CONTRARI (Contrario, de Contrariis), Uguccione
Nacque probabilmente nel 1379 a Ferrara da un'antica famiglia, membri della quale ebbero cariche pubbliche fin dal sec. XII. Suo padre, Mainardo, fece parte del Consiglio di reggenza al quale, alla morte del marchese Alberto d'Este, fu affidato il governo dello Stato e la cura del piccolo marchese Niccolò III. Di questo, che aveva circa tre armì meno di lui, e che gli fu sempre affezionatissimo, il C. fu sin dall'infanzia compagno di giochi e probabilmente anche di studi alla scuola dell'umanista casentinese Donato degli Albanzani: in atti notarili egli è detto "affinis" di Niccolò e con lui "ab incunabulis educatus".
Le prove della straordinaria benevolenza del marchese si ebbero ben presto. Il 24 ott. 1400 gli donò 25 "pezze" di terra; il 6 genn. 1401 gli concedette "iure feudi" il palazzo di Sariano nel Ferrarese con la sua castalderia comprendente ventisei poderi con casamenti ed edifici vari; il 25 febbraio dello stesso anno gli donò la terra e il castello di Vignola, sottraendolo alla giurisdizione del Comune di Modena. Nel 1402 Niccolò trasformò il Consiglio di reggenza in Consiglio privato e vi fece entrare in posizione preminente il C., al quale - come scrive il cronista I. Delayto, che di Niccolò fu cancelliere - affidò "gubernationein et curam omnium reruin suarum et Regimen status". Effettivamente l'opera del giovane marchese intesa a liberare il governo dello Stato ferrarese dalle intromissioni sia dei Veneziani sia di Francesco Novello da Carrara, suo suocero, ebbe successo anche per merito del C., che in quegli anni pare fosse considerato dalla Signoria veneta come il maggior avversario della sua politica verso Ferrara.
Dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti, Niccolò III e Francesco da Carrara si allearono per trar profitto dalla crisi dello Stato visconteo. Il marchese, per mezzo soprattutto dei C., si accordò coi Fiorentini e col legato papale cardinal Cossa al quale il Visconti. poche settimane prima di morire, aveva tolto Bologna. L'Estense avrebbe aiutato il legato a riconquistare Bologna e il cardinale a sua volta avrebbe facilitato a lui l'acquisto di Parma e di Reggio. A Ferrara il 2 giugno 1403, con una solenne cerimonia in duomo, il legato consegnò al marchese le insegne di capitano generale della Chiesa e al C. quelle di maresciallo generale dell'esercito pontificio. Pochi giorni dopo il C. con truppe estensi conquistò il castello di Poggio nel Bolognese, poi attaccò Bologna. Il 9 luglio riuscì a entrare in città, ma fu poi cacciato dalle milizie di Facino Cane. Intanto Francesco da Carrara aveva attaccato Brescia e il marchese Niccolò mandò in suo aiuto il Contrari. L'impresa non ebbe buon esito e il C. tornò a Ferrara, dov'era tornato anche il marchese, dopo che il 15 agosto era stata conclusa la pace tra il legato e la duchessa di Milano, che aveva restituito Bologna alla Chiesa. Il 30 agosto il, legato scriveva al C. ringraziandolo per la sua opera e, a nome del papa Bonifacio IX, gli conferiva a vita il vicariato di Castelfranco. A quest'epoca il C. possedeva anche, non si sa a che titolo, il castello di Poggio.
Cominciata la guerra tra Francesco da Carrara e i Veneziani, il marchese Niccolò, dopo molte incertezze, sì collegò col suocero, probabilmente nella speranza di riottenere Rovigo e il suo Polesine che la reggenza nel 1395 aveva dovuto dare in pegno ai Veneziani. Partì quindi per il campo lasciando il C. al governo dello Stato. Una congiura contro la vita dei C. fu tramata da B. Pizzolbeccari, B. Piatesi e B. Gidini, che, scoperti, furono decapitati in piazza a Ferrara il 2 1 marzo 1404. Nell'aprile il C., accordatosi con Niccolò dei Roberti, signore di San Martino, e con Gerardo Boiardi, signore di Rubiera, tentò la conquista di Reggio, dove entrò il 1°maggio; ma il castello non si arrese neppur quando vi giunse con altre truppe il marchese Niccolò. Avvisati poi che si avvicinava per riprendere la città Ottobono Terzi con forze molto superiori, il marchese, il C. e le loro truppe lasciarono Reggio. Il C. partecipò quindi alle operazioni contro i Veneziani: prese il castello di Venezze, fortificò Argenta, occupò Lendinara, fu con Alberigo da Barbiano all'assedio di Rovigo. Il 20 ottobre entrò nella città e ne prese possesso a nome del marchese. Il 17 febbr. 1405 fu ferito in uno scontro presso Ariano. Finalmente il marchese Niccolò, persuaso che ormai era disperata la situazione del Carrara, il 25 marzo 1405 concluse la pace con Venezia, alla quale dovette restituire Rovigo. Le trattative di pace furono condotte dal C., che riuscì a far mutare completamente l'opinione che i Veneziani avevano di lui, tanto che in seguito egli ebbe dalla Signoria veneta molte manifestazioni d'amitizia: il 17 genn. 1411 il doge Michele Steno gli conferì la cittadinanza veneziana e l'aggr egazione al Maggior Consiglio. Per parte sua egli si adoperò poi sempre perché restassero buoni i rapporti tra il marchese e i Veneziani.
