UMBRIA (A. T., 24-25-26 bis)
Compartimento interno dell'Italia centrale (l'unico, di questa, privo di confine marittimo), situato fra la Toscana (a O.), le Marche (a N. e ad E.) e il Lazio (a S.). Comprende sostanzialmente quasi tutto l'alto e medio bacino del Tevere e una zona alla destra di questo, col lago Trasimeno. La sua superficie è di 8497 kmq. (6357 kmq. la provincia di Perugia, 2140 quella di Terni; tra i compartimenti italiani, soltanto la Liguria ha una superficie inferiore a quella dell'Umbria). I punti estremi del compartimento sono: a mezzodì il Colle di Santa Cristina tra Calvi dell'Umbria e Magliano Sabino (42° 22′ N.) e a settentrione il Poggio delle Vacche, a NO. della Bocca Trabaria (43° 33′ N.); a occidente il Molino S. Pietro (nel comune di Allerona), dove si congiungono i confini dell'Umbria, del Lazio e della Toscana (11° 55′ E.), e a oriente la cima del M. Vettore (Sibillini; 13° 5′ E.). Il meridiano centrale dell'Umbria è press'a poco quello di Roma.
Nel sec. XVII, quando, dalla caduta dell'impero romano (v. appresso), il nome "Umbria" torna ad avere valore ufficiale, la "Provincia dell'Umbria" comprendeva, oltre all'Umbria attuale meno l'Orvietano, la diocesi di Rieti. Nel censimento pontificio del 1701 l'"Umbria provincia" risulta comprendere anche la diocesi di Camerino, cioè parte delle odierne provincie di Ancona e Macerata. Tale continua ad essere l'estensione di questa regione fin quasi al termine del sec. XVIII. Dal censimento pontificio del 1782 risulta che la diocesi di Camerino già non faceva più parte dell'Umbria, e neppure la diocesi di Rieti, riunita a quella di Magliano. Durante la breve occupazione francese dell'Italia, sotto Napoleone I, tutta l'Umbria quale s'intende oggi, con la maggior parte della Sabina, fu riunita nel compartimento del Trasimeno, ehe comprendeva anche l'Orvietano. Da allora in poi, fino al 1923, i confini amministrativi dell'Umbria sono stati sempre gli stessi; nel 1923 il confine meridionale fu modificato, poiché fu staccato dall'Umbria il circondario di Rieti (Sabina), aggregato alla provincia di Roma.
Un'ulteriore modifica si ebbe nel 1927, quando i territorî dei comuni di Monte Santa Maria Tiberina e di Monterchi furono distaccati dalla provincia di Arezzo e aggregati a quella di Perugia. A questa fu aggregato anche il comune di Visso, che faceva parte della provincia di Macerata, alla quale fu poi restituito nel 1929.
Fino al 1927 l'Umbria costituì un'unica provincia (Perugia); con r. decr. del 2 gennaio di quell'anno fu costituita la nuova provincia di Terni con i territorî dell'ex-circondario di Terni, di parte dell'ex-circondario di Orvieto, del comune di Baschi, che faceva parte dell'ex-circondario di Perugia, e della frazione di Messenano (comune ed ex-circondario di Spoleto). Il compartimento è suddiviso in 89 comuni (59 nella provincia di Perugia e 30 in quella di Terni).
Geologia. - I più antichi terreni che si riscontrano nell'Umbria risalgono al Retico, e sono costituiti essenzialmente di calcari grigioscuri o grigiastri, compatti, talvolta dolomitici e cavernosi, di solito abbastanza ricchi di fossili; essi affiorano sui M. d'Amelia, e poi a N. fino al M. Peglia, nella catena del M. Martano, nel M. Malbe, massa mesozoica a ovest di Perugia, e, in piccolissimi lembi, nel M. Catria e nel M. Cucco.
I terreni liassici nell'Umbria, che formano gran parte dei Monti di Amelia, del M.S. Pancrazio, del M. Martano, del M. Malbe, del M. Tezio e alcune zone del Subasio, e affiorano su cospicue zone nei monti intorno a Piediluco, a Spoleto, a Norcia, su quelli che chiudono l'alta Valnerina, ecc., sono costituiti prevalentemente di calcari bianchi subcristallini massicci o imperfettamente stratificati, talvolta d'aspetto dolomitico (Lias inferiore), di calmri grigiochiari ceroidi, selciferi, talvolta granulari (Lias medio), di calcari bianchi e rossi - spesso marnosi - ammonitiferi, di calcari marnosi scistosi grigioverdi, di scisti rossi, violetti e grigi (Lias superiore).
Sugli strati del Lias riposano, in tutta l'Umbria, rocce diasprine e calcari verdastri e violetti, sottilmente stratificati, con interposti piccoli strati di selce, che secondo B. Lotti sarebbero terreni da riferirsi al Giurassico. Sui monti che chiudono la conca di Norcia, poi, tra i calcari del Lias superiore e questi strati scistoso-diasprini si hanno calcari compatti, ceroidi o granulari, grigiochiari, intercalati con strati di selce grigia, che sono anch'essi, con molta probabilità, giurassici, tutti depositi di un mare piuttosto profondo.
Terreni giurassici s'incontrano inoltre nella catena del M. S. Pancrazio, sulla catena del M. Martano, nei dintorni del Lago di Piediluco, nei monti a occidente di Spoleto, sul M. Malbe, sul M. Tezio, sul versante orientale del M. Subasio, nei monti che chiudono la conca di Norcia, nei dintorni di Trevi e di Campello sul Clitunno, nel gruppo del M. Maggiore, tra Visso e Triponzo nell'alta Valnerina, infine in qualche tratto della catena appenninica spartiacque.
Grandissimo sviluppo hanno, nell'Umbria orientale, i terreni eretacei, che affiorano anche ampiamente sui monti Tezio, Peglia, Melezzole e Martano. Sulla zona scistoso-diasprina, cui si è già accennato, riposano calcari bianchissimi, con selce grigiastra, del Neocomiano; e sopra questi, scisti argillosi, marnosi e calcarei variegati (scisti a fucoidi), che potrebbero rappresentare anche l'Aptiano e l'Albiano.
Ai terreni neocomiani seguono quelli cenomaniani, rappresentati da un calcare bianco-giallastro o bianco-grigio, stratificato regolarmente. I terreni del Senoniano comprendono un calcare bianco con selce, che il Lotti chiama scaglia bianca, un calcare rosato intermedio e, superiormente, un calcare marnoso rosso (scaglia rossa).
Alla scaglia rossa succede quasi dappertutto la scaglia cinerea, cioè un calcare marnoso eocenico, di solito scistoso, di color grigio, grigioverde o violaceo, che si presenta particolarmente sviluppato fra Montemartano e Giano nell'Umbria e nella sinclinale compresa tra la catena sabina e quella di M. S. Pancrazio.
Sulla scaglia cinerea riposa una formazione arenaceo-marnosa, costituita per l'appunto in prevalenza di marne e di arenarie, che, quando acquista maggiore sviluppo e ha speeiali condizioni topografiche e tettoniche, si converte nelle cosiddette argille scagliose. Questa formazione, ritenuta da alcuni miocenica, da altri eocenica (e questa è l'opinione dei più), da altri ancora oligocenica, occupa più della metà nord-occidentale della regione, fino al Topino, alla catena del M. Martano e ai Monti d'Amelia.
Nell'Umbria settentrionale e centrale, in varie località sono presenti poi piccoli lembi di terreni distintamente miocenici (calcari o conglomerati e arenarie calcaree ricche soprattutto di Pecten).
Il Pliocene marino, costituito da conglomerati, sabbie, argille, sabbie argillose ricchissime di fossili, occupa estese zone dell'Umbria occidentale (tra Chiusi e Orvieto, sul versante O. dei Monti d'Amelia, ecc.), mentre il Pliocene lacustre si trova: nella zona già occupata dal grande Lago Tiberino, che si estendeva per 120 km. di lunghezza da Borgo S. Sepolcro fino al margine sud della conca di Terni, con un ramo che si spingeva nella Valle Umbra; nella conca di Norcia col bacino di Cascia; nel bacino eugubino. Il Pliocene lacustre è costituito generalmente di ciottoli e sabbie nella parte superiore, argille sabbiose e argille nella parte inferiore, con banchi di lignite relativamente frequenti.
Il Quaternario, infine, formato di travertini (presso Massa Martana, a SO. di Perugia, ecc.), tufi vulcanici (a mezzodì e a occidente di Orvieto) e di sedimentazioni lacustri e torbose (Quaternario antico), di depositi fluviali e di detriti di falda (Quaternario recente), è diffuso qua e là in tutta la regione.
Nell'Umbria si distinguono due sistemi di linee tettoniche, il primo dei quali ne occupa tutta la parte occidentale, con direzione NO.-SE. o NNO.-SSE., e il secondo la parte orientale, con direzione in parte N.-S. e in parte NO.-SE. Va notato che quest'ultimo sistema nell'Umbria ha costantemente una direzione meridiana, mentre il primo tende a fondersi con esso alla convergenza delle sue varie anticlinali con la prima anticlinale del secondo sistema.
Il primo sistema comprende le anticlinali che seguono: I, della Catena Narnese-amerina (M. S. Pancrazio-Monti d'Amelia-M. Peglia); II, della Catena del M. Martano e dei gruppi del M. Malbe, del M. Tezio e del M. Acuto; III, del M. Subasio; IV, della Catena Eugubina.
Tra la Catena Eugubina e il Catria - che fa parte del sistema tettonico orientale - si ha una grande sinclinale occupata da una zona montuosa alta più di 1000 m. (Serra Maggio), e fra questa catena e la prima del sistema orientale si interpone un'altra sinclinale.
La prima anticlinale del sistema orientale è formata dai Monti Sabini e da quelli di Spoleto e di Gualdo Tadino; a oriente la sinclinale della Valnerina la divide dalla successiva anticlinale, che ha inizio a Montenero in Sabina, è interrotta dalla conca di sprofondamento Rieti-Piediluco, poi riprende, e passando pel M. Aspra, l'Aspro, il M. Cavallo, il M. Pennino e il Vermenone raggiunge il M. Catria.
Proseguendo verso oriente, fino alla dorsale appenninica, che segna approssimativamente il confine tra l'Umbria e le Marche, si distinguono altre tre anticlinali (M. Terminillo-Serravalle-M. Murlo; M. Giano-M. Boragine-monti a oriente di Norcia-M. Fema-M. Sibillini) separate da due sinclinali (M. Corno-Monteleone di Spoleto-Biselli-Vallone di S. Vito-M. Castellano-Riofreddo-Monte Cavallo, la prima; Conca di Norcia-Aquaro-il Grognale-Visso-Appennino, la seconda) che nella valle del Chienti sembrano fondersi in una sola.
Le tre anticlinali, pur avendo ciascuna caratteristiche proprie, sono nel complesso compenetrate l'una con l'altra, tanto che si penserebbe quasi a un'unica piega complicata da ripiegamenti secondarî. La geologia di questa parte dell'Umbria è piuttosto complicata, con faglie numerose e importanti.
Nell'insieme, vi è una decisa continuità fra le linee tettoniche fondamentali dell'Appennino Toscano e quelle del sistema occidentale umbro, le quali invece sono nettamente e bruscamente staccate dalle linee tettoniche abruzzesi e laziali, su una linea che ha direzione SSO.-NNE. fra Tivoli e Ancona per il M. Vettore. Questa linea segna il limite tra due diverse facies litologiche presentate dai terreni dal Giurassico superiore al Nummulitico, facies umbro-marchigiana e facies abruzzese.
Rilievo e morfologia. - L'Umbria è una regione essenzialmente montuosa e collinare: infatti poco più del 7,8% della sua superficie si trova ad altezze inferiori ai 200 m., quasi il 40% si trova tra i 200 e i 400 m., il 26% tra i 400 e i 600 m., il 13% tra i 600 e gli 800 m., e il 14% a più di 800 m. s. m. Le quote estreme del compartimento sono 48 m. s. m. (fondo valle del Tevere presso Orte) e 2478 m. (M. Vettore).
Come assai varie sono le condizioni altimetriche e la costituzione geologica dell'Umbria, così assai varie ne sono le condizioni morfologiche. Il tratto più saliente di queste è dato dalla presenza di grandi bacini intermontani, che formano una caratteristica, del resto, di tutto il versante tirrenico dell'Appennino. Sono ampie vallate, il cui fondo, formato da pianure alluvionali, fu già occupato da laghi; questi, poi, durante il Pliocene superiore e il Pleistocene, furono in parte colmati da sedimenti lacustri e fluviali e in parte svuotati per incisione delle profonde gole attraverso le quali ancora adesso escono i corsi d'acqua che percorrono le vallate stesse. Benché l'erosione abbia asportato poi, parzialmente, i terreni di colmata, il fondo di questi bacini si presenta di solito quasi perfettamente piano e con debole inclinazione. Come si è già detto, depositi del Pliocene lacustre affiorano, in lembi più o meno vasti in tutte queste conche, soprattutto presso i loro margini, mentre la parte mediana è ricoperta da depositi alluvionali recenti.
L'origine di tali bacini non è ancora molto chiara e, probabilmente, non è per tutti la stessa. Alcuni studiosi pensano ch'essa debba risalire addirittura al ripiegamento che diede origine alla catena appenninica; altri, che si debba a locali sprofondamenti posteriori; altri ancora credono che sia dovuta al sollevamento della regione antiappenninica, in seguito al quale sarebbe stato come sbarrato, o per lo meno ostacolato, il corso di alcuni fiumi, che si erano scavate grandi valli durante il Pliocene.
Comunque, la formazione di questi grandi bacini intermontani, cui deve aver partecipato anche l'azione carsica delle acque sotterranee, è dovuta a fenomeni geologici non molto antichi. Il più ampio di tali bacini è la cosiddetta Valle Umbra, tra Foligno e Spoleto, che si presenta, dato il suo orientamento, come la continuazione dell'alta valle del Tevere e il cui fondo pianeggiante, ampio 320 kmq., si trova a un'altezza media di circa 200 m. Altri bacini notevoli sono quelli della Val Tiberina, di Gubbio, di Gualdo Tadino, di Terni, di Norcia, di Cascia, ecc., dal fondo più o meno pianeggiante, situati ad altezze che vanno da poco più di 100 m. (bacino di Terni) a oltre 700 m. (bacino di Cascia). Tutti questi bacini intermontani sono più o meno soggetti a terremoti; quelli di Norcia e di Cascia rientrano tra le zone italiane di massima sismicità.
Il Trasimeno da alcuni è considerato come un lago pliocenico o postpliocenico analogo a quelli che coprivano le altre conche intermontane di cui si è parlato, e sopravvissuto ad essi. Sembra, invece, che la sua origine vada fatta risalire a tempi più recenti, e si debba, almeno in parte, al sovralluvionamento di alcuni fiumi e ad un incompleto scolo delle acque. La sua conca è stata soggetta fino a tempi recentissimi a un regime idrografico assai irregolare.
