Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Primo interprete della sensibilità contemporanea della generazione successiva alla Rivoluzione francese, protagonista della cultura italiana dell’età napoleonica, romanziere, poeta, saggista e polemista, apolide ma tra i primi a intuire l’esigenza dell’unificazione italiana, raccoglie in sé i fermenti e le contraddizioni della propria epoca filtrandoli in un’opera letteraria innovativa, aperta alle istanze più avanzate e di assoluto rigore stilistico.
La giovinezza tra la Grecia e Venezia
Nella dedicatoria della prima edizione bolognese dell’Ode a Bonaparte Liberatore (1797), definendosi "nato in Grecia, educato fra Dalmati, e balbettante da soli quattr’anni in Italia", l’autore sintetizza con efficacia la propria biografia fino a quel punto. Nicolò (Ugo) Foscolo nasce nell’isola ionica di Zante il 6 febbraio 1778, primogenito di Andrea, medico d’origine veneziana, e della greca Diamantina Spathys: la coppia avrà, negli anni successivi, altri tre figli, Rubina, Gian Dionisio (Giovanni) e Costantino Angelo (Giulio). Nel 1784 Andrea Foscolo si trasferisce in Dalmazia, a Spalato, in qualità di protomedico dell’ospedale militare; l’anno successivo è raggiunto dal resto della famiglia. Dopo una breve malattia, il capofamiglia muore nel 1788; la vedova si trasferisce quindi a Venezia, dove i figli la raggiungono nel 1793. Ugo frequenta la scuola di San Cipriano a Murano, ma inizia precocemente un’autonoma attività letteraria (composizione di inni, elegie, odi anacreontiche, canzonette, traduzioni e sonetti, diffusi in forma manoscritta) che gli permette di mettersi in evidenza nei salotti della Serenissima: tra tutti, in quello di Isabella Teotochi Albrizzi (1760-1836), presso cui conosce Ippolito Pindemonte.
Entrato in contatto epistolare con Melchiorre Cesarotti, frequenta nel 1796 gli ambienti intellettuali padovani, senza mai iscriversi regolarmente all’università. Nel gennaio del 1797, durante l’ultimo carnevale della Repubblica di San Marco, al teatro Sant’Angelo viene rappresentata la tragedia d’argomento mitologico Tieste, in endecasillabi sciolti, di stampo alfieriano ma con importanti antecedenti nell’ Atrée et Thyeste di Crébillon (1707) e nei Pélopides di Voltaire (1771): al successo di pubblico, coronato dall’edizione della tragedia nel tomo X della collana "Teatro moderno applaudito", fanno da sfondo i convulsi avvenimenti della campagna napoleonica in Italia: nell’aprile del 1797 Foscolo raggiunge Bologna per arruolarsi volontario nei cacciatori a cavallo della Repubblica Cisalpina, iniziando così la carriera di ufficiale dell’esercito; un mese dopo Venezia è occupata dalle truppe francesi e viene istituita una provvisoria municipalità democratica, di cui il giovane poeta entra a far parte come segretario della Società d’istruzione pubblica. Di questa stagione sono le odi che gli danno celebrità: Ai novelli repubblicani e Bonaparte liberatore, pubblicate nel V tomo dell’"Anno Poetico" insieme ad altri testi degli anni precedenti. L’entusiasmo politico è stroncato nell’ottobre del 1797 dalla stipula del trattato di Campoformio, con cui Venezia passa sotto il controllo asburgico perdendo la sua secolare indipendenza. Nel mese successivo Foscolo si trasferisce a Milano, dove ottiene la cittadinanza della Repubblica Cisalpina.
