L’hub, un modello di organizzazione del trasporto aereo
Esistono diversi modi per definire un aeroporto hub e, soprattutto, il modello organizzativo che ne discende; o, quantomeno, esistono numerose logiche – tra loro anche molto diverse – per inquadrare questa tematica. In proposito si possono, infatti, individuare quattro linee interpretative.
Alcuni osservatori si riferiscono a un hub indicando con questo un aeroporto basato su un network del tipo hub and spoke (hub as airline-oriented, hub-and-spoke network), intendendo con questa espressione un’ope;ratività di uno o più vettori che concentra in un unico aeroporto (hub) una serie di collegamenti da altri aeroporti (spokes), i quali pertanto risultano uniti tra loro non in maniera diretta ma attraverso l’aeroporto di riferimento del vettore, l’hub appunto. Non è un caso il fatto che il concetto di hub sia nato per similitudine con la ruota, dove i raggi convergono e si dipartono dal mozzo: il termine hub, infatti, è l’equivalente inglese di ‘mozzo della ruota’ e, analogamente, con spokes si in-tendono i raggi della ruota.
Altri (consideriamo, per es., la Federal aviation administration statunitense) indicano con hub aeroporti di grandi dimensioni (hub as airport-oriented).
Sempre in riferimento agli hubs, altri ancora sof-fermano la propria attenzione sulla necessità di tenere in considerazione l’imprescindibile funzione, mutuata attraverso l’elemento ‘spazio’, dell’aeroporto stesso, inteso come un nodo di scambio all’interno del network di riferimento di un vettore.
Infine, secondo alcuni va ritenuta prioritaria la considerazione dell’elemento ‘tempo’, allo scopo di segnalare la necessità, da parte di un aeroporto hub, fondato quindi su un network hub and spoke di uno o più vettori, di soddisfare la relazione spazio-temporale richiesta in termini di connettività; è noto, infatti, come il funzionamento di un aeroporto hub si basi sulla creazione di flussi di voli in arrivo (inbound) e in partenza (outbound), concentrati in precise fasce orarie (con i voli in arrivo posizionati nel tempo per servire adeguatamente i voli in partenza su altre destinazioni). Tale fenomeno, che prevede quindi un traffico a ‘onde’ sull’aeroporto, viene a essere, di conseguenza, uno dei principali fattori che concorrono a differenziare un aeroporto hub da altri scali basati su network di voli punto a punto (point-to-point).
Si evince quindi che tutti gli aspetti qui brevemente introdotti risultano fondamentali per la corretta comprensione di un modello dei trasporti basato sul concetto di aeroporto hub. Quest’ultimo agisce infatti come vero e proprio centro di connessione (connecting point) per passeggeri e merci che, in arrivo con un volo da un qualsiasi aeroporto di origine, vengono trasferiti su un altro volo la cui destinazione finale è diversa dall’origine. L’aeroporto hub è quindi parte integrante, perno fondamentale, di un network di rotte costruito secondo la logica dell’hub and spoke. Tale logica è solitamente sostenuta dalla maggiore compagnia aerea presente sull’aeroporto e dai membri dell’alleanza alla quale il vettore appartiene.
Si può affermare pertanto che tutti i più grandi aeroporti del mondo sono in una certa misura hub, centro focale del network di rotte, di una o più compagnie aeree. Anche se la definizione che più correttamente riflette l’etimologia all’origine di questo ‘modello’ aeroportuale è quella dell’hub and spoke.
La storia
Il modello organizzativo del trasporto aereo basato sul concetto di hub si è rapidamente sviluppato, sul finire degli anni Settanta, negli Stati Uniti, in seguito al fenomeno della deregulation che letteralmente trasformò, in brevissimo tempo, il settore del trasporto aereo. Ancora prima di questi eventi, in verità, alcune compagnie aeree (per es., la Delta airlines) avevano sviluppato network di rotte secondo il concetto dell’hub and spoke; ma senza dubbio soltanto dopo l’avvento della deregulation, e la conseguente libertà di sviluppare nuovi mercati e nuove rotte, il modello organizzativo in esame si è progressivamente imposto nel mondo del trasporto aereo.
