Abstract
Viene esaminato l’istituto della unione doganale che, nella sua accezione classica, consta di un aspetto interno, relativo all’abolizione dei dazi doganali e degli altri ostacoli non tariffari alla libera circolazione delle merci tra gli Stati membri dell’Unione, e di un aspetto esterno, relativo alla fissazione di una tariffa doganale comune nei confronti degli Stati terzi, avendo come obiettivo finale la fusione dei mercati nazionali in un più ampio mercato unificato. Posta alle origini del trattato istitutivo a fondamento del processo di costruzione europea, l’unione doganale dell’UE, disciplinata nella parte terza, titolo II, capo I del TFUE (artt. 28-31), costituisce il nocciolo del mercato interno e, per la ampiezza e la profondità dell’integrazione realizzata, rappresenta l’esempio più avanzato di regionalismo economico nell’ambito del commercio mondiale.
Ai sensi dell’art. XXIV par. 8 del GATT, l’istituzione di un’unione doganale comporta la sostituzione di un unico territorio doganale a due o più territori doganali in modo che risulti, oltre all’eliminazione dei dazi doganali e delle altre regolamentazioni commerciali restrittive negli scambi mercantili tra gli Stati membri, anche l’identità sostanziale dei dazi doganali e delle altre regolamentazioni applicate dagli Stati membri nei confronti dei paesi terzi, cioè l’instaurazione di una tariffa doganale comune (TDC). Questa definizione, ancorché riformulata in termini più rispondenti all’odierna funzione dell’unione doganale negli scambi commerciali mondiali, corrisponde sostanzialmente allo schema classico dell’istituto che si è venuto affermando nella vita economica internazionale a partire dal secolo XIX a seguito del movimento di unificazione doganale ispirato al liberoscambismo. Avuto riguardo alla prassi contemporanea, l’unione doganale individua, secondo l’accezione più diffusa, un’unione internazionale con la quale due o più Stati si obbligano a rimuovere ogni ostacolo al loro interscambio commerciale mediante l’armonizzazione delle formalità doganali nazionali e ad applicare lo stesso trattamento ai prodotti dei paesi terzi mediante l’instaurazione di una TDC applicata e interpretata in modo uniforme da ciascuno degli Sati membri dell’unione (Lasok, D.-Carins, W, The Custom Law of the European Economic Community, Kluver, 1983, 2).
Così individuata, la nozione di unione doganale risulta differenziata rispetto ad altre forme di cooperazione doganale e, in particolare, dalla zona di libero scambio, anch’essa prevista dall’art. XXIV del GATT come legittima eccezione ai principi di non discriminazione e parità di trattamento sui quali si fonda il corretto funzionamento della clausola della nazione più favorita in un contesto multilaterale. Anche nella zona di libero scambio (quale ad esempio l’EFTA) l’elemento caratterizzante è costituito dall’eliminazione delle barriere doganali tra gli Stati membri ma, a differenza dell’unione doganale, la zona di libero scambio non comporta l’instaurazione di una tariffa doganale comune verso l’esterno. Il mantenimento della piena autonomia tariffaria nei confronti dei terzi Stati da parte di ciascuno Stato appartenente alla zona comporta che la liberalizzazione degli scambi risulta limitata ai soli prodotti originari della zona stessa, ponendosi di conseguenza il problema della determinazione e del controllo dell’origine delle merci, problema che si rivela particolarmente complesso nel caso di merci “miste”, risultanti cioè dalla trasformazione, operata nella zona, di prodotti di origine esterna.
In epoca più recente, l’avvento di processi di globalizzazione dell’economia ha indotto un’ulteriore fase di sviluppo del regionalismo economico caratterizzata dal superamento della tradizionale distinzione dei modelli di cooperazione tra unione doganale e zona di libero scambio in favore della costituzione di aree atipiche e miste, variamente combinate, ma diffusamente orientate a svincolarsi da una rigida compatibilità giuridica con il sistema universale del commercio (Picone, P.-Ligustro, A., Diritto dell’Organizzazione mondiale del commercio, Padova, 2002, 526 ss). Tuttavia, nonostante il diffondersi di nuovi modelli di cooperazione commerciale flessibile, le unioni doganali e le zone di libero scambio coprono attualmente una quota significativa del commercio mondiale contribuendo alla sua espansione, che è il presupposto della loro legittimità anche nell’ordinamento della OMC, di cui il GATT (1994), nel quale è confluito quasi integralmente l’omonimo accordo del 1947 con il relativo acquis, costituisce il primo e il principale degli accordi multilaterali sugli scambi.
