ultimo
Ricorre con notevole frequenza in tutte le opere (una sola volta nelle Rime); non è mai attestato nel Fiore e nel Detto.
Nel suo significato più generico e proprio è attributo della persona o della cosa che, in una serie successiva, non sono seguite da altre: Cv IV II 12 ‛ rima '... s'intende pur per quella concordanza che ne l'ultima e penultima sillaba far si suole; I XI 2 la loro mossa viene da cinque... cagioni. La prima è cechitade di discrezione; la seconda... la terza... la quinta e ultima, viltà d'animo; e così al § 18, X 5, III III 11.
Quando incontrano nel Limbo i grandi poeti dell'antichità, Virgilio così li indica a D.: quelli è Omero poeta sovrano; / l'altro è Orazio satiro che vene; / Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo Lucano (If IV 90). Si discute perché Lucano sia citato per u.: per ragioni cronologiche o, secondo i più, come rappresentante del terzo e u. fra gli stili principali, il tragico, come già vide Benvenuto (" accepit Dantes tres insignes poetas latinos in triplici stilo: Horatium in Satira, Ovidium in Comedia, Lucanum in Tragedia "). Meno probanti appaiono le ipotesi che si tratti di una valutazione comparativa di merito, come crede il Chimenz, o che D. abbia considerato Lucano più uno storico che un poeta attenendosi a un giudizio già espresso da Isidoro (Etym. VIII VII 10); per la questione, v. F. Mazzoni, in " Studi d. " XLII (1965) 141.
A proposito della distribuzione dei nove cori angelici in tre gerarchie, formate da tre ordini ciascuna, D. osserva che la prima per nobilitade fra esse (Potestà, Cherubini e Serafini) è l'ultima che noi annoveriamo; viceversa, l'ultima (Troni, Arcangeli e Angeli) è più propinqua... a noi (Cv II V 8); così, l'ultimo [coro] è tutto d'Angelici ludi (Pd XXVIII 125).
In relazione alla struttura formale del Convivio sono ricordati l'ultimo trattato (I VIII 18, III XV 14), cioè il XV, mai composto, e il trentesimo e ultimo capitolo (IV XXX 1) del IV trattato.
Alla ragionata divisione delle liriche in più parti sono dovute le locuzioni ultima parte (di una canzone) in Vn XIX 21, XV 8, XXVI 15, Cv IV XXVIII 1(‛ ultima particola ') e l'ultimo verso (cioè la stanza finale) in II II 9, III I 13, XV 19. Analogamente, Vn VIII 3 l'ultima parte de le parole che io ne dissi; e ancora in Cv II VI 6, X 3.
In Cv IV Le dolci rime, dopo aver ricordato l'opinione pseudofedericiana secondo la quale la nobiltà consisterebbe in antica possession d'avere / con reggimenti belli (vv. 23-24), D. osserva che altri, scioccamente, tal detto rivolse, / e l'ultima particula ne tolse (v. 27), con queste parole indicando l'espressione con reggimenti belli; e così in III 7.
Nell'ambito temporale indica ciò che è posteriore a tutti gli altri: Vn III 1 l'ultimo di questi die, e 8 le nove ultime ore de la notte; e così in Cv IV XIII 6 e 7. Con riferimento allo svolgimento della vita umana: l'ultima etade, il senio (Cv IV XXVIII 1); l'ultimo dì (If XIV 54, XV 47) e l'ultima ora (Pg V 53), il momento della morte. In Pg I 58 Questi non vide mai l'ultima sera, per alcuni (Chimenz) Virgilio allude soltanto alla non ancora avvenuta morte corporale di D.; altri (Casini-Barbi, Porena) credono che si tratti della morte spirituale; più plausibilmente il Mattalia assegna all'espressione un valore pregnante, proprio e metaforico, in armonia alla chiosa del Buti: " Litteralmente dice della morte corporale, e allegoricamente s'intende della morte spirituale ".
Un'uguale densità di allusioni ha suggerito l'accenno alla fenice, per la quale e nardo e mirra son l'ultime fasce (If XXIV 111); secondo il racconto di Ovidio (Met. XV 398-399), la fenice, quando si sente morire, si avvolge nel nardo e nella mirra (di qui la proprietà dell'espressione ultime) ma, appena morta, rinasce, sicché i profumi che hanno formato il suo sudario diventano anche le fasce di lei rinata.
Due volte ha valore estensivo: l'ultima volontade (Cv IV XXIV 17), quella espressa in punto di morte; l'ultima speme (Rime L 32), la sola che resta, perduta la quale non si ha più nulla in cui sperare.
Dopo la morte di Federico II, terzo e u. imperatore della dinastia sveva, l'Impero, secondo D., restò vacante fino all'incoronazione di Enrico VII; u. è usato in relazione a queste vicende in Cv IV III 6 Federigo di Soave, ultimo imperadore de li Romani - ultimo dico per rispetto al tempo presente, e in Pd III 120 la gran Costanza / ... del secondo vento di Soave / generò 'l terzo e l'ultima possanza.
