, stroncato da un tumore alla gola, il 9 giugno 1953.
A considerare l'intera parabola della sua opera drammatica non si può non scoprire in essa un'intima coerenza che supera l'apparente antinomia fra drammi "disperati" ed altri aperti alla speranza, fra drammi della redenzione e dranuni della dannazione. Anche quando la sua opera sembri sconsolata, "l'intento di B. è di presentarci una situazione, dalla quale scaturiscano delle confessioni…, e come risultato di tutto questo lo spettatore sia portato ad un esame di coscienza, a una ribellione, a una constatazione per una via da seguire e per sapere se questa via c'è" (Fiocco, p. 29).Una tale coerenza, una tale costante attenzione ai problemi inerenti alla dimensione interiore dell'uomo, se hanno dotato l'arte del B. di una profondità non comune, gli hanno anche quasi del tutto impedito, per lo meno per quanto riguarda la sua attività di scrittore, di aprirsi alla comprensione dei drammi che travagliarono la società del suo tempo.
Queste considerazioni, se forse non possono condizionare il giudizio estetico sull'opera del B., possono però far comprendere la ragione per cui i suoi dramnù stentarono, a volte, ad instaurare un discorso pienamente valido con il pubblico. Ad alcuni la problematica del B. sembrò addirittura il frutto di un tentativo di evasione dai problemi posti dalla realtà: a proposito di Frana allo scalo Nord Quasimodo scriveva nel 1951:"La responsabilità di Gauker è precisa e la causa della frana ben determinata. I ragionamenti di B., filosofici o meno, sulla colpa e la sofferenza di tutti gli esseri umani, per giustificare un male individuato, sono funzioni della mente, vago gioco letterario" (cfr. Scritti sul teatro,pp. 143-145);e lo stesso Quasimodo terminava, nello stesso anno, una recensione a La regina e gli insorti con una frase sprezzante ed irridente, certamente ingiusta: e (Argia) muore, con dignità, cioè come dovrebbe morire una regina. Amen" (p. 130).
Se in atteggiamenti come questi va riconosciuta una aprioristica negazione di ciò che nella problematica bettiana vi è di certamente valido, occorre però aggiungere che tale problematica rimane quasi sempre strettamente legata (specialmente nelle forme in cui si manifesta) al periodo fra le due guerre.
Il teatro di Pirandello (segno assoluto di crisi) non poteva porsi come pruino esempio di una tradizione nuova; da esso il teatro specialinente italiano del 1900 trarrà indubbiamente alcuni succhi, alcune esperienze particolari (per esempio con il teatro del grottesco e le commedie, legate ad un ambiente dialettale ma non privedi risvolti fantastici e metafisici, di Eduardo De Filippo), ma non una soluzione globale che tenti di risolvere i problemi della scena del Novecento. Questa verrà ricercata nell'ambito della regia, in Italia con i tentativi di "Teatro teatrale" di Anton Giulio Bragaglia.
Il B., invece, cerca di farci riassistere alla nascita delle prime verità sostanziali, di trovare cioè una soluzione alla crisi del personaggio pirandelliano; soluzione cercata in un cristianesimo di tipo giansenistico ed individualistico e che, sorta faticosamente dallUnterno dell'uomo, stenta a dispiegarsi chiaramente e a fecondare l'intera struttura del dramma. Così "il teatro di B., che non può vivere senza regista, è la disperazione del regista, il quale sa bene che. sul palcoscenico, tutto deve prendere consistenza concreta, ma altresì dev'essere risoluto a gettarsi senz'altro su un ritmo lirico, fantastico che è sempre l'apporto inedito di B." (cfr. E. Ferrieri, Novità di teatro,pp. 172-174).
Per queste vie il B. si pone come massimo esponente di quella corrente del teatro italiano (che trovava in Silvio D'Amico il proprio teorizzatore, e che proseguirà con le opere di Diego Fabbri ed i tentativi registici di Orazio Costa) che non soltanto tende ad un "teatro della parola", ad un teatro di poesia ed introspezione, ma che cerca di ritrovare modernamente nel palcoscenico un luogo di meditazione.
Oltre gli scritt i i citati, si ricordano: Le case (novelle), Milano 1933; Una strana serata (novelle), Milano 1948; Poesie,Bologna 1957; Teatro completo (con prefazioni di S. D'Amico e A. Fiocco), ibid. 1957.
Scritti inediti,a cura di A. Di Pietro, Bari 1964(comprende: Ildiritto e la rivoluzione, La donna sullo scudo, I tre dei Pra' di sopra,la riduzione in versi per musica de L'isola meravigliosa,la novella Quelli del padiglione).