Tra prima e seconda Cisalpina (1797-1800): il pubblicista e il soldato
A Milano, nel variegato ambiente dei simpatizzanti della rivoluzione, che nella neonata repubblica giungono da tutte le parti d’Italia, Foscolo si occupa in particolare di attività pubblicistica, collaborando al periodico "Il Monitore Italiano", per un semestre voce ufficiale del giacobinismo, soppresso nel giugno 1798 per decreto di Napoleone. Di lì in poi si sposta in varie città del nord, collaborando ad altri periodici, come il "Genio Democratico" e il "Monitor Bolognese"; nella stessa città di Bologna, verso la fine del 1798, inizia a stampare presso l’editore Marsigli il romanzo epistolare Le ultime lettere di Jacopo Ortis, che però lascia incompiuto quando, nella primavera successiva, la seconda coalizione inizia le ostilità contro la Francia; abbandonata Bologna, si arruola come luogotenente nella Guardia Nazionale, partecipando nel corso del 1799 a varie battaglie (Cento, Trebbia, Novi). Nell’agosto dello stesso anno l’editore Marsigli, dopo un rimaneggiamento operato dal letterato Angelo Sassoli e all’insaputa dell’autore, pubblica con data 1798 il romanzo incompiuto, intitolandolo Vera storia di due amanti infelici ossia Ultime lettere di Jacopo Ortis: venutone a conoscenza, Foscolo ne rinnega la paternità. Intanto, mentre è di stanza a Genova, ripubblica l’ode A Bonaparte con l’aggiunta della Dedicatoria, e partecipa alla realizzazione dell’opuscolo Omaggio a Luigia Pallavicini, per cui compone l’ode I balsami odorati.
Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1802)
Ugo Foscolo
Le ultime lettere di Jacopo Ortis, 11 ottobre 1797
Da’ colli Euganei, 11 Ottobre 1797
Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa non ci resterà che per piangere le nostre sciagure e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch’io per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho ubbidito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E noi, pur troppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl’italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da’ pochi uomini buoni, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de’ miei padri.
15 Maggio
Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sono più alte e ridenti, il mio aspetto più gajo, il mio cuore più compassionevole. Mi pare che tutto s’abbellisca a’ miei sguardi; il lamentar degli augelli, e il bisbiglio de’ zefiri fra le frondi son oggi più soavi che mai; le piante si fecondano, e i fiori si colorano sotto a’ miei piedi; non fuggo più gli uomini, e tutta la Natura mi sembra mia. Il mio ingegno è tutto bellezza e armonia. Se dovessi scolpire o dipingere la Beltà, io sdegnando ogni modello terreno la troverei nella mia immaginazione. O Amore! le arti belle sono tue figlie; tu primo hai guidato su la terra la sacra poesia, solo alimento degli animi generosi che tramandano dalla solitudine i loro canti sovrumani sino alle più tarde generazioni, spronandole con le voci e co’ pensieri spirati dal cielo ad altissime imprese: tu raccendi ne’ nostri petti la sola vera virtù utile a’ mortali, la Pietà, per cui sorride talvolta il labbro dell’infelice condannato ai sospiri: e per te rivive sempre il piacere fecondatore degli esseri, senza del quale tutto sarebbe caos e morte. Se tu fuggissi, la Terra diverrebbe ingrata; gli animali, nemici fra loro; il Sole, foco malefico; e il Mondo, pianto, terrore e distruzione universale. Adesso che l’anima mia risplende di un tuo raggio, io dimentico le mie sventure; io rido delle minacce della fortuna, e rinunzio alle lusinghe dell’avvenire.
Ugo Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis, Londra, 1817
Dopo la vittoria napoleonica a Marengo (14 giugno 1800), Foscolo torna a Milano, quindi compie frequenti viaggi in varie città italiane; tra la fine dell’anno e l’inizio del 1801 è a Firenze, dove l’amore per Isabella Roncioni gli ispira, oltre a una serie di sonetti amorosi, anche immagini e situazioni che lo inducono a ritornare sul romanzo interrotto. Tornato a Milano nella primavera del 1801, riprende il lavoro sull’Ortis, nell’elaborazione del quale entra in modo notevole anche il nuovo legame amoroso con Antonietta Fagnani Arese, contrassegnato da innumerevoli lettere spesso riutilizzate dall’autore nella stesura del romanzo.
L’ Ortis è considerato il primo romanzo moderno della nostra letteratura e trova i suoi antecedenti europei in romanzi epistolari del secolo XVIII, come La Nouvelle Heloïse di J.-J. Rousseau (1761) e I dolori del giovane Werther di Goethe (1774), nonché la Pamela (1740) e la Clarissa (1748) del Richardson, tutti sottilmente filtrati da un’esperienza autobiografica eccezionale. La trama, esile ma abilmente strutturata attraverso la finzione delle lettere che Jacopo invia all’amico Lorenzo Alderani, e da questi pubblicate dopo il suicidio del protagonista, si snoda attraverso gli ultimi due anni (dall’ottobre del 1797 al marzo del 1799) della vita di un ventenne esule dalla Venezia caduta in mano austriaca e infelicemente innamorato della giovane Teresa che, pur ricambiandolo, deve rinunciare al suo amore per obbedire al progetto del padre di darla in sposa al nobile Odoardo. Dopo avere vagato per varie città d’Italia, e avere conosciuto personaggi illustri come Giuseppe Parini, Jacopo torna in Veneto, rivede un’ultima volta Teresa, ormai sposata, e si trafigge con un pugnale. Risaltano nel romanzo alcuni motivi tipici dell’opera foscoliana, come il tema dell’esilio e dello sdegno civile, quello della bellezza rasserenatrice e quello della tomba confortata dal pianto delle persone care.
