JANNI, Ugo
Nacque all'Aquila, il 10 sett. 1865, da Enrico e da Carilia Strina, in una famiglia agiata e fortemente impegnata nella causa della Unità d'Italia.
Il padre era stato rinchiuso per tre anni nel carcere di Castel Sant'Elmo, a Napoli, per le sue attività contro il governo borbonico; nel 1859-60 si era poi arruolato come volontario con G. Garibaldi e nel 1867 aveva partecipato allo scontro di Mentana; il nome dello J., a ricordo della militanza risorgimentale paterna, gli veniva da Ugo Bassi, il religioso condannato a morte dagli Austriaci nell'agosto del 1849.
Sollecitato dall'impegno civile dei genitori e dalla vivacità culturale della sua città, appena quindicenne, benché cattolico, si avvicinò alla comunità metodista dell'Aquila, in quegli anni attivissima e guidata da V. Caressa.
Come sottolinea G. Spini, gli aderenti alla Chiesa evangelica metodista in Italia erano soprattutto "dei cattolici liberali, che avevano maturato il distacco dalla Roma papale nel clima del Risorgimento", e tale Chiesa, proprio per il cattolicesimo liberale presente nel suo gene, era la più ""italiana" delle chiese evangeliche allora operanti in Italia" (p. 185).
Rimasta vedova nel 1881, la madre era tornata nella casa paterna dove lo J. e le sue due sorelle erano stati accompagnati nella crescita dal nonno Isidoro Strina e dagli zii Augusto, Giovanni e Massimo. Infatuato della vita militare, nel novembre 1882 lo J. si recò a Maddaloni, deciso a intraprendere la carriera militare contro il parere della famiglia; una lunga convalescenza a casa (1887-88) lo indusse a cambiare idea, a terminare (luglio 1888) il liceo interrotto e a iscriversi alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Roma. Mentre ancora frequentava il liceo, lo J. era stato attratto dal progetto di riforma religiosa proposto al cattolicesimo italiano dal conte Enrico Campello, fondatore nel 1882, a Roma, della Chiesa cattolica italiana, del cui programma lo J. era venuto a conoscenza tramite il suo professore di filosofia, F. Cicchitti Suriani. Egli decise, quindi, di aderire a questa Chiesa e di dedicarsi alla teologia in vista del ministerio ecclesiastico, abbandonando non solo la Chiesa di Roma ma anche gli studi giuridici intrapresi.
Il movimento promosso da Campello si inseriva nel fervore di riflessioni, iniziative e proteste che attraversavano il mondo cattolico europeo, scontento della svolta autoritaria impressa alla Chiesa di Roma da Pio IX. Tale clima aveva generato in molti paesi un ampio movimento di opposizione al crescente accentramento della Curia e alle rivendicazioni temporali del pontefice, e una spinta alla creazione di Chiese nazionali, aperte alle istanze democratiche largamente sentite nella società e improntate a uno spirito di collaborazione con i singoli governi. In questo quadro nacque il movimento dei vecchio-cattolici e si arrivò alla fondazione, in Europa, di numerose Chiese nazionali che in quel movimento si riconoscevano. Anche in Italia si manifestarono con vivacità il dissenso contro l'infallibilità, il dominio temporale dei papi, l'autoritarismo della Curia, la chiusura verso i nuovi indirizzi esegetici e teologici, e non mancarono svariati tentativi di dar vita a una Chiesa nazionale in sintonia con la linea teologica dei vecchio-cattolici; ma la vicinanza del papa, che richiese l'intervento governativo per reprimere le iniziative sgradite, impedì loro di radicarsi. La Chiesa cattolica italiana di Campello fu una di queste e la più duratura: essa nacque, e si consolidò, in stretta relazione con l'affermarsi in Germania e in Francia del vecchio-cattolicesimo, cui aderì ufficialmente nel 1884; in quello stesso anno la Chiesa di Roma emise la scomunica contro Campello e l'intera comunità (E. Campello, Cenni autobiografici, che rendono ragione dell'uscita di lui dalla Chiesa papale, Roma 1881, p. 52).
Compiuta la propria scelta, lo J. lasciò l'Italia e si recò a studiare presso la facoltà di teologia vecchio-cattolica fondata a Berna nel 1874. Nel 1889 terminò gli studi e il 22 dicembre venne ordinato presbitero dal vescovo E. Herzog, in nome del vescovo di Salisbury, mantenendo in tal modo la successione apostolica.
Prima sede pastorale fu San Remo, dove la sua attività di predicatore e conferenziere incontrò notevole favore. In quella città, dal 1890, tra molte difficoltà organizzative ed economiche, riprese a pubblicare, in veste di direttore-proprietario, Il Labaro, il giornale fondato dal Campello nel 1882.
