Un patrimonio pericolante
Nel luglio 2008 intellettuali, sindacati e associazioni di tutela e ambientaliste denunciavano duramente il taglio trasversale imposto al bilancio del ministero per i Beni e le Attività culturali (MIBAC). Il ministero dell’Economia e delle Finanze, infatti, aveva appena varato una finanziaria estiva, che disponeva tagli a tutti i ministeri per i successivi tre anni, dal 2009 al 2011, in maniera progressiva e indifferenziata. Tale intervento avrebbe determinato la diminuzione dei fondi a disposizione dei Beni culturali, non solo per il funzionamento corrente, ma anche per gli investimenti.
Il ministro Sandro Bondi ammetteva i tagli ma sosteneva anche che avrebbe cercato di riqualificare la spesa ministeriale.
I tagli erano così articolati: per consentire la cancellazione dell’Ici sulla prima casa (contenuta nel decreto legge 93/2008) i 45 milioni di euro precedentemente stanziati dal governo Prodi per il ripristino dei paesaggi degradati venivano cancellati; oltre a questi si tagliavano altri 15 milioni di euro, mentre 90 milioni confluivano dal bilancio del MIBAC al Fondo per interventi strutturali di politica economica. La manovra estiva poi aggiungeva radicali riduzioni, che arrivavano progressivamente
a 423 milioni per il 2011.
Queste riduzioni venivano disposte nonostante pochi giorni prima il ministro Bondi, in occasione del suo insediamento, dichiarasse di voler aumentare gli investimenti in cultura. Secondo le previsioni più fosche formulate allora, nel 2011 nelle casse del MIBAC ci sarebbero stati a malapena i fondi per coprire le spese per il personale. Il riflesso di tali riduzioni si coglie direttamente nella realtà del patrimonio.
Alla fine del 2010 il crollo di una parte di un edificio pompeiano, la Schola Armaturarum, determina una grave crisi a livello politico e istituzionale: le opposizioni chiedono le dimissioni del ministro. Nei mesi successivi si intensificano le segnalazioni di danni al patrimonio: dal Nord al Sud, dai siti archeologici ai monumenti, dalle chiese ai palazzi, si ripetono, incessantemente, le notizie di crolli, cedimenti strutturali, smottamenti.
Una delle situazioni più gravi è quella di Agrigento, poiché il rischio di cedimento qui riguarda l’intero centro storico.
Le autorità locali – Arcidiocesi, Soprintendenza e Comune – constatano l’allargamento delle crepe in alcuni edifici religiosi vicini alla cattedrale di S. Gerlando e nella navata settentrionale della stessa chiesa.
Ciò determina la necessità di mettere in sicurezza l’edificio e di transennare, da marzo 2011, l’accesso alla navata nord. Eppure nel 2007 la Protezione civile era intervenuta con lavori, costati ben 10 milioni di euro, proprio per consolidare il terreno.
Nel mese di aprile, in più, crolla anche lo storico palazzo Lo Iacono, a riprova che la situazione del sottosuolo sta diventando sempre più precaria e incontrollabile. Anche alcuni centri del territorio agrigentino presentano analoghi problemi di stabilità: a Cammarata vannoin rovina l’antica chiesa di S. Giacomo, costruita su una moschea, e la chiesa di S. Biagio.
Nel 2011 gli allarmi si fanno sempre più frequenti ed estesi: in Sicilia sono a rischio il sito archeologico di Camarina e la chiesa di S. Maria del Soccorso a Modica; in Campania il villaggio preistorico di Nola; in Toscana la cappella di S. Cerbone a Baratti (Piombino) e il sito etrusco di Roselle (Grosseto); vicino a Pisa la certosa di Calci; nel Lazio la necropoli di Cerveteri e, a Tivoli, l’acquedotto romano, a Roma la chiesa di S. Francesco a Ripa Grande e la Cisterna delle Sette Sale a Colle Oppio.