Conforme sin dalle origini ai requisiti classici dell’istituto ex art. XXIV del GATT, l’unione doganale dell’UE rappresenta, per l’ampiezza e la profondità dell’integrazione realizzata, l’esempio più rilevante di regionalismo economico nell’ambito del commercio mondiale. Istituita nel 1968, attraverso un processo di realizzazione graduale, secondo le modalità dettagliatamente disciplinate dal trattato di Roma, l’unione doganale «estesa al complesso degli scambi di merci» (art. 28 TFUE), oltre a essersi ampliata nel territorio e nel numero degli Stati membri, da 6 a 28, si è evoluta diventando il nocciolo di un mercato unico senza frontiere interne (art. 26 TFUE), e, per effetto della realizzazione dell’unione monetaria, è ulteriormente progredita verso lo stadio dell’unione doganale perfetta, nella quale, salvo eccezioni, la libera circolazione delle merci concerne anche «i prodotti non originari» immessi in libera pratica (art. 28 TFUE), una volta che questi siano importati nell’area dell’Unione in osservanza della TDC ‒ dopo cioè che sono state espletate le formalità d’importazione e riscossi i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente esigibili (art. 29 TFUE) ‒ e i proventi della tariffa doganale comune, detratto il 25% a favore degli Stati membri per i costi di gestione amministrativa, sono destinati come risorse proprie al bilancio dell’UE, di cui costituiscono il 15% delle entrate totali. L’unione doganale dispone inoltre di una legislazione doganale generale applicabile nell’intero territorio doganale dell’Unione (infra § 3), la cui interpretazione uniforme è garantita dal meccanismo del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ex art. 267 TFUE.
L’acquisizione della unione doganale come un traguardo oramai raggiunto trova riscontro nel TFUE, il quale infatti si limita a prevedere che l’Unione «comprende un’unione doganale» (art. 28), cui è dedicato il capo 1 del tit. II sulla libera circolazione delle merci, articolato in tre disposizioni (artt. 30-32) che prevedono, rispettivamente, il divieto assoluto di dazi (anche di carattere fiscale) all’importazione e all’esportazione, nonché delle tasse di effetto equivalente, la fissazione della TDC e gli obiettivi a cui si informano i compiti affidati alla Commissione, qual in particolare, la promozione degli scambi commerciali, l’accrescimento della capacità di concorrenza delle imprese, lo sviluppo della produzione e l’espansione dei consumi. Anche l’eliminazione delle restrizioni quantitative e delle misure di effetto equivalente viene generalmente ritenuta uno degli elementi costitutivi dell’unione doganale, ma, nella ristrutturazione del titolo sulla libera circolazione delle merci operata dal TFUE, il relativo divieto, previsto nel capo 3 (artt. 34-37), assume un rilievo autonomo, verosimilmente dovuto alla complessa e incessante opera che l’eliminazione di tale ostacolo ancora richiede (Dubois, L.-Blumann, C., Droit materiel de l’Union européenne, VI ediz., Paris, 2012, 253).
L’instaurazione del mercato interno, nel 1993, non ha sminuito l’importanza dell’unione doganale che resta la prima delle politiche demandate alla competenza esclusiva dell’Unione (art. 3, lett. a), TFUE). Spetta al Consiglio, su proposta della Commissione, stabilire i dazi della TDC (art. 31 TFUE) con determinazione autonoma o a seguito dei negoziati tariffari in seno all’OMC (infra § 4), mentre agli Stati membri compete la gestione materiale dell’apparato doganale sotto la direzione e il controllo della Commissione. Con una significativa innovazione, il Trattato di Lisbona ha integrato pienamente nel diritto dell’Unione europea la cooperazione doganale, che, dal capo relativo alla politica commerciale, è stata spostata nel capo 3 del titolo I del TFUE, art. 33, che prevede che le misure dirette a rafforzare la cooperazione doganale tra Stati membri e tra questi e la Commissione vengano deliberate dal Consiglio e dal Parlamento con la procedura legislativa ordinaria (v., da ultimo, reg. CE n. 1294/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11.12.2013, che istituisce un programma d’azione doganale dell’Unione europea per il periodo 2014-2020 (Dogana 2020) e abroga la decisione n. 624/2007/CE, GUUE L 347 del 20.12.2013, p.209).
Lo smantellamento delle barriere doganali alle frontiere interne ha comportato un mutamento del ruolo delle autorità doganali nazionali che, da percettori di dazi, sono diventate i principali garanti delle frontiere esterne con riferimento alla circolazione delle merci e titolari di nuovi compiti e responsabilità, quali l’agevolazione del commercio, la garanzia della sicurezza attraverso il monitoraggio e la gestione del traffico commerciale internazionale, la protezione dei cittadini e degli operatori economici dall’ingresso e dalla circolazione nel mercato interno di merci illecite, contraffatte o pericolose, nonché la tutela degli interessi finanziari dell’Unione.
