UGOLINO da Orvieto
UGOLINO da Orvieto (Hugolinus de Urbe Veteri). – Nacque nel primo decennio del Trecento a Orvieto, probabilmente da famiglia agiata; entrò in gioventù nell’Ordine degli agostiniani.
Ugolino da Orvieto non va confuso con Ugolino Malabranca da Gubbio, vescovo di Spalato, pressoché contemporaneo, e con Ugolino da Orvieto o da Forlì (v. la voce in questo Dizionario), teorico della musica e inventore del pentagramma, vissuto fra il 1380 circa e il 1452.
Mancano dati certi sui luoghi della sua prima formazione, che potrebbe essere avvenuta nella stessa Orvieto, dove esisteva una scuola provinciale; si legò comunque a Gregorio da Rimini (poi generale dell’Ordine fra 1357 e 1358), che fu suo maestro e la cui impronta è facile rinvenire nelle sue opere. È menzionato, assieme a un tale Angelo Sassi di Roma, in un decreto del capitolo provinciale dell’Ordine risalente alla Pentecoste del 1334: in esso viene indicato quale studente meritevole che avrebbe perfezionato i propri studi a Parigi, ricevendo per le proprie esigenze un assegno annuo di 36 fiorini.
Restò nella capitale francese fino al 1338, divenendo lector in teologia; nel luglio dello stesso anno rientrò a Orvieto, dove svolse incarichi per la provincia romana dell’Ordine. Nel periodo immediatamente successivo esercitò il ruolo di lector presso uno Studium generale degli agostiniani, con ogni probabilità Roma o Perugia; verosimilmente in questi anni compose un Commentario alla Fisica di Aristotele, tramandatoci in un solo manoscritto, che presenta l’opera in forma probabilmente incompleta (sono analizzati soltanto i primi quattro libri).
Nello scritto, edito soltanto in parte, Ugolino riconosce l’oggetto del sapere nei concetti mentali (conceptus) e non negli oggetti reali; la conoscenza scientifica, dunque, è un processo interiore che riguarda l’anima e non il mondo esterno. In relazione al cosiddetto problema degli universali egli professa, secondo l’editore critico Willigis Eckermann, un nominalismo moderato: generi e specie sono soltanto oggetti mentali, segni convenzionali che designano una molteplicità e a questa rimandano. Essi possono essere di due categorie: alcuni sono basati su un fondamento reale, altri sono concettualizzati direttamente dagli uomini e non hanno riscontro in natura. Tutte le cose esistenti, dunque, sono singolari, anche gli universali stessi: non esistono enti collettivi. Fra gli autori con cui Ugolino si confronta vanno menzionati il suo maestro Gregorio, e i due contemporanei che, nel dibattito del tempo, rappresentavano i maggiori esponenti delle posizioni realista (Walter Burley) e nominalista (Guglielmo di Ockham). Con entrambi polemizzò spesso nei decenni successivi.
Nel 1343 venne scelto per essere inviato come lector sententiarius a Parigi per l’anno 1347-48. Raggiunse probabilmente la città francese nell’autunno del 1347 per restarvi fino all’estate del 1349; vi rientrò ancora nel 1351 per essere promosso a magister theologiae (il massimo titolo conseguibile nella facoltà di teologia) nell’agosto del 1352, e vi restò sino al 1354. Nel conferimento del titolo giocò forse un ruolo una supplica in suo favore che il vescovo di Comacchio, suo confratello, inviò a papa Clemente VI nel 1351.
Per i suoi corsi parigini Ugolino compose la sua opera fondamentale, il Commentario alle Sentenze di Pietro Lombardo, sul quale si fondavava il suo insegnamento teologico: di esso, conservato in ventuno manoscritti, con almeno altri sette, perduti, nominati in antichi cataloghi, possediamo una versione messa assieme a Parigi, attorno al 1365, da uno dei suoi allievi (la tradizionale opinione che si tratti di Simone da Cremona, sostenuta per primo da Damasus Trapp, è contestata da Eckermann su basi cronologiche, in quanto è improbabile che Simone fosse in Francia in quegli anni). Tale studente, che è stato definito dagli studiosi recollector per la sua volontà di recolligere in unum («raccogliere insieme») le opinioni del maestro, ordinò il materiale annotato dagli uditori di Ugolino e gli dette forma strutturata; particolarmente sviluppato è il primo dei quattro libri che compongono il testo, che non segue alla lettera l’opera di Lombardo (secondo la modalità più diffusa al tempo), ma la organizza per questioni e problemi.
