FIESCHI, Ugo
Nacque probabilmente a Genova, agli inizi del sec. XIII da Tedisio, dei conti di Lavagna, e da una Simona, forse appartenente alla casata genovese del Camilla. Venne avviato agli studi giuridici e come "iudex" è quasi sempre ricordato nelle fonti. Tuttavia in quegli anni - è documentato dal 1230 -il ruolo da lui svolto nella vita pubblica rimase marginale e quasi sempre limitato alla sua attività privata.
Furono gli avvenimenti collegati con la lotta tra Federico II e Innocenzo IV, zio del F., a chiamare quest'ultimo ad un ruolo più attivo: allora la famiglia Fieschi divenne l'anima della resistenza guelfa contro l'imperatore. Nel 1244, insieme col fratello Alberto e coi cugini Giacomo e Macia Fieschi, partecipò alla spedizione genovese che consentì al papa di uscire da Sutri, ove era assediato dalle truppe imperiali, e di giungere sano e salvo a Genova. La clamorosa impresa permise ad Innocenzo di continuare con fermezza la lotta contro Federico: al concilio da lui immediatamente convocato a Lione fu inviato dal Comune genovese lo stesso F., in compagnia di S. De Marini (1245).
Nel 1247 il F. rivestì in città la carica di console di Giustizia; l'anno dopo, come consiliator del Comune, assistette all'atto con cui gli uomini di Groppo si sottomisero a Genova (7 marzo). Nel 1249 fu tra coloro che intervennero con proprie fideiussioni per garantire i creditori del banco di G. Leccacorvo, che stava conoscendo serie difficoltà finanziarie. Questo del F. fu comunque un intervento episodico nell'attività economica della famiglia, i cui interessi erano curati piuttosto dallo zio Opizzo Fieschi e da altri membri. Nello stesso anno, insieme con Guglielmo Bolletus fu inviato presso Ferdinando III di Castiglia, che aveva l'anno prima conquistato Siviglia.
Genova aveva mantenuto un proficuo traffico commerciale con quella città sotto gli emiri arabi, che avevano concesso privilegi ai suoi mercanti. L'ambasceria di cui era stato incaricato il F. doveva ottenere dal re la conferma di tali privilegi. I risultati della missione furono interlocutori. Infatti, se il F. si vide opporre un rifiuto, in modo particolare a proposito della richiesta di avere un libero consolato dei Genovesi nella città, tuttavia Ferdinando si dichiarò disposto a proseguire le trattative.
Usciti i Fieschi vincitori nella lotta con l'imperatore, il F. fu chiamato dalla famiglia a controllare la politica estera del Comune genovese. Come consiliator appare infatti in numerosi atti internazionali. Fu teste alla pace tra Genova e Savona, stipulata il 19 febbr. 1251; all'accordo tra Genova e Pavia, firmato il 30 ottobre dello stesso anno; al trattato tra Genova e i domini di Albisola, sottoscritto il 7 dic. 1251. Sempre nel 1251, insieme con Guido Spinola, ebbe il compito di incontrare a Lucca i rappresentanti del governo veneziano, per discutere i termini del rinnovo dell'accordo tra le due potenze. Dopo un primo colloquio infruttuoso avvenuto nel castello di Verrucola, feudo del Malaspina, l'intesa venne raggiunta a Portovenere, dove era stato trasferito il tavolo delle trattative. Nel 1254 il F. fece parte della commissione incaricata di stipulare l'accordo coi Comuni toscani. Nell'agosto con un collega si recò a tale scopo a Firenze, alle cui autorità era stato affidato il compito di dirimere le controversie esistenti tra Genova e Pisa: il 4, i due rappresentanti genovesi ed i due pisani dichiararono formalmente di rimettere le questioni vertenti tra i loro Comuni a quello fiorentino. L'accordo fu, infine, firmato nella chiesa di S. Reparata. Tornato a riaprirsi il conflitto con Pisa negli anni seguenti, nel 1256 il F. con altri colleghi fu inviato come ambasciatore a Lucca, a Firenze e a Roma, per ottenere che dal nuovo accordo che si sarebbe stretto con Pisa non venisse escluso il marchese di Cagliari, passato all'alleanza col Comune genovese.
A Roma l'ambasceria dovette affrontare un'altra spinosa questione. Su Genova, infatti, pesava l'interdetto lanciato dal domenicano frate Anselmo, perché la città si era rifiutata di inserire nei suoi statuti alcuni articoli contro gli eretici. Il Comune era stato costretto a piegarsi alle pressioni papali, resero noto il F. e i suoi colleghi, e dietro loro richiesta l'interdetto fu formalmente tolto.A Roma, come ambasciatore del suo Comune, il F. fece ritorno nel 1258, in un momento in cui le divisioni e i contrasti tra Genova, Venezia e Pisa stavano creando gravissimi problemi agli Stati cristiani in Terrasanta.
