D'ANDREA, Ugo
Nacque all'Aquila il 14 sett. 1893, da Stefano e Nicoletta Gambescia. Partecipò, ancora studente universitario, alla prima guerra mondiale come sottotenente di fanteria, dopo un breve corso all'Accademia di Modena. Ferito nel 1917, tornò al fronte con il grado di capitano e fu decorato con due medaglie di bronzo e due croci di guerra. Il D. avrebbe rievocato i tre anni trascorsi "con i fanti della brigata Liguria" nel libro I bivacchi della gloria (Milano 1920).
Tornato a Roma nel 1919, si laureò nell'autunno di quell'anno in scienze amministrative ed economiche ed iniziò la propria attività giornalistica collaborando a riviste e a quotidiani di orientamento nazionalista. Dal '20 fu segretario di redazione di Politica, fondata nel '18 da F. Coppola e A. Rocco, sulla quale avrebbe continuato a scrivere anche in seguito; collaborò all'Ideanazionale, finquando, nel '25, si fuse con la Tribuna, e, dal '23 al '24, al quotidiano napoletano diretto da G. Preziosi, Il Mezzogiorno.
Nazionalista dell'anteguerra, il D. s'iscrisse al partito fascista nel 1919: la sua adesione era caratterizzata da quelle motivazioni ideali che furono tipiche degli uomini provenienti dalle fila del nazionalismo e dall'esperienza della prima guerra mondiale: "ho sempre veduto nel fascismo - scriveva nel 1926 (L'Italia di fine secolo e la rivoluzione di ieri, in Critica fascista, 1º apr. 1926, pp. 127-128) - una ideale ripresa del Risorgimento, un allargamento e un potenziamento del concetto dell'Italia da fare; un più grande, in sostanza, Risorgimento che deve portare l'Italia alla sua maggiore potenza, allo Stato nazionale, all'Impero". Il tema del nazionalismo sarebbe stato oggetto di suoi studi futuri: di vari saggi, tra i quali la voce Nazionalismo dell'Enciclopedia italiana (XXIV, Roma 1934, pp. 464 s.), di una biografia di E. Corradini (Corradini e il nazionalismo, Roma-Milano 1927), e di un volume sulle Posizioni ed errori del nazionalismo francese (Roma1928) pubblicato nella collana "Polemiche" di Critica fascista, diretta da G. Bottai e G. Casini.
Fin dalla sua adesione al P. N. F., il D. conobbe G. Bottai, del quale fu uno stretto collaboratore per tutto il ventennio: oltre ad aver diretto, per il breve periodo della loro esistenza, assieme allo stesso Bottai, i Centri di cultura di Critica fascista, fondati a Roma nel 1925, ed aver lavorato nel settimanale Epoca, che Bottai diresse tra il '25 e il '26, il D. fu infatti tra i redattori del quindicinale Critica fascista, come curatore della rubrica di recensioni "Fra libri e riviste d'Italia" e come autore di numerosi articoli di vario argomento: dalla storia d'Italia nel periodo fra la guerra mondiale e l'avvento del fascismo al potere alla storia del nazionalismo, dalla politica estera alla politica culturale in genere.
Tra i suoi articoli che suscitarono polemiche e discussioni, ricordiamo l'editoriale sul discorso di A. Rocco a Perugia del 30 ag. 1925 (Note sul discorso Rocco, in Critica fascista, 15 sett. 1925, pp. 241-242), nel quale il D. sostenne che, se si fosse affermata la concezione che aveva Rocco del fascismo , la rivoluzione si sarebbe trasformata in una "restaurazione" "cara al principe di Metternich", ma che poco avrebbe avuto del fascismo, dal momento che il fascismo era "un profondamento e una estensione della massa nazionale e un vigoroso balzo in avanti nella formazione di una unitaria coscienza nazionale come ripresa e conclusione del Risorgimento", e non poteva quindi "concludersi con una limitazione dei diritti civili e politici dei più". Lo stesso Mussolini si risentì per questo articolo e fece sapere a Bottai, attraverso il capo ufficio stampa della presidenza del Consiglio, G. Capasso Torre, di ritenere l'attacco "altamente inopportuno" e di considerare invece "fondamentale" il discorso di Rocco "anche dal punto di vista del movimento sindacale e della concezione corporativa dello Stato" (Arch. centr. dello Stato, Segr. part. del duce, cart. ris. [1922-43], fasc. 64/R, "Bottai", appunto in data 17 sett. 1925).