L'anno seguente Obizzo da Montegarullo, feudatario estense nella montagna modenese, si ribellò. Dopo vani tentativì d'accordo fl marchese mandò contro di lui il C., che gli tolse numerosi castelli e fece prigioniero suo figlio Antonio. Ma per l'intervento dei Fiorentini, per i quali Obizzo militava, e di Ottobono Terzi non poté sconfiggerlo completamente. In seguito però ad altri interventi armati del C., Obizzo fu costretto a sottomettersi al marchese insieme coi suoi aderenti, Francesco da Sassuolo e Azzo da Roteglia.
Nella lotta mortale. ora dissimulata e coperta, ora aperta e guerreggiata, che il marchese ebbe in quegli anni con Ottobono Terzi non si sa precisamente qual parte il C. abbia avuto: si ignora cioè se egli abbia aizzato l'Estense o se abbia secondato i Veneziani che cercavano di mettere accordo tra i due. Certo egli era a Rubiera col marchese Niccolò e con Attendolo Sforza quando il Terzi vi fu assassinato nel maggio 1409. Dopo la morte di costui, Niccolò, col favore dei Sanvitale, occupò Parma e fece occupare Reggio, dove il C. entrò il 29 giugno. Lasciato dal marchese a governare le due città, il C. continuò la lotta contro i successori del Terzi: prese Guardasone e altri castelli del Parmense e costrinse Rolando Pallavicino a cedere Borgo San Donnino (oggi Fidenza) di cui s'era impadronito.
Con atto del 7 ott. 1409 il marchese Niccolò concesse al C. e a suo fratello Tommaso i castelli di Savignano, Montorsello, Montebonello, Montombraro, Montecorone con tutte le loro pertinenze e Monfestino con le dodici Comunità dipendenti: nell'insieme un vasto territorio adiacente a quello di Vignola già posseduto dal Contrari. Gli donò inoltre Guardasone e altri castelli nel Parmense.
Il cardinal Cossa, divenuto il 17 maggio 1410 papa Giovanni XXIII, nominò nel dicembre il C. capitano generale della Chiesa: il giorno di Natale a Bologna, durante la messa, gli fece leggere l'Epistola e gli donò un cappello e una spada guarniti d'oro e d'argento. Poco dopo la partenza del papa da Bologna per Roma (31 marzo 1411) i Bolognesi si ribellarono alla Chiesa. Il C. riuscì a concludere una mediazione tra le due parti e fu nominato capitano generale dei Comune bolognese. In tale qualità assediò San Giovanni in Persiceto, che era stato occupato da Carlo Malatesta, col quale poi raggiunse un accordo che a molti bolognesi parve un tradimento.
Al principio del 1413 il marchese Niccolò, non si sa se con o contro il consiglio dei C., entrò nella lega del re Ladislao di Napoli, che lo nominò suo capitano generale e gli pagò 30.000 fiorini; ma poco dopo, per le rimostranze del papa, recedette dalla lega, rinunciò al capitanato e restituì al re il denaro ricevuto. L'atto conclusivo della vicenda (una "concordia" rogata a Modena il 21 sett. 1413) ha come stipulanti, per mezzo dei loro procuratori, da una parte papa Giovanni e il Comune di Firenze, dall'altra il maichese Niccolò e il Contrari. Il che dimostra anche quale singolarissima posizione avesse quest'ultimo nello Stato ferrarese.
Nello stesso anno il marchese fece un viaggio in Terrasanta (6 aprile - 6 luglio) lasciando il governo dello Stato, con tutti i poteri, al C.; questi lo sostituì anche nel giugno 1414, quando Niccolò andò in pellegrinaggio a S. Antonio di Vienne nel Delfinato.