Un'altra notevole caratteristica morfologica dell'Appennino Umbro è data dalla frequenza di valli strette, profonde, dai fianchi assai ripidi e in qualche punto quasi a picco, scavate rapidamente dai corsi d'acqua, in seguito al sollevamento postpliocenico, dopo che era stata asportata la coltre di terreni poco resistenti che copriva i massicci calcarei. Si tratta, per lo più, di valli sovrimposte. Esse contrastano singolarmente con le sommità dei monti, le quali si presentano spesso come dossi arrotondati, oppure come superficie quasi spianate, ad altipiano. Quivi per l'appunto, data la prevalenza dei calcari giurassici e soprattutto cretacei, sono generalmente diffusi i fenomeni e le forme carsiche (doline, grotte, voragini).
Tanto presso Colfiorito quanto presso Castelluccio si ha un'associazione di piani carsici, nei quali le acque non ristagnano (fatta eccezione per uno dei piani di Colfiorito, che ricetta il padule omonimo), perché hanno sfogo sotterraneo. I piani del Castelluccio sono tre, di cui il più grande, a 1270 m. s. m., con fondo alluvionale orizzontale e quasi perfettamente piano, ha una superficie di 14 kmq., mentre gli altri due, assai più piccoli, possono essere considerati come appendici valliformi del primo.
Il solco, segnato in parte dalla valle del Tevere e in parte da quella del Chiascio-Topino-Maroggia (Valle Umbra) divide press'a poco l'Umbria montuosa da quella collinare. Il Tevere scorre su un fondo valle per lo più ampio e piatto, formando numerosi meandri (che presso Deruta hanno mezzo chilometro di raggio), di cui alcuni sono morti (ancora in comunicazione, per un'estremità, con la corrente del fiume, oppure completamente separati da questo e costituenti così piccoli stagni semilunari). Non rari sono i terrazzi.
L'estrema parte occidentale dell'Umbria, sulla sinistra del Tevere e del Paglia e su ambedue le rive del Chiani, è costituita da una fascia di colline, formate prevalentemente da argille, sabbie e conglomerati del Pliocene marino. Si tratta di un lembo di pianura costiera, sollevato, e inciso da una fitta rete di piccoli corsi d'acqua che vi hanno modellato una serie di dossi collinari paralleli, separati spesso da vallette profonde e dai fianchi assai ripidi. Nelle zone dove prevalgono le argille e dove si hanno pendici molto acclivi, sono frequenti le forme originatesi per fenomeni di erosione accelerata (paesaggio a calanchi).
Sulla destra del Paglia, sopra le argille plioceniche riposa una coltre di tufi vulcanici provenienti dall'apparato vulsinio; qui sono caratteristici i ripiani, scolpiti da corsi d'acqua per lo più conseguenti, che scorrono in valli spesso incassate. Grande, per queste zone, è l'importanza morfologica dell'imbasamento argilloso, che per la sua instabilità assoggetta a pericolose, frequenti frane le rocce sovrapposte, resistenti o friabili ch'esse siano. L'erosione ha isolato alcuni lembi dei ripiani tufacei, dando origine a rilievi tabulari (come quello su cui è costruita Orvieto), limitati da pendii ripidissimi o da pareti a picco.
Nella zona collinosa più interna, costituita in prevalenza da arenarie e da argille marnose, forse eoceniche, le valli sono più spazieggiate che nella fascia dei terreni pliocenici e vulcanici, con versanti poco acclivi e sommità ampie e arrotondate. (Per altre notizie, v. appennino).
Idrografia. - L'Umbria è compresa quasi completamente nel bacino del Tevere, le sorgenti del quale, peraltro, si trovano in provincia di Forlì. Il Tevere entra nell'Umbria dopo una quarantina di km. di corso, e vi scorre per 210 km.; quindi oltre la metà del suo corso si svolge in territorio umbro, e in questo esso riceve la maggior parte dei suoi affluenti, alcuni dei quali, come il Nestore, il Chiascio e il Nera (senza il Velino), sono fiumi del tutto o quasi del tutto umbri. Va notato che il Tevere, quando riceve il cospicuo apporto delle acque del sistema Nera-Velino (a Ba schi il Tevere ha una portata media di circa 70 mc. al 1″; poco a valle della confluenza del Nera, tale portata sale a 179 mc.) è già fuori dell'Umbria.
All'Umbria appartiene il maggiore bacino lacustre dell'Italia peninsulare: il Trasimeno (v.), che ha una superficie (128,6 kmq.) inferiore di non molto a quella del Lago di Como ed è poco profondo (massimo metri 6, 20). Era senza emissario, e per regolarne le acque i Romani ne costruirono uno artificiale, in parte sotterraneo, che ne portava le acque eccedenti nel Caina, tributario del Nestore. Nel 1898 fu inaugurato un secondo emissario. Anche il Trasimeno, quindi, sia pure artificialmente, rientra nel bacino del Tevere.
All'estremo sud del compartimento, a monte della celebre Cascata delle Marmore (alta 160 in.), per mezzo della quale il Velino si getta nel Nera, e sulla destra del Velino stesso, si stende il lago di Piediluco (v.), dalla forma irregolare, ampio kmq. 1,60 e profondo al massimo 20 m.
L'Umbria è ricca di sorgenti, tra le quali alcune sono copiosissime: basterà ricordare quelle della Gola di Narni, che complessivamente dànno 10 mc. di acqua al secondo, e la classica sorgente del Clitunno, che versa 1300 litri al secondo. Numerose sono pure le sorgenti minerali, e alcune di esse, come quelle termali sulfuree di Triponzo, quelle di Sangemini, dell'Amerino e del Lecinetto, acque minerali da tavola, hanno una certa notorietà. Ben nota è pure l'Acqua Angelica di Nocera, purissima, debolmente bicarbonato-calcica.
Clima. - Il clima, che presenta carattere continentale, varia notevolmente da una zona all'altra soprattutto col variare delle condizioni altimetriche e della situazione topografica. La temperatura media annua oscilla tra gli 11° e i 13° nelle zone di pianura e di collina; nel gennaio, che è il mese più freddo, solo le zone più elevate hanno temperature medie inferiori a 0°; Perugia (m. 493) ha 4°; Foligno (235 m.) 4°,1; Orvieto (315 m.) 5°,6; Terni (130 m.) 6°; Narni (240 m.) 5°,6; Spoleto (453 m.) 1°.5; Norcia (604 m.) o°,5. Nel luglio, il mese più caldo, i maggiori calori si verificano nei bacini intermontani: Foligno ha 26°, Terni 28°,3, Norcia 24°, benché a più di 600 m. d'altezza, mentre Perugia ha 25°, Orvieto 24°,1, Narni 23°,4. Norcia registra le maggiori temperature estreme assolute (-12° e 35°). Le escursioni diurne sono dappertutto assai sensibili. L'umidità relativa è mediocre, e bassa la nebulosità. Le piogge vengono portate soprattutto dal libeccio e dallo scirocco. Le zone più piovose sono quelle montane orientali (specialmente le pendici volte a SO., O. e S.), dove si registrano dai 1000 ai 1300 millimetri annui e in qualche ristretta zona (M. Catria) sembra che si superino i 1500 mm. Abbastanza piovosa (oltre 1000 mm.) è pure la zona collinosa a sud del Trasimeno e quella montuosa a confine con la Sabina, dove si superano anche i 1500 mm. (tra il M. Aspra e il M. Boragine). Il resto dell'Umbria riceve dai 700 ai 1000 mm. annui. Dei maggiori centri umbri, procedendo da N. a S., Città di Castello ha 905 mm. di piogge, Umbertide 979, Gubbio 962, Gualdo Tadino 1385, Perugia 873, Castiglione del Lago 716, Nocera Umbra 924, Assisi 1032, Foligno 826, Todi 892, Orvieto 924, Spoleto 1137, Norcia 838, Terni 925, Narni (scalo ferroviario) 1113 mm. La stazione umbra che segna la maggiore quantità di pioggia annua è Annifo (frazione di Foligno), situata a 867 m. s. m., con 1799 mm.; quella che ne segna la quantità minore è Civita, piccolo centro del comune di Cascia, situato a 1191 m., con 422 mm. I mesi più piovosi sono di solito il novembre, il dicembre e l'aprile; luglio è il mese più secco. I giorni piovosi per lo più sono 80-90 (Città di Castello 93, Perugia 89, Foligno 86, Spoleto 94, Norcia 86, Orvieto 80, Terni 70, ecc.). La neve cade di frequente nella zona orientale più elevata, specialmente sui Sibillini.
Vegetazione e fauna. - La flora umbra è la continuazione di quella della sezione più meridionale dell'Appennino tosco-emiliano, e nel complesso è povera di specie e monotona. Solo nel gruppo dei Sibillini, che s'innalzano a quasi 2500 m., essa si arricchisce di elementi subalpini e alpini provenienti in parte dalle Alpi e in parte dalle alte montagne di Abruzzo.
Fino ai 500-600 m. la maggior parte del territorio umbro è coperta di colture; più in alto si entra nel dominio della macchia e del bosco. La prima è formata soprattutto di noccioli, quercioli, carpini, cornioli, ginestre, cisti, terebinti e ginepri; il bosco è formato prevalentemente di castagni, di querce e di faggi, cui sono intramezzati abeti, betulle, noccioli, roveri, lecci, pini d'Aleppo, ligustri, siliquastri, ecc. Sui pascoli montani, che prevalgono oltre i 1600 m., fioriscono narcisi, genziane, primule, sassifraghe, ranuncoli, centauree, viole, crochi, garofani, geranî, semprevivi, astrini, veroniche, astragali, soldanelle e numerosissime altre piante erbacee. Sui Sibillini non manca la stella alpina.
La fauna non differisce gran che da quella delle regioni contermini. Nella zona appenninica più elevata è ancora frequente il lupo, e nell'Umbria occidentale il gatto selvatico. Abbastanza frequenti sono anche il tasso, la faina, la martora, la volpe, lo scoiattolo e la lepre. Sui monti di Amelia e di Narni vive ancora l'istrice. Le ampie superficie boscose, le numerose valli riparate, il gran numero di corsi d'acqua e la presenza di un vasto lago come il Trasimeno, favoriscono lo sverno degli uccelli migratori. Intensissimo è il passo dei colombacci, attivamente cacciati. Tra gli altri Uccelli i più frequenti sono i passeri, i tordi, i frosoni, i pettirossi, le quaglie, le allodole, le gazze, gli allocchi, le civette, i gufi; nelle zone di montagna, le starne, le pernici e i fagiani; nelle zone acquidose, le anatre e le folaghe. I Rettili sono rappresentati da ramarri, lucertole, orbettini, luscengole, gechi, bisce d'acqua, biacchi, saettoni, colubri e vipere; gli Anfibî, da rane, rospi, raganelle, salamandre acquaiole. Il Trasimeno possiede una pregiata sottospecie di lasca (Chondrostoma Genei trasimeneus); vi dimorano inoltre il luccio, la carpa, l'alborella, la scardola, la tinca, l'anguilla, il barbo, il cavedano, il vairone, lo spinarello; vi sono stati introdotti il muggine, il pesce persico e il persico sole.
Popolazione e centri abitati. - In base ai dati del primo censimento pontificio (1656) si può calcolare che alla metà del sec. XVII vivessero entro i confini dell'Umbria attuale circa 260.000 abitanti. Dai censimenti che seguirono quello del 1656, si ricava che la popolazione dell'Umbria era salita a 280.000 ab. nel 1701, a 290.000 nel 1782, a 350.000 nel 1816, a 380.000 nel 1833, a 400.000 nel 1853; i censimenti eseguiti dopoché l'Umbria passò a far parte del regno d'Italia dànno le cifre seguenti: 1861, 436.000 ab.; 1871, 467.000; 1881, 485.000; 1901, 568.000; 1911, 590.000; 1921, 636.000; 1931, 694.000 (515.000 nella provincia di Perugia, 179.000 in quella di Terni). In poco meno di tre secoli si sarebbe quindi verificato un aumento di popolazione del 170% circa. Tale aumento è stato lentissimo nella seconda metà del sec. XVII e nel XVIII (media annua, 2%), accelerandosi poi notevolmente nel secolo XIX (0,7%) e soprattutto nel sec. XX (aumento medio annuo tra il 1901 e il 1911, 0,4%; tra il 1911 e il 1921, quasi 0,8%; tra il 1921 e il 1931, 0,9%). L'aumento del decennio 1921-1931 è superiore a quello verificatosi nella Toscana (0,5%) e nelle Marche (0,6), ma inferiore a quello dell'Abruzzo (i %) e del Lazio (2,2%).
La densità della popolazione era di soli 30 ab. per kmq. nel 1656, di 41 nel 1816, di 47 nel 1853, di 67 nel 1901, di 82 nel 1931 (regno 133). Tale densità è la più bassa di tutti i compartimenti dell'Italia centrale. La popolazione è distribuita molto inegualmente, tanto che, osservando i valori di densità dei singoli comuni (i quali hanno una superficie media di 95 kmq., mentre la media del comune italiano è di 41 kmq.), si trova come da un minimo di 19 ab. per kmq. (Polino), si salga a un massimo di 219 ab. per kmq. (Terni). Le maggiori zone che risultano più densamente popolate (con oltre 100 ab. per kmq.) sono: la regione collinosa perugina con la Valle Umbra, e la conca ternana con le circostanti colline. La parte meno popolata è l'Umbria di SE., dove vaste zone nel semestre invernale sono completamente disabitate (per una superficie calcolata a circa 700 kmq.), e nel semestre estivo hanno sempre meno di 25 ab. per kmq. Pure poco popolate (25-50 ab. per kmq.) sono la conca eugubina con la regione collinosa e montuosa circostante, e parte dell'Orvietano. Il resto dell'Umbria nella maggior parte è mediocremente popolato, aggirandosi la densità intorno al valore medio dell'intero compartimento.
Le cause principali di queste notevoli diversità nella distribuzione della popolazione vanno ricercate nelle differenze di rilievo, di clima, di costituzione litologica e quindi di fertilità del suolo, di ampiezza del suolo coltivabile, di facilità delle comunicazioni.
La metà della popolazione dell'Umbria vive tra 200 e 400 m. di altitudine; l'80% tra 200 e 600 m. Ma la maggiore densità per tutto il compartimento si riscontra nella zona altimetrica tra i 100 e i 200 m. (126 ab. per kmq.), la quale comprende, per l'appunto, la conca di Terni (dove in alcuni lembi si superano gli 800 ab. per kmq.) e la Valle Umhra (dove in qualche tratto si superano i 300). L'Umbria collinare (200-600 m.), che rappresenta, come superficie, il 65% dell'intera regione, ha in media 90-95 ab. per kmq. Oltre i 600 m., la densità scende nel complesso rapidamente: tra 800 e 1000 m. è già soltanto di 18 ab. per kmq. Sopra i 1000 m., si ha popolazione solo nell'Umbria di SE., dove si trova un notevole centro abitato, il Castelluccio, frazione del comune di Norcia, con 452 ab., a 1453 m. di altezza.
