GUIDI, Ugo
Fu uno dei numerosi figli di Guido conte di Battifolle e di Gherardesca figlia di Gherardo (o Ugolino) Della Gherardesca. In base alle ricostruzioni dei genealogisti, il G. sembrerebbe nato dopo altri quattro maschi (Carlo, Simone, Andrea, Roberto) e due femmine (Parta ed Elisabetta); la sua nascita dovrebbe quindi collocarsi fra 1288 e 1295.
Come talora usava nelle famiglie signorili, il G. fu inviato da ragazzo alla corte angioina di Napoli, il referente politico del padre fedelmente alleato al Comune di Firenze e alla parte guelfa, forse in qualità di paggio, per ricevervi un'educazione militare e cavalleresca ed eventualmente procacciarsi qualche occasione. Nel 1313, tuttavia, era già tornato in Toscana e probabilmente a lui il padre aveva affidato il controllo dei beni in Romagna. Infatti in quell'anno un'ambasceria di cittadini fiorentini chiedeva a re Roberto che il conte Guido di Battifolle e suo figlio Ugo non venissero molestati nei loro beni in Romagna e nel palazzo che avevano nella rocca di Modigliana dal vicario del re in Romagna.
Quando il fratello maggiore Carlo morì nella battaglia di Montecatini (1315), il G. e Simone ebbero certamente più peso familiare e politico. Nel 1317, per meriti e prestigio politico acquisiti più dal padre che da lui stesso, il G. fu inviato da re Roberto di Napoli come suo vicario a Pistoia, ma rimase presto sgradito alla popolazione che inviò messi al sovrano angioino chiedendo che fosse rimosso dall'incarico. Inseritosi comunque nel giro dei signori feudali utilizzati dai Comuni guelfi toscani per propri ufficiali, il G. nel 1319 fu chiamato come podestà a Siena e, sempre dalla stessa città, come capitano generale nel 1324; con tale incarico condusse il contingente inviato dalla città in aiuto al Comune di Perugia in guerra contro quello di Spoleto.
Nello stesso anno, dopo che nel 1322 era morto il padre, venne a un accordo con il fratello Simone mediante un lodo arbitrale del fiorentino Geri Spini, in base al quale, mentre a Simone restava il nucleo casentinese con Poppi, Battifolle, Borgo alla Collina, Castel Castagnaio, ecc., al G. andavano i castelli in Mugello, Val di Sieve, Valdarno superiore e i centri romagnoli di Biforco e Acereta. Secondo tale divisione rientravano nella sfera del G. anche i "popoli" della vecchia corte di Ampinana in Mugello pervenuti ai due fratelli e al loro padre nel 1320 con il testamento del conte Guido Novello di Raggiolo, ma che erano stati inglobati dai Fiorentini nel loro contado subito dopo la morte di Guido Novello. I tentativi di Simone di avere in merito un giudizio arbitrale erano falliti, così il G., ai primi di ottobre 1325, mentre Firenze era in grave crisi dopo la sconfitta disastrosa subita combattendo contro l'esercito di Castruccio Castracani ad Altopascio, aveva occupato il castello di Ampinana e cinque dei villaggi che facevano parte della sua antica corte. Non sembra peraltro verosimile, anche per questo, che il G. avesse egli stesso combattuto ad Altopascio nell'esercito fiorentino, mentre è probabile che vi fossero contingenti di fanteria raccolti e inviati dai conti di Battifolle.
In ogni caso, per tale occupazione, alla fine di dicembre venne condannato dall'esecutore degli ordinamenti di giustizia del Comune fiorentino a una multa di 30.000 lire e al bando come ribelle. La condanna e il bando furono in realtà di brevissima durata. Nel luglio 1326, infatti, giunto in Toscana Carlo duca di Calabria - figlio di re Roberto di Napoli cui i Fiorentini nel momento di crisi avevano affidato la signoria sulla città - il G., accogliendo i consigli di vari esponenti politici fiorentini e probabilmente del fratello Simone, si presentò al suo servizio con 20 cavalieri e 200 fanti e lo seguì a Firenze dove rimase presso di lui e a utile della città per circa tre mesi. In tal modo ottenne, grazie all'intervento di Carlo, di essere in tutto condonato dal bando e dalla multa. Ma soltanto tre anni dopo, nel luglio 1329, i Fiorentini nuovamente ripresero Ampinana e i villaggi vicini.
