RANGONI, Ugo
RANGONI (Rangone), Ugo. – Nacque a Modena nel 1485 o 1486 da Gherardo, conte di Castelvetro e Livizzano, e da Violante figlia di Ambrogio Contrari conte di Vignola.
Appartenente a una delle principali famiglie della nobiltà modenese di tradizione militare, dopo la laurea in utroque iure conseguita presso l’Università di Padova si avviò alla carriera ecclesiastica e nel dicembre del 1510, alla morte di Gian Luca Castellini, fu nominato vescovo di Reggio; una scelta dovuta certamente, almeno parzialmente, al ruolo avuto dal padre nella recente conquista di Modena da parte dello Stato della Chiesa.
Lo stesso conflitto fra papa Giulio II e il duca di Ferrara, causato dalla ricomposizione delle alleanze seguita alla battaglia di Agnadello e allo scioglimento della Lega di Cambrai, portò Rangoni all’episcopato di Reggio e ritardò il suo insediamento: al rifiuto di aprire le porte della città di Reggio alle truppe papali, seguito alla conquista di Modena nell’agosto del 1510, il pontefice rispose con l’interdetto, sospendendo di fatto la vita religiosa dei reggiani. Due anni più tardi, nel luglio del 1512, fu proprio Rangoni a prendere possesso della città per conto di Giulio II, togliendo l’interdetto e insediandosi come vescovo.
La sua residenza nella sede episcopale fu fin dall’inizio discontinua: poco dopo l’insediamento si assentò certamente per partecipare al V Concilio Lateranense, convocato da Giulio II in opposizione al Concilio di Pisa dell’anno precedente, e ritornò nel 1514. Dopo la riconquista di Reggio da parte di Alfonso I d’Este, avvenuta nel settembre del 1523 durante l’interregno seguito alla morte di Adriano VI, la sua frequentazione di Roma diventò più assidua.
Durante il V Concilio Lateranense partecipò a quasi tutte le sessioni, prendendo in particolare parte alla commissione addetta a studiare la riforma della Curia romana; un impegno, quello del disciplinamento del clero, che lo vide attivo anche come vescovo.
Sotto Leone X e i papi successivi fu incaricato di diverse delicate missioni politiche e diplomatiche. Nel 1515 fu inviato a ricevere, ai confini dello Stato della Chiesa, il re di Francia Francesco I, diretto a Bologna per incontrarsi con il pontefice, nel 1525 viaggiò in Francia e nel 1527 in Spagna. Inoltre, nel 1533 fu a capo della delegazione inviata da Clemente VII a cercare un avvicinamento con i principi luterani tedeschi. Accompagnato da Lambert de Briaerde, affiancatogli su richiesta di Carlo V, Rangoni visitò Ferdinando d’Asburgo, i principi elettori e altre figure di spicco del mondo tedesco raccogliendo adesioni alla proposta di tenere un concilio in una delle tre città (Mantova, Piacenza e Bologna) proposte dal pontefice. Tuttavia, i teologi protestanti di Wittemberg, interpellati dalla Lega di Smalcalda, rifiutarono il consenso a un concilio nella forma tradizionale voluta dal papa e questo rifiuto – unito alle resistenze della corte francese e di quella inglese – causò un brusco arresto nelle trattative.
Al ritorno dalla missione, Rangoni fu nominato governatore di Parma e prolegato della Gallia Cisalpina, incarichi che lasciò presto perché chiamato dal nuovo papa Paolo III – che in un primo momento aveva pensato di inviarlo in missione diplomatica presso Carlo V – al governo di Roma.
Fu probabilmente durante il periodo come governatore di Roma che Rangoni donò al pontefice una statua di Venere stante, posta da quel momento in una nicchia del Cortile del Belvedere e oggi conservata nei magazzini dei Musei Vaticani.
Nonostante l’insuccesso della missione in Germania – insuccesso che Paolo Sarpi, quasi certamente a torto, imputa a errori di Rangoni – nel concistoro dell’8 aprile 1536 il vescovo fu scelto, assieme con altri due esperti della realtà tedesca come Girolamo Aleandro e Pier Paolo Vergerio il Giovane, per affiancare i sette cardinali (Giovanni Piccolomini, Lorenzo Campeggi, Girolamo Ghinucci, Giacomo Simonetta, Gaspare Contarini, Paolo Emilio Cesi, Alessandro Cesarini) incaricati di redigere il testo della bolla Ad dominici gregis curam; la bolla, pubblicata il 2 giugno 1536, convocava a Mantova per l’anno successivo un concilio ecumenico che, però, non si tenne mai.
Un ulteriore tentativo di concilio, ancora una volta infruttuoso, lo portò nel 1537 a Vicenza assieme con il vescovo di Verona Gian Matteo Giberti: i due vescovi – con il riluttante appoggio delle autorità vicentine, cui giungevano da Venezia e da Roma indicazioni ambigue sulla reale consistenza del concilio – si dedicarono ai preparativi per l’inizio dei lavori, ma la partecipazione estremamente ridotta dei prelati e l’imminenza dell’incontro di Nizza fra Carlo V e Francesco I convinsero il papa ad annullare la chiamata.