Nella Val Tiberina, nel bacino del Chiascio e dei suoi affluenti Topino e Maroggia, nel bacino del Nera e del suo affluente Corno, la popolazione si addensa nelle parti più basse, pianeggianti, alluvionali, fertilissime, e la densità decresce col crescere dell'altezza, spesso rapidamente. Invece nel bacino del Trasimeno, in quelli del Nestore e del Paglia e nel restante bacino del Tevere, la popolazione sfugge le parti basse, piane, benché fertili, perché ancora non bene sistemate idraulicamente e quindi non salubri, addensandosi nelle zone di media altezza.
Più della metà della popolazione dell'Umbria vive in case sparse. La popolazione sparsa, però, è distribuita molto inegualmente: alcune zone ne sono affatto prive o ne hanno pochissima; in altre essa costituisce quasi la totalità della popolazione. La densità della popolazione sparsa varia col variare delle condizioni locali dell'agricoltura; dove i seminativi (soprattutto colture di cereali) coprono superficie maggiori, più densa è la popolazione sparsa, richiedendo essi una più assidua presenza dell'uomo.
I centri umbri sono complessivamente 827, abbastanza densi (poco meno di 10 ogni 100 kmq.). La popolazione media del centro umbro è di 380 ab., ma, tolte le città, tale media scende a 220 ab. Si può dire che in via generale prevalgono nell'Umbria i centri rurali con meno di 200 ab. c iascuno.
L'insediamento rurale in quasi tutto il compartimento è di tipo misto (in case sparse e in centri). Nell'Umbria di SE., peraltro, esso è quasi esclusivamente in centri; e, in una zona dell'Umbria settentrionale, quasi esclusivamente in case sparse.
Più della metà dei centri umbri (il 58%) si trova tra i 200 e i 500 m., cioè nelle zone di pianura e di collina; il 26% è situato / tra 500 e 800 m., il 12% oltre 800 m. Il restante 4% è dato dai centri a meno di 200 m.
Quanto a posizione topografica, il 42% dei centri umbri sorge su pendio, e il 26% sulla sommità di poggi. Il resto sorge in pianura, in fondovalle, su terrazzi orografici, su sproni, ecc. I centri di pendio prevalgono in modo assoluto nell'Umbria orientale, montuosa, quelli di poggio, nell'Umbria occidentale, collinosa (dove, peraltro, sono mescolati con un numero notevole di centri di pendio). L'influenza del rilievo, assai diverso per condizioni altimetriche e morfologiche, spiega chiaramente il prevalere dell'una o dell'altra posizione. Tanto i centri di poggio quanto, e più, quelli di pendio, sono prevalentemente assai piccoli. I centri maggiori sono per lo più di pianura o di fondovalle alluvionata.
Terni (32.455 abitanti nel 1931) è il più popoloso tra i centri umbri; lo seguono Perugia (30.741 abitanti), Foligno (13.506), Spoleto (11.594), Città di Castello (8687), Orvieto (7478), Gubbio (6769), Assisi (4596), Narni (3808) Todi (3552), Gualdo Tadino (3548), Umbertide (2812), Norcia (2682), Città della Pieve (2445), Spello (2368) e Amelia (2343), limitandoci a ricordare quelli con più di 2000 abitanti.
L'emigrazione, trascurabile fino al principio del secolo XX, si andò accentuando e fu poi notevole negli anni che immediatamente precedettero e seguirono la guerra mondiale (15.000 emigranti nel 1913), per poi decrescere e rendersi quasi nulla. Essa era diretta soprattutto verso paesi europei (in particolar modo la Francia) e verso gli Stati Uniti, ed era data in prevalenza da braccianti, terrazzieri, contadini e muratori. Assai ragguardevoli sono le migrazioni interne.
Condizioni ecovomiche. - Agricoltura e allevamento. - L'Umbria è una regione essenzialmente agricola: infatti, secondo il censimento del 1931, della popolazione presente in età di 10 anni e più (292.034 ab., esclusi quelli che attendono alle cure domestiche, i pensionati, gli studenti e i ricoverati), soltanto 62.684 (il 21,2%) risultano occupati nelle industrie e 11.987 nel commercio (il 4,1%), di fronte a 182.056 occupati nell'agricoltura (il 62,3%). Coloro che sono addetti ai trasporti e alle comunicazioni, all'amministrazione pubblica e privata, al culto, alle professioni e arti liberali, ecc., costituiscono il rimanente 12,4%.
La superficie dell'Umbria dal punto di vista agricolo è così divisa, secondo il catasto agrario del 1929: il 48,7% è occupato da seminativi (413.607 ha.), e più precisamente il 19,4% da seminativi semplici (164.726 ha.) e il 29,3% da seminativi con piante legnose (248.881 ha.); l'1,7% è occupato da colture specializzate di piante legnose (13.560 ha.); il 13,7% da prati e pascoli permanenti (117.350 ettari); il 26,4% da boschi (compresi i castagneti: 224.435 ha.); il 2,9% (24.869 ha.) è incolto produttivo e il 6,6% improduttivo (55.847 ha.; fabbricati, strade, acque, ferrovie, terreni sterili per natura).
La maggior parte dei seminativi spetta alla coltura dei cereali: primo fra tutti, senza confronti, il grano, coltivato su circa 180.000 ha., poco meno della metà dell'area coltivata; la produzione nel 1935 è giunta a 2.657.000 q. (media 1931-35, 2.320.000 q.) con un rendimento medio di oltre 15 q. per ha. (tale rendimento nel periodo 1923-29 fu di soli 10 q. per ha., e nel 1934 di q. 13,4). La superficie a grano è distribuita abbastanza uniformemente, ma le plaghe dove questa coltura è più intensiva e dà maggior rendimento sono la Val Tiberina, la Valle Umbra e la conca di Terni.
Degli altri cereali, al grano segue, per importanza, il mais, coltivato specialmente nelle zone piane; esso occupa quasi 32.000 ha. e dà annualmente 200-250 mila q. di prodotto. La produzione dell'orzo va crescendo (20.000 q., in media, nel 1923-29; 44.000 nel 1934; 50.800 nel 1935), e così pure quella dell'avena (45.000 q. in media nel 1923-29; 73.000 nel 1934; 96.400 nel 1935). L'orzo è coltivato nelle zone di montagna dove non è possibile la coltura del grano. Così pure la segala, la cui coltura, peraltro, non ha importanza (3-4 mila q. annui di prodotto).
Dei legumi, i più coltivati sono le fave e i fagioli. Le patate si coltivano dappertutto, ma più abbondantemente nelle zone di montagna (16.000 ha., oltre mezzo milione di q. annui, in media). Piccola importanza ha la coltivazione delle piante industriali: si ricorderà, tuttavia, che promettente è la coltura della barbabietola da zucchero (1100 ha. circa, produzione media 250.000 quintali), e, nella Val Tiberina e nei comuni di Todi e di Narni, quella del tabacco (1200 ha., circa 25.000 q.).
Molto importanti sono le colture della vite e dell'olivo. Nel 1935 si avevano, per la vite, 192.500 ha. a coltura inframezzata (per lo più a cereali) e 3200 ha. a coltura specializzata. La produzione di vino fu di 1.890.700 ettolitri (media 1931-35, 1.039.000 ettolitri). Vi sono alcune qualità molto pregiate, come il vino d'Orvieto, il Trebbiano della valle di Spoleto, il Sacrantino delle colline di Montefalco.
Mentre la vite è coltivata un po' dappertutto, fuorché nelle zone più elevate, l'olivo, pianta molto più delicata, prospera soltanto in pianura e sui pendii più assolati e riparati dai venti freddi. La superficie coltivata a olivi era nel 1935 di 51.000 ha. a coltura promiscua e 9740 a coltura specializzata. La produzione dell'olio fu di 39.800 ettolitri circa (media 1931-35, 60.000 ettolitri; forti sono le oscillazioni da un anno all'altro; nel quinquennio citato, ad es., si sono ricavati 29.300 ettolitri d'olio nel 1931, e 102.100 nel 1934). La coltura dell'olivo riceve nell'Umbria particolari cure.
La coltivazione del gelso ha perduto quasi ogni importanza. La frutticoltura, praticata specialmente nelle zone a clima più mite, dà mele, pere, cotogne, mandorle, noci, nocciole, pesche, ciliegie, albicocche e susine. Rinomati sono i fichi secchi di Amelia. Ragguardevole la produzione delle castagne (Spoleto, Città della Pieve, Norcia). Esportati in notevoli quantità, soprattutto in Francia, sono i tartufi neri, che si raccolgono abbondantemente nell'Umbria di SE. Il mercato più importante è Spoleto. Degli ortaggi, dànno una rilevante produzione i pomodori, i carciofi, i cavoli e i cavolfiori. Per la qualità dei foraggi l'Umbria è ad uno dei primi posti tra i compartimenti del regno; la produzione si aggira sui 3 milioni. di quintali annui.
Va ricordato che a cura dello stato sono in corso opere di bonifica su oltre 11o0 ha., opere che dovranno estendersi su 35.000 ha. (valle del Paglia, Trasimeno, Colfiorito, zona fra Todi e Orte). Sono iniziate pure le sistemazioni montane, che dovranno estendersi su 46.000 ha.
Il patrimonio zootecnico è rilevante. Secondo il censimento del 1930, l'Umbria possiede 164.300 bovini, 202.000 suini, 417.000 ovini, 12.500 caprini, 12.100 cavalli, 22.200 asini, 4500 muli e bardotti. Ben noti sono i bovini di razza perugina, da lavoro (assai robusti) e da macello (carni eccellenti).
Industria. - Sebbene molto inferiore a quello degli occupati nell'agricoltura, ragguardevole è il numero degli addetti alle industrie, alcune delle quali hanno raggiunto un'importanza notevolissima. Lo sviluppo delle industrie è stato favorito soprattutto dalla ricchezza di energia idrica e dalla presenza, nel territorio, di quantità notevoli di materie prime.
Al 1° gennaio 1934 l'Umbria disponeva di 22 grandi impianti per lo sfruttamento dell'energia idrica, della potenza complessiva installata di 244.000 kW. Essa, così, è superata soltanto dal Piemonte, dalla Lombardia, dal Veneto e dalla Venezia Tridentina; è uno dei due compartimenti che non ha centrali termoelettriche (l'altro è la Lucania). Le centrali elettriche più potenti sono quelle di Galleto (113.600 kW), di Papigno-Velino (44.800), delle Màrmore (17.910) di Nera-Montoro (16.800) e di Papigno-Pennarossa (13.600), tutte, fuorché quella di Nera-Montoro, negl'immediati dintorni di Terni (sfruttamento della Cascata delle Màrmore).
Il numero degli stabilimenti industriali era, secondo il censimento industriale del 15 ottobre 1927, di 10.291, ma di questi soltanto 9 avevano più di 500 addetti e, dei nove, quattro contavano più di 1000 addetti.
Le industrie alimentari, fra le più antiche, hanno un gran numero di stabilimenti (945), con un notevole numero di addetti (3116). Importanti sono i pastifici di Ponte S. Giovanni e di Perugia (Buitoni), la fabbrica di cioccolato e affini "La Perugina" di Perugia, alcuni grandi molini a cilindri che possono produrre ciascuno più di 200 q. di farina al giorno, e lo zuccherificio di Foligno (che produce in media, ogni anno, 30.000 q. di zucchero). Caratteristica è la salatura e l'insaccatura delle carni di maiale per opera dei cosiddetti norcini, che si recano a lavorare anche fuori della regione e specialmente a Roma, nell'inverno.
Molto antica è la fabbricazione dei tessuti di lana, un tempo diffusa in tutta la regione. Ora il lanificio dispone di grandi stabilimenti a Terni; stabilimenti di minor conto si trovano, peraltro, anche a Perugia, Gubbio, Foligno, Spoleto e Narni. A Terni si hanno, inoltre, grandi stabilimenti per la lavorazione del cotone e della iuta; per il cotone, anche a Spoleto, e poi, più piccoli, a Città di Castello, Perugia, Foligno, Marsciano. La seta viene lavorata in piccolo a Terni, Gubbio e Spoleto. Nel complesso, gli stabilimenti tessili sono 118, e occupano 3575 persone. Altre 5220 persone sono occupate nella fabbricazione di vestiarî e altri oggetti di abbigliamento, con stabilimenti notevoli solo nelle città principali.
Le industrie chimiche, di origine recente, contano stabilimenti per la fabbricazione dei concimi chimici (Assisi, Campello sul Clitunno), per la fabbricazione del carburo di calcio e della calciocianamide (Papigno, Collestatte, Narni, la produzione complessiva dei quali equivale a due terzi di quella italiana), per la fabbricazione dell'ammoniaca sintetica (Terni, Nera Montoro), per la fabbricazione di fiammiferi (Perugia, Gualdo Tadino, Foligno, Terni), ecc. Nel complesso, nell'Umbria si contano 60 stabilimenti per le industrie chimiche, in cui sono impiegate oltre 2600 persone.
Una novantina di stabilimenti con circa 1500 persone addette si occupano della produzione e della distribuzione di forza motrice, luce e calore. Presso la stazione di Narni v'è una fabbrica di elettrodi per forni elettrici.
Le industrie siderurgiche e metallurgiche e quelle meccaniche sono le più importanti della regione; le prime dispongono di sette stabilimenti, con oltre 5000 persone addette, le seconde di circa 1500 stabilimenti (di cui soltanto pochi grandi) con 4400 operai circa. Delle industrie siderurgiche e metallurgiche il centro è Terni, dove fino dal 1884 fu costruito un grande stabilimento con fonderie, acciaierie e altiforni, che produce lamiere, laminati, materiale ferroviario, materiale per la marina da guerra, tubi, saracinesche, attrezzi agricoli, ecc. Delle officine meccaniche, le più importanti sono la R. Fabbrica d'Armi (Terni), fondata nel 1878, con circa 500 operai, e le officine Bosco (Terni).
Nelle industrie per la lavorazione dei minerali, esclusi i metalli, si contano circa 300 imprese con più di 3000 addetti. Si tratta, per lo più, di fornaci per la fabbricazione della calce e di laterizî e di fabbriche di stoviglie.
Caratteristica di alcune città umbre, e antichissima, è l'industria delle ceramiche artistiche (Deruta, Gualdo Tadino, Gubbio, Orvieto, ecc.). Ogni centro ha i suoi tipi, conosciuti e apprezzati in tutta Italia e anche all'estero.
