Umore
Umore (dal latino humor o umor derivato di (h)umere, "essere umido") indica propriamente una sostanza liquida o semiliquida; in senso figurato il vocabolo sta a significare indole, carattere, ma anche, più frequentemente, un atteggiamento transitorio, soprattutto con riferimento a una particolare disposizione dell'animo, incline a letizia oppure a tristezza. In psicologia il termine, legato alla tradizione medica ippocratico-galenica, venne a lungo usato per definire i fluidi corporei che erano ritenuti essere alla base dei differenti temperamenti (v.); attualmente è impiegato nella terminologia relativa all'affettività (v.).
Il termine umore risale alla teoria di Ippocrate e di Galeno, che ha costituito uno dei fondamenti della medicina occidentale fino al 18° secolo: una giusta mescolanza dei quattro umori (sangue, flemma, bile gialla, bile nera) determina lo stato di salute, mescolanze inadeguate causano la malattia o peculiarità temperamentali che a essa predispongono (la prostrazione e la letargia chiamano in causa un eccesso di flemma, la melanconia un eccesso di bile nera). Coniugandosi con la speculazione cosmologica empedoclea la teoria umorale diede origine a un complesso sistema antropocosmologico che identificava analogie e corrispondenze tra i quattro umori, le quattro sostanze dell'Universo (terra, fuoco, acqua, aria), le quattro qualità sostanziali (freddo, caldo, umido, secco), le quattro stagioni e le quattro età della vita (infanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia). In questa concettualizzazione cosmologico-biologico-psicologica uomo e cosmo sono inscindibilmente legati: con la mediazione degli umori, i ritmi del cosmo sono i ritmi dell'uomo e l'uomo vive e si ammala ai ritmi del cosmo (Bottani 1992). Nel tempo la relazione tra uomo e natura, tra mondo interno ed esterno, che la teoria umorale aveva colto, si è perduta e il termine umore ha finito per identificare uno stato subiettivo che nasce dai fondali oscuri della biologia più arcaica del cervello. La relazione tra mondo interno ed esterno si è invece mantenuta nel termine tedesco Stimmung, che include un'originaria dimensione acustico-musicale e rinvia a qualcosa che unisce uomo e cosmo in un reciproco rimando, 'accordandoli' sullo stesso tono.
Come ricorda M. Heidegger (1983), in psicologia gli stati affettivi sono considerati privi di consistenza e di solidità, al pari delle ombre delle nuvole che coprono il paesaggio (Froment-Meurice 1985), e per questo relegati al rango di fenomeni accompagnatori degli altri processi psichici di cui non sono che "lo splendore e il fulgore, oppure la tenebra" (Heidegger 1983, trad. it., p. 87). L'inconsistenza e sfuggevolezza dell'umore, che non pochi problemi concettuali e definitori hanno creato alla psicologia e alla psichiatria, sono peraltro consustanziali all'etimologia che rinvia all'elemento liquido cui la medicina grecoromana accordava un ruolo primario nello stato di salute e di malattia. L'umore (con i sentimenti e le emozioni) fa parte della cosiddetta timopsiche (psiche affettiva o affettività), cui si riconosce in senso filogenetico e ontogenetico una posizione intermedia tra 'noopsiche' (psiche cognitiva) e 'sofropsiche' (psiche istintuale e pulsionale), e in senso funzionale la tendenza a conferire una valenza edonica (piacere/dispiacere) o di valore (valore/disvalore) ai contenuti di coscienza. Il portato di quest'attività è costituito dalle puntiformi e configurate esperienze cognitivo-affettive che sono rappresentate dai sentimenti e dalle emozioni, e dall'informe e pervasivo stato affettivo definito umore. Come