UMBRIA (XXXIV, p. 654; App. II, 11, p. 1057; III, 11, p. 1010)
Nel 1970, con l'attuazione dell'ordinamento regionale, l'U. è divenuta una delle quindici regioni a statuto ordinario. Lo statuto regionale è stato approvato con l. n. 344 del 22 maggio 1971. La regione, con capoluogo Perugia, comprende il territorio delle due province di Perugia e di Terni, con una superficie complessiva di 8456,04 km2, che la pone al sedicesimo posto fra le regioni italiane, seguita dal Friuli-Venezia Giulia, dalla Liguria, dal Molise e dalla Valle d'Aosta. La popolazione ammontava nel 1961, secondo i risultati definitivi del X censimento, a 794.745 unità, l'i % in meno rispetto al 1951; più sensibile è il calo demografico nel decennio successivo: alla data dell'ultimo censimento (ottobre 1971) gli abitanti erano 775.783, con un saldo negativo del 2,4%. Per la popolazione presente si sono registrati ancora nel 1971 valori inferiori a quelli della residente, il che conferma la tendenza a un'ulteriore perdita di abitanti. Il fenomeno, che sembra però in via di riduzione secondo una stima della popolazione del dicembre 1978 (popolazione residente: 805.329), investe ambedue le province, ma è più evidente in quella di Perugia, nel cui territorio sono comprese le aree montane più elevate - soggette nell'ultimo ventennio a un generale abbandono - e gran parte delle aree di media e alta collina, interessate a loro volta da un intenso esodo di abitanti.
La diminuzione di popolazione è conseguenza in primo luogo dell'emigrazione, diretta soprattutto verso le regioni vicine (nel Lazio, e in particolare a Roma, si trasferiscono circa la metà degli emigrati), e solo in parte compensata da modeste correnti di rientro. Al saldo migratorio negativo (-55.000 unità nel decennio 1961-71) si aggiunge una riduzione dell'incremento naturale, che è sceso a valori nettamente inferiori a quelli medi dell'Italia (5,7‰ all'anno nel periodo 1952-60,4,7‰ nel periodo 1962-70), in connessione con l'abbassamento del tasso di natalità anche a causa del progressivo invecchiamento della popolazione.
La densità media è passata da 93 abitanti per km2 nel 1961 a 92 nel 1971 (87 nella provincia di Perugia, 105 in quella di Terni), ma sembra in aumento negli ultimi anni (stima dicembre 1978: densità media, 95 ab./km2, provincia di Perugia 91 ab./km2, provincia di Terni 108 ab./km2). Si sono accentuate le differenze fra le diverse zone altimetriche, in seguito agl'intensi spostamenti verificatisi all'interno della regione, verso le piane vallive e verso i centri maggiori. Nei comuni capoluoghi di provincia si concentra ora poco meno di un terzo della popolazione umbra, mentre aree a bassa densità sono in particolare i comuni montani della Val Tiberina e dell'alto Chiascio, l'Orvietano, le colline circostanti il Trasimeno, la conca di Gubbio, la parte centrale della catena Martana, la Valnerina e il Nursino.
Anche la distribuzione degli abitanti in centri, nuclei e case sparse è sostanzialmente mutata. La popolazione dei centri è passata dal 49% nel 1951 al 56% nel 1961, al 67% nel 1971; quella dei nuclei e delle case sparse si è ridotta, in vent'anni, da oltre la metà a meno di un terzo del totale dei residenti. I centri sono 770, in maggior parte di piccole dimensioni (meno di 500 abitanti); soltanto sei superano le 10.000 unità (Terni, Perugia, Foligno, Città di Castello, Spoleto, Gubbio). Terni, con 75.873 abitanti nel centro urbano, è la maggiore città, seguita da Perugia con 65.975 e da Foligno con 26.887. Fra i centri minori, soltanto alcuni hanno avuto un notevole incremento (per es.: Bastia, Deruta); in qualche caso si è verificato uno sdoppiamento, con la formazione di nuovi centri in pianura, meglio ubicati rispetto alle vie di comunicazione e all'insediamento di attività industriali (per es.: Santa Maria degli Angeli, Narni Scalo, Orvieto Scalo).
