DELLA SETA, Ugo
Nacque a Roma, il 18 luglio 1879, da genitori ebrei, Mosè e Palmira Piazza. Si laureò in giurisprudenza, nel 1901, a Napoli, dove fu allievo di Giovanni Bovio. Del maestro condivise l'ideale repubblicano, ammirò e ritenne le austere doti di carattere e fece propria la visuale evolutiva dalla natura alla storia poiché questo è il tratto differenziale dell'evoluzionismo di Bovio dal comune evoluzionismo positivistico. Prese invece le distanze dal naturalismo matematico del filosofo di Trani e gradualmente si orientò verso una piena riscoperta del mazzinianesimo, con al centro i valori morali e religiosi.
Si dedicò presto all'attività pubblicistica nella stampa democratico-repubblicana e, con temi anche letterari, su periodici di varia cultura. Scrisse nella Rivista popolare di N. Colajanni, nel quotidiano La Ragione (1907-12), nel settimanale L'Iniziativa (1912-21), nel quotidiano La Voce repubblicqna (1921-26 e quindi alla ripresa dopo il fascismo) ed anche nell'organo del minore ed intransigente partito mazziniano, La Terza Italia. Affiancò A. De Gubernatis nell'organizzazione della Società internazionale elleno-latina, della cui rivista Cronache della civiltà elleno-latina, pubblicata in Roma dal 1902 al 1907, fu dal 1904 redattore capo; e collaborò a La Nuova Parola (Roma, 1902-08), di Arnaldo Cervesato, espressione di una temperie di risveglio, tra idealistica e spiritualistica, all'alba del Novecento.
In entrambi i periodici si occupò prevalentemente di autori stranieri. Vicino, nel fervore spirituale, pur da posizioni differenti, a gruppi evangelici, insegnò nelle scuole metodiste e pubblicò libri con la casa editrice di questa denominazione. Collaborò al mensile della scuola teologica battista Bilychnis, che nell'immagine della lucerna a due lampade auspicava il connubio tra fede e scienza: vi scrisse, per es., l'articolo La visione morale della vita in Leonardo da Vinci (t. XIV [1919], pp. 82-94, 216-228).
La sua libera religiosità si espresse anche nel mensile La Riforma laica, uscito a Roma nel 1910 col motto "Libere fedi nello Stato sovrano", e nella rivista teosofica Ultra (pure di Roma, dal 1907 al 1930), e si congiunse alla milizia nella massoneria, di cui sarà nel 1946 gran maestro aggiunto e dal 1950 gran maestro onorario a vita. Collaborò così a L'Idea democratica, un settimanale massonico rivolto al mondo esterno, pubblicato nella capitale dal 1913 al '19.
Del pensiero mazziniano cominciò ad indagare l'aspetto giuridico, particolarmente penalistico, nel saggio La filosofia penale di Giuseppe Mazzini (Roma 1903, con lettera di Bovio); nell'ambito degli studi condotti in occasione del centenario della nascita del Mazzini pubblicò a Roma, nel 1910, il volume Giuseppe Mazzini pensatore. Le idee madri.
L'opera, presentata per il conseguimento della libera docenza in storia della filosofia, non fu ritenuta adeguata, per mancanza, nell'autore prescelto, di originalità e consistenza speculative; ha nondimeno un rilievo, nella specifica produzione su Mazzini, proprio per la ricostruzione ed interpretazione del suo pensiero, in relazione alla filosofia. Vi si ravvisa la centralità del fattore religioso, e più precisamente nella rappresentazione evolutiva delle religioni positive, quali anelli nello sviluppo storico dell'universale essenza religiosa. Lo spirito umano si apre progressivamente all'assoluto ontologico, con parallela crescita gnoseologica e morale, data la connessione dei gradi di conoscenza e degli stati di coscienza ai livelli di maturazione nel rapporto con l'assoluto, che presiede e pervade la realtà.
Di qui un'interpretazione nel complesso razionalistica del pensiero mazziniano, fondato sulla conoscibilità dell'essere e sul principio di causalità, che si integra e si approfondisce col principio di finalità. In una luce insieme spinoziana e kantiana, il volontarismo di Mazzini si configura come slancio dell'inserimento umano nella globale trama dell'ordine universale, che implica la dinamica tensione ai fini.
