Ulteriori questioni giurisprudenziali in tema di appello
Conservando un’opportunistica ambiguità di fondo sulla natura dogmatica del mezzo, la giurisprudenza di legittimità ha affrontato diverse questioni in materia di giudizio d’appello: non solo la specificità dei motivi e l’obbligo di rinnovazione, qui non trattati, ma altrettanti “quesiti minori”, dai quali fatica ad emergere il volto contemporaneo dell’impugnazione di merito.
Oltre alle più note decisioni in materia di specificità dei motivi d’appello1 e rinnovazione dell’istruzione dibattimentale2, la giurisprudenza di legittimità ha affrontato un contrasto – ancora irrisolto – sull’appellabilità delle condanne alla sola pena dell’ammenda, e ridefinito alcune caratteristiche fondamentali del dibattimento di secondo grado: in materia di legittimo impedimento del difensore, proscioglimento predibattimentale, applicabilità ex officio delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi e limiti alla provvisionale concessa per la prima volta in appello.
L’aspetto più interessante delle soluzioni offerte dalla Corte sta senz’altro nelle ripercussioni prodotte sulla struttura del mezzo d’impugnazione: quali si adattano ad un novum iudicium, e quali ad una revisio prioris instantiæ? Fornendone una breve rassegna, sintetizzeremo gli avversi orientamenti per chiarirne gli aspetti problematici.
Indecisa tra riaffermare i limiti di appellabilità nei casi di “minore gravità” caratteristici delle revisiones prioris instantiae, o impostare l’impugnazione di merito come un rimedio tendenzialmente generalizzato, la Cassazione ha assistito all’emersione di un insolito contrasto, tutt’ora insoluto. La giurisprudenza più tradizionale continua infatti a ritenere che l’inappellabilità delle condanne alla pena pecuniaria (art. 593, co. 3, c.p.p.) non possa essere condizionata da un eventuale errore del giudice contenuto nel dispositivo: se il giudice applica la sola pena dell’ammenda per una contravvenzione punita in astratto con l’arresto o con pena cumulativa, la decisione resta appellabile a prescindere dalla svista3 . Altra parte della giurisprudenza ritiene invece che il disposto letterale dell’art. 593, co. 3, c.p.p. sia ineludibile: ogni volta che il giudice “applica” la pena dell’ammenda, anche per errore, la sentenza di condanna diventa inappellabile; il limite dell’art. 593, co. 3, andrebbe infatti riferito alla scelta adottata in concreto dal giudice, e non a quella prevista in astratto dal legislatore nella fattispecie penale4.
In un’ottica da novum iudicium, invece, le Sezioni Unite hanno ammesso l’applicabilità della disciplina del legittimo impedimento del difensore (art. 420 ter c.p.p.) anche nel giudizio d’appello che si svolge in camera di consiglio in seguito a rito abbreviato5.
Contrariamente all’indirizzo maggioritario6, la Corte ha infatti ritenuto che né l’accelerazione processuale tipica del rito alternativo, né la facoltatività della scelta di difendersi comparendo possano condizionare le prerogative del difensore. Come spesso ricorda la Corte europea, l’unico criterio è l’oggetto della trattazione: l’art. 6 CEDU reclama infatti l’applicazione di garanzie assimilabili a quelle dibattimentali in tutti i casi in cui viene discussa la fondatezza dell’imputazione (così in udienza preliminare, come nel rito abbreviato); di qui la necessità di consentire al difensore impedito per malattia di ottenere il rinvio del procedimento anche nel rito camerale d’appello.
Nello stesso senso, la decisione ha poi specificato che lo stato di malattia rientra tra le circostanze improvvise e imprevedibili che, in qualità di legittimo impedimento, obbligano all’accoglimento della richiesta di rinvio: l’istanza deve essere corredata dall’indicazione della patologia e dei motivi che impediscono la partecipazione personale; ma, contrariamente a quanto ritiene parte della giurisprudenza, non è necessario indicare né un sostituto processuale né i motivi per cui il sostituto non poteva essere nominato7.
