Tognazzi, Ugo
Attore e regista cinematografico e attore teatrale, nato a Cremona il 23 marzo 1922 e morto a Roma il 27 ottobre 1990. Negli anni Cinquanta fu uno dei re delle platee provinciali, grazie a una nutrita serie di modesti film ispirati all'avanspettacolo. Ridefinì il suo personaggio in una variante settentrionale dell'eroe della commedia all'italiana a partire da Il federale (1961) di Luciano Salce, e tra gli anni Sessanta e gli Ottanta registi come Marco Ferreri, Dino Risi e Mario Monicelli ne fecero uno dei più noti e amati attori italiani. Tra i premi vinti, quattro Nastri d'argento, quattro David di Donatello e la Palma d'oro al Festival di Cannes per La tragedia di un uomo ridicolo (1981) diretto da Bernardo Bertolucci.
Figlio di un ispettore delle assicurazioni, a 14 anni iniziò a lavorare in fabbrica, e a 19, dopo il diploma in ragioneria, divenne impiegato; nel frattempo recitava in compagnie di filodrammatici. Nel 1945 si trasferì a Milano, e si affermò come uno dei protagonisti della nascente rivista. Le grandi capacità mimiche, l'arte nel porgere la battuta e nel raccontare una scenetta e la voce singolare dalle tonalità stridule ne fecero uno dei più apprezzati attor giovani di quel genere di spettacolo. Dal 1955 al 1958 si dedicò soprattutto al teatro di prosa, per poi abbandonare il palcoscenico, salvo un breve rientro nel 1960 durante il quale lavorò anche come regista.
A partire dal 1950 al teatro affiancò il cinema. Sotto la guida di registi che lasciavano largo spazio all'improvvisazione degli interpreti (Mario Mattoli, Giorgio C. Simonelli, Steno, Roberto Bianchi Montero, Camillo Mastrocinque), fino al 1963 recitò in una cinquantina di film di modesto impegno finanziario, anche se spesso fortunati al box office. Lavorò prevalentemente con attrici e attori che come lui venivano dal teatro leggero: Tina Pica, Anna Campori, Dolores Palumbo, Lauretta Masiero, Aroldo Tieri, Riccardo Billi, Walter Chiari, Carlo Campanini, Mario Riva, e soprattutto Raimondo Vianello, membro della sua compagnia dal 1951, con il quale T. fece a lungo coppia fissa (27 film tra il 1953 e il 1963). Se si esclude Che gioia vivere! (1961) di René Clément, dove T. disegna la sapida figura di un anarchico nella Roma del 1921, si trattava in realtà di puri e semplici 'condensati' di scenette comiche. Assicurarono tuttavia a T. una larga popolarità, che aumentò a dismisura quando lui e Vianello, tra il 1954 e il 1960, condussero la rivista televisiva Un, due, tre (i cui sketch sono poi stati raccolti nel volume omonimo del 2001).
Tra il 1961 e il 1963 T. fu 'rilanciato' da Salce e dagli sceneggiatori Franco Castellano e Pipolo, che ritagliarono per lui tre figure di borghesi tentati da imprese più grandi di loro: il graduato delle brigate nere a cui si chiede di catturare un antifascista e che vuol conquistare il bastone del comando (Il federale), l'uomo di mezza età che si pone in competizione con i giovani e viene sconfitto (La voglia matta, 1962), il marito irrequieto e insoddisfatto del rapporto matrimoniale (Le ore dell'amore, 1963). Ma a tale rilancio contribuirono in ampia misura anche Risi con La marcia su Roma (1962) e Ferreri con Una storia moderna: l'ape regina (1963), film per il quale l'attore ricevette il suo primo Nastro d'argento. Nel 1963 la rottura del sodalizio con Vianello segnò per T. l'abbandono pressoché totale delle produzioni minori e il passaggio definitivo alla commedia di costume, di cui divenne uno dei massimi interpreti, spesso al fianco di altri 'mattatori' come Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Alberto Sordi, Marcello Mastroianni.
In Il federale T. aveva disegnato, con un rimando a certa furbizia bertoldesca, il prototipo di un italiano fino ad allora scarsamente raccontato dal cinema: il gerarca piccolo piccolo, fanatico, esibizionista, astuto quel tanto che gli consente di sfuggire alle peggiori disgrazie ma non di imporre i propri piani. Fu il primo di una folta schiera di personaggi (prelati e bottegai, nobili e operai) che nascondono sotto un'apparente simpatia cumuli di ipocrisia. Più grotteschi, e talvolta al limite dell'umorismo nero, i suoi ruoli in film come I mostri (1963) e Straziami ma di baci saziami (1968), entrambi di Risi. Un posto a parte occupano poi, nella filmografia di T., alcuni film diretti da Ferreri e scritti dal suo sceneggiatore di fiducia, lo spagnolo Rafael Azcona Fernández: La donna scimmia (1964), Marcia nuziale (1966), La grande bouffe (1973; La grande abbuffata) e Touche pas la femme blanche (1974; Non toccare la donna bianca) sono aspre parodie del mondo contemporaneo, e vennero bloccati dalle commissioni di censura, denunciati alla magistratura, massacrati dai produttori.