Anticipazione e commento perpetuo alla poesia foscoliana successiva, il romanzo è anche specchio della sensibilità e del gusto italiani nello spartiacque tra i due secoli, fra il tramonto del razionalismo illuminista e i primi albori romantici. Vi si trova la testimonianza della caduta delle grandi speranze civili (Napoleone non aveva portato la libertà) e il ripiegamento delle coscienze di molti giovani italiani sopra miti universalmente consolatori, come l’amore e la virtù. Jacopo vive una doppia delusione, quella dell’amore per Teresa e quella dell’amore per la patria, ed essendogli negate tutte le possibilità di consolazione, si insinua progressivamente nel suo animo il pensiero della morte come l’unica soluzione possibile. La prima parte del romanzo venne pubblicata presso l’editore milanese Mainardi alla fine del 1801, mentre nell’ottobre del 1802 il Genio Tipografico di Milano pubblicò la prima edizione definitiva. Immediato successo editoriale in molte città italiane e oggetto di innumerevoli contraffazioni avvenute all’insaputa dell’autore, il romanzo costituisce l’opera più nota e diffusa del Foscolo, anche fuori d’Italia: sarà infatti riproposto (con alcuni importanti rimaneggiamenti), in due successive edizioni, la prima a Zurigo nel 1816 (con falsa data ’Londra, 1814’, accompagnata da una mistificatrice Notizia bibliografica), la seconda a Londra nel 1817.
Le Poesie (1802-1803)
Ugo Foscolo
Alla sera
Forse perché della fatal quïete
Tu sei l’imago a me sì cara vieni
O sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,
E quando dal nevoso aere inquïete
Tenebre e lunghe all’universo meni
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
Questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure onde meco egli si strugge;
E mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
Nell’ottobre del 1802 il "Giornale dei Letterati di Pisa" pubblica otto sonetti e la riproposta dell’ode genovese del 1799 col titolo A Luigia Pallavicini caduta da cavallo. L’anno successivo a Milano, in due successive edizioni (Destefanis e Nobile) dal titolo Poesie di Ugo Foscolo, il numero dei sonetti sale a dodici e viene aggiunta la nuova ode Alla amica risanata. Nelle odi l’apparente occasionalità di stampo settecentesco viene superata da una profonda condivisione di ideali neoclassici che conferiscono alla parola poetica la facoltà eternatrice capace di resistere al fluire del tempo. Per quanto riguarda la seriazione dei sonetti, i successivi rimaneggiamenti a cui l’autore sottopone il pur selezionatissimo numero di testi evidenzia la volontà di realizzare una sorta di essenziale "canzoniere": il filo conduttore che lega tra loro i componimenti è costituito dall’analisi dell’interiorità dell’autore in rapporto alla realtà, umana e politica, che lo circonda, specchio di una delusione esistenziale per molti aspetti coincidente con quella dell’Ortis. Nonostante la matrice poetica di ascendenza pariniana e alfieriana, le Poesie costituiscono una prova di grande originalità stilistica del Foscolo, che nella concentrazione della selezione e della misura metrica riesce a rinnovare in modo sostanziale, per sintassi e retorica, il dettato poetico della lirica italiana. In particolare nei cosiddetti sonetti maggiori (Alla Sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni, Alla musa), Foscolo riproduce nella misura delle quartine e delle terzine un’alternanza chiaroscurale e un contrappunto tra luce e ombra, tra passato e presente, che realizzano l’armonia.
