ultravista
(ultra-vista), s. f. Vista prodigiosa, estremamente sviluppata, anche in senso figurato.
• Allo Stato-persona che [Silvio] Berlusconi ha cercato di incarnare in questi giorni, uno one-man-Stato che accorcia i tempi e risolve i problemi per il solo fatto di unificare ogni competenza e ogni potere in un solo leader, uno Stato supereroe che sana ogni ferita e vede il futuro con la sua ultra-vista, [Giorgio] Napolitano ha affiancato l’idea, non proprio convergente, che lo Stato sia anche un faticoso insieme di leggi, di regole, di lealtà verso la comunità di appartenenza. (Michele Serra, Repubblica, 10 aprile 2009, p. 1, Prima pagina) • [tit.] Alla ricerca dell’«ultravista» per soldati, piloti e astronauti [testo] […] È partito un nuovo programma: quello dell’«ultravista». Operare chi non ha difetti per dargli oltre 15 decimi. Il che significa vedere una mosca a nove metri, invece dei sei a cui la vedrebbe chi ha i normali dieci decimi. (Mario Pappagallo, Corriere della sera, 28 luglio 2012, p. 29, Cronache) • Di Julia Margaret Cameron, madre di tutti i ritrattisti, i maligni dicevano sbagliasse la messa a fuoco perché aveva urgente bisogno di lenti correttive. Non c’è nulla di strano. La fotografia si è proposta al mondo fin dall’inizio come ultravista, come desiderio di una visione di grado superiore, come sguardo intensificato sul mondo. La fotografia è antropologicamente una protesi visuale, è il super-occhiale della nostra cultura: quando guardiamo il mondo attraverso di essa, siamo tutti nella condizione di minorati visivi. (Michele Smargiassi, Repubblica, 1° settembre 2012, p. 33, Club).
- Derivato dal s. f. vista con l’aggiunta del prefisso ultra-.
- Già attestato nella Stampa Sera del 16 aprile 1973, p. 9, Sport (Carlo Moriondo).