ROSSI, Ugolino
– Nacque a Parma nel 1300 da Guglielmo e da Donella da Carrara.
Avviato alla carriera ecclesiastica probabilmente per volere familiare, ottenne ancora giovanissimo un canonicato nella cattedrale di Parma ed entrò a far parte della familia del cardinale Bertrand du Pouget (Battioni, 2010, p. 326). Da questa posizione Ugolino poté agire a favore del proprio gruppo parentale e della città, come nella seconda metà del 1322 quando i Rossi ottennero il supporto del legato dopo la cacciata dei Sanvitale (Chronicon parmense..., a cura di G. Bonazzi, 1902-1904, pp. 169 s.).
Per assicurarsi il passaggio di Parma nell’alleanza guelfa, il papato decise di puntare decisamente sui Rossi: il primo passo fu la promozione di Ugolino all’episcopato di Parma. Giovanni XXII traslò dunque a Pisa Simone Saltarelli e nominò il ventitreenne Ugolino, dispensandolo «ex defectu aetatis et ordinis» (6 giugno 1323; K. Eubel, Hierarchia Catholica..., 1913, p. 392). La cerimonia di consacrazione si tenne a Piacenza alla presenza di molti «boni homines» parmensi (gennaio 1324). Prese possesso della sede nel luglio 1324, accolto da grandi festeggiamenti (Chronicon parmense..., cit., pp. 171-173).
Il lungo governo di Ugolino (cinquantaquattro anni, metà dei quali complessivamente trascorsi in diocesi) può essere diviso in quattro fasi. Sono lunghi periodi di residenza intervallati da assenze forzate, spesso dettate dalle difficili condizioni del quadro politico generale.
La prima fase (1323-36) corrisponde al periodo della signoria rossiana su Parma, della quale egli fu protagonista specialmente negli anni dell’alleanza con il legato. Nel 1324 la chiesa matrice della città fu scelta come luogo di proclamazione del processo contro i Visconti (G. Mollat, Jean XXII..., 1904-1947, n. 20464).
Da Avignone non mancò il supporto alla politica interna dei Rossi, spesso nella forma di concessioni beneficiarie a membri della famiglia e loro aderenti (nn. 24301, 24138, 24292, 24772, 24784, 25454).
La sintonia con la Curia papale fu un volano attraverso cui il presule dispiegò la propria politica di governo ecclesiastico: ottenne esenzioni, dilazioni sul versamento delle decime papali e autorizzazioni a intervenire in diversi monasteri esenti e non esenti sparsi sul territorio diocesano (Pelicelli, 1936, p. 295).
Quando nuove torsioni politiche allontanarono Parma dall’orbita della Chiesa, Ugolino spuntò un accordo di pace tra i fratelli e il legato (giugno 1329). Per non compromettere troppo la sua posizione, si allontanò da Parma all’avvento di Ludovico il Bavaro, mentre un nuovo interdetto veniva scagliato sulla città (Chronicon parmense..., cit., pp. 195, 201).
Più rare sono le informazioni sul conto del presule negli anni di Giovanni e Carlo di Lussemburgo (1330-33): a Parma, il re di Boemia e suo figlio furono però ospitati nelle stanze dell’episcopio. Fu Ugolino ad accompagnare fuori città Giovanni, diretto in Germania e «non amplius reversurus» (ottobre 1333; ibid., p. 226).
Fra il 1334 e il 1335 Ugolino orchestrò il riavvicinamento dei fratelli al nuovo legato, l’arcidiacono di Bologna Bernardo, il quale «molto favoriva [...] il vescovo, gli Rossi». Ottenne così dal nuovo papa l’autorità per sciogliere la città dall’interdetto (pp. 240 s.).
Dopo la cessione di Parma agli Scaligeri (aprile 1335) Ugolino rimase in diocesi; dovette però allontanarsi dalla città dopo che i fratelli voltarono le spalle ai signori di Verona. Si rifugiò nel feudo episcopale di Corniglio, ma fu successivamente colpito da bando (pp. 253 s.). A seguito della sottrazione di Padova agli Scaligeri nel 1337 si ricongiunse infine ai parenti, stabilendosi presso le loro abitazioni in contrada San Fermo (Zanichelli, 1996, p. 12).