Sotto la sua direzione il periodico continuò a essere pubblicato fino al 1901, riuscendo a dar voce al dissenso cattolico italiano ma segnalando anche il progressivo declino della Chiesa di Campello.
Nel maggio 1895 lo J. sposò Felicita Alessandrina Long; dal matrimonio nacquero Elsie ed Ethel Evangelina.
La moglie fu, per lo J., fedele compagna della vita e sua instancabile collaboratrice. Felicita coordinò le attività interne alla chiesa (scuola domenicale, canto, musica, circolo giovanile); durante la prima guerra mondiale istituì, nei locali della chiesa, una Sala del soldato per l'accoglienza di militari e reduci; diresse, fino a che nel 1935 le autorità non ne imposero la chiusura su pressioni vaticane, la scuola elementare valdese e il doposcuola, frequentate indistintamente da evangelici e non.
Ancor prima dell'abiura di Campello e del suo rientro nella Chiesa di Roma (1902), già sul finire del 1900, lo J., ormai convinto della mancanza di prospettive per la Chiesa cattolica italiana, rifiutata l'offerta del vescovo di Salisbury di occuparsi di una chiesa di lingua italiana a Londra, chiese alla Chiesa valdese di accoglierlo insieme con la sua comunità vecchio-cattolica, i cui membri si iscrissero individualmente alla Chiesa valdese, presente a San Remo dal 1876 (gennaio 1901). Nell'aprile 1901 venne eletto un nuovo Consiglio di Chiesa e lo J. sostituì il pastore G. Petrai; dopo un anno di ministerio, nel settembre 1902, senza ricevere una nuova consacrazione, perché il Sinodo riconosceva valida quella del 1889, divenne membro del corpo pastorale. In deroga agli ordinamenti valdesi lo J. rimase tutta la vita a San Remo: la condizione particolare era stata imposta da Laura Heye, benefattrice della comunità, nel momento del passaggio, e accettata dal Sinodo. In forza di tale particolare "statuto", nel 1935 rifiutò l'emeritazione e rimase pastore della comunità a tutti gli effetti fino alla morte.
Lo J. morì a San Remo il 30 luglio 1938.
Nella Chiesa valdese, e più in generale nel mondo del protestantesimo italiano, lo J. fu presenza vivacissima e attenta, collaboratore instancabile de La Luce, della Rivista cristiana, di Bilychnis, di Conscientia.
Come pastore valdese esplicò un'intensa attività sollecitando i Sinodi (da lui presieduti due volte, nel 1911 e nel 1922) a discutere di evangelizzazione, escatologia, liturgia, per riconsiderare nella prospettiva unionista, che costituisce il filo rosso del suo pensare e del suo agire, le dottrine e le tradizioni evangeliche. Con il medesimo intento si impegnò (1922) nella commissione pro innario e nella preparazione della raccolta di Preghiere liturgiche per tutte le domeniche e altre solennità dell'anno cristiano (Roma 1925), edita a nome della Lega evangelica italiana per l'elevazione del culto.
La richiesta di adesione alla Chiesa valdese dello J., infatti, non era stata dettata dalla volontà di mantenere comunque in vita un'istituzione prossima alla scomparsa ma rispondeva alle sue convinzioni più profonde. Già in uno dei primi numeri de Il Labaro, enunciava con chiarezza il proposito di operare per l'unione tra le diverse confessioni cristiane (marzo 1891, n. 1). Le aspirazioni ecumeniche all'unione dei tre rami storici del cristianesimo facevano parte integrante del bagaglio ideologico del vecchio-cattolicesimo; lo J. le aveva fatte proprie negli anni di Berna e a esse si mantenne fedele tutta la vita, convinto che "solo una Chiesa unita svolgerà un'azione efficace nel mondo contemporaneo" (La Riforma cattolica italiana. Cenni apologetici, Sanremo 1895, p. 24).