da alcuni sentimenti (sentimenti dell'Io) prendono corpo le emozioni (per il loro critico intensificarsi e il correlato coinvolgimento somatovegetativo), da altri sentimenti (sentimenti somatici e sentimenti dell'Io subiettivi) deriva l'umore (per il loro concomitare, avvicendarsi, potenziarsi e contrapporsi). Il mescolarsi, confondersi e dissolversi delle valenze edoniche dei sentimenti che pervadono lo stato di coscienza esitano nella relativa calma e indifferenza dell'umore quotidiano, fatto più di accenni di sentimenti e inclinazioni che di passioni (Gemelli-Zunini 1947): uno stato informe e stabile, pur se suscettibile di essere attraversato da configurazioni affettive edonicamente pregnanti (sentimenti, emozioni) e di oscillare, in rapporto a fattori psichici o somatici, verso l'una o l'altra polarità edonica. L'umore, infatti, tende a mantenere la sua fondamentale impronta edonica configurandosi come attributo stabile della personalità. Le definizioni della letteratura psicologico-psichiatrica concordano nel considerare l'umore uno stato affettivo di minore intensità e di maggior durata e pervasività (influenza molteplici attività psichiche e 'colora' la percezione del mondo) rispetto ai sentimenti e alle emozioni, caratterizzato da una relativa stabilità e indipendenza dai fattori ambientali. Discordanti sono invece le definizioni dello stato affettivo identificato come umore, etichettato talora come affetto, stato affettivo o stato d'animo, talora come sentimento, o somma dei sentimenti, e ancora come emozione, stato emozionale, somma o insieme di emozioni. Frequente è anche il ricorso a termini figurati quali tonalità, tono, disposizione, atmosfera, affiancati ora dagli aggettivi affettivo, edonico, ora da quelli basale o fondamentale. Il ricorso ai termini sentimento ed emozione non è corretto in quanto l'umore non s'identifica con essi; del pari è improprio considerare l'umore una somma o un insieme di emozioni o sentimenti, in quanto l'umore è qualcosa di più e di diverso, una sorta di neoprodotto alchemico dei sentimenti. Se i sentimenti e le emozioni sono un'impressione puntiforme, il vissuto di un istante, l'umore è uno stato, una condizione duratura; se i sentimenti e le emozioni sono molteplici, l'umore è unico; se i sentimenti e le emozioni rimandano alla biografia, l'umore è astorico; se i sentimenti e le emozioni sono intenzionali, l'umore non lo è; se i sentimenti e le emozioni influenzano in modo parcellare le attività psichiche, l'umore incide su di esse in modo pervasivo. I concetti di umore di fondo (Untergrund) e di umore di sfondo (Hintergrund), elaborati da K. Schneider (1950), da intendersi in senso non descrittivo ma funzionale, consentono di chiarire alcuni aspetti connessi con la genesi dell'umore. L'umore di fondo è, infatti, per Schneider, un "fondale sotterraneo non vissuto, non motivante, ma agente in maniera puramente causale" (trad. it., p. 65), che determina e sostiene lo stato d'animo medio, normale, ordinario; su di esso agiscono vari fattori (avvenimenti, momenti della giornata, condizioni atmosferiche, sonno, cenestesi, soddisfazione dell'appetito, sostanze voluttuarie, musica) modificandolo oppure trasformandolo. L'umore di sfondo è considerato, invece, un vissuto affettivo motivato da un evento, imputabile a una causa somatica oppure emergente dal fondo non vissuto ('giornate nere') che, a distanza di tempo dal momento in cui ha avuto origine, influenza la risposta emotiva a un altro avvenimento, rafforzandola o inibendola. La risonanza affettiva, che come i sentimenti somatici e psichici non reattivi è costitutiva