Degli studi letterari ed eruditi che caratterizzano gli anni immediatamente successivi è frutto la traduzione del poemetto di Callimaco, già tradotto da Catullo, La Chioma di Berenice (1803), accompagnato da quattro discorsi critici e da considerazioni che travalicano l’aspetto meramente informativo per addentrarsi nella messa a fuoco di un neoclassicismo non superficiale, anche supportato dalla meditazione del De rerum natura di Lucrezio, di cui tenta anche una parziale traduzione, e della Scienza nuova di Giambattista Vico. Intanto, riammesso al servizio attivo nell’esercito, nell’aprile del 1804 Foscolo raggiunge la divisione italiana di stanza nella Francia del Nord, in vista della progettata invasione dell’Inghilterra. Durante tale permanenza intreccia una relazione con una giovane inglese, dalla quale nascerà una figlia, da lui chiamata Floriana, destinata anni dopo ad assisterlo nell’esilio. È del biennio trascorso in Francia il primo progetto di traduzione del Sentimental Journey di Laurence Sterne. Nel marzo del 1806 Foscolo rientra a Milano, ove la sua carriera di letterato raggiunge il vertice e si consuma la rottura definitiva con la società letteraria raccolta intorno a Vincenzo Monti.
Il carme Dei Sepolcri e l’Esperimento di traduzione della Iliade (1807)
Ugo Foscolo
Dei Sepolcri, vv. 151-197
A egregie cose il forte animo accendono
L’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
E santa fanno al peregrin la terra
Che le ricetta. Io quando il monumento
Vidi ove posa il corpo di quel grande
Che temprando lo scettro a’ regnatori
Gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela
Di che lagrime grondi e di che sangue;
E l’arca di colui che nuovo Olimpo
Alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide
Sotto l’etereo padiglion rotarsi
Piú mondi, e il Sole irradïarli immoto,
Onde all’Anglo che tanta ala vi stese
Sgombrò primo le vie del firmamento;
Te beata, gridai, per le felici
Aure pregne di vita, e pe’ lavacri
Che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell’äer tuo veste la Luna
Di luce limpidissima i tuoi colli
Per vendemmia festanti, e le convalli
Popolate di case e d’oliveti
Mille di fiori al ciel mandano incensi:
E tu prima, Firenze, udivi il carme
Che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,
E tu i cari parenti e l’idïoma
Desti a quel dolce di Calliope labbro
Che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
D’un velo candidissimo adornando,
Rendea nel grembo a Venere Celeste;
Ma piú beata chè in un tempio accolte
Serbi l’Itale glorie, uniche forse
Da che le mal vietate Alpi e l’alterna
Onnipotenza delle umane sorti
Armi e sostanze t’invadeano ed are
E patria e, tranne la memoria, tutto.
Che ove speme di gloria agli animosi
Intelletti rifulga ed all’Italia,
Quindi trarrem gli auspicj. E a questi marmi
Venne spesso Vittorio ad ispirarsi.
Irato a’ patrii Numi, errava muto
Ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo
Desïoso mirando; e poi che nullo
Vivente aspetto gli molcea la cura,
Qui posava l’austero; e avea sul volto
Il pallor della morte e la speranza.
Con questi grandi abita eterno: e l’ossa
Fremono amor di patria. […]
Dall’epistolario foscoliano sappiamo che l’idea del componimento risale all’estate del 1806, in seguito ad alcuni colloqui con il poeta veneto Ippolito Pindemonte, a cui il testo si rivolge sotto forma di epistola, e con la comune amica Isabella Teotochi Albrizzi, a proposito del degrado e dello squallore dei cimiteri italiani. L’estensione al Regno d’Italia dell’editto di Saint-Cloud, che regolamenta la legislazione igienico-sanitaria napoleonica sui cimiteri, offre all’autore un riferimento per i vv. 51-53, ma non costituisce l’occasione principale del carme. Nei primi mesi del 1807 Foscolo ne cura personalmente l’edizione a Brescia, presso l’editore Bettoni; la pubblicazione avviene nel mese di aprile, con dedica proprio a Pindemonte (il quale a sua volta stava scrivendo un poema in ottave intitolato I Cimiteri).