Segnando invece una differenza tra appello e primo grado, la Suprema Corte ha ribadito che la sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione non può essere pronunciata nella fase predibattimentale, a norma dell’art. 469 c.p.p.8: visto che gli artt. 599 e 601 c.p.p. disciplinano espressamente gli atti preliminari del giudizio di secondo grado, l’operatività del richiamo alle norme sul giudizio di primo è preclusa (art. 598 c.p.p.); né la declaratoria è possibile a norma dell’art. 129 c.p.p., che presuppone l’instaurazione di un «grado del processo», alludendo così ad un momento “dibattimentale” in cui le parti possono esercitare il contraddittorio.
In consonanza con il limitato effetto devolutivo tipico delle revisio prioris instantiae, la Cassazione ha poi negato che il giudice d’appello possa applicare d’ufficio le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi se le parti non hanno specificamente devoluto il “punto” relativo alla loro concessione9.
La concessione delle sanzioni sostitutive non è infatti ricompresa tra i poteri esercitabili d’ufficio nell’art. 597, co. 5, c.p.p.; e poiché l’elenco ha carattere tassativo, è insuscettibile di estensione analogica. La sanzione sostitutiva, poi, non può essere considerata una mera modalità esecutiva della pena, ma fa parte di un sistema sanzionatorio “parallelo”, i cui presupposti applicativi integrano una “statuizione suscettibile di autonomo apprezzamento” (ossia un “punto”), slegata da quella relativa al generale trattamento sanzionatorio.
Seguendo ancora una volta la logica tipica delle revisiones prioris instantiæ, la Cassazione ha poi definito i limiti entro i quali può essere concessa la provvisionale per la prima volta in appello10.
In caso di rigetto o di omessa decisione sulla richiesta rivolta dalla parte civile in primo grado, e in assenza di impugnazione, il punto resta precluso; né la provvisionale può essere concessa d’ufficio, poiché l’art. 539, co. 2, richiamato in appello dall’art. 598, la subordina ad una richiesta di parte.
Se però, in favore della parte civile, è stata pronunciata condanna generica, la provvisionale richiesta per la prima volta nel corso del giudizio d’appello – e non con apposito atto d’impugnazione – si mantiene all’interno della domanda di risarcimento originaria: a presupposto della misura basta l’accertamento della potenzialità lesiva del fatto, contenuto nella condanna generica; requisito legittimante è invece l’aggravamento delle condizioni del creditore danneggiato.
Mai in passato l’appello ha ottenuto tante attenzioni dai giudici di legittimità. Dalle soluzioni offerte emerge però un certo strabismo, che impedisce di percepirne il disegno sistematico: non è chiaro se la Suprema Corte ritiene che l’impugnazione di merito più adatta al diritto processuale contemporaneo debba avvicinarsi ai più asciutti mezzi di controllo, o debba magari somigliare il più possibile al giudizio di primo grado, costituendone una mera riproduzione.
1 V. Cass. pen., S.U., 27.10.2016, n. 8825, in CED rv. n 268822.
2 V. Cass. pen., S.U., 28.4.2016, n. 27260, in CED rv. n. 267488, e S.U., 19.1.2017, n. 18620, in CED rv. n. 269786.
3 V. Cass. pen., 11.2.2016, n. 14738, in CED rv. n. 266833.
4 Cass. pen., 7.3.2014, n. 15041, in CED rv. n. 261564, v. Aiuti, V., Note in tema di inappellabilità delle sentenze di condanna alla pena dell’ammenda, in Riv. dir. proc., 2017, 700.
5 Cass. pen., S.U., 21.7.2016, n. 41432, in CED rv. n. 267747.
6 Ex multis, Cass. pen., S.U., 8.4.1998, n. 7551, in CED rv. n. 210745; contra Cass. pen., 21.10.2015, n. 10157, in CED rv. n. 266531.
7 Cass. pen., 22.7.2014, n. 35263, in CED rv. n. 260152.
8 Cass. pen., S.U., 27.4.2017, n. 28954, in CED rv. n. 269810.
9 Cass. pen., S.U., 19.1.2017, n. 12872in CED rv. n. 269125.
10 Cass. pen., S.U., 27.10.2016, n. 53153, in CED rv. n. 268179.