Se, per un lato, il pensiero mazziniano tende alla dimensione ultraterrena, è però scevro di mitiche figurazioni ed il suo anelito si coniuga con la cognizione della razionale necessità, ottimisticamente assunta a legge e garanzia di progresso. Esso non contrasta dunque con la moderna mentalità scientifica, purché questa si sollevi dalla positivistica riduzione ai frammentari dati di fatto. La correlazione dei fenomeni nell'ordine causale e nel finalistico divenire porta ad una concezione dell'universo unificato da un'intelligenza spirituale, che abbraccia ed ordina la stessa materia. Il D. la definisce come un monismo di tendenza spiritualistica, lasciando aperta l'ipotesi di un'interpretazione elevatamente panteistica.
Alla libera docenza in storia della filosofia il D., avvocato e docente nei licei, fu abilitato nel 1912, con la presentazione dello studio La dottrina del sillogismo e le obbiezioni cui fu fatta segno, a cominciare dagli scettici antichi fino ai logici moderni, specialmente inglesi (Roma 1912).
Della sillogistica il lavoro indica i precedenti prearistotelici, mentre di Aristotele richiama la preliminare e complementare componente induttivo sperimentale, quale permanente risposta alle obiezioni mosse dal punto di vista empiristico. Rileva, per altro verso, le critiche di parte razionalistica, per lo più rivolte agli abusi del procedimento.
La funzione essenziale del termine medio, quale perno del sillogismo nell'ambito della logica, è posta in analogia col cardine del giusto mezzo nell'etica aristotelica. Questo studio, di impostazione specialistica, rimase fuori del suo principale percorso. Alla storia della filosofia assegnò infatti una larga funzione formativa, di educazione alla globalità dell'intelletto e del sapere (Il valore pedagogico della storia della filosofia, in Rivista pedagogica, XII [1919], pp. 254-264), e soprattutto s'impegnò nella congeniale problematica morale, con attitudine non solo di storico delle dottrine, ma di teorico e maestro di vita etica.
Nel volume I valori morali. Parole ai giovani (Roma 1908) definiva la morale una "forza cosmogonica, che unisce senza fondere e distingue senza dividere". Ampliò ancora il discorso nell'opera in due volumi Filosofia morale. Lineamenti di un corso di lezioni (ibid. 1917).
Se, per l'oggetto, la filosofia morale riguarda l'azione ed il comportamento, il D., contro l'unilaterale pragmatismo, ne rivendica la natura e dignità teoretica, in quanto riflessione e metodo di pensiero, che si collocano a livello più alto ed universale rispetto alla precettistica morale ed alle sollecitazioni attivistiche. Tornando sulla relazione tra l'uomo e il cosmo, ne considera le modifiche recate dalla moderna dilatazione degli orizzonti, per effetto del progresso scientifico: la coscienza deve vincere le sensazioni di smarrimento e deve sentirsi maggiormente investita di responsabilità nell'ingrandito scenario. La libertà umana si accorda col riconoscimento della necessità, se rinuncia ad intendersi come arbitraria facoltà di deroga dalle leggi e se invece si fonda come un autonomo potere che coopera nel quadro della legislazione universale.
La prevedibilità delle decisioni e degli atteggiamenti, considerata da altre filosofie come prova di obbligante determinismo o di mancanza di inventiva e mobilità, può invece denotare un'orientazione coerente, propria di una volontà costante, che si pone come metodica sorgente di causalità in armonia con l'ordine universale. Così la regolarità dell'abitudine, nella soddisfazione del dovere, collega lo spirito alla natura, innestando la disciplina dell'uno sui ritmi dell'altra. In alternanza colla decisione positiva, lo spirito può atteggiarsi a "volontà" quando prema opporsi a disordinati impulsi o ad ingiuste richieste. Il secondo volume, meno sistematico, affronta temi di attualità scaturiti dalla guerra mondiale, mettendo in guardia dall'imperialismo e dagli eccessi della lotta di classe.