dell'umore, riconosce quindi le sue determinanti nell'umore di fondo e in quello di sfondo. L'umore, pur stabile, può declinarsi secondo alcune dimensioni fondamentali. La tonalità o qualità edonica (piacevole/spiacevole), in passato ricondotta a una dimensione bipolare (positiva/negativa), attualmente è considerata più correttamente misurabile su due dimensioni indipendenti (una positiva e una negativa) sottese da distinti sottosistemi psiconeurofisiologici. Altre dimensioni che consentono di descrivere le variazioni dell'umore sono quelle relative all'intensità (dalla relativa indifferenza a una forte connotazione edonica positiva o negativa), alla stabilità/variabilità (frequenza dei cambiamenti di umore), alla reattività/irresponsività ai fattori ambientali. In termini descrittivi sono state proposte varie distinzioni dell'umore, che sono riconducibili in parte alle suddette caratteristiche. Per umore di fondo s'intende una connotazione edonica stabile, relativamente indipendente da situazioni e stimoli ambientali, che costituisce una caratteristica durevole della personalità; l'espressione 'stato dell'umore' si riferisce invece all'umore di un dato momento in rapporto all'equilibrio somatobiologico, ai contenuti di pensiero, alle situazioni esistenziali. Nella letteratura psicologica si parla di umore conscio e inconscio in rapporto al livello di consapevolezza dello stato affettivo e delle sue determinanti. È una distinzione basata sull'assunto che una delle funzioni fondamentali dell'umore sia quella di informare l'individuo del suo stato generale al fine di promuovere risposte adeguate ed efficienti; in questo senso la consapevolezza dell'umore si determinerebbe quando per condizioni pressanti viene superata la soglia di percezione (Morris 1989). La distinzione frequentemente adottata in clinica tra umore normale e patologico fa riferimento al grado di deviazione da un livello considerato normativo per un determinato soggetto in determinate situazioni (somatiche, psicologiche e ambientali) secondo le dimensioni di intensità, durata, stabilità, reattività. Una delle caratteristiche fondamentali dell'umore è certamente la sua pervasività, vale a dire la sua capacità di influenzare l'attività intellettiva e quella volitiva, il comportamento, nonché lo stato somatovegetativo. L'umore incide grandemente sul funzionamento dell'Io e sulla sua capacità di significare la realtà, indirizza l'attenzione e sollecita pensieri, ricordi, convinzioni, valutazioni e aspettative congrue con la sua tonalità edonica a scapito di contenuti mentali dissonanti, contribuendo in questo modo a rinforzare e perpetuare la sua qualità edonica. Gli effetti dell'umore sui processi percettivi, sul pensiero e sul comportamento, sono in larga misura mediati da quelli sulla memoria: l'umore influenza la capacità di codificare il materiale mnemonico e di recuperarlo mediante meccanismi di state dependence (eventi sperimentati in un dato stato psicologico sono più facilmente rievocati se si ripropone lo stesso stato) e di mood congruence (la memoria di materiale con un dato tono edonico è facilitata sperimentando uno stato d'animo di tono equivalente). Anche i processi percettivo-cognitivi e l'attribuzione di senso sono influenzati in modo mood congruent. L'umore sollecita inoltre comportamenti autoterapeutici o compensativi (uso di alcol, distrazione, controllo del comportamento espressivo). Gli effetti dell'umore negativo sui processi cognitivi e sul comportamento, diversamente dall'umore positivo, sono spesso asimmetrici nel senso che possono essere mood congruent, ma anche di segno opposto.