Il G. comunque cercò ugualmente di irrobustire e consolidare i propri domini signorili, di per sé più dispersi e fragili di quelli toccati al fratello; così fra 1331 e 1332 acquistò per 1700 lire dai parenti del ramo di Modigliana la loro quota di diritti sulla contea del Pozzo in Val di Sieve, dopo che essa era servita a garanzia di un prestito di 6000 lire, e ugualmente fece con i Guidi del ramo di Romena riuscendo a costruire in tal modo una base di potere più solida. Non avendo a disposizione un palazzo come quello di Poppi, il G. si spostava per lo più nelle torri residenziali che aveva nei suoi castelli principali di Belforte e Pozzo in Val di Sieve, e Ganghereto in Valdarno.
Negli anni 1332-34 lo vediamo spesso presente nel cassero di Ganghereto dove risiedeva come suo vicario per i castelli del Valdarno il notaio Giovanni di Buto di cui ci sono rimasti, in uno dei suoi registri di imbreviature, vari atti che costituiscono un esempio del funzionamento di una piccola signoria rurale nella prima metà del Trecento. A nome del G., ser Giovanni amministrava la giustizia, riscuoteva le prestazioni, concedeva in feudo terreni; e così anche il G., quando era presente con il suo piccolo seguito, accoglieva uomini che gli si facevano accomandati, concedeva feudi, nominava i suoi visconti per i centri della Romagna e del Mugello, i rettori delle chiese su cui aveva patronato e gli ufficiali addetti a riscuotere i pedaggi sulle strade; fra l'altro, nel marzo del 1333 abbiamo un atto in cui lo vediamo trattare con i fiorentini Giovanni di Tedice degli Adimari e Manno de' Medici il rifornimento del sale per gli uomini dei castelli e villaggi a lui soggetti in Mugello e Valdarno.
L'attività di vicario di ser Giovanni di Buto terminò ai primi di gennaio 1335; il G. dovette morire poco dopo.
I Fiorentini, infatti, approfittarono all'inizio della primavera 1335 della giovane età e dell'inesperienza dell'unico figlio del G., Guido (nato presumibilmente fra 1315 e 1318) per far ribellare contro di lui dopo la morte del padre i popoli dei castelli di Valdarno e Val di Sieve.
Il fratello Roberto, nato tra 1285 e 1290, entrò nell'Ordine francescano alla Verna, dove suo nonno Simone aveva fatto edificare una cappella per ricordare il miracolo delle stimmate. Già nel 1300 Bonifacio VIII gli concesse un canonicato nella chiesa fiorentina di S. Apollinare e una prebenda annessa alla cattedrale di Cambrai, sebbene egli non avesse ancora i requisiti di età e stato religioso. Pare che sia stato mandato ad Assisi, dove avrebbe acquisito un'alta fama di religiosità per la sua vita penitenziale; di certo sappiamo che ad Assisi morì il 2 ag. 1315.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 9503, cc. 3v, 6v, 7, 9r, 11v, 20v, 30v, 35, 36v, 43r, 50v, 66r, 68v; Delizie degli eruditi toscani, VIII (1777), pp. 150, 183, 186; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, II, Parma 1991, pp. 490 s., 522, 692; III, ibid. 1991, pp. 118 s., 364; R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, III, Berlin 1901, p. 285 (per Roberto); L. Wadding, Annales minorum, VI, Ad Claras Aquas 1931, p. 258 (per Roberto); R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV, Firenze 1960, pp. 1030, 1059; VI, ibid. 1965, pp. 223 s.; P. Pirillo, Due contee e i loro signori: Belforte e il Pozzo tra XII e XV secolo, in Castelli e strutture fortificate nel territorio di Dicomano in età medievale, Firenze 1989, pp. 40, 80; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v.Guidi di Romagna, tav. XIV.