Sulla facoltà dell'intuizione, che Salvemini gli rimprovererà di non aver colto con chiarezza in Mazzini, il D. si confrontò con la filosofia di Bergson, riscontrandovi una unilaterale tendenza irrazionalistica e vedendo al fondo dell'intuizione stessa un potere meno sintetico e più analitico di quanto sembrasse, perché centrata, di volta in volta, sull'individuale: L'intuizione nella filosofia di Enrico Bergson, Roma 1912.
Impegnato, per lo più sul piano culturale, nel partito repubblicano, tenne, con Carlo Cantimori, la relazione sui problemi dell'istruzione al XV congresso nazionale (Trieste 1922): vi sostenne la libertà dell'iniziativa privata nell'insegnamento, purché con controlli statali. Nel suo idealistico e legalitario repubblicanesimo (civilmente formulato in L'educazione politica, lettura tenuta in Genova 24 aprile 1919) reagì all'equiparazione propagandistica delle Sinistre come sovvertitrici dell'ordine e negatrici dei valori religiosi e patriottici: nella raccolta di discorsi La democrazia (Roma 1925) rivendicava l'intensa eredità risorgimentale e nella conferenza Giovanni Bovio (Napoli 1926) evidenziava le rapide metamorfosi di uomini approdati al fascismo da vari ribellismi.
Per le traversie sotto la dittatura e le conseguenze nella carriera universitaria, con riferimenti ad incarichi svolti, v. G. Limiti, U. D. 18 luglio 1879-25 maggio 1958, in I Problemi della pedagogia, IV(1958), pp. 597-600.
Nel volumetto I valori eterni (Milano 1933), insieme con vari elementi della cultura e del costume contemporanei, criticò salienti aspetti del regime: in particolare, i modi autoritari della restaurazione religiosa nel clima concordatario, un punto focale su cui si concentrò il suo dissenso.
Condividendo il principio dello Stato etico e la rilevanza dei sentimenti religiosi per la comunità nazionale, ne rifiutava l'univoca accezione cattolica, appuntando le critiche in materia d'insegnamento, sulle restrizioni a carico degli ex sacerdoti e sulle disparità di trattamento per le minoranze religiose, i cui organi direttivi serbavano peraltro un prudente contegno, paghi di conservare uno spazio di legittimità e tolleranza con garanzie fornite dal regime mediante speciali intese.
Prima ancora che fosse formalmente approvato il nuovo codice penale, disposto dal guardasigilli A. Rocco, mosse contro il criterio delle diverse sanzioni penali per il vilipendio della religione, non essendovi comminata pena ove fosse commesso ai danni dei culti ammessi ed essendo prevista per offese a loro persone e cose una pena minore di quella che tutelava la confessione di Stato: Il sentimento religioso e la legge penale, in Bilychnis, t. XXXIV (1930), pp. 253-265.
Appena il codice entrò in vigore, sviluppò l'argomento nel volume Le minoranze religiose nel nuovo codice penale (Roma 1931), non solo con la critica della normativa sui reati contro la religione (titolo IV, capo I, artt. 402-406), ma con riferimento alla parte della relazione del ministro in cui si definiva la nazione come "unità etnica, legata da vincoli di razza", oltre che religiosi e culturali. Cogliendo il prodromo della futura legislazione razziale, chiedeva al governo fascista una risposta non ambigua alle apprensioni che la definizione poteva suscitare tra gli israeliti e in altri gruppi di diversa origine etnica.
Nel più ampio volume La legge fondamentale sui culti ammessi (valutazione etica), pubblicato a Modena nel '37, estendeva la contestazione alla confessionalità dell'insegnamento ed alla condizione degli ex sacerdoti cattolici.
Il D. tornò, con la Liberazione, alla vita politica, nel Partito d'azione, che rappresentò in un comitato per lo studio delle autonomie regionali. Rientrato, dall'esperienza azionista, nel Partito repubblicano, sostenne all'inizio del '46, ne La Voce repubblicana una polemica con L'Osservatore romano sull'obbligo del voto, cui era contrario.
