NIUTTA, Ugo
NIUTTA, Ugo. – Nacque il 9 novembre 1921 a Tripoli da Mario, allora funzionario coloniale in Tripolitania, e da Luisa Boursier.
Prese parte alla seconda guerra mondiale, prima sul fronte russo poi su quello africano. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si schierò con i Savoia, entrando a far parte dell’organo di controspionaggio del Regno del Sud, il Servizio informazione militare (SIM), nella sezione Calderini, e collaborò attivamente con il servizio di sicurezza britannico, lo Special Operations Executive. In tale veste partecipò a una rischiosa operazione in Valdossola, dove fu paracadutato dietro le linee tedesche per attivare contatti con le brigate partigiane. Per le sue azioni fu poi insignito della medaglia di bronzo al valor militare e della croce di guerra, e ottenne dall’Associazione nazionale partigiani d’Italia la qualifica di «partigiano combattente». In quel periodo fece due incontri destinati a rivelarsi cruciali per il suo futuro: Enrico Mattei ed Eugenio Cefis, alla guida di gruppi partigiani bianchi.
Dopo la guerra si laureò in giurisprudenza e nel 1948 entrò in magistratura. Dopo aver prestato servizio nei tribunali di Trento, Bolzano, Todi, Amelia, Latina e Roma, nel 1964 fu nominato magistrato di corte d’appello, e poi presidente della prima Sezione penale del Tribunale di Roma. Nel marzo 1954, intanto, aveva sposato Alberta Zanoni, dal matrimonio con la quale nei due anni successivi nacquero Francesco ed Enrico. Nel 1957 accettò l’offerta dell’ENI guidato da Mattei e, collocato fuori ruolo dalla magistratura, assunse importanti incarichi, prima nel servizio studi legislativi, poi come esperto per i rapporti con gli organi pubblici, infine come assistente del direttore generale per gli affari legislativi.
Rimase nell’ente per circa un decennio, anche dopo la morte di Mattei, forte dei buoni rapporti con il nuovo presidente Cefis. L’incarico gli consentì di affinare le competenze giuridiche in materia di partecipazioni statali e disciplina della concorrenza (temi a cui dedicò varie pubblicazioni) e, al contempo, di collaborare alla formulazione di alcuni disegni di legge che regolamentavano i settori di attività dell’ente. Consolidò così i rapporti con il mondo politico, in particolar modo con i dirigenti della DC, e la sua carriera ne trasse vantaggio.
Assunto pienamente il profilo di alto burocrate, al confine tra politica e dirigenza amministrativa, nel 1967 fu chiamato alla guida dell’ufficio studi legislativi del ministero delle Partecipazioni statali; nel luglio 1970 venne nominato consigliere di Stato; dal 1970 al 1972 fu capo di gabinetto del ministro Riccardo Misasi alla Pubblica Istruzione. In quegli anni strinse un intenso rapporto con Antonio Bisaglia, tra i dirigenti democristiani più in vista e tra i maggiori sostenitori dell’intervento pubblico in economia. Grazie alle competenze acquisite, alla conoscenza delle dinamiche del rapporto tra amministrazione e politica e, non da ultimo, all’appoggio di Bisaglia, fu proiettato alla testa del complesso sistema degli enti economici pubblici. Nel 1975 Bisaglia, allora ministro delle Partecipazioni statali, lo nominò commissario straordinario dell’Ente Cinema, l’organismo che controllava società operative pubbliche del settore (Istituto Luce, Cinecittà e Italnoleggio). Dopo poco più di un anno fu designato, sempre da Bisaglia, con il nulla osta di PSI e PCI, commissario straordinario dell’EGAM (Ente autonomo di gestione per le aziende minerarie e metallurgiche), un contenitore di 72 aziende partecipate dallo Stato nel settore metallurgico-minerario e degli acciai speciali.