In ugual misura, anche per vettori attivi nel trasporto delle merci il processo di liberalizzazione innescato dalla deregulation è da considerarsi lo spartiacque per la graduale trasformazione dei propri network secondo la logica dell’hub and spoke: in questo senso, Federal express sperimentò per prima sull’aeroporto di Memphis le potenzialità di questo modello organizzativo, dal quale trasse enormi benefici per le sue attività di consegna espressa, e molti altri vettori seguirono presto il suo esempio.
Le misure adottate con la deregulation hanno avuto anche un altro clamoroso effetto: la nascita e la successiva espansione delle compagnie aeree a basso costo (LCCs, Low Cost Carriers).
La Southwest airlines ha certamente rappresentato la pietra miliare di questo fenomeno, costruendo il proprio successo su una strategia di voli punto a punto, opposta quindi al modello hub and spoke. Sebbene le compagnie low cost prevedano di poter sviluppare anche un elevato numero di voli dallo stesso aeroporto, escludono – almeno del modello puro del business low cost come perseguito dalla citata Southwest o, in Europa, da Ryanair – l’elemento chiave che caratterizza un aeroporto hub: ossia la possibilità per i propri passeggeri (oppure per le merci) di beneficiare dei voli in coincidenza.
Nondimeno, in seguito alla profonda crisi (verificatasi dopo l’11 settembre 2001) di molti vettori con network basati sull’hub and spoke e al parallelo boom dei voli point-to-point, molti analisti si sono spinti fino al punto di mettere in discussione il modello di trasporti basato sul concetto di aeroporto hub. Tuttavia, se è innegabile che il progresso tecnologico – particolarmente evidente attraverso lo sviluppo di aerei che grazie alla loro economicità permettono di servire con voli point-to-point anche mercati una volta considerati troppo piccoli per supportare voli diretti – ha modificato gli aspetti economici con i quali verificare la convenienza delle strategie basate su aeroporti hub, questi ultimi rappresentano ancora oggi il modello fondamentale al quale fare riferimento nei piani di espansione dei maggiori vettori mondiali.
L’organizzazione del network secondoil modello hub and spoke
Un vettore, il cui network di rotte sia costruito secondo il modello hub and spoke, può efficacemente servire molti mercati, certamente più di quanti ne riuscirebbe a servire con semplici voli diretti, secondo il modello point-to-point: la compagnia aerea si trova così nella condizione di poter proporre ai propri passeggeri una migliore offerta, sia in termini di un più ampio numero di destinazioni servite sia in termini di maggiori frequenze.
Si considerino, per es., tutte quelle città secondarie che non sono in grado di esprimere potenziali di mercato tali da giustificare voli diretti con altre destinazioni: in questi casi, solo attraverso una politica di hub and spoke e tramite, quindi, la concentrazione di questi piccoli volumi di traffico su un unico aeroporto hub, si può riuscire a garantire accessibilità a tante destinazioni altrimenti prive di collegamenti.
Grazie al conseguimento di forti economie di scala in termini di densità del network offerto, il modello hub and spoke riesce inoltre ad assicurare alle compagnie aeree un maggior riempimento degli aerei (load factor) e, al tempo stesso, minori costi unitari: infatti permette ai vettori di centralizzare nell’aeroporto hub tutte quelle funzioni e quei costi fissi altrimenti presenti in maniera duplicata negli aeroporti secondari.
La fig. 1 evidenzia con chiarezza come la compagnia Delta airlines utilizzi sulla direttrice est-ovest l’aeroporto di Cincinnati come hub: si moltiplicano quindi le combinazioni di origine/destinazione disponibili tra la costa orientale e quella occidentale degli Stati Uniti, ma al tempo stesso nell’aeroporto hub si concentrano passeggeri che vanno ad ‘alimentare’ le rotte di lungo raggio verso l’Europa.
Altro chiaro esempio di modello organizzativo hub and spoke è dato dall’esame del network della compagnia mediorientale Emirates (fig. 2): Dubai rappresenta il suo aeroporto di riferimento per la concentrazione dei passeggeri sulla direttrice Europa-Asia, facendo sì che i voli del vettore in esame siano in grado di sostenere spostamenti da/per un consistente numero di destinazioni, tanto in Europa, quanto in Asia.
