MUTTI, Ugo
– Nacque a San Lazzaro Parmense il 1° aprile 1893, figlio di Marcellino e di Eva Squarza.
La famiglia Mutti, originaria dell’Appennino, era emigrata all’inizio dell’Ottocento nella più fertile pianura dove l’antenato Giovanni aveva già iniziato a introdurre importanti innovazioni nei metodi di coltivazione. Nell’ultimo decennio del secolo, i fratelli Marcellino e Callisto, si trasferirono, in qualità di affittuari, nella tenuta Corte a Piazza di Basilicanova, nel comune di Montechiarugolo. Le straordinarie capacità lavorative e l’applicazione dei più moderni ritrovati della scienza agraria dell’epoca in pochi anni consentirono ai due fratelli di acquistare la Corte dalla Pia Società Salesiana; nel podere fu creato anche un caseificio, dotato dei primi macchinari per la produzione di burro e formaggio. La moderna storia imprenditoriale dei Mutti, però, ebbe inizio nel primo decennio del Novecento con l’avvio della lavorazione della conserva di pomodoro in un apposito opificio, nel momento in cui l’espansione dell’agricoltura locale parmense, favorita dall’aumento della domanda, determinava un forte incremento dell’industria agroalimentare e di quella del pomodoro in particolare. La crisi agraria di fine Ottocento, infatti, aveva ridimensionato la coltivazione del mais a favore della barbabietola da zucchero e del pomodoro, che assicuravano maggiore redditività. Diversi fattori concomitanti – eccellenti condizioni climatiche e pedologiche, possibilità di irrigare e arare il terreno in profondità, introduzione del pomodoro nel ciclo delle rotazioni delle coltivazioni, crescita progressiva della domanda di pomodoro fresco e conservato sul mercato provinciale, nazionale ed estero, alta redditività del prodotto – avevano poi consentito un ulteriore incremento della coltivazione e dell’industria per la trasformazione.
Nel quadriennio 1909-12 l’aumento significativo della produzione di pomodoro nella provincia di Parma fu accompagnato da una costante crescita delle esportazioni di conserva soprattutto verso Gran Bretagna, Argentina, Stati Uniti, Belgio e Francia. La Mutti cominciò a distinguersi tra i produttori, ottenendo riconoscimenti ufficiali nazionali e internazionali per la qualità. L’azienda, analogamente ad altri produttori locali, era attiva anche nel settore agricolo, zootecnico, caseario e dei prosciutti, ma lo sviluppo della produzione spinse la famiglia sulla via della specializzazione e a un progressivo abbandono delle altre attività.
Al principio degli anni Trenta, per effetto di una sovrapproduzione del settore e di un calo dei consumi generato dalla grande depressione, i bilanci della società registrarono pesanti perdite, ma già dal 1935, approfittando della fase espansiva dell’economia, l’azienda tornò a fare utili. All’incremento della produzione si fece fronte rilevando una serie di stabilimenti in area parmense, in provincia di Alessandria e di Forlì.
Dall’inizio dell’attività fino alla morte, avvenuta nel 1941, l’impresa fu diretta da Marcellino, coadiuvato dai quattro figli Ferdinando, Ugo, Giovanni, Francesco, ciascuno dei quali con una mansione specifica. Ugo, in particolare, fu preposto alla direzione tecnica degli stabilimenti, all’innovazione tecnologica, alla ricerca e sperimentazione delle tecniche produttive e dei nuovi prodotti.
Mutti interruppe gli studi dopo aver conseguito la licenza elementare per entrare subito in azienda. Nel 1912 partecipò come volontario alla campagna di Libia. Nel giugno 1915 fu richiamato nell’esercito per combattere nella Grande guerra, da ultimo fra gli Arditi, guadagnandosi due encomi solenni, una promozione al merito, una croce di guerra con motivazione e una croce di guerra semplice. Fu sindaco e poi podestà del Comune di Montechiarugolo, dal 1923 per 12 anni consecutivi, al termine dei quali gli fu conferita la commenda. Richiamato come tenente di artiglieria nella seconda guerra mondiale, fu dislocato nella Francia meridionale fino all’armistizio. Riuscì a rientrare rocambolescamente in Italia, evitando la cattura da parte dei tedeschi. Dopo la costituzione della Repubblica sociale italiana e fino al termine delle ostilità, entrò in clandestinità, acquisendo delle non meglio specificate benemerenze presso il Comitato di liberazione nazionale, che gli consentirono, all’indomani del 25 aprile 1945, di evitare l’epurazione. Dopo la morte del padre, fu lui – vera e propria anima del complesso industriale – a indirizzare le strategie aziendali.