I Sepolcri si inquadrano, per linguaggio e tematiche, in un contesto culturale assai composito, che ha i suoi riferimenti nella poesia sepolcrale inglese (da cui l’autore stesso chiarisce di distinguersi per l’opzione laica e materialistica che lo caratterizza); nell’erudizione antiquaria sei-settecentesca, tornata di attualità nel fervore delle ricerche archeologiche dell’età napoleonica; nel complesso dibattito pubblico che condannava gli eccessi rivoluzionari in materia di sepolture (fosse comuni e anonime ecc.). Il Foscolo stesso, rispondendo a una polemica recensione contro il carme pubblicata dall’abate Aimé Guillon sul "Giornale Italiano", dichiara di aver voluto considerare le sepolture "politicamente", di aver avuto lo "scopo di animare l’emulazione politica degli italiani con gli esempi delle nazioni che onorano la memoria e i sepolcri degli uomini grandi" e di aver voluto predicare "la resurrezione delle virtù". Il componimento è definito "carme" (termine che indica per tradizione una poesia solenne, di carattere religioso e civile), ed è composto di 295 endecasillabi sciolti caratterizzati da una grande varietà ritmica e frequenti enjambements, che contribuiscono a riprodurre la solennità dell’esametro latino. Tutto ciò, unito a una sintassi particolarmente ardita, densa di iperbati e di anastrofi, dà luogo a un dettato complesso e difficile, che contribuisce a sollevare molte perplessità presso i contemporanei. Dal punto di vista stilistico il carme risulta orchestrato su registri differenti, partendo da un tono colloquiale e innalzandosi via via verso toni sempre più alti, epico-lirici. Nella risposta al Guillon, Foscolo fornisce una guida alla lettura dei Sepolcri, suddividendoli in sezioni concettualmente collegate tra loro dalle cosiddette transizioni, che senza apparente soluzione di continuità permettono di svolgere la complessa tessitura tematica dipanando immagini cupe alternate a immagini solari, secondo il consueto principio del chiaroscuro armonico. Il poema si articola secondo le quattro seguenti sezioni tematiche: dimostrazione della validità soggettiva del culto dei morti (vv. 1-90); excursus storico sulle forme della pietas verso i defunti (vv. 91-150); esaltazione della portata storica e umana delle sepolture e dimostrazione della validità oggettiva del sepolcro, che suggerisce alte idealità civili, con particolare riferimento alle tombe degli italiani illustri della basilica fiorentina di Santa Croce (vv. 151-212); le tombe dei grandi troiani, ispiratrici di Omero, suggeriscono la funzione eternatrice della poesia, che proprio dalle sepolture trae materia di canto e dona l’immortalità alle vicende cantate (vv. 213-295). Contestualmente all’edizione dei Sepolcri, il Foscolo cura e pubblica, presso lo stesso editore Bettoni, l’Esperimento di traduzione della Iliade di Omero, in cui affianca alla propria originale traduzione del primo canto del poema la versione in prosa di Melchiorre Cesarotti, seguite da quella, pure poetica, di Vincenzo Monti e da una serie di prose critiche dei tre traduttori. Intanto intrattiene a Brescia una relazione amorosa con la contessa Marzia Martinengo Cesaresco, alla quale annuncia, alla fine dell’anno, l’intenzione di chiedere la cattedra di eloquenza italiana e latina all’università di Pavia. Dopo alterne vicende, l’incarico gli viene affidato, ma prima che le lezioni incomincino un decreto vicereale sopprime quella e molte altre cattedre universitarie. Il Foscolo si trasferisce comunque a Pavia, e ottempera all’impegno redigendo una prolusione intitolata Dell’origine e dell’ufficio della letteratura e sei lezioni, che pronuncia tra gennaio e giugno del 1809.
La rottura coi milanesi e il trasferimento a Firenze: Le Grazie
Il ritorno a Milano nel biennio 1809-1811 è caratterizzato da polemiche sempre più accese con l’ambiente letterario allineato col regime napoleonico e aggregato attorno a Vincenzo Monti. Le inimicizie letterarie contribuiscono a determinare l’insuccesso della seconda tragedia foscoliana, Ajace, rappresentata alla Scala il 9 dicembre del 1811 e censurata quattro giorni dopo perché sospettata di allusioni politiche antinapoleoniche. Dopo alcune peregrinazioni in Veneto, rientra in Lombardia, a Milano, dove prosegue le relazioni amorose con Maddalena Bignami Marliani e Lucietta Frapolli Battaglia, e a Como, dove frequenta la giovane Francesca Giovio. Nell’estate del 1812, passando per Bologna è ricevuto nel salotto dell’amica Cornelia Rossi Martinetti, dopodiché raggiunge Firenze. Inizia così l’ultima grande stagione della