Umbria
Nelle opere di D. non si trova una nozione storico-geografica dell'U., il che è spiegabilissimo in quanto, salvo il ducato di Spoleto che aveva vita a sé e superava l'ambito regionale, il resto e precisamente la zona a nord e a occidente della valle del Tevere era considerata parte integrante della Tuscia (VE I X 7 Et dextri regiones sunt... Roma, Ducatus, Tuscia).
Se vogliamo trovare in D. una visione unitaria della zona umbra dobbiamo riferirci al ducato spoletano del quale in particolare egli esamina la lingua (§ 8) che contrappone a quella dei Romani e dei Toscani. Quando poi passa all'esemplificazione di frasi e locuzioni, dopo aver citato un'espressione della Marca Anconitana, ripudia questo modo di parlare e con esso anche quello degli Spoletani, di cui però non porta alcun esempio (XI 3). Infine considera a parte le parlate di Perugia, Orvieto, Viterbo e Civita Castellana delle quali però non parlerà propter affinitatem quam habent cum Romanis et Spoletanis (XIII 2).
Fra le località umbre d'interesse dantesco ha un posto preminente Perugia (v.); la città, per la sua politica che l'affiancava ai grandi comuni toscani, ebbe molti contatti, che D. non poté ignorare, con l'ambiente politico fiorentino e che giustificano la schematica, ma determinante caratterizzazione che il poeta ne dà in Pd XI 46-47. L'ipotesi che D. abbia colto tale aspetto della città per esservi stato di persona è avvalorata dalle argomentazioni di P. Fedele, il quale in due studi ha sostenuto la possibilità che il poeta dalla vicina Arezzo, dove si sarebbe trovato in esilio nel 1304 con la Parte bianca, avrebbe soggiornato a Perugia l'anno successivo durante il conclave dal quale uscì eletto Clemente V; eco di questo evento è nell'epistola ai cardinali italiani (Ep XI), nella quale però non c'è alcun accenno alla città sede del Conclave. Altro riferimento a Perugia è in Pd VI 75 in relazione alla sconfitta inferta da Ottaviano ai seguaci di Antonio (41 a.C.).
Menzione di Spoleto è in Ep VI 20 allorché D., esortando i Fiorentini a ben accogliere Enrico VII, ricorda la distruzione della città a opera di Federico I nel 1155, quale giusta punizione per la sua ribellione alla suprema autorità.
Ma l'interesse vero di D. per l'U. è in relazione alle figure mistiche fiorite in questa terra: sembra quasi che il poeta voglia stabilire un legame fra paesaggio e spiritualità. La citazione di Assisi infatti è in funzione della rappresentazione dell'ambiente fisico-spirituala in cui è sorto s. Francesco (Pd XI 52-54) e Nocera Umbra e Gualdo sono inserite come termini necessari alle composizione della descrizione della zona (vv. 47-48), la cui significazione va intesa in senso ambientale geografico, come ha confermato col sussidio di ponderati argomenti L. Salvatorelli. Sempre complementare alla rappresentazione di questo ambiente è la descrizione paesistico-spirituale della zona sovrastante Gubbio con l'acqua che discende / del colle eletto dal beato Ubaldo (vv. 43-44); e ugualmente in quest'atmosfera mistica rientra il ricordo di un'altra zona non propriamente umbra, ma umbro-marchigiana, cioè quella del monte Catria di sotto al quale è consecrato un ermo (XXI 110): Fonte Avellana, reso celebre dal lungo soggiorno di s. Pier Damiano, e nel quale, secondo una tradizione non suffragata da documenti, avrebbe soggiornato Dante.
Sono numerose nella Commedia le rievocazioni di personaggi umbri (si veda alle singole voci), ma s. Francesco è una figura che travalica subito la cornice del quadro fisico-spirituale per lui predisposto per attingere alla sfera dei più alti valori universali; e a lui è dedicato un ampio brano di altissima poesia (Pd XI 49-123, e inoltre XXII 90, XXXII 35). La minore sorella di Francesco, s. Chiara, è evocata con delicatezza di tono da Piccarda Donati (III 97-102).