Come vescovo di Reggio, Rangoni attuò un programma di controllo e riordino della vita spirituale della diocesi. In obbedienza alle linee dettate dal V Concilio Lateranense, convocò nel novembre del 1516 un sinodo diocesano durante il quale, oltre ad affrontare l’argomento pressante delle leggi suntuarie recentemente introdotte in città, che colpivano particolarmente il clero, il vescovo portò alla discussione un testo composto da 36 articoli in cui si ribadivano (o in qualche occasione si enunciavano ex novo) norme di comportamento per i laici e gli ecclesiastici; fra le altre materie trattate, il testo stabiliva regole più restrittive riguardanti i rapporti fra cristiani ed ebrei, come il divieto per i cristiani di prestare servizio nelle case degli ebrei.
Inoltre, nel 1522 Rangoni intraprese la ricognizione delle reliquie dei martiri Crisanto e Daria, compatroni della città: un atto reso allo stesso tempo urgente e problematico dal dubbio diffuso che le urne dei santi fossero vuote e dai conseguenti timori per l’effetto sul culto dei due santi di un’eventuale conferma di questa diceria. La ricognizione, tuttavia, ebbe esito positivo e suscitò una profonda partecipazione emotiva da parte della popolazione anche grazie alla diffusione della notizia dell’improvvisa guarigione del conte Gherardo Rangoni, padre del vescovo; dopo l’apertura delle urne le reliquie furono portate in processione in città alla presenza delle maggiori autorità ecclesiastiche e civili (fra le quali Francesco Guicciardini, governatore della città per lo Stato della Chiesa, ed Ercole d’Este marchese di San Martino) prima di trovare una sede definitiva nei due reliquiari in oro realizzati dallo scultore e orafo Bartolomeo Spani. Questa ricognizione rinnovò – con effetti anche sui secoli successivi – l’intensità della devozione popolare verso i due santi compatroni.
Negli anni 1530, 1538 e 1539 Rangoni svolse – anche tramite il vicario Galasso Zoboli – visite pastorali di cui restano resoconti molto accurati. Negli ultimi anni di vita cercò senza successo di imporre la disciplina alle monache del monastero di S. Chiara, la cui condotta suscitava frequentemente scandalo; un problema, questo, sollevato dalle autorità reggiane già dall’inizio del secolo e acuitosi negli anni Venti quando, nonostante il trasferimento forzato del controllo sulle suore dai conventuali ai frati minori, i primi furono accusati di intrattenere rapporti illeciti con le religiose.
Definito da Leandro Alberti «huomo dotto, et pratico nel trattare le cose della corte» (Alberti, 1596, p. 350), Rangoni è lodato da vari testimoni contemporanei come i cronisti Tommasino Lancellotti, Lionello Beliardi e Bagnone Cartegni per questo impegno nell’opera di riforma della Chiesa, su scala locale come nel concilio.
Colpito da una paralisi a Roma nel gennaio del 1540, fu raggiunto dal fratello Ercole che lo ricondusse a Modena; qui Ugo trascorse alcuni mesi di riposo, riacquistando apparentemente la salute, ma in conseguenza di una febbre improvvisa morì il 28 agosto 1540. Trasportato in processione a Reggio, fu sepolto nella cattedrale di S. Maria Assunta.
Vent’anni più tardi, nel 1561, il fratello Ercole commissionò a Prospero Sogari, detto il Clemente, il maggiore scultore reggiano della seconda metà del Cinquecento, un monumento in marmo rosa di Verona per la parte architettonica, marmo bianco di Carrara per le statue. Completato entro il 1565, il sepolcro raffigura il defunto assiso in atteggiamento benedicente e due putti recanti gli attributi del vescovo-principe di Reggio: il pastorale e la mitria alla destra, la spada e l’elmo alla sinistra. In una lettera del letterato reggiano Gabriele Bombasi a Giorgio Vasari, che aveva citato con qualche inesattezza il monumento nell’edizione giuntina delle Vite, il sepolcro di Rangoni è definito l’opera principale di Clemente.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori scultori et architettori, Firenze 1568 p. 557; L. Alberti, Descrittione di tutta l’Italia, et isole pertinenti ad essa, Venezia 1596, p. 350; G. Panciroli, Storia della città di Reggio, II, Reggio 1846, p. 110; T. de’ Bianchi, detto Lancellotti, Cronaca modenese, VI, Parma 1868, pp. 277, 386-388; P. Sarpi, Istoria del Concilio tridentino, a cura di C. Vivanti, I, Torino 1974, pp. 109-112, 118, 129, 133; B. Cartegni, [Cronaca], in C. Baja Guarienti, La «historia o cronica» di Bagnone Cartegni (1515-1523): una fonte inedita per la storia di Reggio, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie odenesi, s. 9, XXXVI (2014), pp. 16 s.
G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, IV, Modena 1783, p. 313; G. Saccani, I vescovi di Reggio. Cronotassi, Reggio Emilia 1902, p. 115; Hierarchia catholica, III, a cura di L. Schmitz-Kallenberg, Monasterii 1923, p. 298; A. Cremona Casoli, Alcune notizie sul monumento del vescovo U. R. Per nozze Soliani-Rangone, Reggio Emilia 1936; H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, I, La lotta per il Concilio, Brescia 1949, pp. 237, 259, 279 s.; Z. Davoli, Vita ecclesiastica reggiana ai tempi del vescovo U. R. (1510-1540), tesi di laurea, a.a. 1956-57; Id., I vescovi di Reggio da Battista Pallavicini a Ugo Rangone (1444-1540), in Storia della Diocesi di Reggio Emilia - Guastalla, II, Dal Medioevo alla Riforma del Concilio di Trento, a cura di G. Costi - G. Giovanelli, Brescia 2012, pp. 317-323.