Dal suo esilio padovano (1337-46), il presule osservava gli Scaligeri impossessarsi delle rendite episcopali (Chronicon parmense..., cit., p. 255). Ugolino ricorse al pontefice, che il 31 luglio 1336 intimò a Mastino della Scala di rimettere «in pristinum statum» i beni della diocesi di Parma dalla quale il vescovo era stato bandito «more latronum» (J.-M. Vidal, Benoit XII..., 1903-1911, n. 3894). Le accuse colpirono anche i da Correggio (Azzo, Simone e Guido), sostenitori del dominio scaligero a Parma. Nel maggio del 1337 Benedetto XII replicò le intimazioni: ad Avignone i signori si fecero rappresentare dalla nota ambasceria composta da Guglielmo da Pastrengo, Azzo da Correggio e Francesco Petrarca (ibid., n. 5043; Montecchi, 1983, p. 426).
La presenza di Petrarca fra i sostenitori della causa scaligera e l’amicizia con Azzo causarono disaccordi fra il letterato e Ugolino, che non si appianarono neppure dopo il ritorno del vescovo a Parma. Petrarca, che nel frattempo aveva ottenuto uno stallo nel capitolo parmense, fu più volte ripreso da Ugolino per le sue assenze (Varanini, 2011, pp. 779 s.). I rapporti si distesero dopo il 1351, quando il poeta per discolparsi indirizzò al presule la quinta lettera del nono libro delle sue Familiares.
Nonostante le intimazioni ai signori (J.-M. Vidal, Benoit XII..., cit., n. 6349), furono le conseguenze della guerra fiorentino-veneto-scaligera a portare soddisfazione alle pretese del vescovo: negli accordi di pace si stabilì che Ugolino fosse reimmesso nel godimento dei propri diritti. In cambio, egli si impegnò a rinunciare a qualsiasi rivendicazione del dominio sulla città di Parma (gennaio 1339; Gli atti cancellereschi viscontei, a cura di G. Vittani, II, 1929, n. 764).
Tuttavia, il nuovo quadro politico diede campo libero ai Correggeschi, che colsero l’occasione per aggredire il patrimonio episcopale: Azzo ottenne Castrignano in feudo perpetuo dal papa e consolidò la sua posizione su Colorno, dove già nel 1336 aveva distrutto il palazzo episcopale e impiegato il materiale di risulta per fabbricare un castrum (J.-M. Vidal, Benoit XII..., cit., n. 7485; Pelicelli, 1936, p. 301). Dopo che Azzo acquistò il dominio di Parma (1341) Ugolino dovette fare talvolta capolino in diocesi: il clima rimase però instabile fino al 1346, quando Obizzo d’Este (a cui Azzo due anni prima aveva venduto la città) cedette il dominio a Luchino Visconti.
Di tutt’altro tenore fu il secondo soggiorno parmense di Ugolino (1346-55). Il presule risiedette continuativamente in diocesi e diede corso alla riorganizzazione del patrimonio episcopale (Pezzana, 1837, p. 6).
La situazione era difficile: il palazzo urbano e le residenze del territorio in rovina, i redditi del patrimonio diocesano esigui. A ciò si aggiungevano le esigenze del presule e della sua numerosa familia. Per fare fronte alle ingenti spese, «auctoritate apostolica» Ugolino contrasse un prestito di 10.000 fiorini dai nipoti Giacomo e Bertrando (figli del fratello Rolando: F. Ughelli, Italia sacra..., 1717, coll. 182 s.).
Nel 1348 il vicario generale Tedisio da Tortona effettuò una ricognizione delle decime episcopali su tutto il territorio diocesano; nel frattempo, furono riorganizzati i beni di Poviglio e Meletole (Pelicelli, 1936, pp. 305 s.). Nel 1353 si redassero gli statuti delle corti di Corniglio, Monchio e Rigoso (Battioni, 2010, p. 326); l’anno dopo vide la luce il Liber extimi universi cleri parmensis, una puntuale scansione dei benefici di tutta la diocesi, effettuata a fini fiscali da una commissione di sedici ecclesiastici (A. Schiavi, La diocesi di Parma, 1925, pp. 59-82).