Dopo la chiusura di Epoca, nel 1926, il D. entrò nella redazione del quotidiano Il Giornale d'Italia, da quell'anno e fino alla caduta del fascismo diretto da V. Gayda. Fu probabilmente lo stesso Bottai a favorirlo in questo incarico, come si può constatare da una lettera a Mussolini nella quale Bottai, definendo il D. "un interventista del '15", "uno scrittore politico di indubbio valore" che "ha sempre scritto senza nessuna deviazione mai, in riviste e giornali nostri", chiedeva il "provvido intervento" del duce per farlo entrare nella nuova redazione del quotidiano romano (Arch. centr. dello Stato, Segret. part. del duce, cart. ord., n. 511.577, lettera datata 13 febbr. 1926).
Il D., che tuttavia non aveva "grande opinione delle doti giornalistiche del Gayda" e riteneva "addirittura pessima l'amministrazione" del quotidiano (Ibid., Divisione polizia politica, fasc. personali, b- 383, appunto in data 13 sett. 1935), rimase al Giornale d'Italia, come redattore per la politica estera, fino al 1936. Dopo essere stato, nello stesso anno, corrispondente dell'Agenzia Stefani da Parigi, entrò nella redazione del quotidiano romano Il Lavorofascista, diretto da A. De Marsanich, G. Casini e L. Fontanelli, dove rimase fino al '43, e per il quale fu, tra l'altro, inviato al seguito del ministro G. Ciano in alcuni suoi viaggi del '39 (in Spagna, a Budapest, Belgrado e Varsavia). Dei suoi rapporti con Ciano e della politica estera italiana alla vigilia della seconda guerra mondiale, il D. avrebbe scritto nel volume Come fummocondotti alla catastrofe (Roma 1945), uscito con lo pseudonimo Filippo Giolli.
Nel 1936, infine, il D. cominciò a lavorare all'Eiar nella redazione del Giornale radio. In particolare, fu tra i redattori, assieme a Bottai, Gayda, E. M. Gray, N. Quilici, A. Valori, tra gli altri, che dopo la morte di R. Forges Davanzati, avvenuta nel '36, presero il suo posto nelle "Cronache del regime". E successivamente, quando le "Cronache" furono, nel '38, sostituite dai "Commenti ai fatti del giorno", e affidati ad E. Amicucci (del quale il D. era stato un collaboratore già in passato, avendo svolto dei corsi alla Scuola di giornalismo da lui diretta), fu tra i curatori di questa rubrica per le note di carattere politico, assieme a C. Scarfoglio e C. Picchio.
Nel corso del ventennio, il D. collaborò ad altri quotidiani e periodici, come La Stampa, la Nuova Antologia, L'Italia vivente, Il Mediterraneo, Il Nuovo Occidente, Politica sociale, Rassegna corporativa, Il Secolo fascista, Storia e politica internazionale, Vita nova, Carattere.
Il D. inoltre scrisse sulla rivista dell'Istituto nazionale fascista di cultura, Educazione fascista, divenuta nel '34 Civiltà fascista. In merito ai suoi rapporti con l'Istituto e con G. Gentile, ricordiamo che fu tra i firmatari del "Manifesto degli intellettuali fascisti", nonché tra i membri dell'Ufficio di presidenza del convegno bolognese del 1925; inoltre, come fiduciario nazionale dei Centri di cultura corporativa, svolse la relazione "La cultura corporativa negli Istituti fascisti di cultura" al II congresso degli istituti, che si svolse a Roma nel novembre del '31. Il tema del corporativismo fu infatti un altro degli argomenti al centro della sua attività politica e pubblicistica: intervenne, tra l'altro, al convegno corporativo di Ferrara del maggio 1932, in modo assai polemico, accusando U. Spirito di aver "tradito la vera essenza del fascismo" e proponendo un pellegrinaggio alla lapide dei martiri fascisti per lavare la vergogna di quanto s'era detto in quella occasione. Così come polemizzò con i giovani scrittori della rivista Il Cantiere per le loro prese di posizione sul corporativismo, a suo avviso sfocianti nel bolscevismo.
