UNIO REGNI AD IMPERIUM
Nel maggio del 1191 Enrico VI, da poco incoronato imperatore, rivendicò per la prima volta un antiquum ius imperii come fondamento giuridico della sua spedizione di conquista contro il Regno normanno di Sicilia; ancor più importante del diritto di successione della moglie Costanza, il sovrano lo considerava la motivazione decisiva del suo intervento. Questo diritto si richiamava alla politica italiana di Carlomagno e dei suoi successori ottoniani che sul finire del sec. XII era ormai una mera reminiscenza storica: la conquista normanna nel corso del sec. XI aveva creato realtà politiche nuove e dal 1059 anche il papato aveva rivendicato i suoi diritti feudali nei confronti dei sovrani normanni, appoggiandosi anche al Constitutum Constantini. Al contrario, le ambizioni bizantine sull'Italia meridionale si erano di fatto dissolte con la morte dell'imperatore Manuele I (1180). A questi mutamenti politici corrisponde il bilancio d'insieme complessivamente debole della sovranità franco-tedesca nell'Italia meridionale fino al sec. XII: Enrico V (m. 1125) e Corrado III (m. 1152), infatti, non misero mai piede nel Sud, mentre Enrico III (m. 1056) ed Enrico IV (m. 1106) vi trascorsero ogni volta poche settimane. Di conseguenza l'Italia meridionale, da Corrado II (m. 1039) fino a Lotario III (m. 1137), rimase sostanzialmente abbandonata a se stessa. Assai più spiccato era stato l'interesse dimostrato dagli Ottoni, tuttavia la sconfitta subita da Ottone II a Crotone (982) aveva dissipato durevolmente ambiziosi sogni di dominio. A partire da Enrico II (m. 1024) i sovrani tedeschi dovettero accontentarsi di fatto di esercitare un dominio imperiale allentato sui principati di Capua e di Benevento.
La situazione cambiò quando Ruggero II, nel 1130, poté riunire nelle proprie mani i territori del dominio normanno. Il Regno normanno-siciliano di nuova fondazione rappresentò un consistente fattore di potere nel Meridione e un latente pericolo per la sovranità imperiale nell'Italia settentrionale. Nondimeno Lotario III dovette essere sollecitato energicamente da Bernardo di Chiaravalle affinché salvaguardasse i diritti imperiali ed eliminasse il più importante sostegno del papa scismatico Anacleto II; la spedizione bellica intrapresa malvolentieri da Lotario andava prevalentemente a vantaggio degli interessi del papato. Dopo il fallimento dell'impresa, che inizialmente era stata coronata dal successo, Ruggero II strappò il riconoscimento della sua sovranità al papa legittimo Innocenzo II. Da quel momento la Sicilia fu inserita come un fattore importante nelle coalizioni delle potenze europee, che iniziarono a delinearsi con maggior chiarezza dopo l'insuccesso della seconda crociata. La politica italiana intensificata dal Barbarossa, che rivolse senza indugio le sue ambizioni imperiali all'Italia meridionale, e il suo persistente dissenso con il papato indussero il pontefice e il re di Sicilia a stipulare gli accordi di Benevento (1156); lo scisma alessandrino isolò totalmente Federico I.
Malgrado gli sforzi profusi, la sovranità del Barbarossa nel Regno d'Italia si fondò prevalentemente sulla presenza militare. La pesante sconfitta subita a Legnano (1176) rese comunque inevitabile un radicale ripensamento della politica sveva, attuato con sorprendente celerità: già nello stesso anno si riuscì a trovare un accordo provvisorio con il papa e la pace di Venezia (1177), che assicurò per sette anni una tregua con la Lega lombarda e il Regno di Sicilia, diede buoni risultati e nel 1183 fu confermata a Costanza. Il 29 ottobre 1184 fu reso noto ad Augusta il fidanzamento dell'erede al trono svevo Enrico VI con Costanza di Sicilia, figlia di re Ruggero II.
Non sappiamo assolutamente nulla delle trattative preliminari, il che ha dato luogo a una serie di congetture. Si è pensato a un 'colpo di mano' della diplomazia segreta sveva che avrebbe colto il papa completamente di sorpresa; altri invece hanno indicato proprio in papa Lucio III il tessitore di quest'unione; altri ancora hanno scorto in Guglielmo II lo spiritus rector, in quanto il re, già in questa fase, avrebbe definitivamente fatto i conti con la sua persistente mancanza di eredi e aveva voluto regolare per tempo la successione appoggiandosi a un partner potente. E per finire, al conte Tancredi di Lecce, il nipote bastardo di Ruggero II, erano state attribuite ambizioni alla successione, per cui Guglielmo II avrebbe realizzato l'aspirazione da lungo tempo coltivata di un legame matrimoniale svevo-siciliano con la mediazione inglese.