Condizioni economiche. - La popolazione attiva in condizione professionale è diminuita da 310.894 unità nel 1961 (39,1% della totale) a 268.166 nel 1971 (34,6%, valore molto vicino a quello medio nazionale); la diminuzione deriva, oltre che dalla situazione demografica, anche dalla maggiore scolarizzazione e dal basso tasso occupazionale della manodopera femminile. Notevoli spostamenti sono avvenuti fra i diversi settori di attività, sicché la composizione della popolazione attiva appare sensibilmente modificata. Gli occupati nell'agricoltura sono passati da 193.261 nel 1951 a 55.439 nel 1971, cioè da oltre la metà a un quinto della popolazione attiva; gli occupati in attività industriali sono aumentati in vent'anni da 86.000 a 115.000 (dei quali 68.650 nelle industrie estrattive e manifatturiere), e rappresentano ora circa il 43% degli attivi. L'incremento più elevato, sia in valore assoluto che relativo, è stato quello del settore terziario, nel quale il numero delle persone occupate è salito da 62.346 nel 1951 (18,4% degli attivi) a 97.726 nel 1971 (36,4% degli attivi, di cui circa la metà assorbita dai servizi e dalla pubblica amministrazione).
L'agricoltura è passata dal primo all'ultimo posto fra le attività produttive, con una forte riduzione della manodopera impiegata, a cui si aggiunge anche un calo nel valore relativo della produzione agricola, che nel 1970 corrispondeva a meno di un decimo del reddito totale della regione. La superficie coltivata era nel 1974 di 422.000 ettari, circa un quarto in meno rispetto al 1960. Il numero delle aziende agricole è passato, tra il 1961 e il 1970, da 78.000 a 62.000; sono diminuite in particolare le aziende di superficie inferiore a 20 ha, mentre si è avuto un certo aumento di quelle di maggiore estensione. La colonia parziaria, che era tradizionalmente la forma di conduzione più diffusa, è rapidamente decaduta: circa 16.000 famiglie mezzadrili (quasi due terzi di quelle esistenti nel 1961) hanno abbandonato i poderi negli ultimi dieci anni; nel 1975 le aziende condotte a mezzadria erano poco più di un decimo del totale, mentre quelle a conduzione diretta ne rappresentavano l'80%.
Per quanto riguarda le singole colture, è da notare la riduzione di circa il 30%, rispetto al 1960, della superficie destinata al frumento, la cui produzione si è mantenuta attorno ai tre milioni di quintali, grazie all'aumento della resa unitaria (24,6 q/ha); il granoturco, nello stesso periodo, su una superficie leggermente ridotta ha triplicato la produzione (da 400 a circa 1.230.000 q nel 1978), in seguito all'introduzione, ormai generalizzata, degl'ibridi. La coltura del tabacco non ha registrato sensibili variazioni (77.000 q nel 1973), mentre è in progresso quella della barbabietola da zucchero (672.400 q di barbabietola nel 1978). Un posto di rilievo nell'agricoltura umbra occupano ancora le colture legnose, specialmente la vite, che negli ultimi quindici anni ha migliorato e aumentato la produzione (1.100.000 q di uva e 772.600 hl di vino nel 1978), con una tendenza all'abbandono dei tradizionali sistemi di coltura promiscua e all'impianto di vigneti specializzati, specie nella bassa collina (44.349 ha di coltura secondaria, e 23.401 ha di coltura principale nel 1978). L'olivo ha visto aumentare un poco la superficie ad esso destinata, con un raccolto di poco più di 300.000 q di olive in media. Scarso peso hanno ancora la frutticoltura e l'orticoltura, praticate su piccole aree soprattutto per il consumo familiare. Notevole la raccolta dei tartufi (circa un quarto del totale nazionale negli ultimi anni) che si effettua nella val di Nera e nel Nursino.