Alla fine degli anni Quaranta lo scenario dell’industria conserviera parmense non era troppo diverso da quello dell’anteguerra, con un cospicuo numero di opifici (circa 50), per lo più di piccole dimensioni, guidati con criteri artigianali e privi di politiche commerciali evolute. In quel panorama, tuttavia, la Mutti aveva conseguito dimensioni ragguardevoli e una certa notorietà, in Italia e all’estero. Il marchio contrassegnato dai ‘Due leoni’ era già rinomato e sinonimo di qualità. Due caratteristiche distintive dell’azienda furono l’aver lavorato esclusivamente prodotto ‘in marca’, e mai per conto terzi, e l’aver destinato una quota costante del fatturato, pari a circa il 25%, all’esportazione. Inoltre, nel dopoguerra, grazie anche al miglioramento dei trasporti, ceduti gli altri stabilimenti, si concentrò la produzione della conserva a Basilicanova e Provazzano (fino al 1969). Il processo di trasformazione avveniva con le stesse procedure impiegate nel passato e il prodotto finito era inscatolato in barattoli di banda stagnata, destinati al consumatore, oppure posto in botti di legno destinate alla commercializzazione industriale. In quel periodo, però, la modesta diffusione del frigorifero presso le famiglie italiane poneva seri problemi per la conservazione, una volta aperta la confezione, del prodotto non consumato. L’unica soluzione consisteva nel coprire con un sottile velo d’olio il concentrato, per proteggerlo dalla muffa. In questo contesto la Mutti generò, per merito di Ugo, l’intuizione che avrebbe rivoluzionato il packaging del settore e apportato all’azienda un vantaggio tecnologico e commerciale sulla concorrenza. Si progettò, infatti, di mettere il concentrato di pomodoro, il prodotto all’epoca più noto e apprezzato, in un tubetto, al fine di evitare contemporaneamente problemi igienici e di conservazione. Furono condotti lunghi esperimenti per ottenere le condizioni e i vantaggi ricercati. Fino ad allora, infatti, nessuno aveva immesso prodotti a caldo e sostanzialmente acidi in contenitori di quel tipo. La nuova confezione fu lanciata nella primavera 1951: il successo si fece attendere e fu necessario vincere le resistenze di dettaglianti e consumatori, anche mediante un’adeguata campagna pubblicitaria. Paradossalmente l’iniziale difficoltà si volse a vantaggio della Mutti, poiché la concorrenza, sottovalutando l’impatto dell’innovazione, perse tempo prezioso, consentendo all’azienda di Basilicanova di mantenere un gap tecnologico e consolidare il primato nel settore. La brillante idea di utilizzare per sigillare il tubetto un ditale in plastica, fruibile dalle casalinghe per i lavori di cucito, contribuì a distinguere e a rendere riconoscibile il prodotto. In breve il concentrato Mutti divenne noto come «il tubetto del ditale», un motto ampiamente utilizzato nella propaganda pubblicitaria e nei cartelli promozionali.
Alla fine degli anni Sessanta, Mutti lanciò un prodotto totalmente nuovo, da lui stesso denominato «polpa di pomodoro». Si trattava di pomodoro pelato, tagliato in piccolissimi pezzi e successivamente sgocciolato, dotato quindi di maggior resa e immediatamente pronto all’uso. Anche in questo caso l’azienda funse da apripista, stimolando l’intero settore.
Morì a Montechiarugolo il 20 settembre 1980.
Le innovazioni tecnologiche a lui riconducibili contribuirono alla modernizzazione del comparto e, sul medio periodo, rappresentarono la precondizione perché, all’alba del terzo millennio, la Mutti fosse la marca più importante nell’ambito dei produttori parmensi e fra le realtà più significative del panorama nazionale.
Fonti e Bibl.: I. Pergreffi, L’industria del pomodoro a Parma tra la fine dell’Ottocento e la seconda guerra mondiale, Reggio Emilia 1994; Fratelli Mutti dal 1892 al 1995, a cura di G. Montacchini, Parma 1995, testo redatto a esclusivo beneficio della famiglia; Parma anni Cinquanta. Avvenimenti, atmosfere, personaggi, a cura di G. Gonizzi, Parma 1997, pp. 134 s.; A. Capatti, Pomi d’oro. Immagini del pomodoro nella storia del gusto, Parma 1999, pp. 120-131, ed. fuori commercio pubblicata per celebrare il centenario dell’azienda; Viva la pappa col pomodoro. Cent’anni fa nasceva il marchio dei fratelli Mutti, in Corriere di Parma, n. 1, estate 1999, pp. 46-48; G. Gonizzi, Una vita all’insegna del pomodoro. Francesco Emanuele, la Stazione sperimentale delle conserve e la nascita della Fiera di Parma (1925-50), in Parma economica, n. 3, settembre 2000, pp. 63 s.; S. Magagnoli, Dai campi alle officine. Origine e sviluppo del sistema agroindustriale di Parma, in Così il lavoro redento alfin sarà. I lavoratori della terra nel parmense dalle leghe alla CGIL, a cura di S. Magagnoli et al., Parma 2005, pp. 221-265; G. Gonizzi, Dalla terra alla tavola. La tradizione gastronomica parmense nella storia, in D. Vera, Storia di Parma,I, I caratteri originali, Parma 2008, pp. 421-451; A. Guenzi, Il sistema agroindustriale, ibid., pp. 453-479. Per la stesura della voce ci si è avvalsi della testimonianza del dottor Marcello Mutti.