a) Teorie biologiche. Gli studi sulla biologia dell'umore non patologico si sono avvalsi delle stesse variabili utilizzate nei disturbi dell'umore (neurotrasmettitori e sostanze neuroendocrine). Solo deboli relazioni sono emerse tra oscillazioni non patologiche dell'umore e metabolismo delle amine biogene e variabili neuroendrocrine. Più evidenti sono le relazioni con gli oppioidi endogeni (β-endorfine ed encefaline). Le normali variazioni dell'umore correlate con la stagionalità sono state ricondotte a fattori sia psicologici (ripetuto confronto con stimoli edonicamente rilevanti) sia biologici (serotonina e triptofano), analoghi a quelli rilevati nella depressione stagionale. I cambiamenti di umore connessi con variazioni meteorologiche chiamerebbero in causa gli effetti della ionizzazione atmosferica (concentrazione di ioni positivi e negativi) sul livello di attivazione (arousal) del sistema nervoso. I dati acquisiti non autorizzano a prospettare l'esistenza di un continuum tra umore normale e patologico, e a ritenere che entrambi siano sottesi dagli stessi processi e meccanismi; è verosimile tuttavia che ambedue rimandino alle stesse strutture anatomofunzionali. Il sistema ipotalamo-limbico frontale è certamente coinvolto nella regolazione degli stati affettivi e dell'umore; del pari coinvolte sono le amine biogene (norepinefrina, dopamina, serotonina ecc.) che mediano il funzionamento di queste strutture. Indagini cliniche e neuroendocine, e studi autoptici liquorali e piastrinici indicano che il sistema serotoninergico ha un ruolo fondamentale nella depressione (v.): una diminuita attività o una minore stabilità (probabilmente su base genetica) rappresenterebbero un fattore di vulnerabilità o predisposizione e svolgerebbero una funzione permissiva su cui può instaurarsi un deficit noradrenergico. Ugualmente ben documentato risulta il ruolo del sistema noradrenergico nei disturbi dell'umore. Si tratta verosimilmente di una disregolazione connessa con un'alterata capacità di adattamento omeostatico determinata da fattori di natura biologica, psicologica o ambientale. Anche il sistema colinergico (in associazione ad altri sistemi, soprattutto a quello adrenergico) è stato chiamato in causa: uno sbilanciamento dell'equilibrio verso le catecolamine produrrebbe i quadri maniacali; una predominanza colinergica in presenza di una ridotta funzione noradrenergica e serotoninergica determinerebbe la depressione. Vari studi farmacologici e liquorali suggeriscono un coinvolgimento, anche se non primario, del sistema dopaminergico nella eziopatogenesi dei disturbi affettivi. Anche gli oppioidi endogeni, i cui recettori sono stati rilevati in aree del sistema nervoso centrale ritenute coinvolte nel comportamento emozionale, svolgerebbero un ruolo nei disturbi dell'umore: un deficit di attività oppioide sarebbe a fondamento della depressione, un eccesso della mania (v.). Sono state proposte anche ipotesi neurofisiologiche sulla base di dati relativi agli elettroliti e a studi di elettroencefalografia e di poligrafia del sonno.
b) Teorie cognitive. Le molteplici teorie cognitive dell'umore fanno costante riferimento alla concettualizzazione dell'emozione (v.), che ha rappresentato lo stato affettivo più esplorato della ricerca psicologica. Alcune teorie considerano l'umore determinato da eventi di modesto significato edonico che comportano un basso livello di attivazione (arousal) del sistema nervoso autonomo e di attenzione che non esita in una risposta comportamentale. Per converso, l'emozione è ricondotta a eventi edonicamente rilevanti che producono un alto livello di attivazione e di attenzione e sollecitano una risposta comportamentale. L'umore si determinerebbe quindi allorché lo stato affettivo non è percepito né identificato, in quanto l'arousal a esso legato non è messo in relazione con antecedenti ambientali o perché essi non ricorrono (arousal scatenato da fattori endogeni) o se ricorrono non sono identificati o non sono considerati causali (fotoperiodo, concentrazione di ioni negativi nell'atmosfera). Un'ipotesi cognitiva dell'umore si è avvalsa del concetto di figura/sfondo proprio dei processi percettivo-cognitivi (v. percezione). Allorquando lo stato affettivo si mantiene al di fuori del fuoco dell'attenzione, e quindi della consapevolezza, si configura come umore, vale a dire come sfondo o schema di riferimento edonico pervasivo e