Nel Prologus Ugolino discute, come da prassi per i commentari dell’epoca, lo statuto della teologia e le possibilità della conoscenza umana. Controcorrente rispetto alle tendenze del tempo, che ridimensionavano la scientificità della disciplina, Ugolino intende la teologia, sulla scorta di Agostino, come la più certa delle scientiae e anzi come l’unica vera sapientia; in quanto tale, essa è ritenuta lo strumento più atto a raggiungere la verità. La riflessione teologica parte infatti dal dato di fede della Scrittura: essa, che è certa (per quanto non evidente) e dotata anche di un’intrinseca razionalità, è parola di Dio, che è il primum verum incapace di mentire, e per questo garante della verità di tutte le cose da lui create e contenute nel suo Verbo come exemplaria eterni. La teologia è appunto un’indagine e un approfondimento razionale sulla fede, imprescindibile da quest’ultima (il teologo deve essere sempre prima un credente), ma in grado di conseguire conoscenze (notitiae) più perfette e profonde, compiuta attraverso un’illuminazione divina (lumen theologicum, dottrina elaborata ancora da Agostino) che è ulteriore garanzia delle verità cui essa giunge. La regula veritatis che è Dio permette dunque di acquisire conoscenze più perfette di ogni altra humana evidentia: appunto per questa sua privilegiata aderenza al Creatore, la teologia è la scientia più perfetta. Tuttavia, l’uomo sulla terra (viator), schiavo del peccato originale, non potrà mai raggiungere la pienezza della conoscenza, riservata soltanto ai beati.
In quest’ottica, il ruolo e la portata della filosofia escono certamente ridimensionati (sul tema sono particolarmente rilevanti gli studi di Francesco Corvino). Molto critico nei confronti di Aristotele, Ugolino ritiene che la filosofia sia una mixtura falsorum basata su dati molto meno certi di quelli della fede; che su Dio possa dare soltanto indicazioni erronee, fondate su falsi concetti (dunque non è possibile una teologia naturale); che sbagli tutte le volte che le sue conclusioni entrano in contrasto con quelle teologiche; e che un’etica puramente speculativa, che non abbia come obiettivo il Primo Bene, sia del tutto irrealizzabile. Quella di Ugolino, nonostante sia stata estremizzata in alcune letture critiche, non è però una chiusura aprioristica, ma il porre una distinzione netta che esalti la teologia: in ultima analisi, il ‘problema’ della filosofia è che la ragione naturale che se ne occupa non è illuminata come avviene in teologia.
Tuttavia, per Ugolino la teologia non è soltanto una scienza intellettiva, ma comporta significativi risvolti pratici: mostra contemporaneamente quale sia il bene in sé, cioè Dio, e come sia possibile effettivamente aderire a tale bene infinito e ottenere la vita eterna. Il teologo, dunque, indica anche le regole di una praxis virtuosa, il che rende – ancora – superflua ogni etica filosofica. Contro le dottrine legate alla teoria della predestinazione, ma anche contro il pelagianesimo, Ugolino definisce la fede un atto volontario (un ‘cedere’ all’invito a credere che giunge da Dio) e quindi meritorio (perché tale invito può anche essere rifiutato). Dio resta comunque l’unico soggetto a decidere se donare o meno a un uomo la salvezza e la vita eterna, per ottenere le quali, dunque, le opere e gli sforzi umani non sono sufficienti; l’umanità è infatti sottoposta al peccato originale di Adamo, punizione per la colpa commessa (poena culpae) che si trasmette a tutti i suoi discendenti, e rende impossibile una salvezza priva della Grazia. Quest’ultima si trasmette essenzialmente attraverso i sacramenti, che hanno un fondamentale valore simbolico; è inoltre in particolare Cristo/Logos a mostrare, con le proprie parole e azioni, la via per la vita eterna. In definitiva, per ogni atto morale l’uomo ha necessità del sostegno divino.
Tre manoscritti presentano autonomamente, sotto il titolo di De perfectione specierum, la terza distinctio della terza quaestio del primo libro del Commentario, che circolò dunque anche come testo a sé fin dal XIV secolo; dell’attività teologica di Ugolino sono rimasti anche due principia, ovvero due brevi introduzioni ai suoi corsi.