Fu incaricato di intervenire sul bilancio dell’ente – il più disastrato delle partecipazioni statali – portando a compimento il taglio delle spese e la vendita di alcune aziende controllate, per concentrare le risorse sulle attività principali. Evitò di favorire la cessione in tempi rapidi ai gruppi privati e cercò di conciliare risanamento finanziario e rilancio dell’attività industriale, con l’obiettivo di salvaguardare il sistema delle partecipazioni statali e un forte presidio pubblico nel settore. Come sostenne nell’audizione alla Commissione bilancio della Camera durante la quale presentò il suo programma, «non è disperdendo le limitate risorse di cui dispone il paese che si facilita la ripresa dell’economia» e a questo fine si sarebbe dovuto impedire che l’impresa pubblica venisse «ad abdicare di fatto dalla sua funzione di promuovere attività produttive utili alla società» (Atti parlamentari, Bollettino delle commissioni, V Commissione permanente, Bilancio e programmazione - Partecipazioni statali, 60, 10 novembre 1976, p. 19).
Pur tra ostacoli e opposizioni Niutta alla fine scelse, col sostegno di Bisaglia, di mantenere nelle mani pubbliche la gran parte delle aziende e, però, di chiudere l’EGAM. Nell’aprile 1978 si arrivò allo scioglimento dell’ente e al trasferimento delle attività all’IRI e all’ENI, in gestione fiduciaria. Nel periodo in cui fu commissario dell’EGAM si trovò frequentemente al centro di polemiche: fu accusato di avere realizzato un’operazione di facciata, di non essere intervenuto sulle reali cause delle perdite, di aver approntato bilanci poco trasparenti, di non aver tutelato le aziende meridionali, con gravi danni per l’occupazione. In quegli anni, d’altra parte, l’intero management delle imprese statali fu oggetto di dure campagne di stampa, che denunciavano le inefficienze e gli enormi sprechi nella gestione degli enti e il frequente ricorso a pratiche clientelari e corruttive.
Furono quegli, per Niutta, gli anni di massima visibilità pubblica: una visibilità non limitata alle cronache politiche e finanziarie. Grazie alla frequentazione di alcuni dei grandi nomi del cinema italiano, nata nel periodo all’Ente cinema, e, dopo il divorzio dalla moglie, alla relazione sentimentale con la presentatrice televisiva Aba Cercato, conquistò anche le pagine della cronache mondane.
Con l’esperienza all’EGAM Niutta, lontanissimo ormai dalle aule giudiziarie, rappresentava a tutti gli effetti un tipico esponente del management pubblico, capace di attraversare con disinvoltura e non senza spregiudicatezza il mondo della politica, della burocrazia e della grande impresa, grazie anche a un fortissimo senso di fedeltà ai partiti, alle correnti e ai dirigenti politici di riferimento.
Nel luglio 1977 fu candidato da Bisaglia al vertice della Saipem (società del gruppo ENI) ma l’opposizione dei repubblicani e, soprattutto, dei comunisti – che lo accusavano di non possedere sufficienti capacità manageriali – bloccò la nomina. Nel marzo 1978 divenne vicepresidente unico della Montedison International, la holding presieduta da Mario Schimberni che raccoglieva tutte le principali partecipazioni industriali e commerciali estere del gruppo. Chiamato in settembre alla presidenza della Carlo Erba dall’amico Cefis, presidente della Montedison, Niutta – dimessosi l’anno successivo dal Consiglio di Stato – condusse la società alla fusione con la Farmitalia, assumendone la presidenza, e poi alla quotazione a Wall Street, contribuendo in questo modo alla formazione di un grande polo farmaceutico italiano, del quale assunse la carica di presidente.
Nel momento del suo apogeo professionale, fu chiamato in causa in relazione ad alcune delle più torbide vicende dell’Italia repubblicana. Sul finire degli anni Settanta fu accusato dal giornalista Mino Pecorelli, direttore del settimanale OP, di malversazioni e stretti legami con Licio Gelli e con logge massoniche clandestine, accusa rilanciata all’inizio degli anni Ottanta, quando venne alla luce l’esistenza della loggia massonica P2 guidata proprio da Gelli. Benché il suo nome non comparisse nell’elenco dei membri dell’organizzazione ritrovato dalla magistratura, fu accusato – in particolare da Marco Pannella e Massimo Teodori, del Partito radicale – di aver aderito alla loggia e di avervi ricoperto un ruolo di primissimo piano. L’imputazione – nonostante gli elementi addotti e dopo l’audizione resa alla commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 – non trovò riscontri sufficienti e cadde. Acclarati, anche per ammissione dello stesso Niutta, furono però i rapporti intrattenuti, in parte per conto di Cefis, con autorevoli esponenti della loggia, come il generale Vito Miceli, Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din. Proprio in relazione a queste vicende, in anni successivi il suo nome tornò in alcune ricostruzioni giornalistiche o parastoriografiche riconducibili al genere letterario dei ‘misteri d’Italia’, che rilanciarono l’ipotesi di una sua appartenenza alla P2 (Brambilla - Vimercati, 1992, pp. 105-110).