Si osservi, inoltre, che Dubai, grazie alla sua posizione strategica tra i diversi continenti, potrà facilmente evolvere in un global hub, un aeroporto, quindi, che fungerà da riferimento per un network di rotte a copertura di tutti i continenti.
Altri vettori, anche in considerazione delle diverse posizioni geografiche dell’aeroporto di riferimento, insistono invece sul modello organizzativo hub and spoke attraverso network nei quali sia chiara la differenza di ruolo assunto dalle rotte di breve e lungo raggio: le prime, sono normalmente coperte da città secondarie verso l’hub con aeromobili medio-piccoli, allo scopo di alimentare quelle di lungo raggio, a loro volta operate con aeromobili di grandi dimensioni.
In considerazione del vantaggio competitivo derivante dalla posizione geografica rispetto al resto d’Europa, la compagnia aerea Iberia, per es., utilizza l’aeroporto di Madrid come hub di riferimento sulla direttrice Europa-America Latina.
In alcuni casi la raggiunta saturazione dell’hub connessa a limitazioni infrastrutturali che sostanzialmente ne limitano lo sviluppo prospettico, possono indurre un vettore a strutturare il proprio network secondo un modello detto dual hub: gli aeroporti hub di riferimento e di concentrazione dei passeggeri sono quindi due. In tal senso, un esempio di successo è rappresentato dalla tedesca Lufthansa attraverso i due scali di Francoforte e Monaco; essendosi sostanzialmente saturata la capacità disponibile sullo scalo di Francoforte, il vettore tedesco ha successivamente sviluppato, quale suo ulteriore hub, lo scalo di Monaco per assicurarsi, seppur incorrendo in una duplicazione di costi fissi, un’ulteriore crescita. La fig. 3 illustra il network di rotte offerte dalla Lufthansa dai suoi due hubs.
Occorre tenere in grande considerazione anche una dimensione temporale del modello hub and spoke, conseguente alla necessaria costruzione di ‘onde’ (banks o waves) di voli in arrivo e in partenza, connesse l’una all’altra, affinché sull’aeroporto si realizzi il cosiddetto effetto hub, si massimizzi cioè la percentuale di passeggeri in connessione sull’aeroporto stesso.
In riferimento, in particolare, alle attività della compagnia Emir;ates sullo scalo di Dubai, e a quelle della American airlines sull’aeroporto O’Hare di Chicago, si esaminino i dati riportati nella fig. 4.
La necessità di costruire ‘onde’ di voli in arrivo in connessione con conseguenti ‘onde’ di voli in partenza (il cui scopo, come detto, è di aumentare al massimo le opportunità di transito dei passeggeri tra i voli stessi) implica, per l’aeroporto hub, il gravoso compito di sfruttare al massimo le proprie infrastrutture in tali particolari momenti. Se ne deduce, quindi, che nel lungo periodo la sostenibilità del modello organizzativo hub and spoke – data in generale dalla capacità di gestire onde di voli sempre più imponenti – è collegata non solo alla grandezza e all’adeguatezza dell’infrastruttura aeroportuale in sé, ma in particolare alla capacità di gestire, in un preciso momento (peak time) della giornata, una massa sempre maggiore di movimenti aerei (atterraggi/decolli) e passeggeri in transito.
Considerando, per es., lo scalo O’Hare di Chicago, di gran lunga uno dei più trafficati al mondo, la figura ben evidenzia come la compagnia American airlines nel 2000 operasse secondo un chiaro modello di voli in arrivo e in partenza strutturati a onde. La stessa analisi, condotta per il mese di febbraio del 2008, evidenzia chiaramente come i limiti infrastrutturali relativi al peak time sull’aeroporto abbiano costretto l’American airlines a concentrare l’aumento delle sue attività su fasce orarie della giornata meno congestionate (off-peak times). In altre parole, si è destrutturato lo schema a onde puro in relazione alla capacità aeroportuale disponibile.