Il D. infatti si interessò spesso delle posizioni giovanili, dell'atteggiamento politico dei giovani e della loro funzione nella rivoluzione fascista, e in particolar modo del rapporto tra "le giovani leve delle Avanguardie" e la "generazione dei padri", "quella dell'Intervento e della guerra la quale ha oggi il governo dello Stato": come scrisse nella risposta all'Inchiesta sulla nuova generazione promossa dalla rivista Il Saggiatore (maggio 1932, pp.123 s.), egli riteneva che tra queste due generazioni non vi fosse né "contrasto", né "distacco deciso e decisivo", come era stato in passato, anche se riscontrava tra i giovani "alcune volte, un disordine radicale e profondo". Fu tuttavia tra i sostenitori di alcune attività e manifestazioni giovanili, come i Littoriali della cultura e dell'arte, ritenendo necessario, proprio al fine della "continuità dello spirito della Rivoluzione dall'una generazione all'altra", dar "modo ai giovani di esprimere il loro pensiero e l'animo loro" (I Littoriali della cultura e dell'arte, in Critica fascista, 15 maggio 1935, pp. 277-279). Oltre ad aver seguito le varie edizioni di questa manifestazione, il D. fu tra i membri della commissione giudicatrice al convegno di Composizione poetica e narrativa dei Littoriali del '38.
Tra gli studi da lui compiuti durante il ventennio ricordiamo infine il volume Le alternative di Stalin (Milano 1932), pubblicato nella collana "Biblioteca di cultura politica" dell'Istituto fascista di cultura, con il quale vinse nel '32 il premio dell'Accademia d'Italia, e che fu frutto di un viaggio in Unione Sovietica compiuto nel settembre-ottobre 1930; e il volume Mussolini motore del secolo (Milano 1936) con il quale vinse nel '37 il premio dell'Accademia d'Italia e il premio Cervia. Egli avrebbe dovuto inoltre scrivere, nel 1 43, su incarico di L. Federzoni, una "Vita" di Mussolini, ma fu lo stesso Mussolini a bloccare l'iniziativa data la presenza di "troppe biografie", come scrisse di suo pugno in un appunto per il proprio segretario (Arch. centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, cart. ord., fasc. cit., appunto del gennaio 1943).
Nel suo libro Il lungo viaggio attraverso il fascismo (Milano 1962,p. 422) R.Zangrandi annoverava il D. tra quanti, per la loro attività giornalistica, "diedero al regime, sul piano della propaganda spicciola ma di massa" un apporto "enorme, impagabile" e grazie ai quali "milioni di piccolo borghesi continuarono a rimanervi legati, anche quando qualche principio di ragionevolezza li avrebbe indotti a diffidare" e "migliaia di giovani e giovanissimi ... si immolarono con così sconcertante entusiasmo".
Nel secondo dopoguerra non diede ragioni, non tanto della sua adesione iniziale, quanto di questo "apporto" nell'apparato di consenso del regime: continuando la propria attività di pubblicista, cui s'aggiunse anche quella parlamentare e di consigliere comunale, ribaltò invece il proprio giudizio che prima del 1943 aveva espresso pubblicamente e più volte in modo positivo. Significative sono in proposito, come testimonianza del suo pensiero politico, le parole di chiusura alla nota introduttiva del Diario di G. Ciano nell'edizione da lui curata (Milano 1946, p. XIII): questo libro, scriveva, è "il libro della nostra decadenza di Nazione; il libro in cui si dimostra come la tirannia avvilisca, deformi e corrompa il costume e la dignità di un popolo e apra le porte alle invasioni straniere. Ora occorre rieducarsi all'amore della libertà e dell'indipendenza. Occorre ritessere la trama lacerata del Risorgimento ... Anche gli italiani di oggi, per riguadagnare la libertà, devono imporsi di non servire a nessuna cosa, a nessuna necessità, a nessuna circostanza per vincere l'avverso destino e costringerlo alla giustizia verso l'Italia".