L'allevamento del bestiame appare in regresso dal 1960, a eccezione di quello suino; quest'ultimo infatti ha fatto registrare un continuo aumento del numero di capi allevati, che hanno raggiunto i 555.000 nel 1978; l'allevamento bovino, condizionato anche dalla scarsa produzione di foraggi, ha subìto una progressiva flessione (circa 186.000 capi nel 1978), mentre sembrano in ripresa, dopo un sensibile calo, gli ovini (201.000).
L'industria resta caratterizzata da poche grandi imprese, che si concentrano nei due capoluoghi provinciali, e da un buon numero di piccole imprese, che occupano ciascuna meno di 10 addetti. Le quattro maggiori (Perugina e Spagnoli a Perugia, Terni e Polymer a Terni) assorbono quasi un quinto dei 70.000 addetti alle industrie manifatturiere della regione. Oltre ai rami metallurgico e chimico, hanno particolare rilievo quello alimentare, meccanico, dell'abbigliamento, della lavorazione del legno e delle ceramiche artistiche. L'industria delle costruzioni ha avuto un notevole impulso nell'ultimo decennio (circa 3000 piccole imprese operavano nel 1971), anche in relazione con l'espansione edilizia intorno alle maggiori città e nelle piane vallive (più di un quarto delle abitazioni risultavano, al censimento 1971, costruite dopo il 1960). L'industria estrattiva, dopo la chiusura delle miniere di lignite dello Spoletino, limita ora la sua attività a qualche cava di materiali da costruzione. L'utilizzazione idroelettrica delle acque del Nera e del Tevere è stata completata con la costruzione di nuove centrali, che hanno portato la potenza installata a 660.000 kW, ai quali si aggiungono 255.000 kW delle centrali termoelettriche, con una produzione totale, nel 1976, di circa 2500 milioni di kWh, in parte destinata al consumo fuori della regione.
In aumento l'attività turistica (oltre 600.000 ospiti nel 1975, di cui circa un quarto stranieri), anche se persiste una certa carenza di attrezzature ricettive ed è d'ostacolo l'isolamento in cui si trova l'U. rispetto ai grandi assi di comunicazione, sia stradali che ferroviari, della penisola; l'Autostrada del Sole corre ai margini occidentali della regione, ma sono stati completati i raccordi con Terni e Perugia. È sensibilmente migliorata la rete delle comunicazioni interne (6226 km, di cui 1410 di strade statali e 2498 di provinciali), e in particolare si sono agevolati, mediante la costruzione di superstrade, i collegamenti lungo la Valle Umbra (Perugia-Foligno) e fra Perugia e Terni.
Bibl.: R. Riccardi, Memoria illustrativa della carta della utilizzazione del suolo dell'Umbria, Roma 1966; N. Federici-L. Bellini, L'evoluzione demografica dell'Umbria dal 1861 al 1961, Perugia 1966; H. Desplanques, Campagnes ombriennes, Parigi 1969; M.R. Prete Pedrini, Umbria, in Le Regioni d'Italia, vol. IX, Torino 1974.
Archeologia. - I due centri maggiori nella zona etrusca della regione sono Orvieto e Perugia. Le ricerche condotte negli ultimi anni permettono una più approfondita conoscenza delle necropoli arcaiche di Orvieto, in particolare di quella di Crocifisso del Tufo, databile al 6°-inizi del 5° secolo a. C.: le tombe, per lo più a camera, sono disposte secondo uno schema planimetrico regolare, con strade ortogonali. Limitate ricerche nella necropoli di Cannicella hanno accertato la sovrapposizione di tombe di età diversa dagl'inizi del 6° agl'inizi del 5° secolo a. Cristo. La recente scoperta, in via della Cava, di un tratto di muro databile al 4° secolo a. C. ha dato nuovi argomenti alla tesi dell'identificazione di Orvieto con Volsinii Veteres che, come attesta Zonara, era circondato da un τεῖχος ὀχυρώτατον (Epit. Hist., VIII, 7). I trovamenti di resti villanoviani sotto la chiesa di S. Andrea testimoniano inoltre già in quel periodo la presenza di un abitato nel sito in cui si svilupperà il centro etrusco di Orvieto.