Con la lista repubblicana, fu eletto, nel '46, consigliere comunale di Roma e deputato all'Assemblea costituente, dove riprese l'opposizione al concordato e l'istanza di parità tra i culti. Nella discussione dell'art. 5, poi divenuto il 7, della costituzione, propose una formula di indipendenza e sovranità, ciascuno nel proprio ordine, dello Stato e delle singole Chiese, con possibilità di mantenere le norme dei patti lateranensi non in contrasto con la carta italiana. Persa la battaglia, s'impegnò per contenere le conseguenze dell'inserimento dei patti nella costituzione, intervenendo sugli altri articoli di materia religiosa.
Tra le diverse questioni, su cui si pronunciò alla Costituente, si segnalano i diritti di riunione ed associazione, il diritto al lavoro e la disciplina giuridica dello sciopero, la giuria popolare e la pluralità delle corti di cassazione.
Candidato repubblicano, fu eletto, nel 1948, per la prima legislatura della Repubblica, deputato nel collegio laziale e senatore a Roma, optando per il Senato; ma dissentì dal partito sull'alleanza, centrista e in politica estera. Il contrasto, contenuto al XX congresso, del gennaio '48, in Napoli, si acuì per la sua opposizione al Patto atlantico (discorso in Senato del 27 marzo '49) fino alla rottura e all'uscita dal gruppo parlamentare repubblicano. Avvicinatosi allo schieramento socialcomunista come senatore indipendente, aderì nel '52 alla Lista cittadina, che raccolse, per le elezioni amministrative romane, le forze di estrema sinistra ed elementi indipendenti, intorno a F. S. Nitti. Nel 1953 fu eletto deputato, nel collegio del Lazio, come indipendente nella lista del Partito socialista italiano.
Membro della commissione per la Pubblica Istruzione nelle tre assemblee (Costituente, Camera dei deputati e Senato), chiese, tra l'altro, che si definisse la disciplina giuridica delle scuole private. Il 6 dic. 1950 intervenne in Senato sulla giuria popolare, pronunciandosi per l'ammissione degli avvocati e delle donne tra i giurati. Nel '52 fu relatore di minoranza, in Senato, del disegno di legge sull'esame di Stato. Alla Camera dei deputati, il 20 ott. '53, criticò l'impostazione confessionale dei libri di testo, mentre su vari problemi delle scuole secondarie e dell'università si soffermò nelle sedute del 16 luglio '56 e del 16 ott. '57.
Simpatie, in politica estera, per il blocco comunista, emergono nel discorso di chiusura al convegno Scienza e cultura nell'URSS (Firenze 24-25 novembre 1950), Roma 1950, pp. 285 s., nella presidenza dell'Associazione italo-polacca, nel discorso in Senato del 12 genn. '51 sulla guerra di Corea. Gli stava nel contempo a cuore il nascente Stato d'Israele (intervento in Senato del 15 ott. '48), nel quadro di una crescente identificazione con l'ebraismo, di cui si ha un segno nelle epigrafi dettate, sulla facciata della sinagoga di Roma, per i deportati e i martiri delle Ardeatine. Una lapide gli è stata, a sua volta, dedicata nell'aula magna della scuola israelitica "Vittorio Polacco".
Fu vicepresidente della commissione di Stato per l'edizione delle opere di Mazzini, nominata con decreto del 5 maggio 1948.
Il D. morì a Roma il 25 maggio 1958.