Alessandro IV era intervenuto energicamente, intimando alle potenze interessate di spedire plenipotenziari a Roma, per un incontro, in cui si sarebbe cercato di arrivare ad un accordo. Genova, che si trovava in difficoltà in Siria e che aveva perciò appena spedito una flotta in aiuto dei suoi mercanti, aveva preferito prendere tempo. Al F. ed agli altri tre ambasciatori furono dati poteri limitati: infatti la validità dell'accordo cui essi sarebbero potuti giungere doveva essere subordinata al consenso dei baroni del Regno di Gerusalemme, la cui convocazione avrebbe, comunque, richiesto molto tempo. Dopo un primo incontro, il 1º giugno, il F. e i suoi colleghi furono esplicitamente invitati a concludere un compromesso, affidando alla Curia romana il compito di una mediazione. Essi temporeggiarono, avanzando come scusa le limitazioni imposte al loro mandato. Quando però il giorno dopo giunse la notizia che i baroni erano passati dalla parte dei nemici di Genova, il F. ed i suoi colleghi si trovarono in serio imbarazzo, anche perché privi di istruzioni in merito. Alla fine, essi ricevettero la direttiva di accettare comunque un accordo, purché quest'ultimo lasciasse a Genova il controllo della torre di San Giovanni d'Acri, di vitale importanza strategica. Inoltre al F. fu ordinato di restare a Roma presso la Curia, finché non fosse stato nominato il legato pontificio in Siria; allo scopo si invitava il cardinale Ottobono Fieschi, uno dei fratelli del F., ad adoperarsi perché il prelato scelto per quell'incarico fosse gradito a Genova. L'accordo, firmato il 3 luglio, affidò al papa l'arbitrato su tutte le questioni.
L'anno dopo il F. affiancò il cardinale nel difficile compito di ottenere la liberazione dei figli di Tommaso II di Savoia, signore del Piemonte, rimasti in ostaggio del Comune di Asti, dopo la morte improvvisa del dinasta sabaudo, che aveva sposato in seconde nozze una sorella del F. e di Ottobono.
Il cardinale, per ottenere da Asti il rilascio dei nipoti, fu costretto a chiedere formalmente l'aiuto del Comune genovese, che provvide ad inviare con alcuni altri il F. in ambasceria nella città piemontese, per collaborare alle trattative.
Nel 1261 l'appoggio concesso da Genova al Paleologo nella conquista di Costantinopoli provocò il deciso intervento di Urbano IV, che minacciò la città ligure di interdetto e chiese che gli venissero immediatamente inviati ambasciatori per discutere la faccenda. A Roma furono spediti allora il F. e Lanfranco di Carmadino col preciso mandato di non accettare proposte o richieste papali che comportassero la rottura dei buoni rapporti tra Genova ed il Paleologo. Nel 1262 assistette all'accordo tra Genova, Percivalle e Niccolò Doria per un intervento militare in Sardegna (6 aprile).
Negli anni successivi il F. tornò ad occuparsi soprattutto dei suoi affari privati; il 6 apr. 1266 cedette alle clarisse del convento di S. Eustachio in Chiavari, fondato dal cardinale Guglielmo Fieschi, le terre che il cardinale Ottobono Fieschi, di cui il F. curava gli interessi in Genova, aveva comperato dall'arcivescovo Gualtieri da Vezzano. Agli inizi del 1268 dovette tuttavia riprendere la sua attività diplomatica, per recarsi in ambasceria presso Carlo d'Angiò, il quale aveva avviato col Comune genovese trattative in vista di un accordo contro Pisa, schieratasi dalla parte di Corradino di Svevia. Ritornato in città, risulta che il 27 genn. 1269 fu teste ad un acquisto di case, fatto dal procuratore del fratello, il card. Ottobono.
Secondo alcune fonti, il F. sarebbe morto nel 1270 a Viterbo, dove si trovava per seguire (non sappiamo a quale titolo) il conclave convocato dopo la morte di Clemente IV. Tuttavia documenti lo ricordano, sempre col titolo di iudex, come testimone all'atto con cui il 24 marzo 1271 Gualtieri da Vezzano ordinò la trascrizione di una sentenza ecclesiastica e, il 7 marzo 1274, alla trascrizione di una bolla papale. Egli dovette morire poco dopo quest'ultima data; infatti, nel testamento steso nel 1275 dal card. Ottobono Fieschi, suo fratello, non viene citato, mentre in un documento del 7 nov. 1276 risulta defunto.
Suoi figli furono Opizzo, Tedisio, Sinibaldo, Bertolino, Raimondino, Enrico ed Alberto.
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