Le ricerche condotte a Perugia negli ultimi anni hanno aperto nuove prospettive sulla storia più antica della città: si è infatti accertata la presenza di una facies villanoviana. I trovamenti sono avvenuti intorno al nucleo centrale della città: si pone pertanto il problema se già in quel periodo (i materiali sono databili circa all'8° secolo a.C.) sorgesse sull'altura di Perugia un vero e proprio centro abitato o se non vi fossero piuttosto diversi piccoli nuclei sparsi da cui in età successiva nasce la città. Negli ultimi anni si è andata meglio delineando la fase arcaica di Perugia, in particolare a seguito degli scavi della necropoli del Palazzone. Se ricolleghiamo i trovamenti delle tombe arcaiche del Palazzone alle poche notizie di trovamenti di età arcaica a Perugia (necropoli dello Sperandio, di Monteluce), al rinvenimento in viale Pellini di un alfabetario etrusco databile alla seconda metà del 6° secolo a.C., nonché agl'importanti trovamenti dello stesso periodo nel territorio (San Mariano, San Valentino di Marsciano), si delinea una fase di sviluppo del territorio perugino nella seconda metà del 6° secolo a. Cristo. Frequenti sono stati anche i trovamenti di tombe databili al 3°-1° secolo a.C.; in età ellenistica si può pertanto delineare il quadro di una città fiorente e popolosa: tale situazione di benessere appare bruscamente interrotta dal bellum Perusinum.
All'U. attuale appartiene parte dell'antico territorio di Chiusi, nel quale di recente si è scoperta, in località Gioiella, una necropoli di età ellenistica. Ma il trovamento più rilevante in questa zona è quello di una necropoli protovillanoviana nei pressi di Panicarola, vicino al lago Trasimeno. L'interesse del trovamento è accresciuto dalla localizzazione della necropoli, non lontana dagl'insediamenti protovillanoviani del Monte Cetona, dal ripostiglio del Goluzzo e a circa 15 km dal centro villanoviano ed etrusco di Chiusi.
Assai meno chiara di quella dell'U. etrusca è la situazione storica dell'U. alla sinistra del Tevere, che sappiamo abitata in età preromana da popolazioni italiche. Le ultime ricerche hanno allargato le nostre conoscenze. Gli scavi condotti sull'altipiano di Colfiorito di Foligno hanno permesso d'identificare - oltre alla città romana di Plestia - una vasta necropoli a inumazione databile dalla fine del 9° al 1° secolo a.C.: il gruppo più cospicuo di tombe è inquadrabile tra la seconda metà del 6° e il 4° secolo a. Cristo. Dal primo studio del materiale si possono ipotizzare rapporti commerciali e culturali sia verso il Tirreno, con l'ambiente etrusco, che verso l'Adriatico con quello piceno. A Colfiorito è stato parzialmente scavato anche un luogo di culto di età preromana, in uso circa dal 5° al 1° secolo a.C., nel quale si sono rinvenute iscrizioni umbre con dedica alla dea Cupra: il santuario sull'altipiano ebbe probabilmente funzione di luogo d'incontro per le popolazioni umbre della zona, la cui economia era basata sulla pastorizia. Tale funzione ebbero anche altri santuari a noi già noti (Ancarano di Norcia, Villa San Silvestro di Cascia), mentre in altri casi (Monte Torremaggiore di Cesi) i santuari si trovano sulla sommità