Delle altre industrie artistiche ricorderemo quella del ricamo, di carattere casalingo, assai diffusa ad Assisi (ricami a punto francescano o punto Assisi), a Perugia, a Città di Castello, a Deruta e a Orvieto; quella del ferro battuto (Assisi), che produce lampadarî, torciere, alari, piatti a sbalzo; quella dei mobili artistici in legno (Perugia, Gubbio, Todi).
L'Umbria è quasi completamente sprovvista di giacimenti metalliferi. In cambio, vi abbondano altri minerali non metallici, come lignite (bacini di Gubbio e di Leonessa, Morgnano presso Spoleto), torba (Castelluccio, Massa Martana, ecc.), le pietre ornamentali e da costruzione. Nel complesso, sono in attività 30 cave e miniere, che impiegano oltre 2000 operai.
L'industria della carta e quella tipografica sono molto antiche: presso Foligno esisteva una cartiera fino dal 1265 e a Foligno stessa e a Trevi c'erano tipografie fin dal 1470. Attualmente in queste industrie sono impiegati quasi 1200 operai, distribuiti in un centinaio di stabilimenti. Cartiere sono a Foligno, Sigillo e Nocera Umbra; tipografie notevoli a Perugia, Foligno, Spoleto, Città di Castello e Todi. A Terni (stabil. Alterocca) si produce circa il 30% delle cartoline illustrate stampate in Italia.
Comunicazioni. - Le comunicazioni dell'Umbria lasciano ancora a desiderare. La costruzione della rete di strade ordinarie e più ancora quella delle ferrovie ha obbedito alle condizioni topografiche della regione: in genere, tanto le une quanto le altre seguono l'asse delle vallate principali. Le strade ordinarie hanno uno sviluppo non adeguate al bisogno, ma sono ottime sotto ogni riguardo, perché accuratamente mantenute. Molte di esse sono percorse da regolari servizî automobilistici, che in parte rimediano alla deficienza delle ferrovie. Si contano nell'Umbria una sessantina di linee automobilistiche, con uno sviluppo di 2100 km. circa di percorso. I centri capolinea più importanti sono Perugia, Spoleto, Terni, Foligno, Orvieto e Assisi.
Le linee ferroviarie in esercizio hanno uno sviluppo di 584 km., così divisi: tronco Orte-Terni-Foligno-Fossato (linea Roma-Ancona), km. 124; tronco Orte-Orvieto-Terontola (linea Roma-Firenze), km. 110; linea Foligno-Perugia-Terontola, km. 83; tronco Terni-Piediluco (linea Terni-Aquila-Sulmona), km. 18; tronco Fossato-Sansepolcro (linea Fossato-Arezzo), km. 89; linea Terni-Todi-Umbertide (Ferrovia Centrale Umbra), km. 108; linea Spoleto-Norcia, km. 52. Le linee Fossato-Arezzo e Spoleto-Norcia sono a scartamento ridotto; la Spoleto-Norcia, e la Ferrovia Centrale Umbra sono a trazione elettrica.
Commacio. - I più importanti fattori del commercio umbro sono: la notevole produzione di alcuni prodotti agricoli, superiore alla richiesta locale; la produzione industriale, che ha bisogno di esportare i suoi prodotti e, d'altro canto, d'importare in grande parte la materia prima; la posizione della regione su una delle maggiori vie di traffico tra l'Adriatico e il Tirreno. Il commercio umbro è fiorente, anche nei piccoli centri: al 15 ottobre 1927 (censimento industriale e commerciale) risultavano in attività più di 9800 esercizi commerciali con oltre 16.500 persone addette. La maggior parte di questi esercizî sono di generi alimentari e affini (4600, con 6900 addetti); più di 1000 (con 1600 addetti) sono gli esercizî di filati, tessuti e oggetti di abbigliamento. Importante è il commercio dei prodotti agricoli, specie dei cereali, e quello del bestiame, diretto soprattutto verso Roma. L'Umbria esporta anche prodotti dell'agricoltura: olio di oliva, vini (d'Orvieto), tartufi e frutta. Dei prodotti industriali esporta cioccolato, paste alimentari, filati, macchine (specialmente agricole) e prodotti della siderurgia, concimi chimici, fiammiferi, ceramiche, mobili artistici. Alcuni di questi prodotti vanno anche all'estero (Stati Uniti, Europa orientale).
Bibl.: G. B. Magrini, L'Umbria, in La Terra di G. Marinelli, IV, p. 942-985, Milano s. a.; G. Angelini Rota, L'Umbria, 2ª ed., Torino 1930; Touring Club Italiano, Guida d'Italia, Umbria, 2ª ediz., Milano 1937; G. Dainelli e U. Gnoli, Umbria, Firenze 1926; A. Philippson, Umbrien und Etrurien, in Geogr. Zeitschr., XXXIX (1933), pp. 449-465; B. Lotti, Descrizione geologica dell'Umbria (Mem. descrittive della Carta geol. d'Italia, XXI), Roma 1926 (vi si trovano citati i numerosissimi lavori che riguardano la geologia dell'Umbria, dovuti soprattutto a G. Bonarelli, M. Canavari, C. Crema, G. De Angelis d'Ossat, Ch. Du Riche Preller, L. Fiorentin, R. Meli, C. F. Parona, P. Principi, F. Sacco, T. Taramelli, A. Verri, P. Vinassa de Regny, A. Zittel, oltre che allo stesso B. Lotti); R. Pfalz, Morphologie des Toskanisch-Umbrischen Apennin, Lipsia 1932; E. Barsali, Prodromo della flora umbra, in Nuovo giorn. bot., n. s., XXXVI (1929), pp. 548-623; XXXVIII (1931), pp. 624-689; XXXIX (1932), pp. 346-415; e 549-602; id., Aggiunte al Prodromo della flora umbra, ibid., XL (1933), pp. 338-341; R. Riccardi, Ricerche sull'insediamento umano nell'Umbria, Roma 1931; Istituto centrale di statistica del Regno d'Italia, Catasto agrario 1929, VIII: Compartim. dell'Umbria. Provincia di Perugia (fasc. 56), Roma 1935; Provincia di Terni (fasc. 57), ivi 1934; F. Mancini, Struttura economica dell'Umbria, Foligno 1926; Z. Vignati, Rapporti fra proprietà, impresa e mano d'opera nell'agricoltura italiana. Umbria, Roma 1930; id., Inchiesta sulla piccola proprietà coltivatrice formatasi nel dopoguerra, V: Umbria, ivi 1931; G. Proni, Mezzadri e piccoli proprietari coltivatori in Umbria, Milano-Roma 1933; C. Mazzetti, Rassegna statistica dei combustibili italiani, IX: Umbria, ivi 1934; G. De Angelis d'Ossat, I materiali da costruzione dell'Umbria, in L'industria mineraria, 1927, nn. 9-10; C. Faina, L'Umbria ed il suo sviluppo industriale, Città di Castello 1922; Azienda auton. statale della strada, La sistemazione delle strade statali del Lazio e dell'Umbria, Roma 1932.
Preistoria.
I numerosi resti fossili, in ogni tempo rinvenuti nei depositi di epoca quaternaria dell'Umbria, dimostrano come tutta la regione, ricca di corsi d'acqua e di una vegetazione arborea molto più diffusa e lussureggiante di quella attuale, fosse popolata in quell'epoca da una fauna comprendente i più grandi mammiîeri, quali il mastodonte, l'elefante, il rinoceronte.
Con l'inizio dell'epoca quaternaria, appaiono i primi segni della comparsa dell'uomo, costituiti dalle selci grossolanamente scheggiate, caratteristiche della più antica età della pietra.
L'Umbria è tra le regioni d'Italia quella che ha fornito alle indagini paletnologiche uno dei contributi maggiori con la straordinaria abbondanza del materiale disseminato in ogni parte del suo territorio. A cominciare dalle grandi amigdale chelléane, l'industria litica è rappresentata in tutte le sue fasi evolutive: dalle amigdale si passa ai prodotti abbondantissimi del Mousteriano e a quelli del Paleolitico superiore, alla cui fisionomia italiana l'Umbria ha dato sicuri e ampî contributi.
Né meno ricchi e impressionanti furono i reperti della successiva epoca neolitica, culminanti nelle magnifiche cuspidi di freccia e di lancia, che si trovarono associate ad asce, mazzuoli, scalpelli, brunitoi in pietre dure (giadeite, cloromelanite, nefrite) ottenuti mediante la levigazione.
Questi resti preistorici si rinvennero in diverse condizioni di giacimento: i più antichi nei depositi alluvionali delle vallate del Tevere e dei suoi affluenti, dove le acque li depositarono col trasporto dei materiali brecciosi convogliati, e sulle terrazze che fiancheggiano il corso dei fiumi stessi; gli altri alla superficie del suolo, sulle colline e sulle montagne, quasi sempre in prossimità di sorgenti, dove i primi uomini fissarono le loro sedi all'aperto.
Quantunque l'esplorazione delle numerose grotte che esistono nella regione non sia stata effettuata che in piccola parte, tuttavia anche le poche esplorate condussero a risultati positivi e soddisfacenti, che attestano l'esistenza di abitati trogloditici.
Fra le stazioni principali cosiddette di superficie, oltre le numerose sparse nel territorio perugino e nei dintorni del Lago Trasimeno, citiamo quella del "Torbidone" sull'altipiano di Norcia, e quella di Abeto, nella stessa zona montuosa dell'Appennino. In quest'ultima località l'uomo ebbe a sua disposizione un'abbondante materia prima per foggiare i suoi utensili e le sue armi, la selce, che affiora in gran quantità sul terreno.
Tra le abitazioni trogloditiche sono degne di nota le "Tane del Diavolo" presso Parrano (Orvieto), che formarono oggetto di speciale esplorazione e che restituirono un ricco materiale riferibile al Paleolitico superiore, con tipi identici a quelli dei classici giacimenti delle grotte Grimaldi e Romanelli, e con una fauna a clima freddo in cui sono presenti la marmotta e lo stambecco.
All'età eneolitica è da collocarsi l'importante ritrovamento avvenuto a Poggio Aquilone, nel territorio di Marsciano: si tratta di una tomha, contenente accanto a uno scheletro umano, le cui ossa disgraziatamente andarono disperse, una suppellettile costituita da oggetti di pietra e di rame, che si conservano nel Museo civico di Bologna.
Per la civiltà del bronzo, di carattere indigeno, è da ricordarsi la grotta di San Francesco presso Titignano (Todi), esplorata nel 1913 per opera del comitato di paleontologia umana di Firenze, nonché gli strati superiori delle menzionate Tane del Diavolo di Parrano.
Al periodo di passaggio dall'età del bronzo a quella del ferro spetta il ripostiglio di Piediluco presso Terni, contenente una numerosa serie di oggetti in gran parte spezzati, forse a scopo votivo.
Per la prima età del ferro sono principalmente degne di menzione la necropoli arcaica di Monteleone di Spoleto, composta di ben 44 tombe a pozzetto, nonché quelle delle Acciaierie di Terni, di Colfiorito e di Norcia.
Fu merito soprattutto di Giuseppe Bellucci, l'avere formato una delle più preziose e ricche collezioni preistoriche di materiali rinvenuti nella regione. Essa conta varie decine di migliaia di oggetti ed è conservata nel Museo preistorico di Perugia, presso il quale sono anche accentrati tutti i materiali provenienti dalle ricerche effettuate negli ultimi anni.
Bibl.: V. Pagliari, Età della pietra in Gubbio, Firenze 1885; L. Pigorini, Preistoria, in Cinquanta anni di storia italiana, Roma 1911; A. Pasqui e L. Lanzi, Scoperte nell'antica necropoli di Terni presso l'Acciaieria, in Not. scavi, 1907, p. 505; E. Stefani, Necropoli dell'età del ferro a Terni, ibid., 1914, p. 3; 1916, p. 191; G. Bellucci, Materiali paletnol. d. prov. dell'Umbria; Perugia 1884-85-86-90-1905; id., L'epoca paleol. nell'Umbria, in Arch. per l'antrop. e l'etn., XLIV, Firenze 1914, fasc. 4°; A. Mochi, Esplorazione d. grotta di S. Francesco presso Titignano (Umbria), in Atti del Comit. per le ricerche di paleont. umana in Italia, ivi 1914; A. Minto, Cinte preistoriche a Titignano, ibid., ivi 1914; id., Sepolcreto primitivo del Colle del Capitano a Monteleone di Spoleto, in Boll. pal. it., XLIV (1924); U. Calzoni, La stazione litica del Torbidone nell'altipiano di Norcia, Perugia 1921; id., Tipi d'industria microlitica della stazione preistorica di S. Martino in Colle, in Arch. per l'antrop. e l'etn., 1922; id., Scoperte preistoriche nelle "Tane del Diavolo" presso Parrano, ibid., LXIII (1934).
Storia. - Il nome Umbria ha nell'antichità una duplice accezione: in senso stretto esso designa la regione nella quale nei tempi storici si ridussero ad abitare gli Umbri (v.), e cioè la regione posta ad occidente dell'Appennino, fra questo e il corso del Tevere a ponente, e scendente a sud fino al Nera; in senso lato invece esso indica quella che fu la sesta regione della divisione augustea dell'Italia. Tale regione abbracciava, oltre all'Umbria propriamente detta, che a mezzogiorno passava il Nera, comprendendo Otricoli, anche l'ager Gallicus al di là dell'Appennino, e cioè tutta la zona adriatica, che, limitata dai monti a ponente, si estendeva sul mare dal corso dell'Esino a sud, che la divideva dal Piceno, a quello del Conca (antico Crustumius) a nord, che la separava dall'Emilia; nell'Umbria erano altresì comprese le alte valli del Marecchia e del Savio, con Sarsina. Alla fine del sec. II d. C. la regione transappenninica, pur rimanendo unita all'Umbria, cominciò tuttavia ad essere considerata come formante un'unità definita, cui fu dato il nome di Flaminia, dalla via che l'attraversava; dopo Costantino, la Flaminia, estesa fino a comprendere anche Ravenna, che ne fu il capoluogo, fu unita con il Picenum (Flaminia et Picenum); l'Umbria fu invece riunita all'Etruria o Tuscia (Tuscia et Umbria). Ambedue le provincie erano alla dipendenza del praefectus Urbi. La Tuscia aveva il suo centro religioso a Volsinii, ma ad esaudire i voti degli Umbri, che mal si adattavano a questa dipendenza, sia pure soltanto amministrativa, dagli abitanti della Tuscia, Costantino nel 330 permise che si alzasse a Spello un tempio della Gens Flavia, dove i rappresentanti delle città umbre potessero raccogliersi annualmente Alla fine del sec. IV, la Flaminia et Picenum fu divisa in Flaminia et Picenum annonarium, sotto il vicarius Italiae, e Picenum suburbicarium, sotto il praefectus Urbi. Al tempo di Plinio l'Umbria, regione augustea, comprendeva quarantanove comuni, di cui cinque colonie; nel complesso, dato il carattere montuoso di gran parte del suo territorio, essa mantenne sempre un'impronta paesana, conservativa. La sua arteria principale di comunicazione era la Flaminia, che l'attraversava per tutta la sua estensione.