L'altro grande santo umbro, Benedetto da Norcia, posto da D. in una posizione subordinata rispetto a s. Francesco, in corrispondenza con la minor presa che l'ordine benedettino coi suoi vari rami esercitava sulla società di quell'epoca, è collocato tra le anime contemplanti nel settimo cielo (XXII 22-96 e inoltre XXXII 35).
Un ampio brano è riservato a Oderisi da Gubbio, celebre miniatore, incontrato da D. tra i superbi (Pg XI 74-142):
Il fugace cenno fatto da s. Bonaventura da Bagnoregio a Matteo d'Acquasparta (Pd XII 124-126) è accompagnato da un netto giudizio di riprovazione per il lassismo seguito nei confronti della regola: giudizio che con plausibile interpretazione desunta da un attento esame delle opere e dell'attività ecclesiastica e politica di Matteo è stato ridimensionato, con la puntualizzazione dell'avversione per ragion politica di D. nei confronti del prelato, fedele esecutore dei voleri di Bonifacio VIII.
Il monaco camaldolese Graziano, nato presumibilmente nel territorio orvietano, largamente famoso ai tempi di D. per il suo Decretum, è ricordato fra i sapienti (Pd X 103-105).
Le lotte fra Monaldi e Filippi, famiglie notabili di Orvieto, son ricordate in Pg VI 107; la città inoltre è citata in Fiore XCII 11, ma bisogna tener presente che essa per D. faceva parte della Tuscia (VE I XIII 2).
La fortuna di D. in U. va seguita nei due principali filoni della tradizione manoscritta e dell'imitazione letteraria.
Una delle prime manifestazioni di tale tradizione manoscritta, probabilmente per riflesso dal territorio feltresco-romagnolo, si ha a Gubbio, forse anche per merito di Bosone. Eugubini sono infatti due ottimi codici della Commedia: gli attuali Estense 1513 e Casanatense 392. In un altro centro dell'alta U., Città di Castello, per insinuazione o dalla Romagna o dalla Toscana si ha la più antica testimonianza di tradizione manoscritta in U. col codice Laurenziano 40 2 del 1370; mentre il Parigino italiano 75 fu esemplato a Orvieto nel 1389, il codice 2283 di Treviri fu scritto a Stroncone (Terni) nel 1465. Hanno rapporti col clima linguistico umbro più o meno accentuato altri quattro codici: XIII C I della biblioteca Nazionale di Napoli, che presenta caratteri umbro-toscani; i Laurenziani XL 22, scritto a Sassoferrato nel 1355, che presenta invece caratteri umbro-marchigiani, e XL 25; infine il Laurenziano Ashburnhamiano 830, notevole anche per le iniziali miniate. Tale notevole tradizione manoscritta sfocia e culmina nell'editio princeps folignate Orfini-Neumeister del 1472, che costituisce " la traduzione meccanica del manoscritto, di un determinato manoscritto [il Lolliniano], nella forma di stampa " (Casamassima); manoscritto che per tipica peculiarità apparteneva alla famiglia dei ‛ Danti del Cento '.
Sotto l'aspetto dell'imitazione letteraria, per la fortuna di D. nell'U., è da ritenere che nel corso del Trecento in U. come in Toscana e in Romagna una conoscenza spicciola e quasi popolare con frammentarie trascrizioni di brani, con citazioni di versi a mo' di proverbi nelle quotidiane conversazioni, con inserzioni di squarci della Commedia nelle prediche dovesse esserci. Anche nel folto gruppo dei poeti perugini del Trecento come Marino Ceccoli, Cecco Nuccoli, Neri Moscoli, non mancano echi danteschi. Si pensi a Neri Moscoli (" corda da sé non mai pinse quadrello / ratto così "), che scrisse sette sonetti ‛ petrosi ', tutti con le stesse parole - rima; si pensi al sonetto di Marfagnone, sempre con rime ‛ petrose '. Reminiscenze dantesche suggerite dal culto per il poeta sono frequenti in Bosone de' Raffaelli da Gubbio, eminente personaggio quanto mediocre verseggiatore.