In tale prospettiva, passato alla Chiesa valdese, lo J. si impegnò a fondo per l'unione, intanto, delle diverse Chiese evangeliche italiane: dette un forte impulso unionista all'Associazione cristiana dei giovani; fu attivissimo nella Federazione italiana studenti per la cultura religiosa, presieduta da G. Luzzi, dirigendone (e dal 1927 gestendolo come proprietario) il bollettino Fede e vita; propose ripetutamente la creazione di una Federazione delle Chiese evangeliche italiane; contrastò l'uso del francese nelle pubblicazioni e nel culto. Anche il lavoro sulla liturgia, che lo impegnò per oltre trent'anni, ebbe intenti unitari e fu volto alla restituzione del culto della Chiesa primitiva (Liturgia della Santa Cena per uso delle Chiese cristiane evangeliche, in Rivista cristiana, VIII [1906], pp. 81-91; Liturgia evangelica. Ordine del culto domenicale della mattina quando non si celebra la Santa Cena [tre formule], Sanremo 1909-11; Il culto cristiano rivendicato contro la degenerazione romana, Torre Pellice 1920; Saggio di liturgia evangelica della Santa Cena, Pinerolo 1933). La tensione all'unione che anima tutta la sua riflessione teologica trovò piena espressione negli scritti della maturità: Teosofia (Torino 1932), Ultra. Problemi relativi alla finalità del creato ed alla nostra vita dopo la morte (Modena 1935), Corpus Domini. La Chiesa: suoi valori eterni, suoi problemi moderni (ibid. 1938).
Con lo stesso spirito di fraternità lo J. si avvicinò al movimento che Pio X, condannandolo nel 1907, definiva modernismo, e ne condivise la volontà di confronto tra la cultura cattolica e la cultura moderna e le aspirazioni a un rinnovamento religioso, che in Italia appariva più arduo - e necessario - che altrove per la presenza opprimente della gerarchia ecclesiastica e della S. Sede. I suoi contatti con il gruppo milanese di P. Sabatier furono assai stretti e su Fede e vita lasciò ampio spazio agli scritti di R. Murri, S. Jacini, Antonietta Giacomelli, A. Fogazzaro e tanti altri; alla discussione modernista offrì, con il Catechismo filosofico sulle fondamentali dottrine del cristianesimo (Firenze 1907) e I valori cristiani e la cultura moderna (Mendrisio 1913) il proprio apporto critico e costruttivo; nel 1911 invitò al Sinodo per una conferenza lo stesso Murri, ritenendo che la Chiesa valdese potesse offrire al movimento un importante "ubi consistam non evanescente" (Il Sinodo valdese del 1911, in La Cultura contemporanea, II [1911], p. 228).
Le tensioni ecumeniche e le convinzioni unioniste di cui era così profondamente compreso portarono lo J. ad approdare al movimento pancristiano che percorre trasversalmente le Chiese cristiane nei primi decenni del secolo Ventesimo e che si poneva come coronamento del movimento ecumenico, proponendo all'intera Cristianità un percorso che, dall'unione in un unico movimento - attraverso l'esame delle questioni che dividono e dei punti che uniscono -, conducesse poi alla riunione di tutte le Chiese in un organismo solo.
A posteriori lo J. indicherà, nel suo scritto La cattolicità della Chiesa e i caratteri del movimento cattolico moderno (in La Cultura contemporanea, III [1912], pp. 193-217), la propria "solenne confessione di fede pancristiana, non soltanto sentimentale ma fondata su una concreta concezione dottrinale". Nel 1913, insieme con B. Casciola, promosse la Lega di preghiera per la riunione delle Chiese cristiane, che subito raccolse oltre settanta adesioni. Nel 1927 l'Università scozzese di St. Andrew lo insignì quale "Doctor divinitatis honoris causa", riconoscendo l'importanza del suo lavoro in campo teologico, filosofico, liturgico.
La guerra, l'avvento del fascismo, la chiusura e l'ostilità crescente della Chiesa di Roma verso le Chiese protestanti penalizzarono pesantemente le istanze di rinnovamento cristiano tanto care allo J. e ad altri della sua generazione; non riuscirono però mai a interrompere la sua ricerca teologica o a distoglierlo dal dialogo con le altre Chiese cristiane, e neppure a scalfire la sua certezza che l'unità della Chiesa fosse già una realtà per volere di Cristo e che il solo problema fosse che le diverse Chiese ne prendessero atto.
Fonti e Bibl.: Torre Pellice, Arch. della Società di studi valdesi, Carte Ugo Janni; Il movimento pancristiano. Storia e documenti, Sanremo 1928; U. J. e i modernisti. Carteggio di Ugo Janni con A. Favero, P. Sabatier, L. von Auw (Centro studi per la storia del modernismo, Fonti e documenti, voll. 5-6), a cura di A. Zussini, Urbino 1977; C. Milaneschi, U. J., pioniere dell'ecumenismo, Torino 1979 (con ampia bibl.; alle pp. 275-282 l'elenco degli scritti dello J.); V. Vinay, Storia dei valdesi. Dal movimento evangelico italiano al movimento ecumenico (1848-1978), III, Torino 1980, ad ind.; G. Ferreri, Un apostolo moderno: U. J., Torre Pellice 1987; G. Spini, Italia liberale e protestanti, Torino 2002, ad ind.; Diz. del Movimento ecumenico, s.v. (P. Ricca).