Durante la guerra greco-gotica, l'Umbria fu a più riprese percorsa e devastata dagli eserciti belligeranti; vi si svolsero importanti fatti d'arme, come la battaglia di Tagina nel 552. Con l'invasione longobarda la maggior parte della regione entrò a far parte del ducato di Spoleto, con la storia del quale si confonde sostanzialmente la storia umbra fino al sec. XII (v. spoleto: Il ducato di Spoleto). Restarono fuori del ducato Perugia, occupata dapprima dai Longobardi, ma ricaduta in mano ai Bizantini al principio del sec. VII, e alcune città e fortezze lungo la Via Flaminia, come Ameria, Narni, Terni, rimaste ai Bizantini, ma continuamente minacciate e spesso tenute per brevi periodi dai Longobardi. Nel secolo VIII queste terre bizantine dell'Umbria passarono, con le successive donazioni di Liutprando, di Pipino e di Carlomagno, al papa, la cui sovranità fu nel 774 riconosciuta anche dal duca di Spoleto. Dal sec. VIII alla fine del XII il dominio papale sull'Umbria fu però soltanto nominale. La regione effettivamente rimase divisa fra i duchi di Spoleto, che ne possedevano la parte maggiore, e i marchesi di Toscana.
Alla fine del sec. XI e al principio del XII si formarono in Umbria i comuni, principali fra essi Perugia, Assisi, Foligno, Spoleto, Terni, Todi, Orvieto, Gubbio, Città di Castello. Seguirono lotte violente fra le città e la numerosa feudalità delle campagne. Anche in Umbria, come altrove, i feudatarî sconfitti si stabilirono nelle città. Si conservava l'unità formale del ducato sostenuto dall'impero, ma le città tendevano a fare una politica propria, spesso in urto con gl'imperatori, sostenute dal papa che non aveva mai rinunciato ai suoi diritti sulla regione. Perciò, quando nel 1198 Innocenzo III stabilì il suo effettivo dominio sul ducato, sostituendo il duca con un rettore, tutte le città umbre, anche quelle che, come Perugia, erano fuori del territorio del ducato, si sottomisero spontaneamente alla Chiesa.
Lo stabilirsi del dominio pontificio non mutò peraltro, almeno nei primi tempi, le effettive condizioni della regione. Continuò lo sviluppo delle autonomie locali, si accentuò il frazionamento del territorio in una miriade di comuni e di piccoli feudi, seguitarono le guerre fra città e città: Perugia combatteva con Assisi e Foligno, Spoleto con Trevi, Terni con Narni. Perugia aspirava a esercitare su tutti una certa egemonia: già negli ultimi anni del sec. XII essa aveva sottomesso Gualdo e Nocera, quindi Assisi, Gubbio, Città di Castello, Foligno. Ma era un predominio instabile poiché le tendenze centrifughe ebbero spesso il sopravvento spezzando i legami di sottomissione e di alleanza. Inoltre le lotte locali si inserirono ben presto nella grande contesa fra papato e impero. Gl'imperatori non volevano rinunciare al ducato di Spoleto: fra il 1210 e il 1212 Ottone IV tentò invano di ricuperarlo. Federico II ripeté varie volte il tentativo. Contro di lui si strinsero in lega nel 1237 Perugia, Todi, Gubbio, Foligno, Spoleto; anima della lega, la guelfa Perugia. Ma le gelosie interne indebolirono la lega: nel 1240 Foligno, sempre ostile a Perugia, accolse l'imperatore; l'anno successivo gli si diede anche Spoleto. I Perugini che tenevano fieramente testa agl'imperiali furono sconfitti a Spello nel 1246. Solo dopo la morte di Federico II si ristabilì il dominio papale sulla regione, ma non cessarono le aspre lotte fra guelfi e ghibellini. Frattanto i comuni umbri seguivano in generale lo sviluppo costituzionale degli altri comuni italiani. Anche in Umbria troviamo nei primi decennî del '200 i podestà, che ricevono generalmente una conferma papale, e, poscia, i capitani del popolo. I rapporti frequenti di guerra e di commercio delle città umbre con quelle toscane influirono sullo sviluppo costituzionale. Così Perugia, quasi sempre alleata di Firenze, ebbe per supremi magistrati, al principio del sec. XIV, i priori delle arti.
Non meno intensa della vita politica, la vita religiosa. Già nel sec. XII erano penetrate nella regione sette e movimenti ereticali, Orvieto era divenuta un centro di patarini. Erano i prodromi del grande movimento francescano, che nel '200 pervase rapidamente tutta la vita della regione. Il francescanesimo è un fenomeno che trascende, è vero, la storia regionale e investe tutta la storia italiana ed europea del secolo; ma non bisogna dimenticare che nell'Umbria esso è nato, che esso affonda le sue radici nello spirito spontaneamente religioso del popolo umbro e nella vita agitata e pur prospera dei suoi comuni. Grazie al movimento francescano, Assisi divenne uno dei principali centri della vita religiosa europea e l'Umbria acquistò un'importanza di primo piano nell'Italia del sec. XIII.
Nei primi decennî del sec. XIV continuò l'espansione di Perugia, che controllava direttamente o indirettamente gran parte della regione e partecipava in certo modo anche alla vita della Toscana combattendo con Siena e con Arezzo. Contemporaneamente cominciavano a formarsi in Umbria le prime signorie, sia per opera di famiglie locali, come i Trinci a Foligno e i Gabrielli a Gubbio, sia per opera di signori romagnoli, come i Malatesta e i Montefeltro, che spesso intervennero nelle lotte dell'Umbria. I territorî meridionali erano invece spesso in mano di famiglie romane come gli Orsini che dominarono a più riprese Terni e Nami. La sovranità pontificia fu, durante il periodo avignonese, quasi sempre nominale. Di tanto in tanto, i legati pontifici ristabilivano l'autorità papale, ma i loro interventi ebbero un'efficacia piuttosto negativa e accrebbero l'instabilità politica invece di porre ad essa rimedio. Infatti se, da un lato, essi impedirono il formarsi di signorie estese e durature, dall'altro non riuscirono a stabilire il governo pontificio in modo definitivo, a causa della vivacità della vita locale e della lontananza del papa. Così, a periodi di governo diretto, seguono periodi in cui la Chiesa viene a patti con i comuni e con i signori riconoscendone l'autonomia. La signoria è quindi spesso mascherata dal vicariato pontificio e i signori governano le città in nome del papa. Fra il 1354 e il 1357 il cardinale Albornoz ricuperò quasi tutta l'Umbria, tranne Perugia, e cercò di riordinarne l'amministrazione. Dopo di lui un vicario pontificio, l'abate di Monmaggiore, s'impadronì anche di Perugia e governò energicamente gran parte della regione per tre anni, dal 1373 al 1376; ma durante la guerra degli "Otto Santi" i comuni dell'Umbria, stimolati e aiutati dai Fiorentini, si ribellarono con Perugia alla testa e rovesciarono il governo del vicario. Negli ultimi decennî del '300 si susseguirono interventi dei Montefeltro, che s'impadronirono di Gubbio nel 1387, nuovi tentativi egemonici di Perugia, di cui si era insignorito Biordo Michelotti, e infine l'intervento di Gian Galeazzo Visconti, a cui si diede Perugia nel 1400. Morto il Visconti, molte città tornarono alla Chiesa, ma per poco tempo, poiché intervenne il re di Napoli, Ladislao di Durazzo, il quale, fra il 1408 e il 1414, occupò Perugia, Terni, Orvieto, Spoleto. Ma anche questo dominio napoletano fu effimero e scomparve totalmente dopo la morte di Ladislao.
Le aspre lotte avevano intanto stimolato nella popolazione lo spirito di avventura e diffuso il mercenarismo. L'economia della regione, sostanzialmente agricola e nell'insieme ancora arretrata, favoriva il fenomeno. Numerosa era nelle campagne la povera gente disposta ad arruolarsi nelle compagnie che percorrevano il paese; nunlerosissime le famiglie nobili dedite alle armi. L'tmbria divenne così una terra di soldati e di condottieri: Braccio Fortebraccio da Montone, Erasmo Gattamelata, Niccolò e Iacopo Piccinino, Bartolomeo d'Alviano, i Vitelli e i Baglioni salirono, nei secoli XV e XVI, a rinomanza italiana. Alcuni ebbero importanza anche nelle vicende regionali, soprattutto Braccio da Montone, cui si dovette in sostanza l'unico notevole tentativo di unificazione regionale. Impadronitosi di Perugia nel 1416, Braccio riuscì in pochi anni a sottomettere quasi tutta l'Umbria, malgrado la fiera opposizione del papa. Nel 1420 Martino V dovette concludere a Firenze la pace con Braccio, riconoscendogli il possesso dei territorî e delle città da lui tenute, coi titoli di governatore, vicario, rettore, secondo i luoghi, per un periodo di tre anni: la Chiesa così si riservava sempre tutti i diritti. Di fatto, pur in forma larvata, quella di Braccio era una vera e propria signoria territoriale suscettibile di sviluppo. Ma le ambizioni del grande condottiero non si limitavano all'Umbria; egli si mescolò nelle contese del regno di Napoli e si urtò quindi sempre più col papa che vedeva di malocchio l'estendersi e il consolidarsi della sua potenza. La battaglia di Aquila, nel 1424, in cui Braccio trovò la morte, segnò la fine del suo stato che si sfasciò rapidamente.
Durante il sec. XV il dominio pontificio tende a diventare sempre più effettivo: nel 1439 il cardinale Vitelleschi, legato di Eugenio IV, abbatté la signoria dei Trinci a Foligno, che, dopo la morte di Braccio, si era estesa nell'Umbria centrale. Anche un tentativo di Iacopo Piccinino di crearsi un dominio nell'Umbria fra il 1455 e il 1460, fallì per l'intervento papale. Rimase però ancora ai comuni una larga autonomia e continuarono le lotte di fazione. Quasi completamente indipendenti dalla Santa Sede si mantennero Perugia, contesa fra Oddi e Baglioni, Gubbio sotto i Montefeltro, e Città di Castello, dominata dai Vitelli. Cesare Borgia, nel 1503, sottomise anche queste città, ma esse tornarono poco dopo alla loro autonomia, presto però limitata da Giulio II. Infine Paolo III, sottomettendo Perugia nel 1540, dopo l'aspra "guerra del sale", diede un colpo decisivo allo spirito autonomistico, inaugurando definitivamente in tutta l'Umbria un governo regolare.
L'Umbria seguì da allora le sorti dello stato della Chiesa. Nella seconda metà del sec. XVI l'autonomia locale venne progressivamente ridotta e il comune fu trasformato in un semplice organo amministrativo; i numerosi feudi del contado vennero a poco a poco incamerati; la tracotanza delle famiglie nobili duramente punita; le lotte di fazione progressivamente estinte. Nei secoli XVII e XVIII, la regione visse una vita mediocre e pacifica, da cui fu risvegliata dall'invasione francese nel 1798. In quell'anno essa fece parte della Repubblica Romana; fu quindi l'anno successivo occupata dagli Austriaci e dai Napoletani e restituita al pontefice nel 1800. Nel 1808, annessa all'impero francese, costituì il dipartimento del Trasimeno.
Nel 1814 fu restaurato in Umbria il governo pontificio che fu generalmente bene accolto. Ma l'incompatibilità fra i progressi che il paese aveva fatto sotto il governo napoleonico e i sistemi del restaurato governo venne ben presto in luce, soprattutto dopo l'elezione di Leone XII, e provocò anche in Umbria molto malcontento, cosicché si diffusero rapidamente le idee liberali e nazionali. I numerosi liberali umbri si tennero sempre in contatto con quelli delle altre parti d'Italia, soprattutto con i liberali marchigiani e romagnoli, ma la vicinanza del paese a Roma rendeva difficile qualsiasi iniziativa rivoluzionaria locale. La rivoluzione del 1831 ebbe il suo contraccolpo anche in Umbria; una grande agitazione si diffuse ovunque; Perugia, Spoleto, Foligno e altre città si unirono al moto della Romagna. Il colonnello Sercognani venuto dalla Romagna con poche forze a cui si unirono volontarî umbri, tentò una marcia su Roma, ma fu fermato a Rieti (marzo 1831). Fallita la rivoluzione del '31, il paese tornò a vivere relativamente tranquillo fino al'48 quando si unì con entusiasmo al moto nazionale. Nel '49 aderì alla Repubblica Romana, ma fu presto occupato dalle truppe austriache. Nel 1859 tentò d'insorgere approfittando della situazione generale, ma il moto fu energicamente represso (le cosiddette stragi di Perugia, 20 giugno 1859). Nel settembre del 1860 la regione veniva occupata dalle truppe regie comandate dal generale Della Rocca. L'occupazione venne rapidamente mutata in annessione col plebiscito. Da allora la storia umbra si confonde con quella dell'Italia unificata.
Bibl.: Non esiste una trattazione complessiva sulla storia della regione. Molti studî particolari e documenti di varia importanza sono pubblicati dal Bollettino della R. Deputazione di storia patria per l'Umbria (I, 1895 e segg.). Si vedano inoltre le bibliografie citate nelle voci riguardanti le singole città. - Per l'antichità, v.: Corp. Inscr. Lat., XI; H. Nissen, Italische Landeskunde, Berlino 1902; Th. Mommsen e F. Marquardt, Organis. empire romain, II, Parigi 1892.
Dialetti.
I dialetti umbri si stringono in una salda unità con quelli del Lazio e delle Marche, così da costituire una zona umbro-laziale-marchigiana. Per tutta questa vasta regione si estendono (o furono estesi) i principali fenomeni vocalici e consonantici caratteristici dei dialetti centrali-meridionali, su cui v. italia: Lingua e dialetti (in particolare la metafonesi di -i e -u e le assimilazioni di -nd-, -mb- in -nn- e -mm-). Qui si richiama l'attenzione su fatti specifici.