informe dell'attività mentale. L'emozione si determinerebbe, invece, allorché lo stato affettivo entra nel fuoco dell'attenzione (per il suo intensificarsi, per il disimpegno dell'attenzione da altri contenuti mentali o per un aumento dell'introspezione) e si delinea come figura, come vissuto identificato, etichettato e spiegato, cioè attribuito a un dato evento (Morris 1989). Altre teorie chiamano in causa nella genesi dell'umore e dell'emozione la maggiore sensibilità del sistema affettivo rispetto a quello cognitivo, e la sua capacità di rispondere a stimoli di modesta intensità non in grado di attivare il sistema cognitivo. La mancata ricezione da parte del sistema cognitivo fa sì che lo stato affettivo venga vissuto come diffuso e pervasivo, non sia identificato né riferito ad alcun evento specifico tale da sollecitare una risposta comportamentale. Analoga è l'ipotesi che chiama in causa l'incapacità del sistema cognitivo, perché saturato da richieste attuali, di recepire un evento di rilevanza edonica che viene invece rilevato dal sistema affettivo. Il rendersi disponibile dell'attenzione consente la consapevolezza dello stato affettivo, ma non del fattore causale, stante l'intervallo temporale trascorso dal momento in cui l'evento si è determinato: lo stato affettivo non viene quindi correlato con alcun fattore causale ed è vissuto come diffuso e pervasivo. Alcune teorie, coniugando fattori cognitivi e psicodinamici, ipotizzano l'intervento di meccanismi difensivi, attivati dal sistema affettivo, nell'inibire l'accesso alla coscienza di eventi disturbanti o minacciosi. Nella concezione cognitivo-funzionalistica di N.H. Frijda (1986) un unico meccanismo sottende sentimenti, umore ed emozione: una continua e più o meno consapevole operazione di valutazione, analisi e verifica della realtà ambientale cui si accompagna un diverso livello di arousal fisiologico. I sentimenti sarebbero espressione della valutazione (piacevole o spiacevole) della realtà cui si accompagna un basso livello di attivazione che non esita nella preparazione all'azione, né tanto meno nell'azione. I sentimenti esplicherebbero quindi la funzione di agenti di controllo (monitor) del contesto e dello stato di soddisfazione o insoddisfazione dell'organismo. I sentimenti diventano emozioni nelle situazioni che determinano un innalzamento del livello di attivazione e sollecitano un'azione. L'umore rimanda invece alla valutazione globale della situazione, non focalizzata quindi su un oggetto o su un evento specifico, associata a un modesto stato di attivazione. Ciò che differenzia sentimento, emozione e umore è dunque il diverso livello di attivazione, di attenzione e di necessità di azione che fa seguito a determinate situazioni.
c) Teorie psicoanalitiche. Il concetto di umore è rimasto sostanzialmente estraneo alla riflessione psicoanalitica, in quanto essa generalmente non utilizza questo termine; quando ciò accade, lo considera espressione confusa di rappresentazioni non pervenute alla coscienza, oppure di 'affetti' repressi o bloccati. In questo senso l'umore è considerato alla stregua del contenuto manifesto del sogno o l'epifenomeno di un conflitto che resta nell'ombra (Amado-Boccara-Donnet-Olié 1993). La teoria della libido (v.), tuttavia, include alcuni richiami alla teoria dei quattro umori della quale può essere considerata una sessualizzazione. La metafora idraulica accomuna la concezione freudiana della libido alla teoria degli umori. Come gli umori, la libido di Freud si spiazza, si trasforma ed è suscettibile di investire un determinato oggetto od organo. In senso strutturale l'umore è stato concettualizzato come il tentativo dell'Io di integrare e controllare le risposte affettive legate all'Es, al Super-Io e alle esigenze della realtà. In senso economico è stato interpretato come una scarica libidica graduale, vale a dire l'espressione modulata degli affetti emergenti dal conflitto che protegge l'Io dall'esplosione incontrollata e potenzialmente travolgente. L'umore avrebbe, quindi, un ruolo autoregolatorio e di protezione dell'Io, consentendo che tensioni energetiche inusualmente intense, non alleviabili attraverso il processo di scarica focale che è caratteristico delle emozioni, siano dissipate in modo graduale su vari oggetti. L'umore risulterebbe quindi dall'inibizione della risposta emozionale e dalla dispersione dell'energia connessa con lo stimolo.