Così l'obiettivo polemico della sua attività politica e pubblicistica sarebbero stati anzitutto l'U.R.S.S. e il comunismo, il cui progresso era dovuto - come scrisse dieci anni dopo (La rivoluzione moderna si chiama America, Bologna 1956, p. XIV) -all'"iniziativa del ricorso alla forza da parte tedesca e della guerra delle democrazie occidentali contro la Germania": se questa iniziativa non vi fosse stata, sosteneva, "il fascismo e il nazismo avrebbero realizzato per loro conto molta parte della rivoluzione sociale voluta dal socialismo". Ora invece, nel '56, "l'avvenireappartiene all'America e il modo di vita americano è destinato a dilatarsi oltre le frontiere degli Stati Uniti" (ibid., p. XXVI): "larivoluzione moderna, per noi, - così il suo giudizio- ha il suo modello in America" (ibid., p. 102).
Libero docente in scienze politiche, nel dopoguerra il D. proseguì la propria attività giornalistica soprattutto come redattore ed editorialista di politica estera nel quotidiano romano, fondato nel '44 da R. Angiolillo, Il Tempo, ove rimase fino al '70, e al quale cominciò a collaborare con lo pseudonimo Filippo Giolli.
Come uomo politico, oltre ad esser stato consigliere nazionale dell'Unione monarchica italiana, fu eletto nel '53 consigliere comunale del Partito liberale italiano a Roma e ricoprì questa carica fino al '67. Fu assessore all'urbanistica dal '55 al '61 nelle giunte centriste dei sindaci U. Tupini prima e U. Cioccetti poi.
Durante il suo assessorato fu approvato, nel giugno 1959, il piano regolatore elaborato dalla Giunta comunale e dall'Ufficio speciale per il nuovo piano regolatore dopo l'affossamento del piano elaborato nel '57 da un comitato di tecnici (del quale aveva fatto parte lo stesso D.), che pur non essendo "un piano perfetto" - come ha scritto I. Insolera (Roma moderna, Torino 1962, p. 224) - era per lo meno "il frutto di decisioni e di scelte responsabili che avrebbero permesso di togliere al caso il compito e l'onere di fare questa nuova città di tre milioni di abitanti". L'altro episodio di cui fu responsabile il D., fu la costruzione dell'albergo Cavalieri Hilton a Monte Mario: egli infatti, nel '58, ripresentò in Consiglio comunale il progetto, già accantonato due anni prima in seguito a violente polemiche e una campagna di stampa. Nel novembre '58 il Consiglio comunale approvò invece la costruzione del gigantesco albergo in una zona destinata al verde pubblico.
Per quanto riguarda il problema del verde pubblico e in generale l'attività dell'assessore D., così A. Cederna (Mirabilia urbis, Torino 1965, p. 295) ha riassunto il suo "contributo all'opera metodica di smantellamento del patrimonio naturale di Roma": "Abbiamo avuto la spartizione di Villa Strolh-Fern, l'ultimo depredamento di Valle Giulia (con l'autorizzazione a costruire istituti stranieri), l'abbandono e la rovina di Villa Leopardi e la lottizzazione di Villa Anziani sulla Nomentana, la lottizzazione di Villa Stuart a Monte Mario, l'approvazione dell'Albergo Hilton in una zona destinata a parco e a piazzale panoramico, la scandalosa sanatoria dell'eliminazione della Villa ex Maraini a vantaggio dell'illegale tempio canadese, la proposta di smembramento della villa dell'ambasciata britannica a Porta Pia, e infine, massime fra tutte le porcherie approvate dalla maggioranza capitolina, la lottizzazione di Villa Chigi".