È, nell'ordine delle vocali, fenomeno tipico dell'umbro l'aprirsi di -i in -e, di modo che le vocali finali sono ridotte a tre: -e, -a, -o. Questo fenomeno s'incontra a Perugia, comprende Assisi, Todi, Orvieto e scompare prima di Spoleto. Così, l'Umbria meridionale ne è esclusa (Terni, Pitigliano, Rieti). A Nord, l'-e, per -i, giunge fino a Fabriano, sconfinando nelle Marche. È fenomeno relativamente moderno (cane "cani", amice "amici", ecc.), non ignoto ai testi del sec. XIV (arbore "alberi", barone "baroni", ecc.), posteriore alla metafonesi esercitata da -i sulle toniche. Prima di mutarsi in -e, l'-i del plurale ha palatilizzato un l e un n (onde: bastognie, barognie -ogne, ecc.) in una vasta zona. Si collega a questo fenomeno il plur. -ie, ricavato da -glie, -gnie: a Cortona, p. es., tempie "tempi", passie "passi", ecc. È, poi, l'Umbria, insieme con larghi tratti marchigiani e laziali, regione in cui è ancora viva la distinzione delle finali latine -o e -u (p. es., a Foligno: capillu; a Pitigliano: ućèllu, témpu; ma il ger. è in -enno, ecc.). In antico, il fenomeno era certamente più esteso; ora è vivace nella sezione centrale e meridionale (Assisi, Foligno, Pitigliano, ecc.), ma nei testi antichi lo si coglie nella sua pienezza, persino nella Toscana, ad Arezzo. Città di Castello, che è umbra, ha sentito l'influsso aretino, il quale ha anche esercitato la sua efficacia sui dialetti di Perugia, Umbertide, Gubbio. Attraverso l'aretino, pare si sia sviluppato il fenomeno di -á- in -é- che è caratteristicamente emiliano-romagnolo e che oggidì si estende sino alla linea Scheggia-Gubbio-Gualdo Tadino-Petrignano-Perugia-Corciano-Cortona. Altrettanto si dica del mutamento di é??? in sillaba libera in ei (teila "tela", meise "mese") che arriva fino a Gubbio e a Fossato di Vico. È altresì aretina (e sporadicamente e anticamente toscana centrale) la ritrazione dell'accento dei dittonghi ié, uó in íe, úo, donde: i e u, fenomeno molto esteso per il passato (p. es., rechide richiede, pute "può", nei laudarî). Altro carattere vocalico, comune alle Marche e al Lazio, è l'assimilazione dell'atona alla tonica o alla finale (p. es., ténnera, ma al maschile ténniru).
Abbiamo già detto che l'Umbria partecipa, com'è naturale, alla fenomenologia consonantica dell'Italia centro-meridionale. Oltre -nd- e -mb- in -nn- e rispettivamente -mm-, che sono fenomeni di ragione profonda e che abbracciano quasi tutta l'Umbria, fino ad Assisi, Fabriano, escluse Perugia e Todi, si noti che il gruppo fondato da -b- e -v- con j volge a j (e, in antico, anche -pj- dovette divenire ćć). I nessi -ng- e -mbj- dànno, come nelle Marche, negli Abruzzi e nel Lazio: ñ: piagne, stregne, ecc. L'assimilazione di -ld- in -ll- (callara "caldaia"), è altresì fenomeno umbro, oltre che marchigiano, laziale, abruzzese. Altri tratti che guizzano o si propagginano da regioni finitime: caduta di d- (ico "dico"), nd per nt, ecc.
Reliquie di nominativo latino: arbo "albero"; nepo "nipote", orfo, pate, ecc. Col senso di apud si ha me, ma, m' (medio). Resti di intus (int-el, t-el "nel") ci richiamano a condizioni emiliane e romagnole. La Iorma "frate" per "fratello" ci richiama, invece, a condizioni meridionali.
Se, a settentrione, l'Umbria ha subito l'influsso dell'aretino e dell'emiliano-romagnolo, a sud essa ha un ambito dialettale più esteso di quello amministrativo, perché include, per certi rispetti le terre aquilane (Aquila fu fondata nel 1254).
Bibl.: Per la bibliografia e per un'informazione generale, si veda: G. Bertoni, Italia dialettale, Milano 1917; Merlo, Studi glottologici, Pisa 1934. Uno schizzo dei dialetti umbri nella guida Umbria del Touring Club (a cura di C. Battisti); A. Schiaffini, Il perugino trecentesco, in Italia dialettale, IV (1928).
Letteratura dialettale.
La letteratura dialettale umbra si trova presente fra le prime manifestazioni letterarie in volgare (secoli XIII e XIV) con un prodotto dei più caratteristici e dei più fecondi: la lauda, che in ambedue le sue forme (lirica e drammatica) è originaria dell'Umbria e da questa mediana regione s'irradiò in quelle limitrofe (v. lauda). Ma è dubbio se essa possa a rigore essere considerata come una forma letteraria strettalnente dialettale.
Forme notevoli di letteratura d'arte in dialetto non si hanno in Umbria nei secoli posteriori, né produzione particolarmente interessante. Solo nel sec. XIX, specie durante le fasi più drammatiche del Risorgimento, fiorì la poesia dialettale nelle forme usuali di sfogo immediato e talvolta bizzarro di sentimenti individuali e collettivi. Ma questa produzione non rappresenta nulla di eccezionale, anche se spesso è frutto di accurato studio e di bella vena e se è opera non diciamo prediletta, ma amorosa di eruditi professori universitarî, come il perugino Ruggiero Torelli (1820-94) o di patrioti garibaldini, come l'orvietano Giuseppe Cardarelli (1848-1914).
Nell'Umbria, regione tenacemente attaccata alle tradizioni, sono tuttavia abbondanti le poesie popolari che le generazioni si sono tramandate attraverso i secoli, ma di gran parte di esse non s'è ancora fatta un'organica e completa raccolta. Nondimeno esse vivono ancora in mezzo al popolo delle campagne e delle valli appenniniche e battono il ritmo della vita quotidiana delle semplici, laboriose, schiette popolazioni. Naturale sfogo a canti di gioia offrono le periodiche feste campestri, come, ad es., le ottobrate al Monteluco di Spoleto, durante le quali una folla di gitanti si sparpaglia per le pendici del bel monte. Gli argomenti trattati dalla poesia popolare umbra sono quelli che si riferiscono a fatti e a sentimenti essenziali; vi sono cantici religiosi in gran numero, in lode di Gesù, di Maria, di S. Giuseppe, di S. Francesco, di S. Chiara, canti morali e sentenziosi, poesie scherzose e mordaci (lamenti di amanti sfortunati e di malmaritate, dialoghi sospirosi d'innamorati, litigi di comari, contrasti tra la figlia che vuol marito e la madre che non vuol darglielo), liriche più propriamente d'amore. Non mancano le elaborazioni di leggende riferentisi a santi e a eroi: Guerino il Meschino, Rinaldo, i santi Alessio, Antonio Abate, Caterina, Giuliano, Lucia e Barbara. Larga diffusione hanno le leggende della Santa Spina, del Lago Trasimeno, del Tesoro di Annibale, della Cascata delle Marmore. Si trovano anche il racconto del conte Marco e Antonina, la leggenda della Bella Cecilia, la novellina dei Gatti; affiorano spesso qua e là echi di ballate di Dante e di qualche novella del Boccaccio.
Numerose e variate sono le forme metriche, non sempre conservate nel loro schema genuino; soprattutto ricorrono canzoni, ballate, canzoni a ballo, canzonette, rispetti, filastrocche, ninne nanne, scioglilingua, indovinelli.
Bibl.: G. Mazzatinti, Canti popolari umbri, Bologna 1883; M. Chini, Canti popolari umbri raccolti nelle città e nel contado di Spoleto, Todi 1917; O. Grifoni, Poesie e canti religiosi dell'Umbria, S. Maria degli Angeli 1927.
Folklore.
L'Umbria offre un campo vastissimo e fecondo per le ricerche folkloristiche, tanti sono i riti, gli usi e le costumanze, sopravvivenze di età remote.
In alcuni paesi per la nascita del primogenito si trapianta presso la casa il più alto albero dei dintorni, spogliato dei rami, scortecciato e adornato di fiori e di festoni di carta colorata. Nei territorî di Valfabbrica, Gualdo Tadino, Nocera, l'amoroso, il primo di maggio o per S. Giovanni, dona, quale pegno di fidanzamento, la stecca da busto, chiamata "dono del cuore", adorna di figurazioni rappresentantì cuori trafitti, giardini, fiori, uccelli, le iniziali dei nomi degli amanti. In altre plaghe il fidanzato offre in dono una conocchia di vimini ben adornata. Il matrimonio si celebra per lo più la domenica tra suoni, danze, lancio di confetti. Dopo la cerimonia gli sposi sono costretti a fermarsi per la "parata", che fanno gli amici e i parenti distendendo attraverso la strada una funicella, e procedendo all'offerta di doni e di fiori. Alla sposa che entra in casa, in alcuni luoghi la suocera dà un grembiule da indossare per simboleggiare il passaggio della direzione della casa, o le offre un ramo di olivo in segno di pace. Nel contado di Cascia il corteo nuziale si svolge in forma di cavalcata, guidata dallo sposo alla casa della sposa, che lo attende anch'essa a cavallo e con adeguata scorta; e poi di galoppo al paese e alla chiesa. A vedovi e vecchi che si sposano si fa la "scampanata". In varie località della campagna, la famiglia del morto invita i conoscenti a dire le preghiere e offre loro l'elemosina; inoltre ha l'obbligo di dare al parroco tre metri di stoffa per ricoprire la croce che accompagna il morto al camposanto.
Innumerevoli sono le superstizioni. In caso di parto, per affrettare l'evento, il marito viene mandato al campanile della chiesa ad afferrare coi denti la corda della campana per dare tre tocchi. Se il marito fosse per caso assente si pongono sopra il ventre della partoriente i calzoni di lui. Infinite sono le pratiche seguite specie nei paesi di montagna per vincere la sterilità, per la gestazione, l'aborto, il parto, il puerperio e per l'allevamento del bambino, allo scopo soprattutto di preservarlo dal malocchio. Numerose sono anche le norme di medicina popolare. Per i mali di petto, oltre all'uso del mattone infuocato contro le piante dei piedi (dai contadini e dai casengoli della valle e del pian del Tevere) si suole o propinare al malato un uovo tiepido condito con fuliggine, o applicare sulla parte dolente un pettine da testa o un piccione appena spaccato, quindi ancor palpitante, o somministrare il polmone e la milza di volpe seccati e polverizzati. Contro la febbre sono ritenute efficaci le punte di vitabbie (vitalbe) e contro quella di malaria il mangiare un pane caldo inzuppato nel vino generoso. Per premunirsi da attacchi di febbre per tutto l'anno è opportuno mangiare la mattina di Pasqua un uovo che sia venuto fuori il Venerdì Santo. Agli epilettici si fanno portare appese al collo le chiavette di S. Domenico e ai pazzi e agl'indemoniati, a Gubbio, si pone sul capo la berretta di S. Ubaldo. Tra gli amuleti (v.) sono da ricordare la benedizione di S. Francesco, distribuita dai francescani di S. Maria degli Angeli (Assisi) e la polvere delle S. Mura della S. Casa di Loreto. Fra tutte le feste e i riti solenni la più famosa e caratteristica è la "Corsa dei Ceri" a Gubbio, che attira ogni anno, per il 15 maggio, una folla considerevole anche di turisti. Sembra che la festa rimonti al sec. XIII, ma non si conosce esattamente la sua origine, tra religiosa e artigiana, certo tipicamente medievale. I tre pesanti "ceri" sono macchine di legno di slanciata struttura poliedrica, recantí al sommo la statua del santo protettore di tre compagnie: S. Ubaldo, dei muratori; S. Giorgio, dei commercianti, S. Antonio, dei contadini. Le macchine, portate a spalla dei ceraioli in costume, dopo le rituali cerimonie, vengono recate di corsa da Piazza della Signoria alla chiesa di S. Ubaldo, patrono di Gubbio, sul Monte Ingino. Il "Perdono d'Assisi" (indulgenza della Porziuncola: per le origini, v. Srancescanesimo, XV, p. 843) si celebra ogni anno dal vespro del 1° a quello del 2 agosto, nella basilica di S. Maria degli Angeli: i pellegrini, oltre che partecipare ai riti, entrano ed escono consecutivamente tre volte dalla basilica, cantando le lodi di Dio, della Vergine e di S. Francesco. Altre feste religiose da ricordare sono quelle del Corporale e della Palombella, in Orvieto, nei giorni del Corpus Domini e di Pentecoste.
Bibl.: G. Bellucci, Il feticismo primitivo in Italia e le sue forme di adattamento, Perugia 1919; id., I chiodi nell'etnografia antica e contemporanea, ivi 1919; Z. Zanetti, La medicina delle nostre donne, Città di Castello 1892; P. Cenci, I Ceri di Gubbio e la loro storia, 2ª ed., ivi 1908; G. Greco e G. Palazzi, L'Umbria, Almanacco regionale, Milano 1924.
Arte.
L'arte fiorisce primamente in Umbria per opera o sotto l'influenza degli Etruschi. Tombe dipinte e templi a Orvieto, dal cui territorio viene anche il famoso sarcofago dipinto di Torre S. Severo, porte civiche e l'ipogeo dei Volumnî a Perugia, e una serie copiosa di bronzi, di stele, di cippi di suppellettile vascolare e in metalli preziosì oltre che da Perugia e da Orvieto, da Todi, da Monteleone di Spoleto ecc.,. sono le più notevoli manifestazioni dell'arte etrusca in suolo umbro. Italiche, più che propriamente etrusche si possono considerare le cinte di mura poligonali di Amelia, Spoleto, Cesi.
Dell'attività costruttrice romana entro e fuori le città restano testimonianze nei templi di Assisi e di Spoleto, nei teatri pure di Spoleto e di Gubbio, nell'anfiteatro di Assisi, nei ponti di Spoleto e di Narni, nelle mura di Spello oltre che in edifici sia pubblici sia privati, di minore importanza.
La storia del primo diffondersi del cristianesimo in Umbria si appoggia su memorie ben visibili in diversi luoghi della regione, ma alle quali, almeno per quello che oggi ci consta, sembra non debba essersi associata l'attività degli artisti. Solo sulla fine deI sec. IV, troviamo un monumento - e tale da dovergli riconoscere un'importanza rara - che ci rivela il profondo lavoro di trasformazione operato sul fondo delle forme romane dalle nuove esigenze di vita e di culto e da una prima assimilazione di elementi ornamentali derivati dall'Oriente: la basilica di S. Salvatore alle porte di Spoleto. Questa città resta a lungo nel corso del Medioevo il centro artistico di maggiore importanza dell'Umbria. Nella sua campagna troviamo un altro singolare monumento paleocristiano, il Tempietto del Clitunno, sorto non oltre il principio del secolo V sul posto di un più antico sacello pagano, del quale ha in gran parte utilizzato gli elementi architettonici. Anche qui le parti ornamentali aggiunte al tempo della riedificazione mostrano chiaramente che la struttura fondamentale di tipo romano si andava arricchendo con motivi forestieri.