dei monti. È questo il caso del santuario scoperto sul Monte San Pancrazio sopra Calvi dell'Umbria. Un luogo di culto è stato recentemente identificato anche nella Grotta Bella presso Montecastrilli. In seguito alla penetrazione romana, la regione raggiunse l'unità politica e culturale. Alla fine del processo di romanizzazione, in età augustea e nel primo secolo dell'Impero, l'U. sembra godere di notevole prosperità economica, almeno a giudicare dai monumenti conservati. Veicolo efficace di commerci e d'influssi culturali fu la Flaminia: lungo questa via e lungo il diverticolo che passava per Terni e Spoleto sorgono o si sviluppano centri notevoli: molti dei monumenti di tali centri ci erano già noti; in altri si sono eseguiti ricerche e restauri negli ultimi anni. A Otricoli sono stati compiuti scavi nel teatro; a Spoleto è stato messo in luce il teatro ed è stato isolato il podio del tempio su cui fu successivamente costruita la chiesa di S. Ansano. In connessione con la Flaminia si sviluppò il centro di Carsulae, oggetto negli ultimi 20 anni di scavi sistematici che hanno messo in luce il tessuto urbanistico della città: sono stati scavati il teatro, l'anfiteatro, la basilica e il foro, su cui sorge un tempio gemino. Al di fuori dell'Arco di S. Damiano sono state parzialmente ricomposte due tombe monumentali. Altre scoperte si sono verificate ad Amelia, Nocera, Spello, Foligno, Assisi, Perugia Vecchia di Deruta. Vedi tav. f. t.
Bibl.: Problemi di storia e archeologia dell'Umbria. Atti del I Convegno di studi umbri, Gubbio (26-31 maggio 1963), 1964; H. Blanck, in Arch. Anz., 1970, p. 318 segg.; Scavi e scoperte, in St. Etr., XLI (1973), p. 517 segg.; Aspetti e problemi dell'Etruria interna. Atti dell'VIII convegno nazionale di studi etruschi e italici, Orvieto (27-30 giugno 1972), 1974, passim; U. Ciotti, Orvieto, Perugia e l'Umbria anche come mediatrice di scambi con l'Adriatico, ibid., p. 151 segg.
Orvieto: M. Bizzarri, in Enc. Arte Ant., sub v. orvieto; per Crocifisso del Tufo; M. Bizzarri, in St. Etr., XXX (1962), pp. 1-151; ibid., XXXIV (1966), pp. 3-109; G. A. Mansuelli, ibid., XXXVIII (1970), pp. 3-12; per Cannicella: in St. Etr., XLI (1973), p. 519 seg.; per Via della Cava: M. Bizzarri, in Boll. ist. storico-artistico orvietano, XIX-XX (1963-64); id., in Studi sulla città antica, 1970, p. 153 segg.; M. Cagiano de Azevedo, in La parola del passato, XXVII (1972), p. 239 segg.; R. A. Staccioli, ibid., p. 246 segg.; id., Volsinii etrusca, in Aspetti, p. 207 segg.
Perugia: Enc. Arte Ant., sub v. perugia; M. Bizzarri, in Not. Sc., suppl. 1965, p. 126 segg.; A.E. Feruglio, Iscrizione latina rinvenuta in Perugia, in Boll. deputaz. storia patria, LXXII (1970), p. 163 segg.; A. J. Pfiffig, Via Thorrena, in Annali Fac. Lett. Perugia, VI (1970), p. 325 segg.; A. E. Feruglio, in Aspetti, cit. p. 156 segg.; per l'alfabetario: A. E. Feruglio, in St. Etr., XLI (1973), p. 293 segg.
Colfiorito: L. Ponzi Bonomi, in Aspetti, p. 158; in St. Etr., XLI (1973), p. 518 seg.
Panicarola: in St. Etr., XLI (1973), p. 520.
Spoleto: U. Ciotti, in Enc. Arte Ant., sub v. spoleto.
Carsulae: U. Ciotti, Carsulae, in San Gemini e Carsulae, 1976, p. 9 segg.