UMM AR-RAṢĀṢ (Κάστρον Μεφαα)
Le imponenti rovine di U. R. si trovano nella steppa 30 km a SE di Madaba in Giordania, a Ν dello wādī Muğib (Arnon). L'iscrizione dedicatoria della chiesa di S. Stefano ha restituito l'antico nome della località, Kastron Mephaa. Il toponimo è conosciuto da Eusebio come sede di un distaccamento dell'esercito romano al margine della steppa e da lui identificato con la località biblica di Mefa'at, città della tribù di Ruben sull'altopiano di Moab (los., 13, 18 e 21, 31: lxx; Ier., 48, 21). La Notitia Dignitatum pone Mephaa tra i campi fortificati dipendenti dal Dux Arabiae, dove erano acquartierati gli équités promoti indigenae (Not. Dign., 80, 8.19, O. Seek, Berlino 1876). Lo storico arabo al-Bakrī cita Mayfa'at come un villaggio della Belqā di Siria nella sua opera Mu'ğam mā ista'ğam (11, p. 569 Wüstenfeld, Gottinga 1877).
Le rovine, che occupano un'elevazione dell'altopiano, sono composte da un campo fortificato e dal quartiere sviluppatosi a Í del campo stesso occupando una superficie quadrangolare di c.a 330 m di lato. Il campo fortificato, con alte e poderose mura con contrafforti e torri, misura 158 m (in direzione E-O) per 139 m (in direzione N-S). All'interno, tra le rovine, si possono identificare quattro chiese; tra i resti del quartiere al di fuori delle mura ne sono state identificate otto. L'indagine archeologica, iniziata nel 1986, è condotta dallo Studium Biblicum Franciscanum e dal Dipartimento delle Antichità di Giordania sotto la direzione di M. Piccirillo nel quartiere extra moenia e dalla Fondazione Max van Bereitem di Ginevra all'interno del Castrum.
Nelle prime tre campagne di scavo nel quartiere extra moenia è stata riportata alla luce gran parte di un esteso complesso ecclesiastico sul limite settentrionale delle rovine, comprendente due chiese mosaicate (la chiesa del vescovo Sergio a Ν e la chiesa di S. Stefano a SE), più un cortile lastricato a SO, successivamente trasformato in chiesa, con il presbiterio addossato all'abside poligonale di una quarta chiesa lastricata sopraelevata. Un battistero e una cappella funeraria, a O della chiesa del vescovo Sergio, e una cappella a S della chiesa del Cortile completavano il complesso liturgico del quale facevano parte anche alcuni vani di abitazione a E e a O.
Le due chiese mosaicate, con cortile e battistero, costituivano un unico ampio spazio sacro coperto intercomunicante, caratteristica che fa ipotizzare un luogo di riunione di folle, almeno in determinate occasioni, e cioè un santuario particolarmente visitato dai cristiani della città e della regione. Alla stessa conclusione portano sia la ristrutturazione dell'ambiente di servizio Ν della chiesa di S. Stefano, trasformato in cappella-martỳrion con l'aggiunta di un'abside e di un altare, sia le numerose iscrizioni del mosaico con i nomi e i ritratti dei benefattori inserite nei pressi di questa cappella.
Le date che accompagnano il mosaico delle due chiese aiutano a precisare cronologicamente lo sviluppo architettonico del complesso. Nel 586/87, al tempo del vescovo Sergio di Madaba, fu costruita e mosaicata la chiesa che ne porta il nome, a NE della chiesa lastricata preesistente nell'area. Successivamente, ma già in epoca omayyade, fu costruita la chiesa di S. Stefano, a una quota sopraelevata di c.a 1 m, in un'area almeno in parte utilizzata a scopo funerario. Nel 756, al tempo del vescovo Giobbe, il pavimento mosaicato del presbiterio venne rinnovato, e il mosaico rifatto dal mosaicista Staurachios di Esbous con il suo collega Euremios. Al tempo del vescovo Sergio II, certamente nell'VIII sec., un'altra équipe di mosaicisti decorò il corpo della chiesa. Malgrado i danni subiti a causa dell'intervento iconoclastico, da datare a dopo il 785 e perciò in epoca abbaside, il programma decorativo della chiesa di S. Stefano costituisce uno dei più elaborati esempî dell'arte del mosaico finora scoperti nella regione. Notevoli sono le 28 vignette con i rispettivi toponimi: motivo decorativo di grande interesse, confrontabile con altri analoghi già ben attestati in Giordania nei mosaici di Gerasa (chiesa di S. Giovanni e dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo) di Khirbet es-Samra (chiesa di S. Giovanni), di Nebo (chiesa dei Ss. Lot e Procopio), di Ma'in (chiesa sull'acropoli) e di Madaba (la famosa «Carta»), oltre a due vignette del mosaico della chiesa del vescovo Sergio.