In pericolo sono pure in area flegrea il rione Terra di Pozzuoli, i colombari di Miliscola, il Bagno della Regina, a Portici, voluto nel 1813 da Carolina Murat presso Villa d’Elboeuf, e alcuni edifici progettati da Ferdinando Sanfelice (palazzi della Sanità, dello Spagnolo e Sanfelice); nel Veneto, a Torcello, il mosaico bizantino della basilica; a Urbino il convento di S. Bernardino;
a Bologna le due torri. Ma due casi sono particolarmente emblematici per comprendere l’impatto dei tagli. Nel Veneto, dove sono stati stanziati 4,1 milioni di euro per le ville, in realtà per il restauro della sola Villa Contarini a Piazzola sul Brenta (Padova) ce ne vorrebbero almeno 50; per la Cisterna delle Sette Sale sono stati stanziati 5 milioni di euro in due anni, ma in realtà ne servirebbero 35; per la certosa di Calci gli enti locali hanno messo a disposizione 370.000 euro e la Soprintendenza regionale 150.000, ma mancano le integrazioni ministeriali.
Villa Lancellotti: un altro crollo a Portici
Era pericolante da tempo la facciata del palazzo della principessa Lauro Lancellotti a Portici, in provincia di Napoli. E nel pomeriggio del 17 marzo 2011 non ha più resistito ed è crollata, con un boato sordo e devastante.
Da tempo l’edificio di corso Garibaldi, disabitato e transennato, versava in condizioni di degrado e di abbandono ed era già stato teatro di alcuni crolli di minore entità, senza che le autorità intervenissero fattivamente per metterlo in sicurezza: la situazione si era aggravata negli ultimi cinque anni con problemi anche per la sicurezza pubblica, tanto che il Comune aveva disposto di murare porte e finestre. L’obiettivo successivo era quello di adibire l’edificio a destinazioni di interesse pubblico dopo averlo espropriato, ma il programma d’intervento da 6 milioni di euro, presentato alla Regione Campania, rimase lettera morta. Né gli eredi, proprietari dell’immobile, si preoccuparono di arginare in qualche modo la situazione di degrado. Ad aggravare la circostanza, determinando il crollo, è stata anche la pioggia battente dei giorni precedenti a quel fatidico 17 marzo.
Villa Lancellotti, costruita nel 1776, è, ma forse sarebbe meglio dire era, uno dei gioielli settecenteschi del cosiddetto Miglio d’oro – zona costiera a nord di Napoli tra Portici e Torre del Greco – insieme ad altre ville mai restaurate, come Villa d’Elboeuf. Villa Lancellotti fu abbandonata negli anni Novanta del Novecento dall’ultima discendente della famiglia, la nobile Natalia Massimo Lancellotti, e da allora è stata oggetto di razzia da parte di ladri e di vandali. La facciata, irrimediabilmente danneggiata, è eseguita in bugnato rustico ed è opera dell’architetto Pompeo Schiantarelli; all’interno, poi, si conservano decorazioni preziose, oltre ai giardini dotati di un chiostro a pianta centrale, decorati da statue e scaloni.
Carandini si dimette
È il 14 marzo quando l’autorevole archeologo di fama internazionale Andrea Carandini (n. Roma 1937), presidente del Consiglio superiore dei beni culturali, sceglie di dimettersi da tale carica, conferitagli dal ministro Sandro Bondi il 25 febbraio 2009 per colmare il vuoto lasciato da un altro dimissionario eccellente, Salvatore Settis. La sua è una scelta forte, un modo per protestare contro i tagli selvaggi alla cultura, e suscita aspre polemiche e vivaci manifestazioni di solidarietà. Del resto, le dichiarazioni di Carandini non hanno lasciato spazio a dubbi: l’impossibilità del ministero di svolgere un’opera di tutela e di sviluppo del patrimonio culturale, in conseguenza dei tagli al FUS (il Fondo unico per lo spettacolo) e della progressiva e irreversibile diminuzione degli stanziamenti di bilancio, alfine, ha portato lo studioso a prendere una decisione drastica, che egli ha peraltro motivato con una lunga lettera indirizzata allo stesso Consiglio superiore. Del resto, le cifre parlano da sole: nel marzo 2009 il ministero contava su 155 milioni di euro per la tutela, cifra già di per sé esigua, ulteriormente ridotta da una serie impressionante di tagli, fino ai 102 milioni odierni, con un calo, in sei anni, del 70% degli stanziamenti.