Saba, Umberto
Il poeta sereno e disperato
Tra i più importanti poeti italiani del Novecento, Umberto Saba è l’unico a non aver vissuto le esperienze dell’avanguardia e del simbolismo. Nei suoi versi vuole rinnovare la tradizione lirica italiana, da Petrarca a Leopardi. Il suo linguaggio è semplice e diretto, come la lingua parlata. I temi che sceglie sono autobiografici, analizzati attraverso lo studio delle teorie psicoanalitiche di Freud
Umberto Saba nasce a Trieste nel 1883. L’abbandono della famiglia da parte del padre prima della sua nascita, le apprensioni della madre, di origine ebrea, l’affetto eccessivo della balia slovena saranno momenti sempre ricordati e sviscerati nella sua poesia, che si caratterizza subito come autobiografica.
La carriera scolastica è irregolare; la sua giovinezza, agitata da problemi prima familiari e poi razziali – egli vive nel ghetto di Trieste –, trova un rifugio nella fantasia e in quelle che egli poi definì «le sterminate letture d’infanzia». Le prime prove poetiche sono caratterizzate da parole semplici e da ritmi cantabili, ma in realtà dietro quella superficie si nascondono tanti dolori. Un suo verso, infatti, recita: «Quante rose a nascondere un abisso!».
Quando è in età di poterlo fare, lascia il cognome paterno (Poli) come segno di ostilità verso il padre e sceglie lo pseudonimo di Saba – parola ebraica che significa «pane» – in omaggio alla mamma.
Nel 1905 si trasferisce a Firenze, dove prende contatto con gli ambienti intellettuali della città, tra cui la rivista La voce, ma i rapporti sono di reciproca incomprensione. Nel 1909 torna a stabilirsi a Trieste e sposa Carolina Wölfler, la Lina del Canzoniere, da cui l’anno seguente avrà la figlia Linuccia. Nel 1911 esce a spese del poeta il primo libro di versi, Poesie.
Dopo la Prima guerra mondiale, alla quale partecipa ricoprendo ruoli amministrativi e di retroguardia, Saba rileva a Trieste una bella libreria antiquaria che gli consentirà di vivere modestamente per tutta la vita e di dedicarsi alla produzione poetica. Nel 1921, con il marchio editoriale della libreria, pubblica il Canzoniere, che comprende tutte le liriche composte fino ad allora. Le più particolari sono quelle in cui il poeta paragona con un tono affettuoso e delicato l’uomo agli animali: identifica sé stesso con una capra; la moglie con una serie di bestie, come una bianca pollastra, una giovenca e una rondine; i militari con giovani cani.
Nel 1929 si sottopone a una terapia psicoanalitica con il dottor Edoardo Weiss, allievo di Sigmund Freud, per curare una nevrosi da cui era afflitto. La conoscenza delle teorie freudiane gli conferma alcune sue intuizioni sull’importanza delle esperienze infantili nella formazione della personalità, e di conseguenza la psicoanalisi gli appare come uno strumento fondamentale per la conoscenza dell’animo umano.
Nel 1945 esce il secondo libro del Canzoniere, nel quale confluiscono le raccolte poetiche successive al 1921: tra esse troviamo Il piccolo Berto, dove il poeta analizza i traumi della sua infanzia attraverso un immaginario dialogo tra il Saba adulto e il Saba bambino.
Nel 1938, in seguito all’introduzione delle leggi razziali, aveva dovuto abbandonare Trieste e rifugiarsi a Parigi. Le persecuzioni contro gli Ebrei, la Seconda guerra mondiale e la crisi triestina dell’immediato dopoguerra aggiungono motivi sociali e politici all’infelicità del poeta. Sono esperienze che tornano insistenti nelle ultime raccolte di poesie, riunite nella terza parte del Canzoniere. Tra esse però troviamo anche le Cinque poesie per il gioco del calcio, attraverso le quali Saba realizza il desiderio di non sentirsi, per una volta, solitario tra gli uomini, e di riuscire a condividere con loro una passione. Sono pure l’occasione di riparlare dei ragazzi, del loro amore per i calciatori, e di ricordare le pulsioni e le delusioni della propria infanzia.
A Trieste Saba trascorre gli ultimi anni della vita con prolungati ricoveri in clinica, dovuti alla sua nevrosi, resa più acuta dalla perdita della moglie. Compone ancora delle raccolte di versi e un romanzo rimasto incompiuto, Ernesto. Muore a Gorizia nel 1957.