Sedici scene decorano gli intercolumnì con due serie continue di città della Palestina a Í di Gerusalemme (Neapolis-Nablus, Sebastis-Samaria, attuale Sebasṭiya, Kesaria-Cesarea Marittima, Diospolis-Lidda, Eleutheropolis- Beit Gibrin, Askalon, Gaza), e di città dell'Oltregiorda- no a S (Kastron Mephaa-U.-R. in due scene, Philadelphia- 'Ammân, Midaba-Madaba, Esbous-Ḥesbān, Belemounta- Ma'in, Areopolis-Rabba, Charakmoba-el-Kerak); a queste bisogna aggiungerne due delle navate laterali (Diblaton e Limbon-Libb); dieci episodi figurativi accompagnano infine la fascia nilotica che circonda il tappeto centrale (Alexandria, To Kasin, Thenesos, Kynopolis, Tamiathis, Pseudostomon, To Eraklion, Antinaou, Panaou, To Pilousirn).
A parte la scena di Neapolis, nella quale è raffigurata la facciata di un tempio o di una chiesa, e la seconda vignetta di Kastron Mephaa, resa con una colonna nel cortile di un santuario, le altre città degli intercolumnî ricalcano lo schema di città poligonale con cinta di mura turrite della tradizione cartografica ellenistico-romana. Per le dieci scene della fascia nilotica e per le due delle navate laterali, i mosaicisti hanno utilizzato l'immagine isolata di un edificio, con varianti: p.es., un doppio edificio affiancato da torri, un edificio a pianta centrale colonnato coperto con i due edifici affiancati di sbieco sormontati da una cupola conica, oppure un edificio a torre isolato.
Il mosaico di S. Stefano, oltre ad attestare la presenza nella steppa giordana della vita urbana cristiana organizzata in un periodo così tardo (una realtà per ora insospettata), testimonia la persistenza, per lo stesso periodo, dei temi che si erano affermati progressivamente nei mosaici di Giordania e che ebbero la massima fioritura durante l'epoca giustinianea. Tali temi non sono da vedere come semplici ricordi del passato, ma come continuazione e ripresa di una tradizione di origine classica mai interrotta, grazie ai mosaicisti che operavano nell'area, raggruppati sotto la denominazione di Scuola di Madaba.
Bibl.: J. Bujard e altri, Fouilles de la mission archéologique suisse (Fondation Max van Berchem) à Umm er-Rasas et Umm el-Walid en 1988, in AAJ, XXXII, 1988, pp. 101-113; M. Piccirillo, Les églises paléochrétiennes d'Umm er-Rasas (Jordanie). Cinq campagnes de fouilles, in CRAI, 1991, pp. 273-294; AA.VV., Entre Byzance et l'Islam. Umm er-Rasas et Umm el-Walid. Fouilles genevoises en Jordanie (cat.), Ginevra 1992; J. Bujard, M. Piccirillo, M. Poiatti-Haldimann, Les églises géminées d'Umm er-Rasas. Fouilles de la mission archéologique suisse (Fondation Max van Berchem), in AAJ, XXXVI, 1992, pp. 291-306; M. Piccirillo, E. Alliata, Umm al-Rasas-Mayfa'ah, I. Gli scavi del complesso di Santo Stefano (Studium Biblicum Franciscanum, Collectio Maior, 28), Gerusalemme 1994.
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