Ricorre anche in rapporto alle dottrine cosmologiche ed escatologiche. In Cv II XIV 13 noi siamo già ne l'ultima etade del secolo, l'espressione ultima etade è suggerita dalla speculazione di s. Agostino (In Ioann. II 10-16), secondo il quale con la morte di Cristo è già iniziata la sesta e u. età del mondo che si prolungherà fino alla consumazione dei secoli. In Pd VII 112 (l'ultima notte) e XXX 45 (l'ultima giustizia) si allude al giorno del giudizio universale.
Rientrano nell'ambito delle indicazioni temporali, anche se con minor proprietà di quelli fino ad ora esaminati, i seguenti esempi: l'ultima parola (Pd XII 1, XXI 79), quella pronunciata a conclusione di un discorso: ultima dolcezza è la soavissima nota con la quale l'allodola ha posto fine al suo canto (XX 75; diversamente il Porena: " appagata " dall'estremo " di dolcezza a cui giunge col suo canto "); l'ultimo costrutto (Pg XXVIII 147), parte finale del discorso di Matelda; XVII 71 li ultimi raggi, la luce del sole ancora visibile un momento prima del tramonto; Pd XXV 121 l'ultimo foco, s. Giovanni in quanto è apparso a D. dopo s. Pietro e s. Iacopo.
In Pg XXV 109 il settimo e più alto tra i gironi del Purgatorio è chiamato l'ultima tortura. Se a tortura si assegna il significato di " tormento ", ultima conterrà un'indicazione di carattere temporale, in quanto, dopo quello del fuoco subìto in quel girone, le anime penitenti non dovranno assoggettarsi ad altri tormenti; oppure a ultima dovrà attribuirsi il significato di " estrema ", " la più lontana " dalla base della montagna: significato che la parola avrebbe anche se a tortura si desse il significato di " via torta ", " cornice circolare ".
Con un uso tuttora vivo, u., preceduto dall'aggettivo dimostrativo ‛ questo ', è riferito a una frase immediatamente precedente: in Vn XXI 8 D. parla dei due atti de la... bocca di Beatrice, cioè lo suo dolcissimo parlare, e... lo suo mirabile riso; salvo che non dico di questo ultimo come adopera ne li cuori altrui; e così in XXVI 15, Cv IV VII 2, Pd V 46.
Dopo la recita del Pater noster, i superbi aggiungono: Quest'ultima preghiera, segnor caro, / già non si fa per noi, ché non bisogna, / ma per color che dietro a noi restaro (Pg XI 22). Per alcuni (Scartazzini-Vandelli, Casini, Steiner, Grabher, Mattalia) quest'ultima preghiera si riferisce solo all'ultimo versetto, corrispondente ai vv. 19-21; il Porena, seguito dal Chimenz, dal Sapegno e dal Fallani, riprendendo un'interpretazione già avanzata da G. Cavedoni (Raffronti tra gli autori biblici e sacri e la D.C., Città di Castello 1896, 133), intende l'u. parte della preghiera, a cominciare dal v. 13; e si veda anche V. Pernicone, in Lett. dant. 889.
Nel cielo di Marte, dopo aver osservato gli spiriti indicatigli da Cacciaguida, D. rivolge nuovamente lo sguardo verso Beatrice: vidi le sue luci tanto mere, / tanto gioconde, che la sua sembianza / vinceva li altri e l'ultimo solere (Pd XVIII 57); qui l'espressione indica " il più recente " fra i modi con i quali Beatrice era solita apparire a Dante.
In senso spaziale u. designa quanto si trova nella parte marginale di un luogo. Cacciaguida racconta a D. che la sua nascita era avvenuta in quel punto di Firenze, dove, per chi viene da ponente (come i cavalli che partecipano al palio nel giorno di s. Giovanni), comincia l'ultimo sesto (Pd XVI 41), cioè il sestiere di Porta San Piero: ultimo, perché era il più interno fra quelli che la corsa traversava o anche perché, come sembra credere il Mattalia sulla scorta di una notizia fornita da G. Villani (III 2), era indicato per u. nell'enumerazione d'ordine dei sestieri.
Nel meccanismo di un orologio le ruote, o cerchi, girano con differente velocità, sicché il primo, cioè il più interno e più piccolo, sembra quasi immobile, mentre l'ultimo, cioè il più ampio ed esterno, sembra che voli (Pd XXIV 15). Ai savi d'Egitto... l'ultima stella... appare... in meridie, dalla parte di mezzogiorno (Cv II XIV 2). Anche sulla base del testo di Alfragano (" Sapientes probaverunt omnes stellas fixas... usque ad ultimum quod apparuit eis a parte meridiei " [cfr. Busnelli-Vandelli]) che D. segue, qui sembra che ultima valga " la più lontana ". E così, in un contesto metaforico, l'ultime fronde (Pd XXIV 117), quelle che occupano la cima di un albero.