È impossibile stabilire in modo conclusivo chi abbia preso realmente per primo l'iniziativa per favorire quest'unione gravida di conseguenze, in quanto le fonti appaiono contraddittorie. Tuttavia il Barbarossa, già nel 1173-1174, aveva chiesto invano al re di Sicilia la mano di sua figlia, con l'intento di sottrarlo alla coalizione antisveva. Dopo gli accordi di pace di Venezia e di Costanza i vantaggi per le parti contraenti erano palesi: il Barbarossa grazie al matrimonio otteneva una garanzia per la sua politica nel Regno d'Italia, Guglielmo II per la sua politica contro Bisanzio. Solo il papa fu privato del suo appoggio più potente e si ritrovò in trappola, tanto più che nel 1194 fu poi possibile realizzare l'unione personale del Regno all'Impero.
Dal punto di vista siciliano il fidanzamento di Augusta e il matrimonio celebrato a Milano (27 gennaio 1186) rappresentarono prestigiosi successi. Prefigurate già nel 1177, le nozze tolsero definitivamente al re di Sicilia il marchio dell'usurpatore e neutralizzarono i diritti rivendicati dall'imperatore, che in questo contesto significativamente non erano più in causa. In questa prospettiva l'interrogativo riguardante il primo promotore dell'iniziativa appare meno importante. Un accordo di base potrebbe essere già stato raggiunto in occasione della grande dieta di Magonza tenutasi nella Pentecoste del 1184. È improbabile che Guglielmo II o il Barbarossa già nel 1184-1186 abbiano dovuto far i conti con le conseguenze che ne sarebbero scaturite; solo nel 1188 la Curia esercitò pressioni perché fosse rinnovato il giuramento di vassallaggio, in cui per la prima volta furono inseriti anche gli eredi. In prospettiva di una spedizione navale contro Bisanzio, Guglielmo II già nel 1184-1185 aveva fatto prestare giuramento ai grandi del suo Regno, a Troia, per garantire l'eventuale successione della figlia Costanza e del suo consorte svevo, e anche il conte Tancredi di Lecce, il futuro re, era stato coinvolto.
Nel 1189, quando Guglielmo morì senza figli (18 novembre), si verificò un'effettiva situazione d'emergenza. Incurante del giuramento prestato e dei diritti di successione di Costanza, una parte della nobiltà siciliana elesse il conte Tancredi di Lecce nuovo re; questi, tuttavia, dovette imporre il suo dominio al prezzo di infinite campagne militari per avere ragione di massicce resistenze, soprattutto in continente. Dopo che una prima spedizione di conquista di Enrico VI era naufragata nel 1191 alle porte di Napoli, che era stata fortificata, il papato sfruttò il momento favorevole: Tancredi dovette guadagnarsi il riconoscimento papale subendo l'imposizione del concordato di Gravina (1192), che annullava la posizione privilegiata del re di Sicilia negli affari di carattere politico-ecclesiastico.
Condizioni estremamente favorevoli determinarono il successo del secondo tentativo di conquista intrapreso da Enrico VI nel 1194: poco dopo la nascita del suo primogenito ed erede al trono, re Tancredi era morto (20 febbraio 1194) lasciando soltanto un figlio minorenne, Guglielmo III, in nome del quale la madre Sibilla aveva assunto temporaneamente la reggenza. Senza incontrare particolari resistenze, l'imperatore alla fine di novembre fece il suo ingresso a Palermo e il giorno di Natale fu incoronato re di Sicilia. Il 26 dicembre la moglie Costanza partorì a Jesi l'erede al trono lungamente atteso, Federico II, la cui nascita diede un senso e uno scopo alla politica imperiale. A questo punto era necessario assicurare l'unione personale del Regno e dell'Impero, avendo ragione dell'opposizione del papato, e salvaguardarla per il figlio Federico. Il tentativo di trasformare l'Impero, analogamente al Regno di Sicilia, in un regno ereditario (Erbreichsplan) naufragò nel 1196 scontrandosi con la resistenza dei principi e del pontefice. Per il periodo della sua assenza Enrico VI dispose, in occasione della dieta di Troia del 1195, affinché sua moglie assumesse la reggenza imperiale, anche se Costanza stessa continuava a rivendicare il suo diritto di successione come figlia di Ruggero II e agiva di conseguenza. Il contrasto delle concezioni giuridiche appare abissale, ma nella situazione politica concreta l'imperatrice dovette piegarsi. Dopo che l'imperatore aveva fatto deportare la vecchia famiglia reale e i suoi consiglieri in Germania a causa di una presunta congiura, non fu attuato un cambiamento sistematico del personale. Soltanto alcune importanti posizioni chiave, soprattutto militari, furono occupate da tedeschi, in particolare le teste di ponte ai confini settentrionali del Regno. Altri drastici provvedimenti disciplinari seguirono al ritorno dell'imperatore, che nella primavera del 1197 soffocò rapidamente nel sangue una rivolta scoppiata a Messina e morì il 28 settembre di quello stesso anno. Il testamento di Enrico VI, che si è tramandato solo in modo frammentario, ma che nella sostanza è un autentico testamento, è l'ammissione del fallimento della propria politica. In vita, per la dignità imperiale (propter dignitatem imperii) egli si era rifiutato di prendere in feudo dal papa la Sicilia, come in precedenza avevano fatto tutti i re di Sicilia; ma proprio questo raccomandò sul letto di morte alla moglie e al figlio.