Nel 1418 il Carmagnola con le armi dei, Visconti tolse Piacenza agli Arcelli e minacciò il territorio parmense. Il marchese mandò contro di lui il C. che gli impedì di avanzare; ma nel 1420 l'Estense, convinto che il duca Filippo Maria, dopo le vittorie del Carmagnola e la tregua decennale conclusa coi Veneziani, avrebbe potuto facilmente togliergli Parma, Reggio e Modena, venne a patti con lui e gli cedette Parma e Reggio, ricevendo però contemporaneamente in feudo da lui quest'ultima città e il suo territorio. Si obbligò inoltre a far sì che il C. rilasciasse al duca Guardasone e gli altri castelli che possedeva nel Parmense e nel Reggiano. Il papa Martino V scrisse al duca esortandolo a lasciare al C. i suoi castelli ma, pare, inutilmente.
L'adesione del marchese all'alleanza veneto-fiorentina del 1425 fu certo caldeggiata dal C., dati i suoi rapporti con la Signoria veneta e col Comune di Firenze. Niccolò fu capitano generale dei Fiorentini, il C. stette sempre al suo fianco nella guerra contro il duca di Milano ed ebbe molta parte nelle trattative che portarono alla pace del 19 apr. 1428. La politica del marchese negli anni seguenti consistette soprattutto in un'assidua opera di mediazione tra Milano, Venezia e Firenze. A questo lavorio diplomatico partecipò senza dubbio il C., e quando nel 1438 i Veneziani restituirono gratuitamente all'Estense Rovigo e il Polesine fu appunto lui che si recò a Venezia a ringraziare il Senato.
In questi anni il C. si occupò molto anche delle pratiche relative alla scelta di Ferrara come sede del concilio. Nel 1436 fu a Venezia per ottenere che la Signoria non si opponesse a tale scelta e vi fu di nuovo per alcuni mesi nel 1437, sia per questioni relative al concilio sia per altre faccende diplomatiche: soprattutto perché il marchese desiderava di aver licenza di iniziare trattative per mediare la pace col duca di Milano. Nel luglio 1438 andò con Leonello d'Este ai confini dello Stato incontro al papa Eugenio IV che veniva a Ferrara per il concilio e che poi gli manifestò in più modi la sua benevolenza. L'opera del marchese per procurare la pace tra Venezia e Milano e la riconciliazione dei duca con Francesco Sforza, opera condotta in buona parte per mezzo del C., raggiunse finalmente il suo scopo. Quando la pace stava per concludersi il duca invitò il marchese a Milano per fare di lui il suo principale consigliere e il suo vicario. Niccolò accettò l'invito, mandò innanzi a Milano il C. e poco dopo ve lo seguì; ma circa un mese dopo il suo arrivo colà mori improvvisamente il 26 dic. 1441. Il C. tornò subito a Ferrara, sia per accompagnarvi la salma, sia per assicurare, secondo l'ultima volontà dei defunto, la successione a Leonello. Anche del nuovo marchese il C. fu il più autorevole collaboratore e consigliere. Fu lui che persuase il duca di Milano a favorire la conclusione delle trattative per le nozze di Leonello con Maria d'Aragona e che suggerì al marchese di inviare Ercole e Sigismondo d'Este ad educarsi alla corte di Napoli. In questi anni il C. soggiornò spesso a Vignola e restano parecchie lettere colà inviategli da Leonello che lo teneva al corrente degli affari di Stato e sollecitava i suoi consigli. Il C. morì a Ferrara il 15 maggio 1448 e fu sepolto in S. Domenico.
In prime nozze aveva sposato Giacoma de Schivazappi, che morì nel 1434 e gli lasciò una figlia: Lodovica. In seconde nozze sposò Camilla dei Pio di Carpi, che morì nel 1490, dalla quale ebbe Ambrogio, Niccolò e due femmine. Il Litta gli dà pome figlio anche un Mainardino; ma è più probabile che questo Mainardino, che fu vescovo di Comacchio, appartenesse a un altro ramo della famiglia. Per le molte donazioni dei marchesi (l'ultima donazione di terre l'ebbe da Leonello poco prima di morire) e per altri acquisti il C. era diventato ricchissimo. Dei sudditi estensi era certo quello che aveva maggiori entrate: da un elenco compilato alla sua morte risulta che solo dal vescovo di Ferrara aveva avuto ben 185 tra feudi, enfiteusi, cessioni di decime e livelli. Pur non essendo propriamente un mecenate, non si disinteressò delle lettere e delle arti. Lodovico Carbone lo ricorda (nella Laudatio funebris diGuarino) come uno di coloro che più si interessarono per la venuta a Ferrara di Guarino Veronese. Il medico e filosofo Ugo Benzi gli dedicò un suo commento, oggi perduto, dell'Artemedica di Galeno. Angelo Decembrio gli dedicò un dialogo, anch'esso perduto, Quod senectus iuventuti consilio et auctoritate anteponenda sit; rursus contra quod iuventus senectuti in omnibus Praeferenda videatur. Inoltre lo introdusse come interlocutore nella sua Politia litteraria.
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