di Marta Montanini
Il colpo di stato del 2012, grazie al quale Michel Djotodia è riuscito ad autoproclamarsi presidente mettendo fine al lungo governo di Bozizé, salvo poi perdere completamente il controllo della situazione, è l’ennesimo e ultimo prodotto di una combinazione di elementi di forte criticità, che, ciclicamente, minacciano la solidità della Rca. I leader che si sono susseguiti al potere hanno approfittato, sfruttato e, se possibile, peggiorato le fragilità della nazione, negando però l’assenza di conflitti e spaccature una volta al governo.
La guerra civile centrafricana, la cui violenza e virulenza è parsa inspiegabile, è invece il frutto di un insieme di fattori che comprendono gli irrisolti conflitti precedenti, la collocazione geografica del paese, che, suo malgrado, risente della forte instabilità dei paesi vicini, la forte percezione di disuguaglianza di alcuni gruppi etnici e l’affermarsi di un vero e proprio mestiere delle armi, cioè della consistente percentuale di giovani che scelgono di arruolarsi in eserciti ribelli o informali in mancanza di alternative d’impiego, un fenomeno che sfocia spesso nel banditismo.
Per risalire alle cause del conflitto bisogna guardare al 2001, quando Bozizé, dopo avere tentato un colpo di stato contro Patassé, si è rifugiato in Ciad, e, appoggiato dal presidente ciadiano, è riuscito a costituire un esercito di combattenti ai suoi ordini. Deby ha fornito a Bozizé persino elementi della sua guardia presidenziale. Il Ciad, che ha sempre giocato un ruolo centrale nelle vicende del Centrafrica, mirava a contrastare la presenza di ribelli ciadiani nel territorio della Rca, presenza precedentemente tollerata da Patassé. L’esercito di Boazizé era anche composto da musulmani del nord della Rca, da ciadiani di gruppi etnici transfrontalieri e da ciadiani che si erano precedentemente insediati in Rca per sfuggire alla guerra civile e alla repressione organizzata da Hissene Habré. Allo stesso tempo anche Patassé ha reclutato alcune milizie ciadiano-centrafricane, oltre a fare appello ai suoi alleati internazionali. Tra questi figura il Movimento per la liberazione del Congo (Mlc), che si è poi spinto ripetutamente oltreconfine per appoggiare il suo governo, e la Libia, che lo ha sostenuto tacitamente. Patassé è stato sconfitto da Bozizé anche perche i suoi appoggi internazionali sono venuti meno.
Quando Bozizé è giunto al potere ha cercato di liberarsi della ingente componente ciadiana di cui era composto il suo esercito e di disfarsi di molti dei combattenti che lo avevano portato al governo, millantando ricompense in cambio della smobilitazione o del rientro in Ciad dei soldati e riservando invece un trattamento speciale agli gbaya, sua etnia di origine. I combattenti, insoddisfatti, hanno dapprima cercato la mediazione di N’Djamena, e si sono in seguito rifugiati nel nord ovest, intraprendendo attività di banditismo, e nel nord-est, dove hanno raggiunto le fila del movimento di opposizione Unione delle forze democratiche per l’unità (Ufdr), in cui hanno finito per ritrovarsi ex sostenitori di Patassé ed ex sostenitori di Bozizé. Alcuni combattenti di origine ciadiana si sono invece diretti verso il Darfur, una delle basi degli oppositori di Deby. Bozizé non è mai riuscito a controllare veramente i territori del nord, un’area che il suo governo ha ampiamente trascurato. Nel 2006-07 è riuscito a sedare la rivolta settentrionale solo grazie all’intervento francese.
La coalizione dei ribelli Séléka è quindi il prodotto della riorganizzazione dei combattenti centrafricani rimasti a mani vuote, senza indennizzi e senza reintegrazione, durante l’era Bozizé, ma anche ciadiani e sudanesi che si sono mossi attraverso le frontiere estremamente porose della Rca. Allo stesso tempo Michel Djotodia è riuscito nel suo intento per lo più grazie al fatto che gli alleati di Bozizé, dal Ciad alla Francia, hanno fatto mancare il proprio appoggio (anzi l’esercito ciadiano ha favorito, non contrastandola, l’avanzata dei Séléka a Bangui). I Séléka hanno reclutato fra i giovani del nord, integrando altri uomini durante la loro avanzata. Unicef ha stimato in 6000 il numero di bambini e ragazzi soldato che hanno combattutto con la coalizione.
La componente etnica del conflitto si è invece innestata in un secondo momento, causata dal meccanismo di reclutamento e dalla strategia del terrore adottata dai Séléka, che hanno fatto dell’esaltazione della loro identità di musulmani sia un modo per attrarre altri giovani e convincerli a schierarsi contro un governo che non li ha mai adeguatamente sostenuti, sia uno strumento di rivendicazione contro la maggioranza cristiana. Le uccisioni e le esazioni subite dai cristiani (in dicembre 2013 sono stati uccisi più di mille cristiani a Bangui in una sola notte) sono state la ragione della formazione degli anti-balaka. Con gli anti-balaka, tuttavia, si sono schierati soldati appartenenti all’esercito regolare, perpetuando la pericolosa logica della guerra come opportunità.