Il De perfectione specierum si occupa di un complesso problema speculativo: una species, ovvero uno dei modelli eterni della realtà contenuti in Dio e subordinati al genere, può aumentare (intentio) o diminuire (remissio) i caratteri che la contraddistinguono, e diventare più o meno perfetta? Premesso che la perfezione di una cosa corrisponde alla sua verità, cioè al modo in cui Dio l’ha concepita, Ugolino riconosce diverse possibilità di considerarla in una specie: in modo semplice (simpliciter), ovvero osservando il suo livello nella gerarchia del reale (diviso fra i due estremi che sono Dio, l’essere più perfetto, e la materia prima, l’essere meno perfetto); in relazione al genere di cui fa parte; o in sé, considerando il grado e l’intensità (latitudo) dei suoi caratteri. Ugolino ammette quindi la possibilità di misurare tutti e tre questi gradi, ma non con assoluta continuità (ad esempio, cose materiali non potranno mai divenire spirituali, e viceversa); e attesta che aumenti e diminuzioni siano possibili senza che le specie mutino la propria natura. Dunque una specie può, rispettivamente: allontanarsi o avvicinarsi dai due estremi della gerarchia del reale, Dio e nulla; divenire più o meno perfetta nell’ambito del proprio genere; aumentare o diminuire il livello dei propri caratteri essenziali. Il problema ha un significativo risvolto teologico: con la sua analisi, Ugolino risponde anche a un quesito diffuso fra gli studiosi del tempo, e relativo alla possibilità che le anime potessero perfezionarsi.
I due principia, pubblicati ancora da Eckermann, riguardano rispettivamente l’indispensabilità della teologia e il suo compito di mostrare all’uomo la via per giungere a Dio.
Fra il 1357 e il 1360 Ugolino insegnò probabilmente a Perugia e quindi a Bologna, svolgendo contemporaneamente numerosi incarichi per conto di Gregorio da Rimini e del generale suo successore, Matteo d’Ascoli. A Bologna risiedeva già, con ogni evidenza, nel 1359: lo testimonia una lettera di Matteo datata il 23 settembre di quell’anno, in cui si ordina di inviare nel locale convento di S. Agostino, dove Ugolino potrà copiarlo, un volume delle opere di s. Ambrogio custodito a Padova. Il 2 giugno 1364 risulta, secondo nell’elenco, fra i nove maestri fondatori della facoltà di teologia bolognese, istituita da papa Innocenzo VI nel 1360, per la quale redasse gli statuti (tramandati oggi da due manoscritti). Nel privilegium papale che precede il regolamento viene ricordato come «Magister Ugolinus de Urbe Veteri, doctor acutissimi ingenii, ordinis heremitarum sancti Augustini» (Statuta, in I più antichi statuti..., a cura di F. Ehrle, 1932, p. 5); il soprannome di doctor acutissimus accompagnerà la sua fama nelle epoche successive.
Nel 1368, al capitolo generale di Ascoli, venne invece scelto come generale dell’Ordine, succedendo a Matteo; nel 1370 papa Urbano V lo elesse inoltre vescovo di Gallipoli sui Dardanelli, città riconquistata ai turchi solo quattro anni prima, e infine, il 10 febbraio 1371, il nuovo pontefice Gregorio XI lo elevò al patriarcato di Costantinopoli.
Con ogni probabilità, però, Ugolino non si mosse da Rimini (dove risiedeva, amministrando le sostanze del vescovado allora vacante per il proprio sostentamento) né nel primo né nel secondo caso: i titoli dovettero dunque essere onorifici, e in particolare i pochi documenti che riguardano la sua attività a Bisanzio sono quasi tutti relativi a ordinarie amministrazioni economiche.
Ancora negli ultimi anni di vita Ugolino partecipò al dibattito colto dell’epoca componendo il De Deo uno et trino, un breve trattato di teologia trinitaria originato da una disputa (della quale non conosciamo le conclusioni) tenuta a Bologna nel 1372. Due maestri, Francesco da Imola (domenicano, ricordato da documenti coevi come lettore di teologia nel 1370-71) e Bartolomeo de Grassi (francescano, attestato nel 1369 presso lo Studium cittadino del suo Ordine), avevano discusso se la Trinità sia un attributo dell’essenza divina o delle singole persone; ritenendo che il modo in cui erano espresse le posizioni di entrambi fosse discutibile, e addirittura rappresentasse una possibile recrudescenza delle teorie eretiche di Gioacchino da Fiore, Ugolino ribadì contro i disputanti il dogma cattolico.
Il testo, conservato in tre manoscritti, si compone di quattro brevi capitoli: i primi tre espongono schematicamente il dogma trinitario, con una particolare attenzione ai nomi attribuibili alle tre persone divine; l’ultimo confuta le teorie di Gioacchino, conosciute probabilmente solo per via indiretta, attraverso una lettera di papa Gregorio IX. Le fonti citate sono quasi tutte tardoantiche e altomedievali: Agostino, Isidoro di Siviglia, Rabano Mauro.