Occorre anche ricordare come questi due monumenti conservino le più remote pitture medievali sin qui rinvenute in Umbria: nella piccola abside del tempietto sono resti di affreschi (tra i quali le figure di S. Pietro e di S. Paolo) che risalgono agl'inizî del sec. VII, nell'abside della basilica è dipinta a fresco una croce gemmata con caratteri che la fanno assegnare agl'inizî del sec. IX. Ancora a Spoleto, nella cripta dei Ss. Isacco e Marziale, troviamo più tardi numerosi affreschi della fine del sec. X o del principio del sec. XI, i quali ormai palesano chiaro l'influsso che viene da Bisanzio. Altri affreschi eseguiti sulla metà del sec. XI si trovano nella cripta della cattedrale di Assisi.
A Perugia la chiesa di S. Angelo presenta un interessante esempio di edificio cristiano del sec. V o VI, oggi ridotto a pianta circolare mentre in origine era probabilmente a croce greca con tiburio; a Orvieto, sotto la chiesa di S. Andrea, sono i resti di una più antica costruzione ecclesiastica con larghi tratti di musaici pavimentali del sec. VI; alla stessa età possono rimontare le lastre marmoree con ornamentazioni sulla tomba di S. Cassiano nella cattedrale di Narni.
Presso Ferentillo, nella valle del Nera, a monte di Terni, sorge l'abbazia di S. Pietro in Valle, che nelle sue parti originarie (le tre absidi, il transetto, il tiburio, il musaico pavimentale dell'abside maggiore) risale al primo quarto del sec. VIII. È il solo monumento superstite al quale sia affidato il ricordo del fiorentissimo ducato longobardo di Spoleto. Ancora a Spoleto si ha un importantissimo edificio della metà all'incirca del sec. X, la basilichetta a tre navate di S. Eufemia, la quale, esempio unico in Umbria, presenta i matronei, ed è un remoto e notevole documento della diffusione di forme proprie dell'architettura lombarda nell'Italia centrale. Sulla metà del sec. XI è stata innalzata la torre campanaria dodecagona della cattedrale di Amelia.
Col sec. XII le costruzioni si fanno più numerose, e la regione partecipa in pieno al movimento che ormai si estende in tutta Italia. L'architettura romanica fiorisce vigorosa in Umbria, attingendo a Roma le sue ispirazioni, ma anche accogliendo artisti e maestranze che provengono dalla Lombardia. Va ancora ricordata per questo periodo l'abbazia di S. Pietro in Valle (campanile e chiostro), e va ricordata ancora Spoleto dove sorgono, si trasformano e si rinnovano molti edifici specie dopo la distruzione della città ad opera di Federico Barbarossa (1155): il duomo, S. Pietro, S. Gregorio, S. Ponziano sono tra i più interessanti. A Bevagna negli ultimi del secolo troviamo due chiese assai notevoli, S. Silvestro e S. Michele Arcangelo, e il nome di due architetti Binello e Rodolfo, i quali forse hanno lavorato anche al duomo di Foligno insieme con Atto. Alla cattedrale d'Assisi è legato il nome del suo costruttore, Giovanni da Gubbio. Monumenti contemporanei assai importanti sono anche a Orvieto, a Perugia, a Narni, a Trevi, a S. Felice di Narco, a S. Eutizio di Preci e in altri luoghi ancora. Bell'edificio romanico del sec. XIII, con qualche buona scultura del medesimo tempo, è la chiesa di S. Maria Assunta a Lugnano in Teverina; due interessanti rilievi duecenteschi sono conservati dalla chiesa di S. Tommaso a Terni.
L'arte dei marmorarî romani si riconosce in varî luoghi dell'Umbria: nell'abbazia di Sassovivo, presso Foligno, troviamo un leggiadrissimo chiostro (1229) in tutto degno dei famosi prototipi conservati nella Città Eterna. Contemporaneo è il primo apparire dell'architettura gotica: la basilica di S. Francesco in Assisi viene iniziata nel 1228 per la tenace volontà di frate Elia, e assai probabilmente sotto la sua direzione. In Assisi stessa, a Santa Chiara, e nel S. Francesco di Terni troviamo di buon'ora documentato l'influsso che il grande prototipo ha esercitato sulle sorti dell'architettura nella regione. Un compromesso tra spiriti romanici e forme gotiche troviamo ormai lungo il Duecento e per buon tratto del Trecento. Particolarmente istruttivo è l'esempio del duomo di Orvieto, che, concepito quale imitazione delle basiliche di Roma e iniziato con stile schiettamente romanico, si è andato durante i lavori trasformando per tal modo che nel coro, nel transetto, nella facciata abbiamo esempî tra i più insigni dell'adattamento dello stile gotico alle esigenze e ai gusti italiani: dalla sovrapposizione non deriva affatto disarmonia al complesso del magnifico monumento. Forse la prima introduzione di elementi gotici in Orvieto si era avuta nel rifacimento (poco dopo il 1230) della badia dei Ss. Severo e Martirio poco fuori della città: anche qui la sovrapposizione sul fondo romanico non danneggia l'euritmia dell'insieme.
Accanto alle chiese sorgono nei centri maggiori (Perugia, Orvieto, Assisi, Todi), e in alcuni dei minori, i palazzi pubblici, che del pari presentano spesso un adattamento di ornamentazione gotica sul fondo dell'organismo romanico. Nasce a Gubbio, e lavora nella città nativa e a Spoleto e ad Assisi e a Perugia stessa e altrove, Matteo Gattapone, uno dei più possenti architetti del Trecento che in qualche particolare delle sue opere sembra veramente anticipi l'arte nuova e grandissima del Brunelleschi. A Città di Castello e a Gubbio lavora Angelo da Orvieto.
Non è difficile trovare qualche buona statua di legno, anche dei secoli XII e XIII, specialmente nella parte montuosa del territorio di Spoleto, che è quanto dire verso i confini d'Abruzzo. Alla fine del Duecento, a Perugia, la scultura si afferma con un capolavoro dei più grandi, la Fontana Grande, alla quale hanno lavorato Nicola Pisano, Giovanni Pisano, Arnolfo. A Perugia, in S. Domenico, è il grandioso monumento di Benedetto XI che riflette forme di Giovanni e d'Arnolfo; nel S. Domenico di Orvieto è un capolavoro di Arnolfo, il monumento del cardinale Guglielmo de Braye; sulla facciata del duomo di Orvieto, nei quattro pilastri, sono meravigliosi bassorilievi del primo trentennio del Trecento, eseguiti forse da Lorenzo Maitani con la collaborazione di artisti senesi e pisani; sculture di Nino Pisano e di altri maestri del '300 sono, sempre a Orvieto, nel museo dell'opera del duomo.
Particolarmente notevole è dalla fine del sec. XII la vitalità della pittura in Umbria. Mentre a Foligno (affreschi di Santa Maria infra portas) e a Spoleto (croce dipinta nel 1187 da Alberto Sozio in cattedrale, e affreschi dello stesso nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo) persistono i modi bizantini, che ancora a Spoleto troviamo dominanti nel musaico di Solsterno (1207) sulla facciata della cattedrale, nell'abbazia di S. Pietro in Valle presso Ferentillo un grandioso ciclo di affreschi (ultimo decennio del sec. XII) ci fa vedere come, per l'efficacia del rinnovamento che già si sentiva operante in Roma, un profondo rivolgimento stilistico modificasse l'arte e la riconducesse sulle vie della tradizione italiana, nonostante il persistere dell'iconografia bizantina. La medesima corrente si palesa anche in taluni affreschi (inizî del sec. XIII) della chiesa di S. Paolo a Spoleto. Nella chiesa suburbana di S. Prospero, a Perugia, il pittore Bonamico lavora nel 1225: sono affreschi di estrema rozzezza, nei quali si scorge peraltro un principio di espressione spontanea che ci mostra il tentativo di sottrarsi ai modelli di Bisanzio. Ma la vittoria non è facile.
L'Umbria d'un tratto viene ad assumere una parte preponderante negli sviluppi della pittura in Italia, allorché accorrono ad Assisi alcuni dei più grandi pittori da varie regioni per decorare la doppia basilica sorta sulla tomba di S. Francesco.
Nel 1236 già vi era al lavoro Giunta Pisano, un toscano molto legato alle tradizioni della pittura bizantina, il quale non solo ha dipinto, ma ha trovato anche largo seguito da parte di artisti che fino ad oggi non sappiamo se nativi dell'Umbria o se provenienti da altre regioni. Un suo seguace va particolarmente ricordato, quello che è chiamato convenzíonalmente "maestro di S. Francesco", da un dipinto che si conserva nel piccolo museo di S. Maria degli Angeli presso Assisi. A questo artista si debbono principalmente gli affreschi nella navata della chiesa inferiore di Assisi ora malconci e mutili, opera di grande importanza per il forte senso drammatico col quale l'autore avviva gli schemi ereditati dal suo maestro, e alcuni dipinti su tavola della galleria di Perugia, tra i quali particolarmente notevole un grande crocifisso (1272). Nella regione è stato molto ammirato e imitato. Altro seguace di Giunta che non va dimenticato è il cosiddetto "maestro di S. Chiara", che prende questo nome dalla tavola con l'effigie e le storie della santa nella Chiesa omonima in Assisi.
A distanza di qualche decennio, giunge ad Assisi un altro grande maestro, Cimabue, anch'egli rappresentante legittimo e alto del bizantinismo in Toscana. Della sua opera nella chiesa inferiore è superstite soltanto un affresco raffigurante la Vergine col Bambino e S. Francesco, mentre ci è pervenuta completa, per quanto in mediocre stato, la grandiosa decorazione da lui eseguita nella chiesa superiore: di questi affreschi va ricordata almeno una Crocifissione, impressionante per movimento e per senso tragico.
Ma altri pittori provenienti da Roma, e romani per educazione oltre che per nascita, si sono recati a lavorare nella chiesa superiore di Assisi: quasi certamente Iacopo Torriti, arcaicizzante e bizantineggiante, mentre vi è chi crede che nella chiesa superiore di Assisi abbia lavorato lo stesso Pietro Cavallini, appunto in alcuni affreschi, per i quali è stata autorevolmente affacciata l'ipotesi che possano invece costituire il più antico documento dell'attività pittorica di Giotto (v.).
Nella meravigliosa serie degli affreschi con le Storie di San Francesco - che dobbiamo senza la più piccola esitazione attribuire a Giotto, nonostante le riserche di qualche critico - il grande maestro ci appare rinnovatore, al chiudersi del Duecento, dell'espressione pittorica italiana. Così per quest'opera grandiosa, come per gli affreschi della cappella della Maddalena nella chiesa inferiore di Assisi, eseguiti sicuramente alcuni decennî dopo, Giotto si è dovuto servire di aiuti e di scolari, i quali poi per proprio conto hanno largamente operato in Assisi. Di questi minori maestri è oggi possibile distinguere con sicurezza Maso detto Giottino, mentre tuttora ignoriamo il nome di quello che ha dipinto le vele della vòlta sopra l'altar maggiore della chiesa inferiore con figurazioni indubbiamente notevoli, ma a torto troppo celebrate, e ancor oggi attribuite a Giotto senza alcun giusto motivo.
Giungono per ultimo i Senesi a lavorare nella chiesa inferiore: Simone Martini e Pietro Lorenzetti, coi suoi aiuti.
Fra tutti i pittori recatisi lungo un secolo ad Assisi i Senesi riuscirono a stabilire un dominio duraturo nella regione. Giotto è stato compreso assai poco e non sono molte le pitture trecentesche in tutta l'Umbria nelle quali si riesca, entro varî elementi stilistici contrastanti, a ritrovare con sicurezza un riflesso della sua arte altissima. A Perugia rinveniamo qualche influsso di Cimabue, del Torriti e del Cavallini rispettivamente in alcuni affreschi di S. Giuliano, di S. Bevignate e della Sala dei Notari, ma in ben maggiore misura dominano fino verso la metà del Quattrocento, non solo nel capoluogo ma in tutta la regione, i modi eleganti e piacevoli della pittura di Siena. A Perugia è operosissimo sui primi del Trecento Meo da Siena; a Orvieto per tutto il secolo fiorisce una vera e propria scuola pittorica seneseggiante che è soprattutto rappresentata da Ugolino di Prete Ilario, da Cola Petruccioli, da Andrea di Giovanni. Ma il fenomeno è comune a tutta l'Umbria e ci è dato constatarlo a Gubbio come a Spoleto, a Montefalco come a Terni.
Nella galleria di Perugia troviamo un'opera di Bartolo di Fredi e ne troviamo alcune di Taddeo di Bartolo che recano la data 1403. A questo pittore di Siena ha guardato molto Ottaviano Nelli di Gubbio, che da un altro lato, non insensibile ai richiami che giungevano da Fabriano e da altri centri delle Marche, partecipa a quel largo movimento, che viene chiamato del "gotico internazionale" (v. gotica, arte: La pittura e la miniatura). Un saggio felicissimo della sua arte il Nelli ha lasciato nella Madonna affrescata in S. Maria Nuova di Gubbio (1403), mentre più tardi a Foligno ci appare manierato, sciatto, stranamente arcaicizzante.
Col sopraggiungere nella regione di alcuni tra i più grandi pittori fiorentini del Quattrocento la situazione viene a mutare radicalmente. Finché non ci sarà dato di veder chiaro nella questione della pretesa attività, che appare poco probabile, del Beato Angelico a Foligno, dovremo ritenere che il primo a recarsi in Umbria sia stato Masolino da Panicale, il quale nel 1432 lavora a fresco nel S. Fortunato di Todi. A lui succedono il Beato Angelico, Domenico Veneziano, Benozzo, Filippo Lippi. Benozzo con le opere lasciate a Orvieto, a Narni, a Foligno, soprattutto a Montefalco, e più tardi con quelle inviate a Perugia e a Terni ha - in misura più decisiva che non gli altri - contribuito a produrre un nuovo orientamento negli spiriti. La sua arte piana e amabile poteva essere più facilmente intesa, e dietro le sue orme soprattutto a Foligno (che è così vicina a Montefalco) si è formata una schiera di buoni pittori: tra questi i più ragguardevoli sono Niccolò il Liberatore detto l'Alunno, che con l'andar degli anni si trasforma per l'influsso di elementi pittorici veneti giunti a lui attraverso le Marche, e Pier Antonio Mezzastris, sempre delicato e suasivo, anche se poco vigoroso nella costruzione delle sue figure.
A Perugia l'esempio dei pittori nuovi ha avuto assai maggiore importanza. Notiamo intanto che ivi ha lavorato anche il grandissimo Piero della Francesca, e che Giovanni Boccati da Camerino vi ha importato per conto suo, anche se possiamo credere che non vi fossero più ignorati, alcuni elementi caratteristici della pittura di Filippo Lippi da lui conosciuto a Padova. Occorre soprattutto intendere che gl'influssi dei Fiorentini hanno esercitato ben altra efficacia di quelli dei Senesi, e segnatamente che hanno avuto ben diverso potere formativo. Sorge così una pittura che, senza sottintesi o senza riserve, possiamo chiamare umbra: una pittura la cui mirabile fioritura dura press'a poco sessant'anni, lo spazio di due generazioni, partendo all'incirca dal 1460, e che viene a dare finalmente a Perugia il carattere incontrastato di capitale artistica della regione.