Le norme, i regimi e le procedure applicabili agli scambi commerciali dell’UE sono riunite in un unico testo, il Codice doganale dell’unione istituito per la prima volta con il reg. CEE 2913/92 del 12.1.1992 (GUUE L 302 del 19.10.1992, 1) modificato più volte e abrogato con il reg. (CE) n. 450/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio (GUUE L 145 del 4.6.2008, 1) che ha operato una profonda riforma al fine di adeguare la legislazione in funzione non solo degli importanti mutamenti giuridici avvenuti nell’ultimo decennio nell’ambito sia dell’Unione sia internazionale, ma soprattutto del ricorso oramai predominante alle nuove tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (v. la decisione n. 70/2008/CE del Parlamento e del Consiglio, del 15.1.2008, concernente un ambiente privo di supporti cartacei per le dogane e il commercio, G.U. L 23 del 26.1.2008, p. 21). Quest’ultimo, detto codice doganale “aggiornato” è stato oggetto di una rifusione, operata con il reg. (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9.10.2013(GUUE L 269 del 10.10.2013, 1), che ha apportato le modifiche nel frattempo intervenute in materia di legislazione doganale e ha conformato il codice all’evoluzione del diritto dell’Unione a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (2009); la piena applicazione di tale regolamento, subordinata all’emanazione dei regolamenti di attuazione, è prevista per il I.6.2016. In virtù della semplificazione, i regimi doganali sono stati ridotti a tre: immissione in libera pratica, esportazione e regimi speciali, distinti, questi ultimi ,secondo il criterio funzionale in transito, deposito, uso particolare e perfezionamento attivo e passivo.
L’aspetto esterno dell’unione doganale, che riguarda la fissazione della TDC nei confronti degli Stati terzi e comprende anche il ravvicinamento delle legislazioni doganali degli Stati membri (art.110 TFUE), viene empiricamente indicato con la denominazione di politica doganale. Quadro di riferimento per le diverse politiche dell’Unione, l’unione doganale ha consentito, in particolare, di sviluppare una politica commerciale comune che ha portato all’affermazione dell’identità dell’UE nell’ambito del commercio mondiale, attraverso l’adesione prima al GATT e successivamente all’OMC ‒ di cui l’Unione, al pari dei suoi Stati membri, è parte contraente a titolo originario (art. 11 accordo di Marrakesc), nonché, dal I.7.2007, all’Organizzazione mondiale delle dogane (OMD), che ha lo scopo di favorire la cooperazione tra le amministrazioni doganali, l’armonizzazione e la semplificazione delle regole e procedure dei 176 membri. Il rafforzamento della struttura istituzionale dell’OMC e l’ampliamento del suo scopo hanno avuto grande impatto sull’equilibrio dei poteri all’interno dell’Unione in materia di politica commerciale comune fondata su principi uniformi, che ora si applicano anche a servizi, proprietà intellettuale e investimenti (art. 207 TFUE) seppur in alcuni campi gli Stati mantengano ancora una competenza concorrente.
Sul piano tariffario, la sostituzione dell’OMC al GATT non ha comportato un mutamento rispetto alla tendenza al disarmo selettivo delle barriere doganali e delle restrizioni agli scambi che si mantiene irrevocabile: l’Unione, pur attuando un regime di preferenza per i propri prodotti, si prefigge, come sempre, di contribuire a favorire, nell’interesse comune, lo sviluppo armonico del commercio mondiale, la graduale soppressione delle restrizioni agli scambi internazionali e la riduzione delle barriere doganali (art. 206 TFUE), senza trascurare di perfezionare i meccanismi di lotta contro le pratiche commerciali sleali. Tramite la TDC, l’Unione disciplina gli scambi commerciali con i paesi terzi e persegue i propri interessi economici e politici stabilendo regimi tariffari differenziati o preferenziali per certi prodotti o paesi, come ad esempio avviene quando, confermandosi come il datore più generoso in tema di aiuto allo sviluppo, elabora un sistema differenziato di preferenze generalizzate all’insegna dello sviluppo sostenibile e del buon governo, ora ricondotte al rispetto del principio di non discriminazione (v. reg. (CE) n. 732/2008 del Consiglio del 22.7.2008, GUUE L 211 del 6.8.2008, p. 1 e successive modifiche).
Artt. 30-32, 33, 206 TFUE. Per le fonti di diritto derivato, oltre a quelle citate nel testo, v. www.eur-lex.europa.eu .
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