d) Approccio fenomenologico. Le concezioni fenomenologiche hanno elaborato le loro riflessioni sull'umore a partire dal termine Stimmung, generalmente reso con umore, ma la cui corretta traduzione comporterebbe la combinazione in una stessa parola dei termini risonanza, tono, atmosfera. Per l'approccio fenomenologico l'umore è anzitutto una modalità e una manifestazione dell'essere al mondo. Prima ancora di conoscere razionalmente il mondo, noi vi siamo gettati (Geworfenheit), situati, disposti in accordo oppure in disaccordo con quello che è offerto a una percezione prepredicativa. È questa una costante dell'essere al mondo, un modo dell'esserci di cui è espressione la situazione emotiva (Heidegger 1983). L'esserci è sempre in umore anche quando non ci si sente disposti a nulla. L'Endon di H. Tellenbach (1961) corrisponde a ciò che Heidegger chiama essere gettato: essere gettato significa essere già in una determinata situazione affettiva, in una situazione ontologicamente condizionata e passiva; l'Endon rimanda a una situazione affettiva biologicamente determinata in cui ciascun uomo è gettato. La condizione umana dell'essere nel mondo, dell'essere gettato, diventa manifesta nella situazione emotiva che dischiude il proprio essere determinato (Callieri 1990). La tonalità emotiva rimanda quindi all'essere gettato e all'Endon, in quanto come questo "sorge in seno alla condizione umana dell'essere-nel-mondo" (Ballerini-Stanghellini 1989, p. 66).
Modificazioni dell'umore si riscontrano di frequente nei soggetti normali in risposta a eventi edonicamente significativi, a cambiamenti climatici e atmosferici, a modificazioni dello stato somatico. Si parla di disturbo dell'umore quando la modificazione è di durata e intensità eccessive, si manifesta senza alcuna causa o è a essa sproporzionata e assume caratteristiche inusitate per l'esperienza affettiva normale (sentimento di vuoto, perdita dei sentimenti, venir meno della capacità di provare piacere, fissità dei vissuti affettivi). Le modificazioni patologiche dell'umore determinano un rallentamento oppure un arresto della continuità dell'esistenza e si associano a segni e sintomi invalidanti di tipo vegetativo, psicomotorio e cognitivo. Modificazioni dell'umore (in senso depressivo o disforico) ricorrono spesso come sintomi prodromici, residui o comorbosi di molteplici patologie internistiche (malattie infettive, dismetaboliche, neoplastiche) e psichiatriche (disturbi ansiosi, dell'adattamento, della condotta alimentare, da uso di sostanze, schizofrenia, disturbo schizoaffettivo, disturbi mentali organici), ma rappresentano le manifestazioni cliniche fondamentali dei disturbi dell'umore. Modificazioni dell'umore ricorrono inoltre nei temperamenti affettivi e in molteplici disturbi di personalità. Tra le più importanti alterazioni dell'umore possiamo ricordare: l'umore depressivo, l'umore ipertimico, l'umore disforico, l'umore instabile e lo stato misto. L'umore depressivo si caratterizza essenzialmente per sentimenti di tristezza in risposta a eventi di perdita, ma che possono affiorare anche senza alcuna motivazione. Nelle forme più gravi, ai sentimenti di tristezza si associano segni di compromissione della sfera vitale e della corporeità: senso di oppressione, di malessere diffuso, di faticabilità accompagnano un vissuto di disperazione e di sofferenza morale. L'ideazione diventa stentata e povera di contenuti, i movimenti si fanno lenti e pesanti sino a uno stato di arresto vero e proprio (stupore melanconico). Più raramente è presente uno stato di eccitamento sotteso da intense valenze ansiose. L'umore depressivo connota essenzialmente i disturbi dell'umore, ma è pressoché ubiquitario nella patologia psichiatrica funzionale od organica, psicotica e non psicotica. Questa forma ricorre anche in vari disturbi di personalità (per es., disturbo