La prima generazione ha i suoi rappresentanti più genuini, e perciò più grandi, in Benedetto Bonfili (la cui attività è tanto rappresentata nella galleria di Perugia) e in Bartolomeo Caporali. Meno puro è Fiorenzo di Lorenzo, il quale muove in origine da una non celata imitazione di Benozzo, ma finisce poi, troppo facile ad essere impressionato da ogni novità, per divenire un eclettico.
Gloria della seconda generazione sono i due più grandi pittori della regione, Pietro Perugino e Bernardino Pinturicchio.
Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino, è nato a Città della Pieve probabilmente il 1445, e di buon'ora si è recato a completare la sua educazione artistica ad Arezzo, presso Piero della Francesca, e più tardi a Firenze, alla scuola del Verrocchio. Ritornato in Umbria con un completo possesso delle leggi della prospettiva e con un vigoroso sentimento plastico, ha saputo piegare le abilità tecniche apprese dai maestri a figurazioni soavi, quali gli erano dettate dal suo temperamento lirico; gli ampî paesaggi dell'Umbria gli hanno suggerito i fondi pieni di atmosfera, coi quali s'intona l'estasi dei personaggi. Per un ventennio l'attività del maestro è infaticabile, e a suggello del periodo più fulgido dell'arte umbra e a conclusione del secolo egli nel 1500 dipinge a Perugia la sala d'udienza nel Collegio del Cambio. In seguito, ripete stancamente gli schemi delle opere gloriose.
Nativo di Perugia è Bernardino di Betto (1454-1513), detto il Pinturicchio, compagno più che scolaro del Perugino. Egli non è un lirico ma un simpatico narratore e un decoratore magnifico: il suo paesaggio si complica e molteplici elementi architettonici e naturali lo ingombrano, i suoi personaggi sono sempre riccamente vestiti e atteggiati con grazia elegante. A Spello, negli affreschi di S. Maria Maggiore, ha lasciato una delle sue opere più significative.
Benché sia nato in Toscana - a Cortona, proprio sui confini dell'Umbria - non può tralasciarsi il nome di Luca Signorelli, che ha lavorato in terra umbra, a Città di Castello e nei dintorni, e sopra tutto a Orvieto, dove, con gli affreschi del duomo, ha lasciato uno dei monumenti più gloriosi della pittura italiana. Né va dimenticato che Raffaello ha completato la sua educazione in Umbria, alla bottega del Perugino.
Il Perugino che sopravvive non solo al Pinturicchio, ma anche al suo grandissimo scolaro, nella vecchiezza estrema s'è visto abbandonato persino dai seguaci più fidi, attratti dal fascino dell'arte dell'Urbinate. Anche Giovanni di Pietro detto lo Spagna dalla sua patria, che pure s'era fatto uno stile abbastanza personale, si pone al seguito di Raffaello, e lo precedono o lo seguono in questa dedizione Eusebio da San Giorgio, Francesco Tifernate, Giovanni Battista Caporali, Giannicola di Paolo, Berto di Giovanni, Mariano d'Austerio, Domenico Alfani, Sinibaldi Ibi. Nessun'opera certa conosciamo sino ad oggi di Andrea d'Aloigi d'Assisi detto l'Ingegno, che il Vasari ricorda come il migliore tra gli scolari del Perugino. Ondeggia, tra l'imitazione del Perugino e quella del Pinturicchio, Tiberio di Diotallevi d'Assisi; più decisamente seguaci del Pinturicchio si debbono riconoscere Pier Matteo d'Amelia e Antonio da Viterbo detto il Pastura. Caratteristiche a parte presenta Bernardino di Mariotto che s'è formato sulle opere del Perugino e del Pinturicchio, e anche del Signorelli e di Raffaello, e che poi nelle Marche sente un tardo richiamo dell'arte di Carlo Crivelli.
Nella seconda metà del Cinquecento l'artista umbro più meritevole di ricordo è Dono Doni da Assisi, ligio come ormai quasi tutti ai modelli di Michelangelo. Per Città di Castello dipingono Cola dell'Amatrice, Raffaellino del Garbo, il Rosso Fiorentino, Giorgio Vasari, Cristoforo Gherardi; opere di Livio Agresti, del Calvaert, del Cavalier d'Arpino sono in alcuni luoghi della regione; sui confini della Sabina, a Narni soprattutto, troviamo i Torresani, curiosa dinastia di pittori originarî di Verona, che dietro le orme del Signorelli e anche di Michelangelo si costruiscono una particolare maniera, non priva di qualche grandiosità; a Todi, Ferraù di Faenza detto il Faenzone si mostra violentemente impressionato dal Giudizio universale della Sistina. Ad Alviano si trova un affresco di Giovanni Antonio Pordenone; a Orvieto lavora Girolamo Muziano e vi porta una risonanza della pittura veneta e vi lascia uno scolaro, Cesare Nebbia; da Venezia viene a Perugia uno dei migliori tra gli scolari del Tintoretto, Antonio Vassilacchi detto l'Aliense, e dipinge per la chiesa di S. Pietro una serie di quadri di grandissime dimensioni. Nel duomo di Spoleto si conserva un dipinto di Annibale Carracci; a Perugia si reca a lavorare Federico Barocci, unico pittore schietto e personale in mezzo alla turba dei manieristi imperanti, e vi suscita un movimento non privo d'importanza.
Fieravante Fieravanti da Bologna, lavorando a Perugia e a Magione, fa. conoscere per primo in Umbria l'architettura del Rinascimento e sarà seguito lungo il Quattrocento e sino ai primi del Cinquecento da molti artisti provenienti dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Toscana, che rinnovano e trasformano e completano e adornano edifici romanici e gotici. Tra quelli che hanno meritato più larga fama basterà ricordare Antonio Marchesi e Giovanni di Gian Pietro da Venezia che hanno lavorato nella chiesa della Madonna delle Lagrime presso Trevi; Ambrogio da Milano che troviamo a Spoleto e a Todi; Rocco da Vicenza che ha operato a Spello, a Foligno, a Trevi, nel santuario di Mongiovino presso Panicale, e altrove. Ma sopra tutti gli altri merita una particolare menzione il fiorentino Agostino di Duccio che ha lasciato a Perugia l'oratorio di S. Bernardino, e la porta San Pietro, recando in Umbria un riflesso dell'arte di Leon Battista Alberti. A Gubbio il palazzo ducale, per il quale si è ancora in dubbio tra i nomi, ambedue grandissimi, di Luciano Laurana e di Francesco di Giorgio Martini, offre un ricordo rimpicciolito ma efficace della famosa reggia di Urbino; a Foligno, a Spoleto e a Città di Castello sono palazzi notevoli, derivati da esempi soprattutto fiorentini.
Una viva risonanza dell'arte del Bramante si sente a Spoleto nel tempio della Manna d'Oro, e soprattutto a Todi nel tempio della Consolazione, che è il più insigne edificio del Rinascimento in tutta l'Umbria. Una tradizione già formatasi nel Cinquecento indica il Bramante come autore del modello, ma fino da principio (1508) vi troviamo "capo maestro" Cola da Caprarola. Altro bell'edificio di gusto bramantesco è la chiesa della Madonna dei Miracoli a Castel Rigone (non lungi da Passignano).
A Orvieto le necessità di restaurare e completare il duomo, e talora il desiderio di modificare all'interno alcuni aspetti, hanno chiamato molti degli architetti più famosi, che anche in altri edifici della città hanno lasciato saggi della loro arte: Michele Sanmicheli, Antonio da Sangallo il Giovane (che è stato anche in altri luoghi dell'Umbria, soprattutto a Perugia e a Terni), Simone Mosca, Raffaello da Montelupo. A Norcia ha lavorato il Vignola, a Città di Castello il Vasari, a Spoleto Annibale de Lippi; la paternità del bellissimo palazzo Cesi ad Acquasparta è tuttora incerta tra Guido Guidetti e Giovanni Domenico Bianchi. Altro importante edificio della seconda metà del Cinquecento è la chiesa della Madonna della neve presso Castel S. Maria (in territorio di Cascia), e in Umbria nascono e lavorano due notevoli architetti, non indegni dell'eredità di Michelangelo: Ippolito Scalza e Valentino Martelli. A Perugia è nato Galeazzo Alessi, che ha lavorato, più ancora che in patria, a Genova e a Milano; a Orvieto è nato Ascanio Vittozzi, che ha lavorato in Piemonte.
Anche per quello che riguarda la scultura ha un'importanza particolare Agostino di Duccio, autore delle figure sulla facciata del suo S. Bernardino a Perugia. Città di Castello, sempre orientata, come le contrade circostanti, specialmente verso la Toscana, ha qualche opera di Andrea e Giovanni della Robbia e di loro seguaci, e qualche saggio di quest'arte si rinviene anche a Santa Maria degli Angeli presso Assisi. Pochi altri scultori del Rinascimento ci sono ricordati in Umbria da opere loro o d'imitatori: Luigi Capponi ad Amelia; Mino da Fiesole, Francesco di Simone Ferrucci e Francesco di Giorgio Martini a Perugia; Benedetto da Rovezzano a Spoleto. Vincenzo Danti ha lasciato nella città nativa, Perugia, qualche buona scultura, e anche Ippolito Scalza è stato, oltre che architetto, un ragguardevole scultore.
Nel Seicento e nel Settecento l'importanza artistica dell'Umbria è limitatissima. È nato a Bevagna Andrea Camassei, che a Roma si è formato con gli ammaestramenti del Domenichino e del Sacchi e con lo studio delle opere di Raffaello; sono di Perugia Gian Domenico Cerrini detto il Cavaliere Perugino, seguace di Guido Reni e del Domenichino, e Pietro Montanini, scolaro di Pietro da Cortona, che riesce ancora a comporre ampî fondi di paesaggio nei suoi quadri. Di Perugia è anche Luigi Scaramuccia, certamente più degno di ricordo come scrittore d'arte che non come pittore, nonostante la sua fecondità. Un ricordo a parte merita forse soltanto Giacomo Giorgetti, scolaro del Lanfranco per la pittura, e autore, nella nativa Assisi, di qualche buona architettura. Ad Assisi è nato anche Francesco Villamena, pittore e soprattutto incisore sulle orme dei Carracci. Vengono poi a lavorare in Umbria, o vi mandano opere, molti dei pittori che durante questo periodo sono riusciti a lasciare un'impronta durevole dell'arte loro. Così a Perugia, a Spoleto, a Orvieto, a Foligno, a Città di Castello si trovano testimonianze dell'attività di Giovanni Baglioni, del Lanfranco, del Guercino, di Rutilio Manetti, di Andrea Sacchi, di Sebastiano Conca, del Benefial, di Gaetano Gandolfi, di Francesco Mancini, di Francesco Appiani, di Cristoforo Unterberger, del Cavallucci, del Lapis, del Corvi. A Orvieto, nel museo, sono alcune buone statue del Seicento e del Settecento provenienti dal duomo: primeggiano, fra tutte, quelle di Francesco Mochi. A Perugia si può ammirare qualche interessante palazzo del Settecento; a Foligno è nato l'architetto Giuseppe Piermarini.
Nell'Ottocento lavorano in Umbria gli architetti Giuseppe Valadier e Virginio Vespignani; a Perugia nascono e lavorano l'architetto Guglielmo Calderini e i pittori Domenico Bruschi e Annibale Brugnoli.
Molto in onore sono state sempre nella regione le arti applicate: principalmente la miniatura, coltivata nel Medioevo e nel Rinascimento anche da artisti di gran valore. Così in varî luoghi dell'Umbria hanno fiorito fabbriche di maioliche, da quelle di Orvieto che risalgono al sec. XII a quelle di Gubbio, famose per i riverberi applicati da Mastro Giorgio. Assai coltivata sempre anche l'oreficeria, in stretta dipendenza durante il Trecento e il Quattrocento da Siena: il mirabile reliquiario del SS. Corporale nel Duomo di Orvieto è opera del senese Ugolino di Vieri (1358). Tra la fine del Quattrocento e il primo trentennio del Cinquecento hanno lavorato a Perugia Francesco di Valeriano da Foligno detto il Roscetto e i suoi figli Federico e Cesarino; nella stessa città troviamo qualche decennio dopo Giulio Danti, nonché Galeazzo Alessi già ricordato come architetto.
L'arte dell'intaglio e dell'intarsio in legno dal Trecento a tutti il Cinquecento ha avuto notevole importanza un po' dappertutto: nelle chiese di Orvieto, di Città di Castello, di Todi, di Perugia sono cori di grande bellezza e ricchezza, e a Perugia converrà ancora ricordare le ornamentazioni lignee del Collegio della Mercanzia e del Collegio del Cambio. A Gubbio durante tutto il Cinquecento ha operato la famiglia dei Maffei, intagliatori meravigliosi dei quali Luca, Antonio e Giacomo sono i più noti.
V. tavv. LXXXV-XCIV.
Bibl.: Oltre alle opere generali di A. Venturi, Storia dell'arte italiana, Milano 1901 segg.; di P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I: Il Medioevo, Torino 1927; di R. van Marle, The development of the Italian schools of painting, L'Aia 1923 segg.; vedi: M. Guardabassi, Indice-guida dei monumenti pagani e cristiani riguardanti l'istoria e l'arte esistenti nella provincia dell'Umbria, Perugia 1872; G. Sacconi, Relazione dell'ufficio regionale per la conservazione dei monumenti delle Marche e dell'Umbria, ivi 1903; W. Rothes, Anfänge und Entwickelungsgänge der alt-umbrischen Malerschulen, insbesondere ihre Beziehungen zur frühsienesischen Kunst, Strasburgo 1908; A. Serafini, Ricerche sulla miniatura umbra (secoli XIV, XVI), in L'Arte, XV (1912), pp. 41-66, 99-120, 233-262, 417-449; E. Jakobsen, Umbrische Malerei des XIV., XV., XVI. Jahrh. Studien in der Gemäldegalerie zu Perugia, Strasburgo 1914; O. Fischel, Die Zeichnungen der Umbrer, Berlino 1917; U. Gnoli, Pittori e miniatori nell'Umbria, Spoleto 1923; G. de Francovich, Un gruppo di sculture in legno umbro-marchigiane, in Boll. d'arte, n. s., VIII (1928-29), pp. 481-512; G. Castelfranco, Madonne romaniche in legno, in Dedalo, X (1929-30), pp. 768-78; G. de Francovich, Una scuola d'intagliatori tedesco-tirolesi e le Madonne romaniche umbre in legno, in Bollettino d'arte, XXIX (1935-36), pp. 207-28. Vedi anche la bibliografia citata sotto le singole voci di città e di artisti.