Per la poetica del B. si vedano (oltre all'introduzione a La padrona), Lettera a Lucio Ridenti,in IlDramma,ag.-sett. 1933, e Teatro e Religione,in La Rocca,Assisi, luglio 1953 (ripubblicato in Teatro-Scenario,ottobre 1953).
Principali traduzioni delle opere del B.: Teatro completo,Madrid 1960 (prefazione di G. C. Mora); Teatro (Marido y mujer, Delito en la isla de las cabras, Lucha hasta el alba Corrupción en el palacio de justicia),Buenos Aires 1953; Corruption au Palais de Justice,Roma 1952; L'Ile des chèvres,Paris 1953; Irène innocente,Paris 1954; La reine et les insurgés,Paris 1956; Un beau dimanche de septembre,L'Avant - Scène n. 214, 15 febbr. 1960; Crime on goat island,San Francisco 1961; Three plays on iustice (Landilide, Struggle till dawn, The fugitive),San Francisco 1964; Three plays (The inquiry, Goat Island, The gambler),New, York 1966; Two plays by U. B., Manchester 1965(introduzione di G. H. McWilliam).
Fonti e Bibl.: Si vedano le principali raccolte di cronache drammatiche: M. Praga (Emmepi), Cronache teatrali,1927 (Milano 1928), pp. 109-118; 1928 (Milano 1929), pp. 235-239; R. Simoni, Trent'anni di cronaca drammatica,III,Torino 1955, pp. 37-38, 171-172; IV, ibid. 1958 pp. 478, 584-585; V, ibid. 1960, pp. 49, 94-95: 125-126, 168-169, 198-199; E. Ferrieri, Novità di teatro,Torino 1952, pp. 168-174; S. D'Amico, Palcoscenico dei dopoguerra,Torino 1953, I, pp. 231-234, 307-309; II, pp. 13-17, 73-76, 134-137, 140-143, 184-186, 209-213, 236-239, 287-289, 300-302; Rinascita del Dramma Sacro,San Miniato 1955, pp. 160-161; M. Dursi, Cinque festival di prosa,Bologna 1956, pp. 90-101, 107-110, 242-246, 291-295; S. Quasimodo, Scritti sul teatro,Milano 1961, pp. 129-130, 143-145; E. Possenti, Dieci anni di teatro,Milano 1964, pp. 78-80, 142-144, 197-199; G. Lanza, Teatro dopo la guerra,Milano 1964, pp. 59-68; L. Repaci, Teatro di ogni tempo,Milano 1967, pp. 391, 674, 814, 850, 887.
Tra i molti scritti sul B. rimandiamo a quelli che possono essere di maggiore utilità e a cui occorrerà rifarsi per trovare più ampie notizie bibl.: F. Vegliani, Saggio su U. B.,in Quaderni di Termini,Fiume. n. 2, genn.-febbr. 1937; E. De Michelis, La poesia di U. B.,Firenze s.d. [ma 1937]; A. G. Bragaglia, Replica di A. G. B. al Don Sturzo del teatro italiano,bozze di stampa (pubblicato con qpalche parte mancante in Film del 31 maggio 1941; il testo polemico dei Bragaglia fu messo in circolazione nella sua versione integrale ad opera dello stesso autore. In esso si polemizza con S. D'Amico - il "Don Sturzo del teatro italiano" - e si indica nel B. uno dei suoi protetti); E. Barbetti, Ilteatro di U. B., Firenze 1943; A. Nicoll, World Drama.London 1949, pp. 787-789; N. D'Aloisio,U.B., Roma 1952; E. Betti, Notazioni autobiografiche,Padova 1953 (Emilio è il fratello maggiore dei B. e di lui vengono riportate alcune notizie di interesse biografico); A. Fiocco, U. B.,Roma 1954; L. Portier, U. B., Teatro,in Revue des Etudes italiennes,luglio-dicembre 1955; F. Cologni, U. B.,Bologna 1960; G. Pullini, Cinquant'anni di teatro in Italia,Bologna 1960, pp 56-59, 85-96; A. Fiocco, Teatro universale dai Naturalismo ai giorni nostri,Bologna 1963, pp. 235-244; J. G. Zamora, Historia del teatro contemporaneo,II,Barcelona 1961, pp. XXXV, 260-282; G. Rizzo, Regression-progression in U. B.'s drama,in Tulane Drama Review,vol.8, n. 1, New Orleans 1963; G. Pellecchia, Saggio sul teatro di U. B.,Napoli 1963; U. B.: Testimonianze…,Quaderni Teatro stabile della città di Torino, II, Torino 1965; G. H. Mc William, The minor plays of U. B.,in Italian Studies,XX,Cambridge 1965; A. Di Pietro, L'opera di U. B.,I,Bari 1966, (utile specialmente per le notizie biografiche e il riordinamento cronologico degli scritti).