Morì prima del 28 dicembre 1373 e venne sepolto nella chiesa degli agostiniani di Orvieto, oggi sconsacrata; la sua lastra tombale è stata riscoperta nel 1953 nella vicina chiesa di S. Giovenale.
Di Ugolino restano pure diversi sermoni; con un’attenta analisi dei testimoni manoscritti, Eckermann ne riconosce almeno sedici certamente autentici e sei di dubbia attribuzione. Autori più o meno contemporanei e cataloghi cinque e seicenteschi attribuiscono a Ugolino molte altre opere che non sono state ancora ritrovate: un Commento alla Consolatio Philosophiae di Severino Boezio, altri scritti su Aristotele (Quaestiones super Praedicamenta et Perihermeneias), diverse quaestiones quodlibetales, un De differentia idiomatum, un De sacris disciplinis, un De principiis ordinis.
L’influsso del pensiero teologico di Ugolino è stato duraturo, soprattutto fra gli agostiniani, e si può collocarlo fra le più rilevanti figure speculative della tarda scolastica (come attestano gli studi di Venicio Marcolino). Si possono distinguere due fasi di questa influenza: nella prima, che durò fino al 1425 circa, il Commentario alle Sentenze fu noto e apprezzato nella sua interezza, soprattutto a Parigi e Bologna, nonché in area tedesca; in seguito cadde in relativo disuso, anche se vennero ancora lette e citate singole questioni sui fondamenti della fede, sulla dottrina dell’illuminazione e sul ruolo della filosofia.
Dopo pionieristici studi nella prima metà del Novecento (Jean Rousset, Walter Zumkeller), il suo profilo intellettuale è stato precisato dagli studiosi soltanto negli ultimi quarant’anni.
Opere. Sermones (autentici e di dubbia attribuzione): tredici a Lambach, Stiftsbibliothek, Chart., 42; quattro a Cracovia, Biblioteka Jagiellońska, ms. 2041 (BB XXVII 4); uno a Cracovia, Biblioteka Jagiellonska, ms. 2367 (AA XIII 22); tredici a Parigi, Bibliothèque de l’Arsenal, ms. 57 (68 T. L.); nove a Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Lat. III, 79 (2293); Casale Monferrato, Biblioteca del Seminario, ms. d. 17: Quaestiones in quattuor libros Physicorum Aristotelis. Statuta facultatis theologie, in I più antichi statuti della facoltà teologica dell’Università di Bologna..., a cura di F. Ehrle, Bologna 1932, pp. 7-79; Tractatus de Deo Trino Hugolini de Urbe Vetere, a cura di F. Stegmüller, in Annali della Biblioteca Governativa e libreria civica di Cremona, VII (1954), pp. 19-57; Tractatus de perfectione specierum, a cura di F. Corvino, in Acme, VII (1954), pp. 73-105, VIII (1955), pp. 121-204; Der Physikkommentar Hugolins von Orvieto OESA. Ein Beitrag zu Erkenntnislehre des spätmittelalterlichen Augustinismus, a cura di W. Eckermann, Berlin-New York 1972 (edizione delle prime due quaestiones del libro I); Commentarius in quattuor libros sententiarum, a cura di W. Eckermann, I-IV, Würzburg 1980-1988; Zwei neuentdeckte theologische Prinzipien Hugolins von Orvieto, in Schwerpunkte und Wirkungen des Sentenzenkommentars Hugolins von Orvieto OESA, a cura di W. Eckermann, Würzburg 1990, pp. 49-83.
Fonti e Bibl.: J. Rousset, Hugolinus d’Orvieto. Une controverse à la faculté de théologie de Bologna au XIVe siècle, in Mélanges d’archeologie et d’histoire, XLVII (1930), pp. 63-91; W. Zumkeller, Hugolin von Orvieto und seine theologische Erkenntnislehre, Würzburg 1941; F. Corvino, La polemica antiaristotelica di U. da O. nella cultura filosofica del secolo XIV, in Filosofia e cultura in Umbria tra Medioevo e Rinascimento. Atti... 1966, Gubbio 1967, pp. 407-457; Hugolin von Orvieto. Ein spätmittelalterlicher Augustinertheologe in seiner Zeit, a cura di W. Eckermann - B.U. Hucker, Cloppenburg 1992; V. Marcolino, Die Wirkung der Theologie Hugolins von Orvieto im Spätmittelalter, in Analecta Augustiniana, LVI (1993), pp. 5-124.