Ricordi e argomenti danteschi - e in ciò consiste la singolarità del caso - si trovano anche in opere non propriamente poetiche, come nel Teleutelogio dell'eugubino Ubaldo di Sebastiano; in Bartolo da Sassoferrato, quando tratta della Monarchia dantesca e delle idee espresse dal poeta sulla nobiltà. Inoltre diretta e assidua imitazione da D. con interpolazione di versi della Commedia si rinviene in composizioni perugine trecentesche di argomento politico: il Capitolo in terza rima di Domenico Scolare e i Cinque Canti di anonimo.
Più alto livello di sostanza culturale ed erudita, se non di poetica virtù, consegue l'imitazione dantesca in U. col poema allegorico Quadriregio, composto avanti il 1403 dal dotto teologo domenicano e vescovo di Foligno Federico Frezzi. Reviviscenze dantesche più o meno pertinenti si avvertono saltuariamente in U. anche nei secoli successivi in connessione con l'andamento generale della fortuna dell'opera di D., per quanto la produzione poetica locale dall'epoca delle Accademie a quella dell'Arcadia si sia generalmente mantenuta nella sfera petrarchesca. Riaffiora talora la questione del soggiorno di D. nell'alta U. presso Bosone da Gubbio (v.), che fu trattata nel sec. XIX dal distinto letterato perugino Giuseppe Antinori. Il culto della Commedia sopravvive in U. fino a oggi per il fervore di solitari ammiratori come l'esimio latinista Giovanni Ambrosi.
Bibl. - G. Antinori, Dell'antico castello di Colmollaro..., in Rime e prose, II, Pisa 1842, 163-180; G. Mazzantini, Il " Teleutelogio " di Ubaldo di Sebastiano da Gubbio, in " Arch. Stor. Ital. " s. 4, VII (1881) 263-276; ID., Bosone da Gubbio e le sue opere, in " Studi Filol. Romanza " I (1884) 277-334; U. Morici, D. e il monastero di Fonte Avellana, Pistoia 1899; ID., D. e il Monte Catria, in " Giorn. d. " XI (1903) 183-185; E. Filippini, La materia del Quadriregio, Menaggio 1905; Bassermann, Orme, passim; P. Fedele, Per la storia dell'attentato di Anagni, in " Bull. Ist. Storico Ital. " XLI (1921) 194-232; P. Fedele, Il conclave di Perugia nella lettera di D. ai Cardinali, in " Boll. Univ. Ital. Stranieri Perugia " VII (1935) 301-304; L. Salvatorelli, La politica interna di Perugia in un poemetto volgare della metà del Trecento, in " Boll. Deputazione St. Patria Umbria " L (1953) 5-109; R. Morghen, Il conclave di Perugia nel 1305 e la Lettera di D. ai Cardinali italiani, in L'U.. nella storia, nella letteratura, nell'arte, Bologna 1954, 103-124; L. Salvatorelli, D. e s. Francesco, in " Boll. Deputazione St. Patria Umbria " LXII (1965) 237-238; M. da Alatri, L'allusione dantesca a Matteo d'Acquasparta, ibid., 177-183; E. Casamassima, L'edizione folignate della Commedia (1472), ibid., 214-225; M. Marti, D. e i poeti perugini del Trecento, ibid., 203; R. Manselli, L'U. nell'età di D., ibid., 156-176; G. Ambrosi, Dantis iter in Deum. Con D. dalla selva all'Empireo, Torino 1965; Mostra di codici ed edizioni dantesche, Firenze 1965, 75 e 76.