Costanza si comportò di conseguenza: scacciò tutti i tedeschi senza indugio, fece portare nel Regno il figlio Federico e cercò un contatto con il feudatario papale per trattare le modalità dell'incoronazione. Fin quasi alla vigilia dell'incoronazione (Pentecoste) la sovrana si adoperò per tenere aperta al figlio anche l'opzione alla successione imperiale, dopo aver rinunciato a qualsiasi diritto di sovranità per la sua persona. Ma il papa si dimostrò inflessibile: con la sua incoronazione a re di Sicilia Federico doveva rinunciare al titolo di re dei Romani. Nondimeno Costanza governò come una vera sovrana, mentre Federico fu associato al trono. Il giuramento di vassallaggio di Costanza era già pronto, quando la sua morte subitanea (28 novembre 1198) ne impedì l'attuazione.
In seguito il Regno sprofondò per un decennio nel caos e nell'anarchia, perché papa Innocenzo III non poté esercitare di fatto la reggenza che gli era stata affidata; di conseguenza un'alternanza di fazioni e di personaggi pilotò la politica siciliana in nome del giovane sovrano. In questo stesso periodo la Germania fu lacerata dalla disputa per il trono fra gli schieramenti guelfo e svevo, ma entrambi i pretendenti, Filippo Hohenstaufen e il guelfo Ottone IV, mantennero sostanzialmente le loro rivendicazioni sull'Italia meridionale e la Sicilia, sebbene Ottone IV avesse confermato più volte i diritti del papato nei confronti dell'isola. Innocenzo III, dopo una serie di cambi di rotta, nel 1211 decise finalmente di dare il suo pieno appoggio a Federico II, la cui successione nell'Impero aveva escluso categoricamente ancora nel 1201, e al quale tuttavia ora spianò la strada nell'Impero del padre contro il guelfo Ottone IV. Sotto l'egida papale quindi Regno e Impero furono nuovamente riuniti; ma, a dispetto di numerose assicurazioni, da parte di Federico II, di sciogliere l'unione (1213, 1216, 1219, 1220) e malgrado l'insistenza del papa sul raggiungimento di quest'obiettivo, la situazione rimase immutata, come dimostrano i due testamenti di Federico II (1228, 1250). La questione siciliana non era l'unico cardine della politica papale nel sec. XIII, tuttavia era sempre collegata ad altri elementi di conflitto (Regno d'Italia, città lombarde, crociata, ecc.) e la sua soluzione secondo l'ottica del papato rimaneva un traguardo irrinunciabile della politica curiale.
Alla morte di Federico II nel 1250, suo figlio Corrado IV, al quale erano stati già contrapposti due diversi sovrani, cercò di assicurarsi l'eredità del padre nell'Italia meridionale, ma morì di malaria già nel 1254. L'altro figlio Manfredi nel 1266 subì una sconfitta militare da parte del pretendente papale Carlo I d'Angiò e cadde nella battaglia di Benevento. Corradino, figlio di Corrado IV, fu sconfitto da Carlo a Tagliacozzo nel 1268 e fu giustiziato a Napoli. Il papa riuscì a imporre in modo vincolante solo a Carlo d'Angiò le sue istanze di sicurezza (1263). Re Rodolfo d'Asburgo (1273-1291) infine, sperando nella dignità imperiale, abbandonò le vie della politica sveva e nel 1274-1275 rinunciò sostanzialmente ai diritti imperiali in rapporto alla Sicilia. Fino al 1855 il papa poté esigere il pagamento della ricognizione dal re di Napoli.
Con la vittoria sugli Hohenstaufen l'unione temporanea di Regno e Impero fu di fatto soppressa definitivamente. Nella prospettiva sveva essa rappresentò la più alta espressione del potere, ma al tempo stesso segnò anche l'inizio della fine a causa di un'eccessiva tensione delle forze in gioco. Nella storia siciliana l'effimera unio non lasciò alcuna traccia; dopo gli Hohenstaufen la Sicilia si procurò nuovi sovrani stranieri, e tale situazione si protrasse fino al Risorgimento, come emerge dalle parole del principe di Salina (il 'Gattopardo'): "Siamo una colonia da 2500 anni".
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Traduzione di Maria Paola Arena