Queste operazioni diedero luogo negli anni Cinquanta ad accese dispute (Pezzana, 1837, pp. 40 s.). Per riaffermare i propri diritti, nel 1355 Ugolino ottenne da Carlo IV la conferma degli antichi privilegi della Chiesa parmense (F. Ughelli, Italia sacra..., cit., coll. 181 s.).
Nello stesso anno, a causa della mancata restituzione del prestito, i nipoti del presule ricorsero alla Sede apostolica ottenendo in cambio beni e proprietà della Chiesa parmense. Ugolino si impegnò a cedere Corniglio, Roccaprebalza, Roccaferrara e Corniana (con i castra e le giurisdizioni). Il passaggio non fu però immediato, tanto che a distanza di tempo i nipoti tornarono a sollecitare il papa per ottenere ragione (Pezzana, 1837, pp. 41 s.).
All’avvento di Bernabò Visconti, il clima politico si fece più difficile per i Rossi. Il vescovo, che dalla morte del fratello Rolando aveva assunto la guida della propria pars (Gentile, 2001, p. 42), fu costretto a trasferirsi a Milano. Nel monitorio di Gregorio XI contro Bernabò (7 gennaio 1373) il signore fu accusato di aver impedito a Ugolino di risiedere a Parma «et suum pontificale officium personaliter exercere, sed in predicta civitate Mediolanensi detinuit, prout detinet arrestatum» (G. Mollat, Grégoire XI..., 1962-1965, n. 1375). In effetti dal 1356 risiedette presso San Nazaro in Brolo, fra la corte signorile e la fortezza di porta Romana (Pezzana, 1837, p. 48).
Un’elastica struttura curiale permise al vescovo di governare da lontano. La sua cancelleria era costituita anche da notai che lo avevano seguito fuori diocesi (p. 50); si avvalse poi di una fitta rete di vicari, alcuni dei quali si distinsero per continuità di servizio (Giacomo Ramiani, 1342-59). Se in qualche caso pescò anche dalla rete parentale (era forse un affine lo Scanzio Rossi vicario nel 1355), ebbe al suo fianco veri professionisti, come il parmense Degoldo Fiori (1367-74), «decretorum professor» e in seguito vicario di Nicolò Zanasio a Brescia (Pelicelli, 1936, p. 309; A. Schiavi, La diocesi di Parma, cit., p. 60).
Fra il 1357 e il 1358 si rinfocolò la lite contro Azzo da Correggio, il quale era tornato a occupare Castrignano trascinando la causa davanti al dominus: il processo fu però favorevole a Ugolino, che rientrò in possesso del feudo (Pezzana, 1837, p. 48). Da Milano il presule ottenne in quegli anni alcuni incarichi da parte del legato papale Androin de la Roche (M.-H. Laurent et al., Urbain V..., 1954-1989, n. 27206).
Il fenomeno di sfruttamento delle risorse episcopali a vantaggio della propria famiglia (tutto sommato limitato fino alla cessione di Corniglio, ultimata solo nel 1370) conobbe un’accelerazione nell’ultima fase dell’episcopato di Ugolino (1355-77). A metà degli anni Sessanta favorì l’operazione con cui il capitolo di Parma alienò a Bertrando e Giacomo Rossi la terra di San Secondo (Gentile, 2007, p. 28). Nel 1372 concesse ai figli di Giacomo il titolo di «custodes palatii parmensis et eius rerum sede vacante» e li investì della terza parte di Mezzano, Copermio e di altre terre oltre a ingenti diritti di pesca nel Po. Il 18 ottobre 1376 dalla nuova residenza ambrosiana (presso porta Ticinese, in parrocchia di S. Lorenzo) effettuò la concessione di Castrignano in feudo al bisnipote Rolando (Pezzana, 1837, pp. 117 s.).