Nelle elezioni dell'aprile '63 il D. fu eletto senatore per il Partito liberale nel secondo collegio di Roma, e, nello stesso collegio, rieletto alle elezioni del maggio '68. Fu membro della commissione esteri del Senato e componente del comitato direttivo del gruppo parlamentare liberale.
Per motivi di salute, rifiutò nel ' 72 la nuova candidatura al Senato offertagli dal Partito liberale italiano e si ritirò a vita privata. Morì a Roma l'11 aprile 1979.
Oltre agli scritti citati, vanno ricordati le opere seguenti: Giugno 1940, Roma 1940; Il volto della guerra, Torino 1949; La fine del Regno. Grandezza e decadenza di Vittorio Emanuele III, Torino 1951; Uno Stato senza bussola. 1945-1965: vent'anni di politica estera, Milano 1965; Il Mediterraneo si chiude, Roma 1967.
Fonti e Bibl.: Necr., B. Zincone, È morto U. D.,in Il Tempo, 13 apr. 1979; Roma, Arch. centr. dello Stato, Divis. polizia politica, fasc. pers., b. 383; Segreteria partic. del duce, Carteggio ordinario, n. 511.557; Ministero della Cultura popolare, b. 530, fasc. 16; F. Formigari, La letter. di guerra in Italia. 1915-1935, Roma 1935, p. 50; G. S. Spinetti, Difesa di una generazione, Roma 1948, pp. 184, 187, 194, 204, 214, 220, 226, 230, 232, 238, 239, 249, 250, 255, 263, 267, 271; Y. De Begnac, Palazzo Venezia. Storia di un regime, Roma 1950, pp. 458, 620; U. Renda-P. Operti, Diz. storico della letter. ital., Torino s. d. (1952), pp. 351 s.; R. Zangrandi, Illungo viaggio attraverso il fascismo. Contributo alla storia di una generazione, Milano 1962, pp. 383, 396, 422, 436, 462; I. Insolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica, Torino 1962, pp. 211 e n., 221 n., 276; A. Cederna, Mirabilia urbis. Cronache romane 1957-1965, Torino 1965, pp. 13, 28, 33-35, 38, 42-46, 48, 49, 73, 86, 117, 195, 234, 243, 258, 260, 267-268, 270, 278-279, 285-286, 292-296, 302, 485; La stampa nazionalista, a cura di F. Gaeta, Bologna 1965, pp. XXXIII, LXXXIX,481, 489, 518, 521; R. De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere, Torino 1966, p. 410; II, L'organizz. dello Stato fascista, Torino 1968, pp. 166, 167 n.; Id., Mussolini il duce, I, Gli anni del consenso 1929-1936, Torino 1974, pp. 10, 105 n.; A. Signoretti, "La Stampa" in camicia nera 1932-1942, Roma 1968, pp. 86, 157, 162; L. Mangoni, L'interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Roma-Bari 1974, pp. 186, 285, 287, 294; E. R. Papa, Fascismo e cultura, Venezia 1974, pp. 10, 159, 233, 234; G. B. Guerri, G. Bottai, un fascista critico, Milano 1976, pp. 90 n., 116, 171 n.; Id., G. Ciano, una vita 1903-1944. Milano 1979, pp. 97, 314 n., 356 n., 358 n., 407, 471 n.; A. J. De Grand, Bottai e la cultura fascista, Roma-Bari 1978, pp. 62 n., 74, 96 n., 140 n., 142 n.; A. Monticone, Il fascismo al microfono. Radio e politica in Italia (1924-1945), Roma 1978, pp. 253, 425; A. Papa, Storia politica della radio in Italia, Napoli 1978, II, pp. 30, 89; F. Gaeta, Il nazionalismo italiano, Roma-Bari 1981, pp. 65, 249, 258, 262, 296.