Il modello hub and spoke evidenzia quindi la centralizzazione delle attività come una delle sue maggiori peculiarità. Tale caratteristica, se da un lato permette il raggiungimento di forti economie di scala, dall’altro rende il modello di business altamente complesso: il mantenimento dell’efficienza operativa – e i conseguenti risultati economici – sono infatti strettamente correlati a un’elevatissima organizzazione operativa (traffic planning and scheduling). La concentrazione dell’attività di un vettore su un aeroporto hub lo espone quindi a rischi che, nel caso in cui si verificassero ritardi oppure lacune operative, possono velocemente e con estrema facilità ripercuotersi sull’intero network, con inevitabili impatti negativi sull’economicità delle operazioni.
L’operatività di un aeroporto hub
Come si è già descritto in precedenza, le compagnie aeree il cui network di rotte è costruito in modalità hub and spoke programmano i propri voli con l’obiettivo di massimizzare il cosiddetto effetto hub: nell’ambito della giornata, si susseguono cioè, in struttura logica, precise fasce orarie dedicate alle onde dei voli in arrivo e in partenza. I passeggeri (come anche le merci) possono quindi disporre di un numero quanto più ampio possibile di voli in connessione, dando la possibilità al passeggero di raggiungere un ampio ventaglio di destinazioni attraverso l’aeroporto hub.
Il network di un vettore è generalmente concentrato su un solo aeroporto hub. A questo si aggiunge, in una fase successiva, una volta che siano state completamente valorizzate le potenzialità dell’hub principale, la possibilità di sviluppare aeroporti hub secondari con l’obiettivo di presidiare mercati strategici di secondo livello (ossia con volumi di traffico notevolmente ridotti rispetto ai principali scali).
Una delle conseguenze più importanti dello sviluppo di un numero sempre maggiore di hubs secondari, nell’ambito del network di uno stesso vettore, è stata la nascita di voli diretti tra questi scali, bypassando l’hub principale.
Posizionamento geografico
Nel passato la scelta di far sviluppare uno scalo come aeroporto hub di un vettore è stata in genere dettata dalla mera presenza – presso quello scalo – del quartier generale del vettore stesso. In particolare, per le cosiddette compagnie di bandiera europee, ma anche per quelle asiatiche, la scelta dell’aeroporto hub spesso coincideva con l’individuazione dello scalo più importante e trafficato del Paese, normalmente quello della città capitale.
Nonostante questo, vi sono stati anche altri criteri e logiche che hanno portato a far più (o meno) sviluppare questo o quell’aeroporto hub. Per esempio, risulta fondamentale la presenza, nel territorio sul quale lo scalo hub è posizionato, di un forte bacino d’utenza locale (catchment area), appunto perché un aeroporto hub si caratterizza per l’alta percentuale di passeggeri in transito. Tale bacino d’utenza di riferimento per l’aeroporto hub, proprio allo scopo di mantenerne immutata la valenza strategica, non deve essere sostan;zialmente sovrapposto a quello di un altro scalo limitrofo, in quanto da parte di quest’ultimo potrebbe essere ‘erosa’ una porzione consistente del potenziale di sviluppo del traffico con voli di tipo point-to-point.
Le considerazioni esposte valgono, con ogni evidenza, anche per il trasporto delle merci per via aerea: il posizionamento dello scalo hub – centrale e collegato intermodalmente con il territorio circostante – risulta un elemento strategico. Inoltre la capacità di accogliere domanda potenziale, in termini di sostanziale assenza di limiti infrastrutturali e ambientali e di affidabilità dell’offerta di voli (capacità dell’aeroporto di gestire i voli programmati sullo scalo senza, per es., generare ritardi), risulta essere uno degli elementi caratterizzanti il posizionamento di un hub.