Morì a Milano il 28 aprile 1377 (K. Eubel, Hierarchia Catholica..., cit., p. 392), secondo Ferdinando Ughelli avvelenato per volontà di Bernabò Visconti, notizia che tuttavia non trova riscontro nelle fonti più risalenti.
Ugolino incarnò in un certo senso la complessità dell’episcopato tardomedievale. Sostegno al progetto signorile della propria famiglia, azione di riordinamento del patrimonio episcopale, intervento nell’assetto istituzionale diocesano convissero simultaneamente nel suo operato. In tal senso anche il suo impegno in ambito culturale è significativo: fu attento alle necessità culturali del proprio clero (come nel 1341, quando, constatata la «librorum inopia» della cattedrale di Parma, impose l’acquisto di libri corali: Zanichelli, 1996, p. 18). E fu egli stesso un vivace committente: si fece confezionare diversi manoscritti di lusso, fra cui una Bibbia, all’interno della quale non mancavano ampi riferimenti miniati alla travagliata storia della famiglia (Zanichelli, 2007, p. 188).
Fonti e Bibl.: F. Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiae, et insularum adjacentium, rebusque ab iis praeclare gestis, II, Venetia 1717 (rist. anast. Bologna 1972), coll. 181-183; Chronicon parmense ab anno MXXXVIII usque ad annum MCCCXXXVIII, a cura di G. Bonazzi, in RIS, IX, Città di Castello 1902-1904, ad ind.; J.-M. Vidal, Benoit XII (1334-1342). Lettres communes analysées d’après les registres dits d’Avignon et du Vatican, Paris 1903-1911, nn. 3894, 5043, 6349, 7485; G. Mollat, Jean XXII (1316-1334). Lettres communes analysées d’après les registres dits d’Avignon et du Vatican, Paris 1904-1947, nn. 20464, 24301, 24138, 24292, 24772, 24784, 25454; K. Eubel, Hierarchia Catholica Medii Aevii, Monasterii 1913 (rist. anast. Padova 1930), p. 392; A. Schiavi, La diocesi di Parma. Indicatore ecclesiastico compilato dalla Cancelleria Vescovile, Parma 1925, pp. 59-82; Gli atti cancellereschi viscontei, II, a cura di G. Vittani, Milano 1929, n. 764; M.-H. Laurent et al., Urbain V (1362-1370). Lettres communes, Paris 1954-1989, n. 27206; G. Mollat, Grégoire XI (1370-1378). Lettres secrètes et curiales intéressant les pays autres que la France, Paris, 1962-1965, n. 1375.
A. Pezzana, Storia della città di Parma, I, Parma 1837, pp. 6, 40-42, 48, 50, 117 s.; N. Pelicelli, I vescovi della chiesa parmense, I, Parma 1936, pp. 295, 301, 305 s., 309; G. Montecchi, da Correggio, Azzo, in Dizionario biografico degli Italiani, XXIX, Roma 1983, pp. 425-430 (in partic. p. 426); G.Z. Zanichelli, I conti e il minio: codici miniati dei Rossi 1325-1482, Parma 1996, pp. 12, 18; M. Gentile, Terra e poteri. Parma e il Parmense nel ducato visconteo all’inizio del Quattrocento, Milano 2001, p. 42; Id., La formazione del domino dei Rossi tra XIV e XV secolo, in Le signorie dei Rossi di Parma tra XIV e XVI secolo, a cura di L. Arcangeli - M. Gentile, Firenze 2007, pp. 23-55 (in partic. p. 28); G.Z. Zanichelli, La committenza dei Rossi: immagini di potere fra sacro e profano, ibid., pp. 187-212 (in partic. p. 188); G. Battioni, Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa nei secoli XIV e XV, in Storia di Parma, III, 1, Poteri e istituzioni, a cura di R. Greci, Parma 2010, pp. 323-356 (in partic. p. 326); G.M. Varanini, Francesco Petrarca a Carpi (settembre 1349): un’ipotesi, in Studi per Gian Paolo Marchi, a cura di R. Bertazzoli et. al., Pisa 2011, pp. 773-782 (in partic. pp. 779 s.).