Altri scritti: G. Modena. Commemorazione tenuta nella sede della Società elleno-latina a Roma il 12 genn. 1903, Roma 1903; Il pensiero religioso di G. Mazzini, Firenze 1912; L'etica di Vladimiro Soloviev (prolusione), s.l. 1914; Morale, diritto e politica internazionale nella mente di G. Mazzini, Roma 1915; Giuseppe Mazzini e la nuova Russia, in Rass. stor. del Risorgimento, IV(1917), pp. 307-13; Mazzini. Commemorazione tenuta nel teatro Argentina in Roma il 10 marzo 1918, Roma 1918; Il filosofo e la vita pubblica, ibid. 1918; Introduzione a G. Bovio, Il secolo, nuovo, ibid. 1923, pp. XVII-XXXII; Giorgio Washington (1732-1932), Roma 1932; La Costituente. Discorso tenuto in Roma il 22 ott. 1944, ibid. 1944; Giorgio Washington, il cavaliere armato e illibato della democrazia, ibid. 1945; Dovere, non obbligatorietà del voto, Illogicità del voto obbligatorio, Ultime battute sul voto obbligatorio, in La Voce repubblicana del 1º, 13, 22 genn. 1946; Per l'insegnamento delle scienze politiche, ibid., 3 febbr. 1946; Estetica della costituzione, ibid., 20 febbr. 1947; Fantasie scissionistiche, ibid., 22 genn. 1948; Ai repubblicani d'Italia, in Il Paese, 10 marzo 1952; Le fosse Ardeatine, ibid., 23 marzo 1952, XX settembre. Discorso pronunciato in Roma a Porta Pia..., Roma 1952; La responsabilità del docente nella formazione spirituale del discente, in Il Convegno nazionale massonico dei professori universitari, Roma 1954, pp. 47-68; Testimonianza italiana di fraternità umana durante le persecuzioni razziali. Discorso pronunciato in Campidoglio il 14 dic. 1956..., in La Rassegna mensile di Israel, XXIII (1957),pp.3-10; Antimazzinianesimo di G. Mazzini, a cura di C. Carbonara, Napoli 1962.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero Pubblica Istruzione, Professori universitari, Fascicoli personali, busta 112; Pisa, Archivio della Domus Mazziniana, G, II, 12/1-2; Atti dell'Assemblea costituente, ad Indicem; Atti parlamentari, Senato, Ilegislatura, ad Indicem; Ibid., Camera dei deputati, IIlegislatura, Discussioni e commissioni permanenti, ad Indices; Ibid., III legislatura, I, pp. 359-62 (commemorazione, 17 luglio 1958); Verbali del Consiglio comunale di Roma, 1946-1958, commemorazione, 6 giugno 1958; G. Salvemini, Mazzini, Roma 1920, p. 12; E. Ginella, Dei valori imponderabili, Milano 1921, p. 52; La Voce repubblicana dal 1921 al 1925, Roma 1925, p. 23; U. Marchetti, Gli statalisti alla riscossa contro le autonomie, in Il Commento, 1ºdic. 1945; L'Osservatore romano, 4, 16 e 24 genn. 1946 (rubrica Voci ed echi); Bollettino di informazione e documentazione del Ministero per la Costituente, 10gennaio e 10 febbr. 1946; Il Partito repubblicano italiano dalle origini al momento attuale. Sommario storico di "un ignoto"[G. Conti], Roma 1947, p. 110; resoconti del XX Congresso nazionale del PRI, in La Voce repubblicana, 18 e 20 genn. 1948; necrologi in Il Tempo, 26 maggio 1958; Avanti!, 27 maggio 1958; La Voce della Comunità israelitica di Roma, giugno 1958; Bollettino della Domus Mazziniana, IV (1958), 2, p. 89; G. Limiti, Nel primo anniversario della morte. U. D. repubblicano intransigente, in Avanti!, 24 maggio 1959; Solenne cerimonia ... Lo scoprimento della lapide in ricordo del sen. U. D., in La Voce della Comunità israelitiqa di Roma, giugno 1959; Atti della Costituente sull'art. 7, a cura di A. Capitini-P. Lacaita, Manduria-Perugia 1959, pp. 181, 411, 436, 444, 461, 512, 520, 539, 573, 594; R. Carmignani, Storia del giornalismo mazziniano, I, (1827-1830), Pisa 1959, pp. 101, 170; S. Mastellone, Mazzini e la "Giovine Italia" (1831-1834), Pisa 1960, II, p. 218; R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino 1961, p. 535; S. Cannarsa, Dal fascismo alla Repubblica..., Roma 1962, p. 358; V. Parmentola, G. A. Belloni, in Aspetti e figure della pubblicistica repubblicana italiana, Genova-Milano-Torino 1962, pp. 159-73, specie p. 170; G. Sergnesi, G. Conti, ibid., pp. 183-222, specie p. 217; A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino 1963, pp. 521 s.; M. Garcia Blanco, En torno a Unamuno, Madrid 1965, p. 443; A. Levi, La filosofia politica di G. Mazzini, a cura di S. Mastellone, Napoli 1967, pp. 29, 36, 68, 120, 123, 273; E. 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