Per un aeroporto essere hub di una o più compagnie aeree è della massima rilevanza, in quanto offre maggiori garanzie per lo sviluppo del traffico aereo prospettico sullo scalo, in conseguenza degli effetti che vengono di seguito sintetizzati: a) sugli hubs si sviluppa un effetto moltiplicatore del traffico dal momento che, proprio per la logica insita nel concetto di hub, vi vengono convogliati flussi che non appartengono al mercato puro di origine/destinazione del bacino di riferimento dell’aeroporto. Questo è il caso di tutti quei passeggeri provenienti da altri scali – in primo luogo quelli domestici – che, non essendo dotati dagli scali di provenienza di voli diretti sulle destinazioni internazionali e intercontinentali, si troverebbero a transitare sull’hub per raggiungere le loro destinazioni finali e analogamente al loro rientro; b) un hub è un forte richiamo per gli altri vettori stranieri che, volendo servire al meglio il mercato di un determinato Paese, trovano nell’hub di riferimento le condizioni ideali per avere un’alimentazione ottimale sui propri voli (feeding/defeeding), logica questa ancor più sostanziale per vettori operanti all’interno della medesima alleanza; c) essere un aeroporto hub offre maggiori garanzie di sviluppo del traffico, in quanto è su tale aeroporto che il vettore concentra la propria flotta e quindi tutte le attività attuali e prospettiche. Se, per es., una rotta del vettore di riferimento non fosse considerata vantaggiosa dal proprio hub, sarebbe senz’altro sostituita da una rotta che, sempre dallo stesso hub, punti verso un’altra destinazione, mentre la stessa cosa non vale, ovviamente, per un vettore che non ha il proprio hub sullo scalo e che quindi vi opera come spoke; d) la flotta del vettore di riferimento sosta, durante la notte, sullo scalo hub e i propri voli sono i primi a partire la mattina e gli ultimi a rientrare alla fine della giornata, saturando così al meglio l’utilizzo delle infrastrutture aeroportuali.
Da un punto di vista qualitativo è anche opportuno ricordare come, per le proprie caratteristiche peculiari, i flussi di traffico dei passeggeri in trasferimento, tipici di un aeroporto hub, abbiano un minore impatto sulle infrastrutture aeroportuali rispetto ai flussi originanti/terminanti sullo scalo: è infatti evidente come gli stessi non impattino su alcune infrastrutture aeroportuali landside, quali, per es., banchi check-in e nastri di riconsegna bagagli. Tale considerazione vale anche per i collegamenti infrastrutturali di accesso all’aeroporto.
Sviluppi futuri
La nascita di nuovi aeroporti hub, come anche l’espansione infrastrutturale di quelli già esistenti, fanno parte del percorso necessario allo sviluppo del trasporto aereo mondiale. In particolare, risultano indispensabili per sostenere lo sviluppo economico dei Paesi emergenti: basti pensare all’importanza che un aeroporto è chiamato ad assolvere, in termini di accessibilità al territorio e di movimento per passeggeri e per merci, al fine di comprenderne, appunto, i benefici in campo economico.
Allo stesso modo, per tutti i Paesi (europei in particolare) nei quali gli scali hub di riferimento sono ormai prossimi alla saturazione, risulterà strategico essere in grado di programmare nuovi investimenti che abbiano come obiettivo primario l’aumento della capacità aeroportuale, cercando così di anticipare l’attesa crescita del mercato stesso. E mentre le compagnie a basso costo continueranno a offrire servizi sempre più concorrenziali, seguendo la logica dei voli point-to-point, i vettori principali struttureranno il network puntando sul modello organizzativo dell’hub and spoke, aumentandone l’efficienza e razionalizzandone le criticità. È in questa chiave di lettura, quindi, che va analizzato lo sviluppo tecnologico legato alla realizzazione di aeromobili dotati di grandi capacità: l’Airbus A380, per es., in servizio da pochi mesi con la livrea della Singapore airlines e in grado di trasportare fino a 800 persone nelle sue versioni ‘estreme’, nasce con l’obiettivo di massimizzare il trasporto aereo sulle rotte che mettono in collegamento i grandi aeroporti hub del mondo.
Fino a oggi i collegamenti tra hubs sono cresciuti molto, come illustrato nella fig. 5. Tale modello non è pertanto destinato a esaurirsi: le operazioni hub-to-hub sono infatti certamente da considerarsi più efficienti di quelle point-to-point anche perché capaci di collegare lo stesso numero di destinazioni con un numero decisamente inferiore di voli.
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