In qualche caso u. ricorre a proposito della struttura fisica dell'Inferno: l'ultima chiostra / di Malebolge (If XXIX 40); altro esempio al v. 118; anche l'ultima riva / del lungo scoglio (XXIX 52), cioè l'argine " estremo " di Malebolge, che confina con il pozzo centrale. In XXIV 42 è descritto in che modo Virgilio e D. risalgono la ruina che dal fondo della bolgia sesta si alza fino alla testa del ponte che attraversa la settima: noi pur venimmo al fine in su la punta / onde l'ultima pietra si scoscende; per il Mattalia " non risulta chiaro quale sia l'ultima pietra, se la roccia nel punto più alto, o, come intende il Vandelli, il punto di attaccatura del ponte crollato ". Frate Alberigo ritiene che a D. e a Virgilio sia data... l'ultima posta (XXXIII 111), cioè che essi siano dannati nella Giudecca; l'aggettivo ha valore pregnante, in quanto allude contemporaneamente alla posizione della zona, la più profonda tra le regioni dell'Inferno, e alla suprema gravità della colpa che vi è punita.
Molto spesso l'aggettivo ricorre per alludere al grado sommo cui può giungere il valore di una cosa, assumendo così il significato di " sommo ", " il più alto ", o anche di " primario ", " fondamentale ". Se ne hanno esempi in Cv I I 1 la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, e XIII 5; II VI 8 l'ultima sentenza de la mente, cioè lo consentimento; VII 3 le cose deono essere denominate da l'ultima nobiltade de la loro forma; XIII 6, III XIII 8, IV IV 5, VI 6, XXIV 8. Perciò Dio è l'ultimo desiderabile (IV XII 17) e nella visione di lui consiste l'ultima salute (Pd XXII 124, XXXIII 27), cioè la suprema salvezza dell'anima (diversamente intende il Porena: " intendi Dio, che è beatitudine suprema, e non già come qualcuno fa ‛ beatitudine di Dante ' ").
In Cv III VIII 7 l'ultima potenza de la materia, la qual è in tutti quasi dissimile, quivi [nel volto dell'uomo] si riduce in atto, l'aggettivo ha un valore diverso, in quanto l'ultima potenza de la materia è " la più prossima " disposizione della materia all'atto. Esponendo la dottrina della creazione, s. Tommaso spiega che la luce del Verbo dai nove cori angelici discende di cielo in cielo fino agli elementi del mondo sublunare: Quindi discende a l'ultime potenze / giù d'atto in atto (Pd XIII 61); atto per eccellenza è Dio; ogni cielo poi è potenza in quanto subisce l'influsso delle sfere superiori, e atto, in quanto lo trasmette alle inferiori; perciò l'ultime potenze sono le estreme zone del mondo materiale, dov'è pura e sola potenzialità. Invece in Cv III II 14 l'anima umana... con la nobilitade de la potenza ultima, cioè ragione, partecipa de la divina natura, la potenza razionale dell'anima è definita come ultima perché non si trova senza la sensitiva e la vegetativa; e si veda anche il § 16; IV VII 15 (seconda occorrenza).
In qualche esempio u. è usato con valore pregnante perché mentre, con il suo significato più proprio, è riferito a qualche cosa che, nell'ordine spaziale o temporale, non è seguito da altro, contemporaneamente implica un giudizio di eccellenza. Così, il Paradiso è l'ultimo lavoro (Pd I 13) in senso cronologico per essere l'ultima tra le cantiche a essere composta, ma lo è anche " in quanto attinge all'estremo limite dell'arte umana " (Sapegno). S. Francesco, dopo aver ricevuto da Innocenzo III il primo sigillo a sua religïone (XI 93) e averne ottenuto la conferma scritta da Onorio III (cfr. vv. 97-99), nel crudo sasso intra Tevero e Arno / da Cristo prese l'ultimo sigillo (v. 107); anche in questo caso i tre momenti della biografia francescana sono ordinati secondo la loro successione nel tempo, ma ultimo ben dà rilievo al carattere di consacrazione " suprema " fornita direttamente da Cristo con le stimmate impresse nel corpo del santo. L'Empireo è l'ultima spera (XXII 62): il più alto dei cieli, ma anche la beatitudine e gloria supreme.
In un esempio u., invece di essere usato in senso elativo, è riferito a persona che, nel campo della propria attività, è inferiore agli altri: l'ultimo artista (Pd XVI 51) è " il più umile " degli artigiani fiorentini.
Si ricorda infine la variante, non buona, a l'ultima in luogo di a l'intima, in Pd XII 21; cfr. Petrocchi, ad locum.
Usato come sostantivo vale " termine ", " parte finale ": Cv IV XXX 6 Oh quanto e come bello adornamento è questo che ne l'ultimo di questa canzone si dà ad essa...; e così in XXIX 1. In un caso indica " il grado massimo ", " l'estremo limite " in senso figurato: or convien che mio seguir desista / più dietro a sua bellezza, poetando, / come a l'ultimo suo ciascuno artista (Pd XXX 33); " Ultimo è un neutro sostantivato, e di sapore tecnico: ‛ ultimum perfectionis '... in Mon. II, 2, 7 " (Mattalia).
La locuzione avverbiale a l'ultimo (Cv II III 3) vale " alla fine ", " infine ".