depressivo, borderline ecc.) e connota alcuni temperamenti affettivi (temperamento depressivo, ciclotimico) anche come malumore (per es. in certe forme di epilessia). L'umore ipertimico consiste in una modificazione espansiva dell'umore dalla semplice euforia (ipomania) all'intensa esaltazione (mania). Nell'ipomania l'umore è gaio, i sentimenti e i pensieri hanno una tonalità piacevole, il corpo viene vissuto con un senso di benessere. Nella mania, all'euforia si associano accelerazione ideica, logorrea, eccitamento psicomotorio fino a comportamenti eteroaggressivi violenti; i sentimenti vitali sono esaltati, non esistono coercizioni, tutto è possibile. Lo stato ipomaniacale e quello maniacale sono tipici dei disturbi bipolari dell'umore, ma possono manifestarsi anche in ambiti nosografici non primariamente affettivi (disturbi mentali organici, schizofrenia, disturbo schizoaffettivo). Una lieve espansione dell'umore connota altresì soggetti che presentano peculiarità temperamentali (temperamento ipertimico e ciclotimico). L'umore disforico è una condizione di abnorme risonanza affettiva a stimoli e situazioni di scarsa entità (abbassamento della soglia emotiva) che si manifesta con reazioni di stizza, ira, rabbia talora associate a disturbi neurovegetativi (aumento della pressione sanguigna, tachicardia). Nell'umore irritabile, l'umore a tonalità depressiva si accompagna a irritabilità aggressiva. Questa condizione si rileva nelle fasi iniziali della schizofrenia (v.), nella mania, in alcuni disturbi depressivi, negli stati misti, in vari disturbi di personalità e nei disturbi mentali organici, per es. quelli epilettici temporali. L'umore instabile è contrassegnato da una marcata instabilità dell'umore che trapassa in modo improvviso dalla gioia alla tristezza o allo stato basale, in risposta a stimoli del tutto inadeguati. Queste fluttuazioni possono verificarsi più volte nella stessa giornata. Fenomeno non francamente patologico in certe fasi della vita (infanzia, adolescenza), connota alcuni disturbi di personalità (borderline, istrionico, narcisistico) e vari disturbi mentali organici. Lo stato misto è caratterizzato dalla copresenza sincronica di sintomi maniacali e depressivi, senza un chiaro e specifico orientamento polare (stato misto stabile). Sono stati descritti quadri misti in cui la copresenza di sintomi di opposta polarità è dovuta al loro rapidissimo (infradiano) alternarsi (stati misti instabili). La sintomatologia degli stati misti è estremamente polimorfa e mutevole per la variabile mescolanza di sintomi affettivi, ideativi e psicomotori.
bibl.: i. amado-boccara, d. donnet, j.-p. olié, La notion d'humeur en psychologie, "L'Encéphale", 1993, 19, pp. 117-22; a. ballerini, g. stanghellini, Temporalità ed esperienza nella melancolia. Una riflessione sul concetto di Endon nell'opera di Hubertus Tellenbach 'Melancolia', "Rivista Sperimentale di Freniatria", 1989, 113, pp. 61-75; l. bottani, La malinconia e il fondamento assente, Milano, Guerini, 1992; b. callieri, La depressione: solitudine dell'essere o crisi dell'amore?, "Rivista Sperimentale di Freniatria", 1990, 114, pp. 1207-17; n.h. frijda, The emotions, Cambridge, Cambridge University Press, 1986 (trad. it. Bologna, Il Mulino, 1990); m. froment-meurice, Long est le temps, "Nouvelle Revue de Psychanalyse", 1985, 32, pp. 185-205; a. gemelli, g. zunini, Introduzione alla psicologia, Milano, Vita e Pensiero, 1947; m. heidegger, Die Grundbegriffe der Metaphysik. Welt-Endlichkeit-Einsamkeit, Frankfurt am Main, Klostermann, 1983 (trad. it. Genova, Il Melangolo, 1999); w.n. morris, The frame of mind, New York-Berlin, Springer, 1989; k. schneider, Klinische Psychopathologie, Stuttgart, Thieme, 1950 (trad. it. Roma, Città nuova, 1983); h. tellenbach, Melancholie, Berlin, Springer, 1961 (trad. it. Roma, Il Pensiero Scientifico, 1975).