produzione letteraria del Foscolo, caratterizzata dalla traduzione in una vivace e innovativa prosa italiana del Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l’Italia di Laurence Sterne, che viene edita a Pisa nel 1813, sotto lo pseudonimo di un nuovo alter ego, Didimo Chierico (a cui verrà pure ascritto il libello in latino contro l’ambiente milanese, Hypercalypseos Liber Singularis, stampato in Svizzera due anni dopo), del quale l’autore allega una sapida Notizia biografica. Durante il soggiorno fiorentino, trascorso in una villa di Bellosguardo e scandito dalla frequentazione del mondo intellettuale che si riunisce attorno alla contessa Luisa Stolberg d’Albany, già compagna di Vittorio Alfieri, Foscolo compone la sua terza e più fortunata tragedia, Ricciarda (che verrà rappresentata per la prima volta a Bologna nel 1813, e pubblicata nel 1820 a Londra presso l’editore Murray) e inizia il complesso lavoro sul carme delle Grazie, ove la passione civile, che aveva animato la produzione poetica precedente (e che ora offre nuovi motivi di riflessione di fronte alla tragedia della campagna napoleonica in Russia), si combina con la celebrazione dell’arte come valore universale. Il testo si presenta frammentario e incompiuto e la sua tradizione è quasi esclusivamente affidata a testimonianze manoscritte, prevalentemente autografe: l’unica edizione pubblicata dall’autore riguarda alcuni frammenti entro la Dissertation on an ancient Hymn of the Graces, edita a Londra nel 1822. Nella sua forma più articolata, il poemetto, dedicato allo scultore Antonio Canova, evocato direttamente all’interno del testo e che tra 1812 e 1813 stava attendendo al celebre gruppo marmoreo omonimo, doveva essere suddiviso in tre parti (inni) dedicate a tre divinità (Venere, Vesta e Pallade), al fine di esplicitare l’azione rasserenatrice e pacificatrice delle passioni umane prodotta dalle Grazie, alle quali tre donne (Maddalena Bignami, Cornelia Rossi Martinetti ed Eleonora Nencini) recavano offerte votive attraverso il canto, la poesia e la danza.
La Restaurazione e l’esilio
Alla fine del 1813 si concludono le disastrose operazioni militari conseguenti alla disfatta napoleonica in Russia; il viceré Eugenio Beauharnais firma l’armistizio con l’Austria; dopo violenti disordini scoppiati a Milano, l’esercito austriaco invade la Lombardia, che è riannessa all’impero asburgico nell’aprile del 1814. Il Foscolo, nel frattempo tornato a Milano, è travolto dalle alterne vicende politiche; avvicinato dalle autorità austriache in merito alla progettazione di un nuovo giornale letterario filogovernativo, di fronte alla necessità di prestare giuramento all’Austria in quanto ufficiale del disciolto esercito del Regno d’Italia, il 31 marzo decide di abbandonare per sempre Milano. Trascorre il periodo che va dall’aprile del 1815 al settembre del 1816 in varie località della Svizzera, ove pubblica i Vestigi della storia del sonetto italiano dall’anno MCC al MDCCC, l’Hypercalypseos Liber Singularis e la nuova edizione dell’Ortis. Nel settembre del 1816 giunge a Londra, ove inizia a tessere una rete di legami con personalità della cultura locale; il primo tentativo di costruire una nuova carriera londinese è rappresentato dalla terza edizione delle Ultime lettere di Jacopo Ortis. Nel 1818 inizia la collaborazione con l’"Edinburgh Review", ove alterna interventi politici (in particolare sulla questione del protettorato inglese sulle isole dello Ionio) e letterari, che profonde anche su altre testate, ma che non gli permettono di far fronte dignitosamente alle spese eccessive di un’esistenza incapace di sottoporsi alla sobrietà. I più importanti contributi foscoliani del periodo inglese riguardano la saggistica letteraria e linguistica, e sono tutti pubblicati in traduzione inglese: del 1818 è l’Essay on the present literature of Italy; seguono gli Essays on Petrarch (1821); da una serie di conferenze prendono corpo i saggi noti come Epoche della lingua italiana, parzialmente pubblicati nel 1824; attende per l’editore Pickering alla curatela delle edizioni della Commedia e del Decameron, corredandole di importanti saggi critici. Dal 1822 vive stabilmente con la figlia Floriana in una nuova dimora, il Digamma Cottage, che è costretto, a causa dei debiti contratti, a lasciare per una più modesta nel villaggio di Turnham Green; le condizioni di salute vanno via via peggiorando, e afflitto da una grave idropisia muore a 49 anni, il 10 settembre del 1827: viene sepolto nel cimitero di Chiswick. Nel 1871 le sue ossa sono traslate a Firenze in Santa Croce.