Nella tradizione storica anglosassone sono riscontrabili due principali direttrici di politica estera: quella atlantica, associata alla naturale propensione britannica verso l’oceano, e quella europea, frutto dell’inevitabile attenzione che Londra ha sempre mantenuto sulle dinamiche politiche continentali. Lungo queste due direttrici è possibile leggere anche il rapporto, spesso controverso, sviluppatosi tra Londra e il processo di integrazione europea.
Nei quattro opting out negoziati dal Regno Unito con i partners comunitari se ne trova un’efficace esemplificazione: Londra, infatti, non ha adottato l’euro, mantenendo così la propria politica monetaria, non aderisce agli accordi di Schengen relativi all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere, né è vincolata alle norme comunitarie previste per la cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale. Inoltre la Corte di giustizia dell’Unione Europea non è competente circa la compatibilità delle norme inglesi con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. È infine da ricordare l’annoso contrasto relativo al rebate (letteralmente ‘rimborso’), in base al quale il Regno Unito, uno dei maggiori contribuenti al bilancio dell’Unione, ottiene il rimborso di una parte dei contributi versati. Ottenuto nel 1984 dall’allora primo ministro Margaret Thatcher in quanto il Regno Unito percepiva meno sussidi all’agricoltura, tale istituto è criticato e ritenuto ingiustificato da numerosi membri Eu, oltre che dalla stessa Commissione.
L’arrivo al governo del paese, nel maggio 2010, di una coalizione formata dai conservatori e dai liberaldemocratici, due partiti che hanno tradizionalmente posizioni antitetiche rispetto all’Europa, sarà uno dei principali banchi di prova non solo della stabilità della nuova coalizione di governo, ma anche dello stato delle relazioni tra Londra e le istituzioni di Bruxelles. I Lib Dems, come sono comunemente chiamati i Liberal Democrats, sono infatti il partito britannico più europeista, mentre euroscetticismo e nazionalismo sono due tratti caratteristici del Conservative Party. Il compromesso raggiunto dalle due formazioni prevede una partecipazione alle dinamiche comunitarie all’insegna di un pragmatismo costruttivo, il più al riparo possibile dai rispettivi steccati ideologici tradizionali e vincolato a due impegni sostanziali: l’obbligo a dover sottoporre a referendum popolare ogni ulteriore trasferimento di sovranità all’Eu e l’esclusione categorica, per tutta la durata della legislatura, dell’ingresso britannico nell’euro.