È stato inoltre avanzato il dubbio che fosse coinvolto nell’ingente giro di finanziamenti occulti a uomini politici e alti ufficiali dell’aeronautica messo in piedi dalla società americana Lockheed per favorire l’acquisto dei propri aerei: come emerse dall’inchiesta giudiziaria aperta nel 1976, uno dei massimi destinatari delle tangenti era chiamato con il nome in codice di «Antelope Cobbler», lo stesso utilizzato da Niutta durante la guerra (Di Giovacchino, 2005, p. 137; Giannuli, 2011, pp. 226 s.). Tuttavia, neanche in anni successivi emersero fatti di rilevanza e attendibilità sufficienti a ribaltare le verità acquisite.
Morì suicida il 5 novembre 1984 a Londra.
Era affetto da un male incurabile, e questa fu la ragione del gesto addotta nelle brevi lettere trovate nella sua stanza d’albergo. Alcuni organi di stampa italiani e inglesi (in particolare l’Unità e il Daily Express) non mancarono di avanzare dubbi sulla modalità del decesso. Alcune coincidenze, infatti, alimentarono sospetti mai del tutto diradatisi: le motivazioni del suicidio non per tutti convincenti; le analogie con la morte di Roberto Calvi, altro suicidio sospetto avvenuto a Londra poco meno di due anni prima e, soprattutto, la prossimità temporale con la morte del suo mentore Bisaglia, annegato dopo essere caduto in mare dalla sua barca, in circostanze anch’esse poco chiare, il 24 giugno precedente. L’inchiesta ufficiale sul decesso, aperta dal coroner inglese, come da legge britannica, stabilì tuttavia che si era trattato di suicidio, chiudendo quindi le indagini.
Tra i suoi scritti: Il ministero delle Partecipazioni statali: organizzazioni e finalità, in L’amministrazione italiana, I (1958), pp. 8-10; La disciplina della libertà di concorrenza e di mercato, con A. Salvatori, Milano 1960; L’Egam risponde. I problemi e i piani, in La Stampa, 20 gennaio 1977.
Fonti e Bibl.: Roma, Consiglio di Stato, Fascicoli personali, fasc. 1092/r, Niutta dott. Ugo; London, The National Archives, Records of Special Operations Executive, HS 9/1105/6; Roma, Arch. storico Eni, Fondo Eni/legale, Ufficio studi legislativi, b. 15, fasc. 49FD; b. 53, fasc. 4B09; b. 39, fasc. 27; ibid., Fondo Asap (Associazione sindacale aziende petrolifere). R. Bellato, Come l’ente di Stato è riuscito in 3 anni a divorare 1250 miliardi per mantenere 34 mila posti di lavoro, in La Stampa, 4 gennaio 1977; È morto U. N. (suicidio?), in l’Unità, 6 novembre 1984; M. Brown, Scandal “suicide” probe, in Daily Express, 3 dicembre 1984; M. Teodori, P2: la controstoria, Milano 1986, pp. 106, 107, 112; C. Brambilla - D. Vimercati, Gli Annegati. Il giallo dei Bisaglia e altri misteri, Milano 1992, pp. 50-57, 105-110; R. Di Giovacchino, Il libro nero della prima Repubblica, Roma 2005, pp. 66, 136 s.; M. Gotor, Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano, Torino 2011, pp. 131, 307 s.; A. Giannuli, Il Noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro. La clamorosa scoperta di un servizio segreto che riscrive la recente storia d’Italia, Milano 2011, pp. 226 s.