Ugolino Bucciola
Rimatore citato in VE I XIV 3-4, insieme col giudice Tommaso da Faenza suo concittadino, per essersi discostato, nelle sue rime, dall'uso del volgare romagnolo.
Figlio di Alberigo di Ugolino dei Manfredi, nota famiglia guelfa faentina, ebbe il soprannome di Bucciola (forma toscana da Buzzola〈 " bozzola " = recipiente tondeggiante) forse per la sua corporatura. La prima testimonianza che di lui possediamo è del 1279, quando presenzia alla pace stipulata fra Lambertazzi e Geremei. Nel 1282 viene eletto podestà di Bagnacavallo insieme con l'arcivescovo di Ravenna e, più tardi, il 2 maggio 1285, partecipa all'uccisione dei consanguinei Alberghetto e Manfredo Manfredi, ordita da suo padre Alberigo e ricordata da D. (If XXXIII 118 ss.). In seguito a tale misfatto venne bandito col padre dalla provincia di Romagna e dal comune di Faenza e si rifugiò presso Maghinardo Pagani da Susinana (cfr. If XXVII 50 ss.; Pg XIV 118 ss.) con il quale fece un tentativo per occupare Imola. In seguito, in occasione della pace stipulata nel 1287 fra la sua famiglia e i ghibellini Accarisii, per rientrare in Faenza sposò una donna di questa famiglia, Patrizia di Guido.
Non si hanno notizie di lui fino al 1292, quando riprende a partecipare alle lotte di parte nelle quali è implicato per diversi anni, come testimoniano i documenti in cui il suo nome compare in varie occasioni. In quest'ultimo periodo fu più volte a Bologna, città guelfa, dove poteva trovare rifugio e svolgere attività pubbliche. Nel 1299, infatti, compare fra i conestabili del comune bolognese. Morì a Ravenna nel gennaio del 1301.
È citato in un aneddoto narrato da Francesco da Barberino (Reggimento e costumi di donna, I III) il quale lo ricorda, inoltre, come autore di un poemetto didascalico, De Salutandi modis, scritto " ydeomate faventinorum rimis ornatissimis atque subtilibus " (Documenti d'amore, doc. XIII sotto ‛ docilità ', I 172-174).
Della sua attività di rimatore sono rimasti due sonetti: uno in vernacolo romagnolo; l'altro, scritto in risposta a Onesto degli Onesti, si allontana dalla parlata materna e documenta l'uso linguistico che sembra aver motivato la citazione dantesca del De vulg. Eloq. nella quale, peraltro, non compaiono gli attributi elogiativi espressi nei confronti dei doctores siciliani o toscani.
Bibl. - F. Zambrini, Rime antiche edile ed inedite d'autori faentini, Imola 1846; F. Torraca, Fatti e scritti di U.B. (per nozze D'Ancona-Cassin), Roma 1893 (rist. in Studi danteschi, Napoli 1912, 187-211); G. Bertoni, Il testamento di frate Alberico Manfredi e U.B., in " Archivum Romanicum " V (1921) 70-74; ID., Nuove notizie su U.B., in " Studi d. " IV (1921) 126-128; G. Zaccagnini, Due rimatori faentini del sec. XIII, in " Archivum Romanicum " XIX (1935) 79-84.