Pur colorando con duttilità tipi insoliti nel cinema italiano di allora (fu fra i pochi a scherzare sugli omosessuali in Splendori e miserie di Madame Royale, 1970, di Vittorio Caprioli, e nella serie iniziata con La cage aux folles, 1978, Il vizietto, di Edouard Molinaro), T. spinse talvolta verso zone pericolose il suo personaggio sostanzialmente antipatico di borghese, di solito un professionista che improvvisamente si accorge di non poter primeggiare in un mondo che pensava costruito a sua immagine e somiglianza e che invece lo lascia indietro, e nel quale le sue compagne sono più pronte di lui nell'adattarsi agli accelerati mutamenti dei tempi. In commedie dal sapore spesso agro ‒ Io la conoscevo bene (1965) di Antonio Pietrangeli, L'immorale (1967) di Pietro Germi, La bambolona (1968) di Franco Giraldi, La Califfa (1970) di Alberto Bevilacqua, L'anatra all'arancia (1975) di Salce, Amici miei (1975) di Monicelli, tutti film per i quali non a caso ricevette Nastri d'argento o David di Donatello ‒ il maschio, al di là delle apparenze, viene ingabbiato o gabbato. T. è quanto mai sottile nell'individuare, passando dai sottotoni alle note stridule, un'ambiguità del tutto 'moderna' nella natura dei suoi personaggi. L'ipocrisia, che era ancora quasi involontaria nel protagonista di La donna scimmia, divenne in seguito funzionale: un segno dei tempi prima ancora che un dato caratteriale. Non ne risultano libere neppure le poche figure 'positive' affidate all'attore, il poliziotto di Il commissario Pepe (1969) di Ettore Scola o il magistrato di In nome del popolo italiano (1971) di Risi. Il disgusto, o perfino il ribrezzo, che T. riversa sul conformista all'italiana sono evidenti nel professore pervertito di Il professore, episodio di Controsesso (1964) di Ferreri, nel capitano d'industria di Porcile (1969) di Pier Paolo Pasolini, nel poliziotto che pedina e inganna l'invasato di Dio in L'udienza (1972) di Ferreri, nel perfido gobbo che denuncia gli ebrei in Telefoni bianchi (1976) di Risi, nello spudorato Cerquetti di Casotto (1977) di Sergio Citti e, per certi versi, perfino nell'uomo senza qualità di La tragedia di un uomo ridicolo. Un che di asservito distingue anche il comportamento del conte Lello Mascetti, l'animatore del gruppo dedito a scherzi feroci in Amici miei, un personaggio che si colora ancora più di grigio nei due sequels (Amici miei, atto II, 1982, di Monicelli, e Amici miei, atto III, 1985, di Nanni Loy): le gesta dello scapestrato sono sì scanzonate ‒ o così almeno le percepì il pubblico, che decretò il grande successo della serie ‒ ma la sua è un'allegria da naufrago, minata dall'insoddisfazione e corrosa dal tedio di vivere.
Dai primi anni Settanta ritornò occasionalmente in televisione (dove tra l'altro interpretò e diresse i sei episodi della serie FBI-Francesco Bertolazzi investigatore, 1970), e in seguito, più frequentemente, anche in teatro, dove si dedicò alle opere di prosa, ottenendo un grande successo di pubblico e di critica.
Come altri protagonisti della commedia all'italiana, anche T. diresse alcuni film, girati con notevole professionalità ma privi di un significativo spessore: Il mantenuto (1961), Il fischio al naso (1967), ispirato al racconto Sette piani di D. Buzzati e considerato il suo migliore risultato registico, Sissignore (1968), Cattivi pensieri (1976) e I viaggiatori della sera (1979).Sono attori cinematografici due dei suoi cinque figli, Gianmarco (n. 1967) e Ricky (quest'ultimo anche regista, sceneggiatore e produttore).
A. Bernardini, Ugo Tognazzi, Roma 1985; Tognazzi: l'alter…Ugo del cinema italiano, a cura di M. Causo, Besa 2001; M. Schiaretti, Ugo Tognazzi. L'Italia in agrodolce, Parma 2002.