UGO di Persico
UGO di Persico. – Ignoti sono gli estremi biografici di questo poeta nato a Cremona sul finire del XII secolo.
Il suo nome figura nel congedo della Frotula noiae moralis del concittadino Gerardo Patecchio («Cançoneta, vaten sença noia / a Ug de Pers, qu’è de bona voia»; Poeti del Duecento, 1960, p. 588), cui egli rispose attraverso altri due componimenti identici per metro e verso. Sulla scorta della proposta avanzata da Albino Zenatti (1897; Crescini, 1897, p. 283) si deve identificare lo stesso con Ugo di Persico (forma italianizzata per il dialettale Perseg), discendente da una famiglia signorile ormai impiantata a Cremona, e non come Ugo di Perso (antroponimo non attestato in Italia settentrionale in epoca medievale, ingenerato, forse, da un errore del copista dei testi in questione). Il denominativo, infatti, indicherebbe la provenienza di origine della famiglia individuata nell’omonimo comune di Persico (oggi Persico Dosimo) a nove chilometri al nord-est di Cremona, i cui esponenti figurarono già dai primissimi anni dell’XI secolo impegnati al servizio dell’episcopato.
Tra la seconda metà del XII e la prima del XIII secolo i membri di questo casato ricoprirono ruoli di alto prestigio all’interno del ceto dirigente del comune, e un Ugo di Persico Cremonensium oratoribus è ricordato tra i componenti dell’ambasceria del febbraio del 1213 presso Federico II a Ratisbona (Crescini, 1897, p. 283; Persico, 1951, pp. 31-33). Più dubbia l’identificazione di Ugo con il Dominus Ugolinus de Persico, cavaliere cremonese agli ordini di Buoso da Dovara, fatto prigioniero dai bolognesi nella battaglia di Fossanova del 26 maggio 1249 contro il re Enzo (Persico, 1951, pp. 33-36). Oltre alla discrepanza onomastica (che Giovanni Persico imputa a un errore paleografico o al possibile uso di un diminutivo), Saverio Guida (2005) oppone il dato cronologico (pp. 144 s.); sarebbe assai improbabile individuare nella medesima figura l’oratore che nel 1213 partecipò all’ambasceria e il cavaliere – ormai non più giovanissimo – che trent’anni dopo si schierò tra le fila di re Enzo. Lo studioso, quindi, propende per il riconoscimento di due persone distinte, vissute a pochi decenni di distanza, legate da un rapporto lineare di discendenza di sangue; inoltre, egli fornisce la testimonianza di un documento inedito, datato 19 agosto 1211, che attesta una concessione fondiaria da parte del Comune, consistente in tre appezzamenti di terra nell’Oltrepò cremonese verso Ugo di Persico (Archivio di Stato di Cremona, Registro 2, n. 646), che conferma, altresì, l’importanza e la presenza di tale famiglia all’interno del ceto magnatizio della città.
Di Ugo di Persico sono conservati due componimenti in attestazione unica trasmessi dallo zibaldone quattrocentesco vergato da Bartolomeo Sachelli (Milano, Biblioteca nazionale Braidense, AD.XVI.20). Le due canzonette costituiscono la risposta per le rime alla Frotula noiae moralis del notaio Gerardo Patecchio composta da strofe di dieci decasillabi sul modello degli Enuegs provenzali del Monge de Montaudon.
A Francesco Novati (1896, pp. 279-288, 500-516) si deve la scoperta e la trascrizione diplomatica della tenzone, mentre a Zenatti (1897; Crescini, 1897, pp. 281-284) il merito di aver distinto i due autori confusi già in epoca molto alta (Salimbene de Adam nella Cronica cita più volte versi di Ugo de Perso ascrivendoli a Patecchio).
Le due Noie del nobiluomo cremonese, Noioso, responder m’ è enoio e Noioso, da voi no me [‘nde] toio, rispondono all’invito posto nel congedo del componimento del notaio Patecchio continuando l’enumerazione di comportamenti viziosi dei propri concittadini con tono giocoso e moralizzante. Ugo di Persico, più del suo interlocutore, sembra essere vicino alle istanze del ceto signorile lombardo di primo Duecento, e nelle sue canzonette si fa portavoce di tali posizioni ideologiche. Emerge difatti tutto il suo disappunto per le azioni che contraddicono i dettami del mondo cortese («dona del reu drudho esser celosa», «[e] vilan contrarīar segnor»; Poeti del Duecento, 1960, pp. 589, 592) o ancora, in riferimento all’attività politica («a noia m’è ancor sord e muto, / qual me stova aver per conseiero»; p. 591) e sociale («e quando de sola fi tomara»; ibid.); che sia stato un cavaliere si desume anche dalle allusioni alla sfera militare («roncin qe speso[ra] se desferra» o «roncin que per trot lassa ambladura»; p. 589) e con ogni probabilità dagli accenni ai fastidi derivanti dai propri possedimenti fondiari («campo o’ eu perdo la somença»; p. 592).
Nel rimatore cremonese, inoltre, molto forte risulta essere l’influsso del Monge de Montaudon di cui spesso riprende gli stilemi, le espressioni e ne riadatta versi interi. Nel complesso, le prove poetiche di Ugo di Persico e del suo concittadino e amico Patecchio appaio tra le prime manifestazioni letterarie di poesia volgare settentrionale. Esse traggono il proprio modello dalla lirica provenzale di matrice cortese di cui però non sono mere traslitterazioni; le Noie, infatti, sono espressione degli umori e del fermento culturale e sociale della borghesia comunale italiana dei primi del Duecento di cui riflettono le tensioni e le preoccupazioni del vivere quotidiano e pertanto costituiscono un’importante testimonianza per la definizione della storia della letteratura delle origini.
La penuria di dati documentari impedisce di indicare con esattezza la data di morte, che sarà opportuno collocare entro la metà del XIII secolo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Cremona, Registro 2, n. 646; Milano, Biblioteca nazionale Braidense, AD.XVI.20.
A. Tobler, Das Spruchgedicht des Girard Pateg, in Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften zu Berlin, XXVII (1886), pp. 629-702; A. Restori, G. Pateclo, P. Amato, A. del Palais, in Giornale storico della letteratura italiana, XXI (1893), pp. 455 s.; F. Novati, Girardo Pateg e le sue Noie, in Rendiconti del Reale Istituto lombardo di scienze e lettere, s. 2, XXIX (1896), pp. 279-288, 500-516; A. Zenatti, G. Patecchio e U. di P., in Atti della Reale Accademia Lucchese di scienze, lettere e arti, XXIX (1897), pp. 497-525 (v. la recensione di V. Crescini in Rassegna bibliografica della letteratura italiana, V (1897), pp. 281-284); G.G. Persico, Imitazioni degli “enuegs” del Monaco di Montaudon nelle “noje” cremonesi, in Cultura neolatina, III (1943), pp. 265-296; Id., Le “noie” cremonesi, Modena 1951; C. Violante, Le Noie cremonesi nel loro ambiente culturale e sociale, in Cultura neolatina, XIII (1953), pp. 35-55; Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, I, Milano-Napoli 1960, pp. 589-595; Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966, passim; Les poesies du Moine de Montaudon, a cura di M.J. Routledge, Montpellier 1977; S. Guida, Dall’Occitania alla Padania: l’Enoio, in Studi mediolatini e volgari, LI (2005), pp. 131-166; Id., (Andrian de) Palais, trovatore lombardo?, in Studi di filologia romanza offerti a Valeria Bertolucci Pizzorusso, a cura di P.G. Beltrami et al., Pisa 2006, pp. 709 s.